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Autore: Hivy    09/06/2012    0 recensioni
"Non era un bruto, e mai, s’era ostinato d’esserlo.
Era solo focoso.
Nel suo sangue caldo di spagnolo, ardeva un fuoco.
Il fuoco dei Borgia."
Cesare Borgia, Duca Valentino, primogenito di Papa Alessandro VI; da mesi impegnato nella conquista del suolo romagnolo, nell'anno 1500 giunge a Faenza, città difesa dalla famiglia Manfredi.
Una furiosa lotta lo attende, ma le ragioni che lo muovono e lo colmano di ardimento, sono oscure.
La più ardua battaglia dei fratelli Manfredi sarà riuscire a resistegli restando uniti, sino in fondo.
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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Capitolo III

 

Roma era caotica.

Il regno del caos, dove Satana,

e i suoi servitori, potevano muoversi liberamente.

Si insinuavano nel cuore e nella mente.

Bramando potere

come i Borgia.

 ***

 

 

 

Roma, 1500 A.D.

Il Rampollo di Castel Sant’ Angelo,

è rientrato nella capitale,

in compagnia di Gian Galeazzo Manfredi.

 

La Roma che si presentò ai suoi occhi, era una grande ed incivile moltitudine di corpi, case, strade e voci.

Il caos che vi regnava era ben lontano dalla civile e ben organizzata ‘Roma’ di cui aveva sentito parlare.

Castel Sant’Angelo spiccava in controluce, oltre la striscia scintillante ch’era il Tevere. Era una costruzione ampia, ed il colore dei suoi mattoni accecava ed empiva lo sguardo, come se non vi fosse altro da osservare.

Aveva ammirato miriadi di costruzioni magnifiche da quando era nella capitale della Santità, visto palazzi, case, castelli, sculture della Roma antica. Tutto quello che l’occhio umano doveva ammirare, era Roma. Niente più. Roma, Roma e ancora Roma. Da un orizzonte all’altro, incontrastata, indefinita, forte, sonora. Incorniciata magnificamente dalla striscia del Tevere, che brillava alla luce dorata del tardo sole del pomeriggio.

Il Borgia ebbe un accoglienza regale, una volta giunto a Castel Sant’Angelo, eppure, parve sprezzare quel comportamento. Rimase in compagnia dei suoi consiglieri e dei suoi paggi il minor tempo possibile, ritirandosi velocemente come un’ombra, nelle sue stanze.

Il Manfredi vagò per lungo tempo tra le vie della capitale Santa, osservando estasiato i colori, le strade, le case. Ascoltando con piacere le voci gioiose, cercando di non sentire, tuttavia, le urla di disperazione della povera gente, le suppliche dei malati. Sapeva bene che tutto quel tormento non avrebbe fatto altro che ricordargli la sua amata Faenza, ancora semi distrutta dall’orda papale che il Borgia aveva fatto sfilare per tutta la Romagna.  

Aveva tuttavia la sensazione che il Male stesse seguendo i suoi passi, tracciando orme scure per le vie. Alzando gli occhi, poteva vedere solo uno squarcio di cielo sopra di sé. Gli mancava l’aria salmastra che spirava sopra la sua Faenza, il cielo adamantino, azzurro come non si poteva nemmeno immaginare. Le nuvole bianche gli rammentavano la spuma del mare, mentre a Roma, le nuvole erano soltanto portatrici di pessimo auspicio.

Vagabondando così, per i sobborghi della città, s’era dovuto costringere a non guardare altro che la punta dei suoi stivali, sotto i quali, correva la strada lastricata. Non poteva alzare lo sguardo, non voleva. Le prostitute lo avrebbero circondato, toccandolo, infettandolo. I borseggiatori l’avrebbero assalito, trascinandolo via, e la voce della disperazione dei poveri, gli avrebbe fatto piangere il cuore.

Roma era il luogo ideale, ove i servitori di Satana, potevano muoversi indistinti tra la gente, tessendo le loro ragnatele di male e oscurità attorno ai cuori, dentro le membra, nella mente.

 

Il Borgia ringhiò e fremette per la rabbia, prendendosi tra le mani il volto, graffiandolo. Il suo viso era purpureo, e gli occhi falcati erano ridotti a delle linee sottili, dalle quali divampava un incendio.

Non vi era ordine nella sua mente, come non ve n’era nel suo cuore, o nella sua anima. Tutto il suo Essere era squassato da profonde indecisioni e dalla rabbia bruciante, che si manifestava con brividi a fior di pelle, che gli facevano tremare violentemente le mani, come un forsennato.

Un urlo strozzato e cupo scaturì dal fondo della sua gola, e per l’ennesima volta, si strinse le gote tra le dita, infilando le unghie nella carne, come se volesse strapparsi la pelle dalle ossa.

Sentiva il bruciante desiderio della battaglia ch’ ardea nel fondo del suo cuore, facendolo fremere in profondi spasmi di rabbia. Quanto desiderava impugnare la spada e fare strage di corpi, di tutto avanti a sé!

Aveva sempre sentito che dentro di lui, v’ea qualcosa di diverso, di sbagliato, di crudele, che avvampava nella sua carne, dandogli la forza di vivere, incoraggiandolo a trarre l’ennesimo respiro.

Odiava quel sentimento vile e putrido, ma al contempo, non poteva evitare d’assecondarlo. L’aveva assecondato quando aveva deciso di ritornare al suo stato laico, e quello era stato il suo più grande errore.

Abbandonando la via del Signore, aveva lasciato che quei sentimenti ingrati vagassero liberi dentro di lui. Lo invadevano, investivano, schiaffeggiavano come il vento tra i capelli, e allo stesso tempo, lo carezzavano, colmandolo  di tal gioia, che al paragone, una vita intera non avrebbe mai potuto offrire. Quel tale, effimero piacere con cui si dilettava tutti i giorni, lo attraeva, coinvolgendolo in una danza magnifica e sensuale, alla quale non poteva resistere.

Nel profondo sapeva di amare quella danza, e i sentimenti, erano più forti di qualsiasi altra cosa. Tuttavia, nella mente, era conscio di non poter essere realmente attratto da quelle finzioni.

Auspicava con tutto sé stesso, che quella situazione terminasse. Le sue insicurezze lo rendevano debole agli occhi degli altri, come ai suoi stessi occhi.

Sentiva che Satana lo stava inevitabilmente traendo a sé, sempre più in basso, nel tetro più profondo. Lo conduceva, giorno dopo giorno, ad un passo dal baratro, e la sua più grande paura, tuttavia, non era cadervi dentro, ma restarne sull’orlo. Nella sua caduta eterna, avrebbe incrociato percezioni magnifiche, che lo facevano fremere al solo pensiero. Restare in bilico sul quel baratro, significava passare un altro giorno ancora in quello stato di rabbia e di gioia, in quella decisa sensazione di desiderio e di repulsione verso il male; strisciante e chiassosa nel suo cuore, ingombrante nel suo animo.

I suoi muscoli si gonfiarono ancor più, arroventati dal suo animo furente, dandogli la sensazione che presto, la pelle si sarebbe staccata dalle ossa, per farlo bruciare eternamente nel suo mare di peccato.

Avrebbe dovuto seguire la sua via Divina, al fianco di Nostro Signore, quando ancora aveva la possibilità di farlo. Ma no, lui bramava di più, qualcosa di più rozzo e virile, irraggiungibile e allo stesso tempo vicinissimo. Aveva desiderato per tutta la sua vita qualcosa che non avrebbe mai potuto avere, ed ora, che poteva rinnegare quel suo bisogno, non ne aveva la forza. O forse, non voleva… Gli piaceva crogiolarsi su quel baratro, perché gli donava la sensazione di essere vivo. La sua vita era piatta, priva di sentimenti, senza quei dubbi che lo dilaniavano.

Il suo animo impuro era la sua più grande dannazione, e allo stesso tempo, lo coinvolgeva in una così tale gioia, che lo innalzava ad una luce infinita, dandogli l’illusione effimera di poter toccare Iddio con mano.

Non sentiva più la voce del Signore nella sua mente, eppure, gli pareva di essergli vicino, perché ambedue loro, combattevano contro il male.

Per qualche attimo, che parve infinito, si accorse di volgere in uno stato di totale furia ed abbandono, come mai prima gli era capitato. Non tollerava le voci che provenivano di sotto le finestre, non tollerava il suo stesso respiro, ed i suo digrignare i denti. Non poteva sopportare i suoi respiri affannati e sperduti, perché vedeva in essi solo un ennesimo segno di debolezza e peccato. Perché Dio gli aveva dato la possibilità di vivere, quando aveva poi dannato la sua esistenza?

L’ennesimo urlo sommesso scaturì dal fondo della sua gola, e mentre intorno a lui pareva che il silenzio riprendesse a regnare, avvertì un calore infinito alle membra, e un brivido che increspò superficialmente la sua pelle. Avvertì il sudore che gli imperlava il volto, ed ebbe la percezione di essere nudo al cospetto di Nostro Signore, arso, allo stesso tempo, dal furore di Satana.

Urlò ancora con tono cupo, infine, si sentì febbricitante ed esausto, come se nemmeno avesse più la forza per pensare.

D’un tratto, il suo sguardo fu rallegrato da una forte luce dorata, e davanti ai suoi occhi si materializzò la sua amata Roma. Le vie in fermento, le voci festanti, le magnifiche opere d’arte e d’innanzi a lui… Dio. Il volto più angelico che avesse mai visto aveva le sembianze di un uomo giovane, dalla barba rada, ed occhi castani, profondi e caldi, che gettavano l’animo in un dolce tepore.

Le labbra del Borgia si schiusero lentamente in un espressione stupita, ma troppo martoriata per essere decifrata. Trasse un sussurro lento e travagliato, infine, dalle sue labbra rosee scaturì un sussurro dolce e tenue.

<< Dio ti ringrazio… >> e nulla più.

 

<< Santo Cielo, mio signore!? >>

La scossa che inflisse alle membra mollicce del Borgia non servì per ridestarlo dallo stato d’incoscienza nel quale era sprofondato. Dalle labbra del Duca scaturì un leggero rantolo, infine, parve essere morto.

<< Chiamate un cerusico, presto! >>

 ***

 

Davanti ai suoi occhi non v’era nulla, se non un unico, immenso ed infinito cielo azzurro. L’aria che respirava era fresca, e un brezza gentile gli accarezzava le membra, donandogli la piacevole e stravagante sensazione d’esser ignudo.

Non aveva mai pensato di poter essere colmato di un tale entusiasmo, e ne bramava ancor più. Gli pareva d’essere nel Regno dei Cieli, là, dove solo i Santi, Iddio e suo figlio potevano risiedere. La sensazione di torpore gli scendeva sulle membra e felice. Un tempore, attorno al suo corpo lo rassicurava, gli pareva di dormire, eppure, sapeva di non stare riposando.

Era morto, ne era certo.

Quello era il Paradiso, cos’altro?

Vagò in quei dolci pensieri per attimi infiniti, poi, si rese conto di avere gli occhi chiusi.

Le palpebre serrate gli impedivano di vedere, eppure, riusciva a distinguere chiaramente i cielo e le nuvole candide. Il suo corpo continuava ad essere rinfrescato da una brezza gentile, e allo stesso tempo, tenuto riscaldato da un velo invisibile. Di lontano, proveniva una luce dorata, che pareva diventare attimo dopo attimo più intesa, andando delineando sempre più nettamente una sagoma.

Ripensò a quanto gli piacesse essere là, oltre il tempo. Era un luogo di pace, dove non esisteva tempo, non esisteva nulla. Tutto si sgretolava tra le sue dita, si scioglieva nella sua mente, e gli unici pensieri della sua testa erano felici e spensierati, come quelli d’un bambino, ingenui e puri, come non lo erano mai stati prima.

Si accorse che il suo cuore batteva, sigillato entro il suo petto, e per qualche istante ne ascoltò il ritmo rimbombare nelle orecchie, poi, si chiese come potesse, un morto, avere un cuore che batte.

Non era dunque morto?

Fissò ancora per qualche attimo il cielo sopra di sé, infine riacquistò la percezione di avere le palpebre chiuse.

Mentre il suo respiro aumentava per via dell’indecisione, fece scorrere gli occhi sulle nuvole, sul cielo, e sulla sagoma dorata, e gli parve di riconoscervi il volto di Nostro Signore.

Il suo cuore mancò un battito, e colto dalla paura prematura di non essere abbastanza puro per poter incrociare lo sguardo divino, fece l’istintivo atto di spalancare gli occhi…

La luce che regnava nel luogo ove aveva giaciuto scomparve, e d’un tratto, una luce fioca lo invase.

Avvertì le coperte che lo avvolgevano in parte, lasciandogli il torso nudo, e la brezza fresca del mattino, che penetrava dalla finestra, dalla quale proveniva l’accecate bagliore del sole romano.

Si accorse di essere sveglio, ma non poté fare a meno di pensare che quello che stava vivendo in quel preciso istante, fosse solo un sogno e nulla più.

Riconobbe lentamente la sua stanza da letto, e nel soffitto della camera ammirò l’affresco paradisiaco, constatando con un misto di orrore e stupore, che il paesaggio divino che vedeva, era identico a quello nel quale era finito dopo ch’era morto. Era buffo, non avrebbe mai potuto pensare che da morti si potesse sognare d’essere vivi. Aveva spesso sognato la sua morte, quand’era vivo, ma quel cambio prematuro lo spiazzava completamente. Per qualche attimo, pensò di non essere realmente morto, infine, il suo rimuginare fu interrotto da un volto sconosciuto, ma al contempo famigliare.

I capelli bruni, e gli occhi marroni, abbinati col volto giovane gli ricordavano qualcuno. Qualcuno di importante.

<< Mio signore! >> quelle parole giunsero ovattate alle sue orecchie, infine, nella sua mente riprese ad essere ben chiaro il significato di quella frase, e la connotazione di quel viso.

D’impulso irrigidì i muscoli, e si alzò a sedere, mentre i capelli biondi gli ricadevano sulla fronte imperlata dal sudore. Si sfregò le mani, e si rese completamente conto di essere vivo, e di possedere un corpo. Sfiorò le coperte con le dita, e ne avvertì la ruvidità, riprendendo consapevolezza delle sue membra.

Non era morto, e non stava nemmeno sognando.

Nella sua mente si affollarono pensieri sconnessi, immagini irrazionali e stravaganti, mentre la realtà lo invadeva in un attimo.

<< Mio signore, state bene? >>.

Si rese conto che nel suo capo visivo era ancora ben presente quell’uomo e con indecisione, schiuse le labbra per parlare, mentre lo fissava con i suoi occhi di falco.

<< Gian Galeazzo…? >> mormorò lentamente, mentre nelle sue orecchie iniziavano a farsi sempre più forti le voci che provenivano da oltre la finestra spalancata. Quel rumore lo infastidiva, lo opprimeva, gli pareva di essersi appena risvegliato dopo un sonno lunghissimo.

<< Chiudi la finestra… >> sbottò intorpidito:<< te ne prego… quel rumore mi da alla testa…! >>.

In un attimo, il giovane Manfredi richiuse la finestra, e si riposizionò nel campo visivo del Borgia:<< Mio signore, perdonate, faceva caldo qui dentro, e v’era aria viziata… >> spiegò gentilmente il giovane accomodandosi su una sedia, al fianco del letto.

Il Borgia sorrise debolmente a quelle parole, non gli era mai piaciuto restare rinchiuso in un luogo opprimente per troppo tempo. Adorava l’aria, la gente, il chiasso, perché gli impediva di sentire i suoi stessi pensieri tormentati. Eppure, in quel momento, le voci erano intollerabili alle sue orecchie, non aleggiava nessuna riflessione per la sua testa, solo la confusione più totale, e quelle voci, non facevano altro che aumentare la sua indecisione.

<< Come vi sentite? >> chiese lentamente il Manfredi, sporgendosi un poco in avanti sulla sedia.

<< Che giorno è? >> sbottò leggermente irritato l’altro, senza dare troppo conto alla domanda del giovane.

<< Domenica, mio signore, qualche ora dopo l’alba… >> spiegò con garbo il Manfredi, trattenendo l’irritazione per l’indifferenza del Borgia nei rispetti della sua domanda.

<< Domenica…? >> farfugliò il Borgia, abbassando lo sguardo sulle lenzuola, frastornato.

<< Sì, mio signore, avete dormito per tre giorni… >> si affrettò ad aggiungere il giovane:<< avevate la febbre, e siete svenuto, siete stato per lunghi giorni in bilico tra la vita e la morte… >> disse leggermente rammaricato.

<< Morte… >> mormorò il Borgia, quasi riflettendo senza pensieri. Nella sua mente rimbalzava solo quella parola, nulla più. Gli pareva di meditare profondamente, eppure, nella sua testa non v’era nessun pensiero.

<< Vi sentite bene, mio signore? >> chiese per l’ennesima volta Gian Galeazzo.

Il Borgia riprese a fissarlo, con sguardo insolitamente vuoto e gentile:<< frastornato… >> disse infine:<< come se un cavallo mi avesse calpestato… >> aggiunse:<< stanco… >> fece una pausa ed il suo sguardo parve vagare per il nulla:<< come se avessi sostenuto mille battaglie… >>.

Il Manfredi continuò a fissarlo intensamente, il viso del Borgia rilassato era ancora più bello di quello che ricordava. Gli occhi erano spenti, ma trasudavano una tale bellezza da lasciarlo senza fiato. I capelli bagnati dal sudore aderivano alla fronte, incorniciando assieme con la barbetta rada il volto. Le membra erano imperlate dal sudore, ed il fisico così armonioso e scolpito, da attrarre ed eccitare alla sola vista.

Non vi era nulla di sbagliato nel fisico, né di più perfetto si poteva ammirare oltre che lui.

<< E’… normale, mio signore… >> spiegò leggermente inquieto Gian Galeazzo:<< avete avuto la febbre e le convulsioni per quasi tre giorni consecutivi, avete delirato tanto, e i vostri incubi devono avervi straziato fisicamente, quanto mentalmente… >> spiegò con voce leggermente più ferma.

Il Borgia continuò a fissarlo, ascoltandolo attentamente, anche se nella sua testa, le parole del giovane si disfacevano come aria.

<< Avete vegliato su di me per tutto questo tempo? >> sbottò infine, distogliendo per qualche attimo lo sguardo.

Il Manfredi sgranò gli occhi, non riusciva a comprendere come, il Borgia, potesse essere così poco consapevole:<< Sì, mio signore… >> rispose:<< vostra moglie è stata al vostro capezzale per giorni, ma si è ritirata ieri notte per riposare… le guardie sono restate qui tutti i giorni della vostra malattia… >> spiegò con garbo, anche se un poco contrariato.

Il Borgia fece un cenno con la mano di tacere, mentre avvertiva il battito del suo cuore regolare nel petto. Non se n’era ancora reso conto, ma per la prima volta dopo mesi, il suo cuore batteva regolare, e la sua mente era sgombra da immondi pensieri. Ricordò la pace che aveva avvertito quando si trovava immerso nella sua incoscienza,  e lo sguardo di Dio, tanto simile a quello del Manfredi che ora gli parlava.

In quel tempo non era morto.

Era rinato.

<< Gian Galeazzo! >> esordì, alzando lo sguardo raggiante, mentre il Manfredi, lo vedeva illuminarsi d’oro, come fosse un angelo.

<< Voi mi avete salvato! >> disse ad alta voce:<< Dio mi ha perdonato! >> aggiunse, allargandosi in un sorriso raggiante, sciogliendosi in una risata gioiosa, come quella d’un fanciullo.

Il Manfredi lo fissò per qualche attimo. La sua bellezza era esaltata da quel sorriso squisito, e la purezza del suo animo, pareva avvolgerlo in una luce dorata, ancora più forte di prima.

<< Avete detto che è Domenica, vero?! >> sbottò infine, troncando di netto la sua risata, fissandolo con occhi folli, ma magnifici, afferrandolo per la spalle.

<< Sì mio signore… >> rispose Gian Galeazzo, fissandolo, come rapito.

Gli occhi del Borgia si accesero, ed il suo volto fu solcato dall’ennesimo lieto sorriso.

<< Preparati, amico mio… >> esordì l’uomo:<< andremo a messa! >>.

<< Ma mio signore voi non… >> Gian Galeazzo cercò di replicare, ma il Borgia lo bloccò con un cenno irritato della mano, ed il Manfredi, per non turbare quella bellezza gioiosa si interruppe di colpo. << Come desiderate, mio signore… >> disse con un filo di voce.

<< Gian Galeazzo! >> lo bloccò il Borgia, mentre quest’ultimo stava per alzarsi:<< chiamatemi Cesare, amico mio! >>

***

Rieccoci qui...

Sono un po' arrugginita per quanto riguarda gli 'angoli autrice', anche perchè non aggiungo da tanto, e non mi ricordo mai di andare a fine capitolo per aggiungere/aggiornare questa parte... comunque, mi sembrava doveroso e ossequiso per la fiducia e per il vostro tempo perduto, leggendo e recensendo, farvi dei ringraziamenti formali.

Vi ringrazio calorosamente, Morgan_ e Rondinella, per avermi lasciato commenti generosi e sotto ad un certo punto di vista, importanti, visto che per me questo scritto vale molto...

Grazie molte, alla prossima...

Hivy...!

  
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