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Autore: Lucy Light    13/06/2012    1 recensioni
"Dal mio angolo sicuro osservai ancora una volta quel piccolo mondo storto, cresciuto come una pianta nel buio del vagone, stazione dopo stazione."
Dei viaggiatori, un treno. E una storia (o forse più di una)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eravamo in sei, tutti riuniti in quel vagone di treno. Dal mio angolo sicuro osservai ancora una volta quel piccolo mondo storto cresciuto come una pianta nel buio del vagone, stazione dopo stazione.
A una sola vita se n'erano aggiunte altre.
Non ero uno che parlava quando viaggiava. Ero felice nel silenzio. All'improvviso diventavo muto e tutto rimbombava dentro di me, facendo lo stesso rumore delle onde quando si infrangono sugli scogli.
Ma erano entrati Raphael ed Eduard, due semplici tratti di carboncino intrecciati. Facevano finta di non essere parte dello stesso disegno, ma poi sfuggiva loro uno sguardo che si spegneva ruggendo sugli scogli della mia anima. Uno sguardo vecchio, che gli innamorati si scambiano da millenni, fatto solo per pensare "Sì, sei qui" e niente di più. Sentivo di amarli anch'io, o forse ero solo commosso da un amore così silenzioso. Quando entrarono ci scambiammo un sorriso, poi girai la testa verso il finestrino. Provavo tenerezza e rispetto per loro, e due mani intrecciate non si vedono se guardi lontano.
Quell'incredibile silenzio accompagnò lo sferragliare del treno, durò irreale per qualche splendido minuto, fino alla stazione successiva, fino  alla comparsa della donna bionda, che spezzò l'incantesimo gettando la sua grossa borsa al mio fianco. Senza chiedermi se fosse occupato, senza neppure guardarmi in faccia, senza dare l'impressione di aver visto me o i due ragazzi, si sedette sfinita, chiuse gli occhi e sembrò voler morire lì, seduta su quell' anonimo vagone del treno. Avevo visto ogni tanto qualcuno fare la stessa cosa: era un mio amico, che, a casa dopo  il lavoro in fabbrica, restava perfettamente immobile per minuti interi, perso in qualche mondo allucinato e solo suo.  
Non ricordo quanto dovetti aspettare prima che salissero Max e Angela; so solo che furono loro a portare il secondo soffio di caos. Entrarono senza bagaglio, e si sedettero l'una davanti all'altro, senza toccarsi. Nei loro occhi lucidissimi bruciava qualcosa di pericoloso, una strana emozione sinistra che intossicò l'aria del vagone. Eduard, di fianco ad Angela, si strinse nelle spalle come se la temesse, nonostante fosse evidente che doveva essere più piccola di lui. Penso che lei e Max avessero diciassette anni.  
Con discrezione, la donna bionda tirò fuori un taccuino nero, poi ripescò una penna da qualche anfratto della sua borsa. Cominciò a scrivere, incidendo le pagine con un flusso inarrestabile di pensieri. La guardai affascinato, sapendo che non si sarebbe mai accorta di me. Stava rivelando un segreto a quel taccuino, facendo rincorrere le parole per tutte le pagine, facendole confondere fino a farle diventare un unico concetto infinito profumato di ciambelle alla cannella, a giudicare dal profumo sottile sparso dalla sua borsa.
La penna continuava a muoversi su e giù, senza fermarsi, grattando il foglio e macchiandolo di tanto in tanto. Ero così coinvolto da quella scrittura da non rendermi conto che, per come la guardavo, per gli altri occupanti del vagone avrei potuto essere un maniaco orribile, o un pazzo di altro tipo. Non sarebbe stato facile spiegare loro che no, io non ero attratto da lei: non fisicamente, no. Era ciò che stava facendo, era come lo stava facendo, che mi incantava. Loro però non mi rivolsero domande né sguardi allarmati. Eduard e Angela si scambiarono invece qualche occhiata, forse un sorriso, e questo bastò.
Fu lei che cominciò a raccontare la sua storia, o meglio la loro storia. Max e Angela, Angela e Max, capii subito che erano stati saldati insieme perché vivessero la vita attimo per attimo: non c'era futuro per loro, come non c'era più neanche un passato. Nessuno dei due avrebbe potuto invecchiare, non con quel fuoco dentro che li spingeva sempre oltre i limiti. Ad un certo punto avrebbero rotto tutti gli argini, avrebbero finito le energie e sarebbero andati alla deriva, come due pezzi di legno trascinati dalle onde. Ma in quel momento erano lì, vivi, splendidi e terribili come due divinità.
Poi Angela iniziò a cercare ciò che non conosceva nelle nostre vite. Eduard e Raphael avevano bisogno di raccontare. Fu così che ascoltai la loro storia e scoprii che in fondo si erano incontrati solo un anno prima, e fu così che non ascoltai la storia della donna bionda, perché scriveva ancora, adesso più piano, come se il foglio fosse stato un uccellino spaventato da trattare con cautela.
E quando venne il mio turno, provai lo sconfinato desiderio di tacere. Persone come me non parlano: ascoltano, osservano, cercano di strappare ogni giorno un pezzo da quel nastro infinito di vite che gli passa davanti per un attimo, e poi compongono il quadro del mondo nella loro testa. Quegli occhi così diversi fra loro si puntarono sul mio viso, mentre srotolavo per loro un frammento di quell'enorme mosaico di umanità che il mio cuore aveva cominciato a costruire tempo prima. Raccontai una storia, forse un milione: non riuscirò mai a capire dove ne cominci una e  dove ne finisca un'altra.
Quando finii, osservai di nuovo tutti quanti. Angela e Max si dovevano essere annoiati, e molto: avevano riassorbito in sè l'ombra luccicante che ci aveva avvolti come petrolio e guardavano fuori dal finestrino, immersi nella contemplazione delle figure rese indistinte dal crepuscolo. Eduard era rimasto commosso dal mio racconto, credo, ma Raphael mi osservava con una specie di gentilezza indifferente. La donna bionda mi guardava, con un mezzo sorriso che poteva sembra infinitamente triste, o solo molto stanco. Improvvisamente mi sembrò di essere un suo vecchio amico, l'unico che la capisse per davvero. Fu solo un attimo, ma quel sapore di fratellanza mi restò sulla punta della lingua, indefinibile eppure certo.
E finalmente, arrivammo al capolinea. Come accadeva ogni volta, vidi scendere una per una quelle persone sapendo che la loro presenza non sarebbe svanita e avrebbe continuato a rieccheggiare a lungo dentro di me, come una musica indimenticabile. Li vidi inghiottiti nella notte, immaginai le loro case, i loro prossimi viaggi, la loro vita intensa, difficile, meravigliosa.
La donna bionda si girò verso di me prima di andarsene, disse "Arrivederci", poi si fermò di nuovo indecisa "Sono una poliziotta. Non sono in servizio, ma il ragazzo e la ragazza sono ricercati per spaccio. La vostra conversazione mi ha permesso di identificare alcuni particolari poco chiari della loro fuga e dei loro spostamenti. Immagino di doverla ringraziare. Ha un'aria così rassicurante e sembrava che lei... che non vedesse l'ora di ascoltarli"   
Restai immobile, mentre questa incredibile coincidenza risuonava come l'accordo finale dell'armonia. Volevo dirle "Non si chiamano "il ragazzo" e "la ragazza", loro sono Angela e Max". Volevo dirle "Non si possono imprigionare le divinità." Volevo dirle... ma non lo dissi. Sapevo che, nonostante tutto, non avrebbe avuto senso. Guardai la donna bionda, annuii. Aspettai che anche il rumore secco dei suoi tacchi fosse sparito in lontananza, e me ne andai.

Quando arrivai a casa andai alla macchina da scrivere e vi restai attaccato fino all'alba. Quasi nulla di ciò che avevo scritto era accettabile, ma ero tranquillo. Mi ero liberato di quella storia, ripetendola parola per parola.
Ed è questo ciò questo che fa uno scrittore.



  
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