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Autore: Lotharien    16/06/2012    0 recensioni
Correva, guardandosi a tratti indietro. L'aria, pungente nella temperatura invernale, le graffiava le scapole, laddove il tessuto era stato strappato nella sua fuga. Rallentò, dosando i passi in ampie falcate per riprendere fiato. Come erano riusciti a trovarla, stavolta?
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Atene era una città ferita, che portava i segni della devastazione dei giorni precedenti, di scioperi e manifestazioni che si susseguivano ormai da mesi. Anni di politiche sbagliate e di sprechi avevano portato il Paese a risentire particolarmente dell'ennesima crisi del sistema capitalistico - periodi di depressione che ciclicamente si ripetevano -, il che aveva a sua volta portato a svariati disordini ed al succedersi di governi differenti in poche settimane.
Di contro, quel giorno nella capitale ellenica regnava il silenzio: le strade deserte sembravano preannunciare uno scenario apocalittico, mentre il sole riscaldava il selciato fino a renderlo appiccicoso.

Era la prima volta che ci metteva piede e rimase turbata da quell'assoluta immobilità: l'atmosfera lugubre quanto afosa era interrotta qua e là dai suoni propri della natura, che da sempre sembrava essere indifferente alle vicende umane. Tutto ciò contribuiva solamente a farla sentire più sola, mentre lo seguiva lungo i marciapiedi vuoti, accompagnati solo da due individui che erano venuti a prenderli in aeroporto. Probabilmente erano gli agenti a cui era stata affidata quella zona, ma non le era dato saperlo: i due non avevano aperto bocca in tutto il tragitto, così lei aveva potuto solamente osservarli - almeno finché non si erano portati alle sue spalle, come ad impedire un eventuale tentativo di fuga.
Iris, però, non voleva fuggire. Non più. Era stanca ed il panico le aveva prosciugato le ultime forze, facendola rassegnare alla punizione che stava per arrivarle. La rassegnazione della gazzella che, dopo un breve inseguimento, diventa preda della leonessa; l'accettazione dell'antilope che sente come il suo predatore naturale le strappi dalla carcassa la carne insieme alla vita.
Erano arrivati. Liam aprì il portone di una palazzina a tre piani, il cui aspetto esteriore sembrava datarne la costruzione intorno al primo dopoguerra, e salì i tre scalini di marmo che precedevano la porta dell'unico appartamento presente. Uno dei due silenziosi soldati, come ad un segnale convenuto, scattò in avanti ed infilò le chiavi nella toppa, aprendo la porta blindata e lasciando che fosse il suo capo ad oltrepassarne per primo la soglia.
Ancora in silenzio, i tre percorsero il corridoio fino ad arrivare a quella che sembrava essere una camera da letto, mentre l'altra guardia era rimasta all'ingresso della casa.
Quando Liam si sedette sul letto a due piazze, Iris capì che era arrivato il momento. Un processo sommario, senza accusa né difesa, né una giuria imparziale, che l'avrebbe con ogni probabilità condotta ad un'altrettanto sommaria esecuzione: era quanto le spettava, era quanto prevedeva la loro Legge nei casi di tradimento. A quel punto, ormai, aveva ben poco da perdere: si gettò in ginocchio dinanzi al suo giudice, con un ultimo sprazzo di istinto di autoconservazione.
« Signore.. »
« Non sei nelle condizioni di poter parlare, se non quando sarai interpellata. Ti è mossa l'accusa di diserzione, con l'aggravante di essere una delle mie schiave e la mia guardia personale. Sei riuscita a fuggire per più di un anno, costringendo la mia persona ad interrompere le proprie occupazioni per venire a cercarti.
Eppure dovresti ben sapere che nessuno dei nostri viene lasciato indietro. O pensavi forse che questa regola si applicasse soltanto ai campi di battaglia? »


Il tono era distaccato e rilevava un'età di molto maggiore rispetto a quella dimostrata dal pallido involucro che l'aveva pronunziata.
Alla ragazza, stranamente, ricordò la voce di suo padre nelle poche cerimonie pubbliche di cui si rammentava, ma le risaltò subito la differenza tra i due: nel tono di colui che ora la guardava dall'alto in basso non c'era minima traccia di quel calore che, al contrario, caratterizzava lo sfocato frammento nella sua memoria. Rabbrividì, mentre cervcava con i suoi occhi grigi gli occhi nerissimi di lui. Quello che vi vide dentro la ferì come non sarebbe riuscito a fare uno schiaffo: vi lesse dispezzo, e mai si sarebbe aspettata di sentire un dolore così cupo. Incapace di sostenere oltre quello sguardo, abbassò il volto a fissare il pavimento.

« Inoltre, hai osato cederti ad altri uomini senza il mio permesso. Hai qualcosa da dire a tua discolpa? »
« No Signore, niente. Accetterò la punizione che riterrà giusto infiggermi. »
« Bene. »

Iris sentì chiaramente dei fruscii, segno che si stava spostando sul letto, e il rumore di una penna che scriveva su un foglio. Con lo sguardo fisso davanti a sé, vide le gambe di lui alzarsi e uscire dalla stanza: il processo era stato eseguito e la sentenza decisa. A quel punto, l'uomo che era rimasto nella stanza la fece alzare e la portò in un'altra stanza, tenendola per un braccio e capì che sarebbe stato il suo boia: nella mano libera stringeva il verdetto.







Erano passate due settimane ed era ancora relegata in quella stanza. Alla fine, la pena eano state cinquanta frustate.
Aveva gridato.
Aveva gridato mentre i colpi del boia le squarciavano la pelle della schiena.
Aveva gridato quando l'avevano gettata sul freddo pavimento di quella che era diventata, a tutti gli effetti, la sua prigione.
Aveva gridato quando le ferite erano state pulite per evitare che si infettassero.
Aveva gridato a pieni polmoni, finché la voce non le era diventata un sussurro roco e la gola non aveva preso a bruciarle come fuoco vivo.
Lui non si era più fatto vedere. Per giorni aveva sperato che, malgrado tutto, lui l'avesse perdonata ed una notte sarebbe entrato nel suo letto.
Lei era rinchiusa da due settimane in quella stanza spoglia, con soltanto un letto ed un minuscolo bagno attiguo. L'unica apertura che dava verso l'esterno, a parte la porta perennemente chiusa, era una finestra di una ventina di centimetri di diametro, troppo in alto perché lei potesse raggiungerla. I pasti le venivano serviti due volte al giorno dallo stesso uomo che l'aveva fustigata a sangue e che non le aveva mai, neppure una volta, rivolto la parola. I segni sulla sua pelle si erano rapidamente cicatrizzati, retaggio delle poche gocce di sangue divino che le scorrevano nelle vene. Ed era anche grazie alla natura non umana dei suoi antenati che non s'era spezzata come il fuscello che era.
La serratura della porta cigolò, mentre contò i colpi delle sei mandate che occorrevano per aprirla. Dopo tutto quel tempo in preda alla claustrofobia, la sua apparizione inaspettata le sembrò quella di un salvatore.
Liam s'affacciò con un'espressione indecifrabile in volto e la fissò, prima di gettarle addosso un corto vestito bianco e un paio di scarpe ed andarsene nuovamente.

« Renditi presentabile, fra mezz'ora partiamo per Sparta. Si va al santuario di Marte. »
   
 
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