Roma era caotica.
Il regno del caos, dove Satana,
e i suoi servitori, potevano muoversi liberamente.
Si insinuavano nel cuore e nella mente.
Bramando potere
come i Borgia.
Roma, 1500 A.D.
Il Rampollo di Castel Sant’ Angelo,
è rientrato nella capitale,
in compagnia di Gian Galeazzo Manfredi.
La Roma che si presentò ai
suoi occhi, era una grande ed incivile moltitudine di corpi, case, strade e
voci.
Il caos che vi regnava era
ben lontano dalla civile e ben organizzata ‘Roma’ di cui aveva sentito parlare.
Castel Sant’Angelo spiccava
in controluce, oltre la striscia scintillante ch’era il Tevere. Era una
costruzione ampia, ed il colore dei suoi mattoni accecava ed empiva lo sguardo,
come se non vi fosse altro da osservare.
Aveva ammirato miriadi di
costruzioni magnifiche da quando era nella capitale della Santità, visto
palazzi, case, castelli, sculture della Roma antica. Tutto quello che l’occhio
umano doveva ammirare, era Roma. Niente più. Roma, Roma e ancora Roma. Da un
orizzonte all’altro, incontrastata, indefinita, forte, sonora. Incorniciata
magnificamente dalla striscia del Tevere, che brillava alla luce dorata del tardo
sole del pomeriggio.
Il Borgia ebbe un
accoglienza regale, una volta giunto a Castel Sant’Angelo, eppure, parve sprezzare
quel comportamento. Rimase in compagnia dei suoi consiglieri e dei suoi paggi
il minor tempo possibile, ritirandosi velocemente come un’ombra, nelle sue
stanze.
Il Manfredi vagò per lungo
tempo tra le vie della capitale Santa, osservando estasiato i colori, le
strade, le case. Ascoltando con piacere le voci gioiose, cercando di non
sentire, tuttavia, le urla di disperazione della povera gente, le suppliche dei
malati. Sapeva bene che tutto quel tormento non avrebbe fatto altro che
ricordargli la sua amata Faenza, ancora semi distrutta dall’orda papale che il
Borgia aveva fatto sfilare per tutta la Romagna.
Aveva tuttavia la sensazione
che il Male stesse seguendo i suoi passi, tracciando orme scure per le vie.
Alzando gli occhi, poteva vedere solo uno squarcio di cielo sopra di sé. Gli
mancava l’aria salmastra che spirava sopra la sua Faenza, il cielo adamantino,
azzurro come non si poteva nemmeno immaginare. Le nuvole bianche gli
rammentavano la spuma del mare, mentre a Roma, le nuvole erano soltanto
portatrici di pessimo auspicio.
Vagabondando così, per i
sobborghi della città, s’era dovuto costringere a non guardare altro che la
punta dei suoi stivali, sotto i quali, correva la strada lastricata. Non poteva
alzare lo sguardo, non voleva. Le prostitute lo avrebbero circondato,
toccandolo, infettandolo. I borseggiatori l’avrebbero assalito, trascinandolo
via, e la voce della disperazione dei poveri, gli avrebbe fatto piangere il
cuore.
Roma era il luogo ideale,
ove i servitori di Satana, potevano muoversi indistinti tra la gente, tessendo
le loro ragnatele di male e oscurità attorno ai cuori, dentro le membra, nella
mente.
Il Borgia ringhiò e fremette
per la rabbia, prendendosi tra le mani il volto, graffiandolo. Il suo viso era
purpureo, e gli occhi falcati erano ridotti a delle linee sottili, dalle quali
divampava un incendio.
Non vi era ordine nella sua
mente, come non ve n’era nel suo cuore, o nella sua anima. Tutto il suo Essere
era squassato da profonde indecisioni e dalla rabbia bruciante, che si
manifestava con brividi a fior di pelle, che gli facevano tremare violentemente
le mani, come un forsennato.
Un urlo strozzato e cupo
scaturì dal fondo della sua gola, e per l’ennesima volta, si strinse le gote
tra le dita, infilando le unghie nella carne, come se volesse strapparsi la
pelle dalle ossa.
Sentiva il bruciante
desiderio della battaglia ch’ ardea nel fondo del suo cuore, facendolo fremere
in profondi spasmi di rabbia. Quanto desiderava impugnare la spada e fare
strage di corpi, di tutto avanti a sé!
Aveva sempre sentito che
dentro di lui, v’ea qualcosa di diverso, di sbagliato, di crudele, che
avvampava nella sua carne, dandogli la forza di vivere, incoraggiandolo a
trarre l’ennesimo respiro.
Odiava quel sentimento vile
e putrido, ma al contempo, non poteva evitare d’assecondarlo. L’aveva
assecondato quando aveva deciso di ritornare al suo stato laico, e quello era
stato il suo più grande errore.
Abbandonando la via del
Signore, aveva lasciato che quei sentimenti ingrati vagassero liberi dentro di
lui. Lo invadevano, investivano, schiaffeggiavano come il vento tra i capelli,
e allo stesso tempo, lo carezzavano, colmandolo
di tal gioia, che al paragone, una vita intera non avrebbe mai potuto offrire.
Quel tale, effimero piacere con cui si dilettava tutti i giorni, lo attraeva,
coinvolgendolo in una danza magnifica e sensuale, alla quale non poteva
resistere.
Nel profondo sapeva di amare
quella danza, e i sentimenti, erano più forti di qualsiasi altra cosa. Tuttavia,
nella mente, era conscio di non poter essere realmente attratto da quelle
finzioni.
Auspicava con tutto sé
stesso, che quella situazione terminasse. Le sue insicurezze lo rendevano
debole agli occhi degli altri, come ai suoi stessi occhi.
Sentiva che Satana lo stava
inevitabilmente traendo a sé, sempre più in basso, nel tetro più profondo. Lo
conduceva, giorno dopo giorno, ad un passo dal baratro, e la sua più grande
paura, tuttavia, non era cadervi dentro, ma restarne sull’orlo. Nella sua caduta
eterna, avrebbe incrociato percezioni magnifiche, che lo facevano fremere al
solo pensiero. Restare in bilico sul quel baratro, significava passare un altro
giorno ancora in quello stato di rabbia e di gioia, in quella decisa sensazione
di desiderio e di repulsione verso il male; strisciante e chiassosa nel suo
cuore, ingombrante nel suo animo.
I suoi muscoli si gonfiarono
ancor più, arroventati dal suo animo furente, dandogli la sensazione che
presto, la pelle si sarebbe staccata dalle ossa, per farlo bruciare eternamente
nel suo mare di peccato.
Avrebbe dovuto seguire la
sua via Divina, al fianco di Nostro Signore, quando ancora aveva la possibilità
di farlo. Ma no, lui bramava di più, qualcosa di più rozzo e virile,
irraggiungibile e allo stesso tempo vicinissimo. Aveva desiderato per tutta la
sua vita qualcosa che non avrebbe mai potuto avere, ed ora, che poteva
rinnegare quel suo bisogno, non ne aveva la forza. O forse, non voleva… Gli
piaceva crogiolarsi su quel baratro, perché gli donava la sensazione di essere
vivo. La sua vita era piatta, priva di sentimenti, senza quei dubbi che lo
dilaniavano.
Il suo animo impuro era la
sua più grande dannazione, e allo stesso tempo, lo coinvolgeva in una così tale
gioia, che lo innalzava ad una luce infinita, dandogli l’illusione effimera di
poter toccare Iddio con mano.
Non sentiva più la voce del
Signore nella sua mente, eppure, gli pareva di essergli vicino, perché ambedue
loro, combattevano contro il male.
Per qualche attimo, che
parve infinito, si accorse di volgere in uno stato di totale furia ed
abbandono, come mai prima gli era capitato. Non tollerava le voci che
provenivano di sotto le finestre, non tollerava il suo stesso respiro, ed i suo
digrignare i denti. Non poteva sopportare i suoi respiri affannati e sperduti,
perché vedeva in essi solo un ennesimo segno di debolezza e peccato. Perché Dio
gli aveva dato la possibilità di vivere, quando aveva poi dannato la sua
esistenza?
L’ennesimo urlo sommesso
scaturì dal fondo della sua gola, e mentre intorno a lui pareva che il silenzio
riprendesse a regnare, avvertì un calore infinito alle membra, e un brivido che
increspò superficialmente la sua pelle. Avvertì il sudore che gli imperlava il
volto, ed ebbe la percezione di essere nudo al cospetto di Nostro Signore,
arso, allo stesso tempo, dal furore di Satana.
Urlò ancora con tono cupo,
infine, si sentì febbricitante ed esausto, come se nemmeno avesse più la forza
per pensare.
D’un tratto, il suo sguardo
fu rallegrato da una forte luce dorata, e davanti ai suoi occhi si materializzò
la sua amata Roma. Le vie in fermento, le voci festanti, le magnifiche opere
d’arte e d’innanzi a lui… Dio. Il volto più angelico che avesse mai visto aveva
le sembianze di un uomo giovane, dalla barba rada, ed occhi castani, profondi e
caldi, che gettavano l’animo in un dolce tepore.
Le labbra del Borgia si
schiusero lentamente in un espressione stupita, ma troppo martoriata per essere
decifrata. Trasse un sussurro lento e travagliato, infine, dalle sue labbra
rosee scaturì un sussurro dolce e tenue.
<< Dio ti ringrazio…
>> e nulla più.
<< Santo Cielo, mio
signore!? >>
La scossa che inflisse alle
membra mollicce del Borgia non servì per ridestarlo dallo stato d’incoscienza
nel quale era sprofondato. Dalle labbra del Duca scaturì un leggero rantolo,
infine, parve essere morto.
<< Chiamate un
cerusico, presto! >>
Davanti ai suoi occhi non
v’era nulla, se non un unico, immenso ed infinito cielo azzurro. L’aria che
respirava era fresca, e un brezza gentile gli accarezzava le membra, donandogli
la piacevole e stravagante sensazione d’esser ignudo.
Non aveva mai pensato di
poter essere colmato di un tale entusiasmo, e ne bramava ancor più. Gli pareva
d’essere nel Regno dei Cieli, là, dove solo i Santi, Iddio e suo figlio
potevano risiedere. La sensazione di torpore gli scendeva sulle membra e
felice. Un tempore, attorno al suo corpo lo rassicurava, gli pareva di dormire,
eppure, sapeva di non stare riposando.
Era morto, ne era certo.
Quello era il Paradiso,
cos’altro?
Vagò in quei dolci pensieri
per attimi infiniti, poi, si rese conto di avere gli occhi chiusi.
Le palpebre serrate gli impedivano
di vedere, eppure, riusciva a distinguere chiaramente i cielo e le nuvole
candide. Il suo corpo continuava ad essere rinfrescato da una brezza gentile, e
allo stesso tempo, tenuto riscaldato da un velo invisibile. Di lontano,
proveniva una luce dorata, che pareva diventare attimo dopo attimo più intesa,
andando delineando sempre più nettamente una sagoma.
Ripensò a quanto gli
piacesse essere là, oltre il tempo. Era un luogo di pace, dove non esisteva
tempo, non esisteva nulla. Tutto si sgretolava tra le sue dita, si scioglieva
nella sua mente, e gli unici pensieri della sua testa erano felici e
spensierati, come quelli d’un bambino, ingenui e puri, come non lo erano mai
stati prima.
Si accorse che il suo cuore
batteva, sigillato entro il suo petto, e per qualche istante ne ascoltò il
ritmo rimbombare nelle orecchie, poi, si chiese come potesse, un morto, avere
un cuore che batte.
Non era dunque morto?
Fissò ancora per qualche
attimo il cielo sopra di sé, infine riacquistò la percezione di avere le
palpebre chiuse.
Mentre il suo respiro
aumentava per via dell’indecisione, fece scorrere gli occhi sulle nuvole, sul
cielo, e sulla sagoma dorata, e gli parve di riconoscervi il volto di Nostro
Signore.
Il suo cuore mancò un
battito, e colto dalla paura prematura di non essere abbastanza puro per poter
incrociare lo sguardo divino, fece l’istintivo atto di spalancare gli occhi…
La luce che regnava nel
luogo ove aveva giaciuto scomparve, e d’un tratto, una luce fioca lo invase.
Avvertì le coperte che lo avvolgevano
in parte, lasciandogli il torso nudo, e la brezza fresca del mattino, che
penetrava dalla finestra, dalla quale proveniva l’accecate bagliore del sole
romano.
Si accorse di essere
sveglio, ma non poté fare a meno di pensare che quello che stava vivendo in
quel preciso istante, fosse solo un sogno e nulla più.
Riconobbe lentamente la sua
stanza da letto, e nel soffitto della camera ammirò l’affresco paradisiaco,
constatando con un misto di orrore e stupore, che il paesaggio divino che
vedeva, era identico a quello nel quale era finito dopo ch’era morto. Era
buffo, non avrebbe mai potuto pensare che da morti si potesse sognare d’essere
vivi. Aveva spesso sognato la sua morte, quand’era vivo, ma quel cambio
prematuro lo spiazzava completamente. Per qualche attimo, pensò di non essere
realmente morto, infine, il suo rimuginare fu interrotto da un volto
sconosciuto, ma al contempo famigliare.
I capelli bruni, e gli occhi
marroni, abbinati col volto giovane gli ricordavano qualcuno. Qualcuno di
importante.
<< Mio signore!
>> quelle parole giunsero ovattate alle sue orecchie, infine, nella sua
mente riprese ad essere ben chiaro il significato di quella frase, e la
connotazione di quel viso.
D’impulso irrigidì i
muscoli, e si alzò a sedere, mentre i capelli biondi gli ricadevano sulla
fronte imperlata dal sudore. Si sfregò le mani, e si rese completamente conto
di essere vivo, e di possedere un corpo. Sfiorò le coperte con le dita, e ne
avvertì la ruvidità, riprendendo consapevolezza delle sue membra.
Non era morto, e non stava
nemmeno sognando.
Nella sua mente si
affollarono pensieri sconnessi, immagini irrazionali e stravaganti, mentre la
realtà lo invadeva in un attimo.
<< Mio signore, state
bene? >>.
Si rese conto che nel suo
capo visivo era ancora ben presente quell’uomo e con indecisione, schiuse le
labbra per parlare, mentre lo fissava con i suoi occhi di falco.
<< Gian Galeazzo…?
>> mormorò lentamente, mentre nelle sue orecchie iniziavano a farsi
sempre più forti le voci che provenivano da oltre la finestra spalancata. Quel
rumore lo infastidiva, lo opprimeva, gli pareva di essersi appena risvegliato
dopo un sonno lunghissimo.
<< Chiudi la finestra…
>> sbottò intorpidito:<< te ne prego… quel rumore mi da alla
testa…! >>.
In un attimo, il giovane
Manfredi richiuse la finestra, e si riposizionò nel campo visivo del
Borgia:<< Mio signore, perdonate, faceva caldo qui dentro, e v’era aria
viziata… >> spiegò gentilmente il giovane accomodandosi su una sedia, al
fianco del letto.
Il Borgia sorrise debolmente
a quelle parole, non gli era mai piaciuto restare rinchiuso in un luogo
opprimente per troppo tempo. Adorava l’aria, la gente, il chiasso, perché gli
impediva di sentire i suoi stessi pensieri tormentati. Eppure, in quel momento,
le voci erano intollerabili alle sue orecchie, non aleggiava nessuna
riflessione per la sua testa, solo la confusione più totale, e quelle voci, non
facevano altro che aumentare la sua indecisione.
<< Come vi sentite?
>> chiese lentamente il Manfredi, sporgendosi un poco in avanti sulla
sedia.
<< Che giorno è?
>> sbottò leggermente irritato l’altro, senza dare troppo conto alla
domanda del giovane.
<< Domenica, mio
signore, qualche ora dopo l’alba… >> spiegò con garbo il Manfredi,
trattenendo l’irritazione per l’indifferenza del Borgia nei rispetti della sua
domanda.
<< Domenica…? >>
farfugliò il Borgia, abbassando lo sguardo sulle lenzuola, frastornato.
<< Sì, mio signore,
avete dormito per tre giorni… >> si affrettò ad aggiungere il
giovane:<< avevate la febbre, e siete svenuto, siete stato per lunghi
giorni in bilico tra la vita e la morte… >> disse leggermente
rammaricato.
<< Morte… >>
mormorò il Borgia, quasi riflettendo senza pensieri. Nella sua mente rimbalzava
solo quella parola, nulla più. Gli pareva di meditare profondamente, eppure,
nella sua testa non v’era nessun pensiero.
<< Vi sentite bene,
mio signore? >> chiese per l’ennesima volta Gian Galeazzo.
Il Borgia riprese a
fissarlo, con sguardo insolitamente vuoto e gentile:<< frastornato…
>> disse infine:<< come se un cavallo mi avesse calpestato…
>> aggiunse:<< stanco… >> fece una pausa ed il suo sguardo
parve vagare per il nulla:<< come se avessi sostenuto mille battaglie…
>>.
Il Manfredi continuò a
fissarlo intensamente, il viso del Borgia rilassato era ancora più bello di
quello che ricordava. Gli occhi erano spenti, ma trasudavano una tale bellezza
da lasciarlo senza fiato. I capelli bagnati dal sudore aderivano alla fronte,
incorniciando assieme con la barbetta rada il volto. Le membra erano imperlate dal
sudore, ed il fisico così armonioso e scolpito, da attrarre ed eccitare alla
sola vista.
Non vi era nulla di
sbagliato nel fisico, né di più perfetto si poteva ammirare oltre che lui.
<< E’… normale, mio
signore… >> spiegò leggermente inquieto Gian Galeazzo:<< avete
avuto la febbre e le convulsioni per quasi tre giorni consecutivi, avete
delirato tanto, e i vostri incubi devono avervi straziato fisicamente, quanto
mentalmente… >> spiegò con voce leggermente più ferma.
Il Borgia continuò a
fissarlo, ascoltandolo attentamente, anche se nella sua testa, le parole del
giovane si disfacevano come aria.
<< Avete vegliato su
di me per tutto questo tempo? >> sbottò infine, distogliendo per qualche
attimo lo sguardo.
Il Manfredi sgranò gli
occhi, non riusciva a comprendere come, il Borgia, potesse essere così poco
consapevole:<< Sì, mio signore… >> rispose:<< vostra moglie è
stata al vostro capezzale per giorni, ma si è ritirata ieri notte per riposare…
le guardie sono restate qui tutti i giorni della vostra malattia… >> spiegò
con garbo, anche se un poco contrariato.
Il Borgia fece un cenno con
la mano di tacere, mentre avvertiva il battito del suo cuore regolare nel
petto. Non se n’era ancora reso conto, ma per la prima volta dopo mesi, il suo
cuore batteva regolare, e la sua mente era sgombra da immondi pensieri. Ricordò
la pace che aveva avvertito quando si trovava immerso nella sua
incoscienza, e lo sguardo di Dio, tanto
simile a quello del Manfredi che ora gli parlava.
In quel tempo non era morto.
Era rinato.
<< Gian Galeazzo!
>> esordì, alzando lo sguardo raggiante, mentre il Manfredi, lo vedeva
illuminarsi d’oro, come fosse un angelo.
<< Voi mi avete
salvato! >> disse ad alta voce:<< Dio mi ha perdonato! >>
aggiunse, allargandosi in un sorriso raggiante, sciogliendosi in una risata
gioiosa, come quella d’un fanciullo.
Il Manfredi lo fissò per
qualche attimo. La sua bellezza era esaltata da quel sorriso squisito, e la
purezza del suo animo, pareva avvolgerlo in una luce dorata, ancora più forte
di prima.
<< Avete detto che è
Domenica, vero?! >> sbottò infine, troncando di netto la sua risata,
fissandolo con occhi folli, ma magnifici, afferrandolo per la spalle.
<< Sì mio signore…
>> rispose Gian Galeazzo, fissandolo, come rapito.
Gli occhi del Borgia si
accesero, ed il suo volto fu solcato dall’ennesimo lieto sorriso.
<< Preparati, amico
mio… >> esordì l’uomo:<< andremo a messa! >>.
<< Ma mio signore voi
non… >> Gian Galeazzo cercò di replicare, ma il Borgia lo bloccò con un
cenno irritato della mano, ed il Manfredi, per non turbare quella bellezza
gioiosa si interruppe di colpo. << Come desiderate, mio signore… >>
disse con un filo di voce.
<< Gian Galeazzo! >> lo bloccò il Borgia, mentre quest’ultimo stava per alzarsi:<< chiamatemi Cesare, amico mio! >>
***
Rieccoci qui...
Sono un po' arrugginita per quanto riguarda gli 'angoli autrice', anche perchè non aggiungo da tanto, e non mi ricordo mai di andare a fine capitolo per aggiungere/aggiornare questa parte... comunque, mi sembrava doveroso e ossequiso per la fiducia e per il vostro tempo perduto, leggendo e recensendo, farvi dei ringraziamenti formali.
Vi ringrazio calorosamente, Morgan_ e Rondinella, per avermi lasciato commenti generosi e sotto ad un certo punto di vista, importanti, visto che per me questo scritto vale molto...
Grazie molte, alla prossima...
Hivy...!