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Autore: MeliaMalia    03/01/2007    2 recensioni
Sfoderai il migliore dei miei sorrisi saccenti, piegando le labbra in una linea ironica che invitava a prendermi a schiaffi dal mattino alla sera. Dovreste vedermi, quando sorrido così. Vi giuro che, tutte le volte che lo faccio allo specchio, ho una faccia tosta tale che mi verrebbe da prendermi a pugni da solo.
E’ un sorriso adorabile, insomma.
Perciò lo misi sfacciatamente in mostra. Quindi, con voce risoluta, con fare da gran duro, dissi: “E’ ora, signorina, che tu possa tornare ad essere ciò che sei. Ovverosia, un cadavere.”
Sono un tipo dalle frasi d’effetto, io.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sfoderai il migliore dei miei sorrisi saccenti, piegando le labbra in una linea ironica che invitava a prendermi a schiaffi dal mattino alla sera. Dovreste vedermi, quando sorrido così. Vi giuro che, tutte le volte che lo faccio allo specchio, ho una faccia tosta tale che mi verrebbe da prendermi a pugni da solo.
E’ un sorriso adorabile, insomma.
Perciò lo misi sfacciatamente in mostra. Quindi, con voce risoluta, con fare da gran duro, dissi: “E’ ora, signorina, che tu possa tornare ad essere ciò che sei. Ovverosia, un cadavere.”
Sono un tipo dalle frasi d’effetto, io.
La signorina non parve molto impressionata da questo mio talento. Aprì la bocca, spalancando quelle sue labbra rosse come il corallo, e quasi soffiò come una gattaccia selvatica, mostrando i lunghi ed acuminati canini.
Eravamo entrambi due esibizionisti, bisognava ammetterlo. Solo che io ero più forte di lei.
No, sto mentendo. Perché dovrei dire il falso qui, nei miei ricordi? Non ero affatto più forte. Mi ero battuto con quel mostro dalle sembianze umane per più di mezz’ora, evitando chissà quante volte un brutto morso che mi sarebbe costato una prematura fine. Eppure, ero ancora vivo.
E lei, ferita.
Era questo che mi rendeva più sfrontato del solito: io ero vivo, lei ferita. Io stavo facendo pernacchie in faccia alla morte, mentre lei, quel disgustoso cadavere, quel parassita della società, ansimava disperata, come se fosse stata una ragazza qualunque. La cosa mi mandava in brodo di giuggiole, ve lo assicuro.
Ammetto di non aver mai amato molto questo lavoro. Me lo ha insegnato mio padre. Lui sì che ci credeva per davvero. Si sentiva seriamente uno strumento di Dio, un Purificatore. Io no.
Io, più semplicemente, amavo l’adrenalina.
Affondai il paletto.
Con tutta la mia forza, con tutta la mia rabbia, con tutta la mia boria. Lo spinsi dentro al petto di quel demone sotto false spoglie, colpendola esattamente nel punto ove batteva il cuore.
Era un bel paletto, il mio, uno splendido attrezzo regalatomi da mio padre. Lui era l’unico Cacciatore di vampiri di sangue blu al mondo, lo sapevate? Un nobile, un duca! Che per decenni era scivolato nella notte, per abbattere quei mostri.
E che, a quel tempo, cercava di passare il testimone a me, suo primogenito maschio.
La cosa non mi andava molto a genio, a dire il vero. Per la miseria… ero giovane, bello, ricco. E nobile. Per quale disgraziato motivo avrei dovuto desiderare una vita fatta di appostamenti notturni?
Qualche combattimento sporadico poteva anche divertirmi. Ma… vivere per quello scopo? No, nel modo più assoluto.
Prima o poi avrei trovato il coraggio di dirglielo. Non sono un fifone, ma deludere il proprio genitore non è esattamente nella lista delle dieci cose da fare di ogni buon figlio.
Presumo di essermi distratto dalla trama.
Tornando a noi: affondai il paletto. E lei urlò.
Non un urlo umano, ma un suono totalmente al di là dello spettro vocale di qualsiasi persona vivente. Uno strillo metallico, acuto. Demoniaco.
La osservai accasciarsi a terra.
Papà mi ha spiegato che la morte è diversa da vampiro a vampiro. Ci sono quelli più anziani, quelli che sono sporche sanguisughe da più di un ventennio, che appassiscono lentamente, tramutandosi in una mummia di carne secca. E ci sono quelli giovani, che tornano ad essere un cadavere fresco. In entrambi i casi, non è un bello spettacolo da vedere, ve lo assicuro.
Poi ci sono gli Antichi, che non muoiono nemmeno con cinque paletti nel cuore.
Ma quelli, per fortuna, sono solo una leggenda. O almeno credevo.
La mia avversaria era una giovane. E, se la cosa può interessare, era la terza vittima della mia giovane carriera di Cacciatore. Cadde con un tonfo sordo, gli occhi spalancati rivolti al cielo privo di stelle, i capelli ramati ormai spenti, le membra abbandonate in posizioni innaturali.
Lei, morta.
Io, vivo.
Per Dio, quanto ero soddisfatto.
Quindi, l’Antico mi parlò, piombandomi alle spalle come un’ombra della notte.

***
Non chiedetemi come facessi a sapere che era un Antico. Procedendo ad ipotesi, credo che me lo abbia rivelato lui. Non aveva parlato usando la bocca, come gli altri della sua razza. Bensì, era penetrato nella mia mente, utilizzandola come una bella lavagna pulita, sulla quale aveva tracciato con un uncino le sue parole.
Non era stata una bella sensazione. Affatto.
Insieme a quelle parole, era giunte delle immagini. No, delle idee. No, dei ricordi.
Qualunque cosa fossero, la mia mente fu in grado di decifrarli. Piegato in due, le mani che stringevano la mia testa dolorante, compresi il suo messaggio. No, il suo racconto. No, le sue memorie.
Mi sentii pateticamente piccolo, di fronte a quella potenza nel mio cervello.
Era un Antico vecchio di secoli. Aveva visto la fine dell’Antica Era, aveva assistito al sorgere degli orrori della Nuova Era. Aveva segretamente guidato i potenti del passato, muovendosi come il più infido dei consiglieri. Aveva danaro, immortalità, potenza. E rideva di me.
Del piccolo, patetico essere umano prostrato ai suoi piedi.
Non mi aveva raccontato quelle cose per intrattenermi con una lieta storiella; il suo scopo era quello di terrorizzarmi, di farmi comprendere cosa avessi di fronte. E, ammettiamolo, era riuscito nel suo intento.
Il mio orgoglio, come sempre, prese il sopravvento sulla mia ragione. Non intendevo restare disteso a terra di fronte a lui. Non se lo meritava, dannazione!
Strinsi i denti, resistendo al dolore per quella intima invasione della mia mente; ed alzai il capo, sfidandolo con i miei occhi neri e determinati.
Vederlo fu un trauma quasi peggiore dell’aver udito la sua voce.
Alto, serafico, placido. Azzurri e freddi occhi di assassino, incastonati in un sottile volto più bianco e più freddo del marmo stesso. Lunghi capelli biondi, che incorniciavano la sua figura snella e benvestita. Uno dei più antichi demoni esistenti al mondo, ecco cos’era. E lo stavo guardando dritto negli occhi.
Tremai.
Quella era mia figlia.
I suoi occhi scivolarono verso il cadavere della giovane vampira, riempiendosi di tristezza. Fu tremendo vederli improvvisamente animarsi di un’espressione tanto umana; un’immagine inquietante, tanto quanto vedere un cane intento a leggere un romanzo. Vidi le iridi azzurre tornare verso di me, e compresi che non avrei rivisto una nuova alba. Lui mi avrebbe ucciso. Ed io non avrei mosso un dito, perché di fronte al potere di quella creatura avevo perduto anche la padronanza dei movimenti.
Credo che dovrai scontare per ciò che hai fatto, topo di fogna.
Non credo di essere in grado di spiegare il livello della mia impotenza. Persino la rabbia di quel vampiro era sufficiente a farmi soffrire! Mugolai per il dolore, risultando a dir poco sciocco. E debole.
Non sarebbe mai dovuta esistere una creatura simile. Era disumana. Era sovrannaturale. Era oltre le grazie di Dio. E ce l’aveva con me. Con me!
Cominciai ad intuire i sentimenti di una formica preda di un enorme bambino dotato di una brillante vena di sadismo. Lui mi avrebbe schiacciato con un solo dito.
Dormi, piccolo verme. Dormi, sogna. Chiudi gli occhi, scarto del creato. Io sono un’allucinazione. Sono il tuo incubo personale. E tornerò. Al momento migliore, quando potrò divertirmi al meglio…Ma ora dormi. Che buffo sogno hai fatto, nevvero?

E quindi mi risvegliai, accanto al cadavere della vampira. Mi alzai di scatto, tremando come una foglia. Mi guardai attorno, in preda al terrore. Ma non vidi nulla. Nessuno. Eravamo solo io, lei, e la sconfinata desolazione delle terre notturne attorno a noi, che ci dividevano dalla civiltà per molti chilometri.
E cos’altro avrei dovuto pensare, se non che le ferite e la successiva perdita di sangue mi avessero indebolito troppo, al punto di farmi svenire? Cos’altro avrei dovuto ipotizzare, se non che l’incontro con quel vampiro fosse stato solo un parto della mia mente spossata dalla lotta contro la giovane vampira?
Tornai a casa, al nostro maniero. Raccontai a mio padre della lotta, la narrai nei minimi dettagli, sotto lo sguardo della mia adorata madre e della mia amata sorellina. Lui annuì con fare orgoglioso, e loro, abbracciandomi, dissero che ero il migliore. Che un giorno sarei stato come papà.
Non dissi nulla del sogno dell’Antico.
Non volevo che ridessero di me.
   
 
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