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Autore: CrazyRaimbow    17/06/2012    3 recensioni
L’unica cosa che Gumi voleva realmente era salvare il ristorante di Gakupo, ma se in mezzo dovevano andare i sentimenti, allora avrebbe preferito non farlo.
Estratto: “-Ma tu in fondo sei un essere disgustoso, Len. In fondo che te ne frega del ristorante? O di quello che provo per te? Fingi di essere tanto adulto e tollerante, ma in realtà non te ne importa niente. Sei solo uno stupido, ipocrita, sapientino, menefreghista…- Gumi non riuscì a terminare la sua valanga di insulti che una mano le colpì così forte la guancia da farle girare la testa da un lato e da lasciarle un segno rosso sulla pelle”.
Pairing principale: Len/Gumi.
Pairing secondari: Len/Rin, Len/Luka, Kaito/Miku, Kaito/Meiko, Gakupo/Luka.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gumi, Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Kaito/Meiko, Kaito/Miku
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Note dell’autrice: Ciao e benvenuti nella mia prima fan fiction sui Vocaloid, spero con tutto il cuore che vi piaccia

Note dell’autrice: Ciao e benvenuti nella mia prima fan fiction sui Vocaloid, spero con tutto il cuore che vi piaccia. Dato che questo è il prologo, ovviamente gli altri capitoli saranno più lunghi. All’inizio questa doveva essere una Long-Fic sulla LenxLuka, però poi ho cambiato idea ed è diventata una LenxGumi. Spero che vi piaccia e che mi continuerete a seguire.

Buona lettura.

 

Capitolo 1. ~ Prologo.

 

Gumi accarezzò lentamente la divisa da lavoro con la mano destra; a volte si chiedeva come avesse il coraggio di andare in giro con quella cosa verde addosso. Era troppo scollata e per niente sportiva: anche se la indossava praticamente tutti i giorni non la definiva ancora qualcosa che metteva quotidianamente. Il ché era piuttosto ironico, quasi preoccupante, dato che era l’opposto. Una cosa era certa: avrebbe preferito travestirsi da carota. Di certo si sarebbe sentita più a suo agio. E poi era divertente.

Si passò le dita tra i capelli verdi e sorrise, immaginando quanto sarebbe stata buffa, per poi iniziare a spogliarsi. Si tolse la t-shirt rosa e i pantaloni da ginnastica bianchi, scaraventandoli sul letto, rimanendo solo in biancheria intima. Fece un piccolo sospiro, prima di prendere tra le mani la divisa e indossarla goffamente, per poi infilare entrambi i piedi nelle scarpe nere. Cominciò a dirigersi verso il corridoio fermandosi davanti allo specchio e mise le dita tra i capelli, usandole come pettine e tentò di allunare la divisa, tirandola verso il basso, provando il più possibile di coprire le cosce, completamente visibili. Prese una borsa nera come la divisa che portava e frugò al suo interno, prendendo il suo cellulare. Tutti lo definivano “vecchio” e “fuori moda”; il ché era assolutamente vero, ma non aveva alcuna intenzione di cambiarlo per ragioni così stupide. A lei piaceva: glie lo aveva gentilmente regalato quattro anni fa un suo lontano cugino che abitava in Europa, quindi cambiarlo sarebbe stato come un gesto cattivo nei confronti di quel parente che sentiva così raramente. E poi non le erano mai piaciute le novità, soprattutto in questi campi, preferiva le cose retrò o fuori dal comune. Non solo per quanto riguardava i cellulari, ma lo stesso valeva per il suo modo di vestire e di pensare.

Accese il cellulare per controllare l’orario: le sette e mezza; non c’era poi così tanta fretta. Certo, mancavano solo due minuti all’inizio del suo lavoro part-time, ma dato che il locale era a dir poco vicinissimo da casa sua, sul suo volto non apparve neanche l’ombra di una persona preoccupata. Si precipitò non troppo frettolosamente verso l’ingresso principale e uscì di casa, con la testa tra le nuvole e cominciò ad incamminarsi per la strada.

Sorrise, alzando gli occhi verso il cielo: oggi la luna era completamente scoperta, proprio come le sue gambe. Oggi non c’era neanche una fastidiosa nuvoletta che la copriva.

Fu costretta a distogliere lo sguardo dalla bellissima volta celeste, notando di essere arrivata.

Guardò l’enorme scritta sopra di lei: “Yuiitsu no saishoku shugi-sha”. Era da qualche mese che aveva iniziato a lavorare in questo ristorante per vegetariani. La cosa che lei definiva buffa era che anche lei era vegetariana. Il suo lavoro le piaceva, Gumi diceva che spesso la sera si annoiava, nonostante uscisse, ma al ristorante aveva sempre qualcosa da fare e conosceva una marea di gente. Senza tralasciare tutto il tempo che rideva e scherzava con la sua migliore amica: Miku Hatsune. Anche lei lavorava nel ristorante, ma in realtà loro si conoscevano dai tempi dell’asilo. Poi, però, Miku per motivi familiari si era trasferita a Kyoto per molti anni, ma adesso era di nuovo qui, con lei, con Gumi. Erano di nuovo insieme. Il solo pensiero fece trasalire un brivido sulla schiena della ragazza dai capelli verdi. Sorrise entusiasta entrando ed un ottimo profumo di verdura fritta le penetrò nelle narici e si leccò le labbra: quello sì che era un buon odore.

-Gumi, finalmente sei qui!- sorrise nel sentire quella voce. Trovò davanti a sé una ragazza dai lunghi capelli blu, raccolti in due graziose codine.

-Ciao, Miku- la salutò con voce pacata Gumi, per poi guardarsi attorno. –Certo che i clienti stanno diminuendo. Voglio dire, fino a qualche giorno fa erano almeno una quarantina, e adesso…- fece una piccola pausa, increspando le labbra. –Sono solo quindici.

L’altra annuì con aria abbattuta. –Puoi dirlo forte: sono davvero pochi. E sai qual è la causa di tutto questo?

Gumi sbatté più volte gli occhi, per poi scuotere la testa: non ne aveva assolutamente alcuna idea. Sperava soltanto che non l’avesse indicata con aria accusatoria urlandole un “Tu” alquanto minaccioso sarebbe stato meglio. Aveva sempre fatto il suo mestiere con volontà e tranquillità, aggiungendo sempre un pizzico di fantasia, come d’altronde compieva tutte le sue azioni quotidiane, dalla più piccola alla più grande. Comunque sia, non credeva che l’essere stata anche qualche volta un po’ svampita avesse penalizzato in questa penosa maniera il ristorante.

Il braccio di Miku si alzò e Gumi deglutì silenziosamente, sperando soltanto che non la indicasse. Serrò le labbra e in quei pochi millisecondi il cuore cominciò a batterle irregolarmente. Ma – per fortuna – il dito dell’amica indicò un puntino al di fuori della finestra di legno. –Lo vedi? Quello è lo “Shinjuku Night Club”. È aperto dalle otto alle cinque di mattina. La gente va là per spassarsela. Il cibo è ottimo, si bevono un sacco di alcolici squisiti, ci sono ballerine e prostitute in giro per il locale e il tutto è ad un prezzo neanche troppo caro. Insomma! È normale che la gente preferisca un posto del genere ad un banale ristorante vegetariano del cazzo!

Subito dopo aver pronunciato quelle parole, una forchetta assassina volata da chissà dove le sfiorò appena il braccio, graffiandola, per poi andare a sbattere contro il muro.

-Oh, donna ignobile, come hai osato chiamare il mio ristorante in questa maniera disgustosa?- un uomo ventenne si avvicinò con passo sicuro e accusatorio verso di loro. Miku si voltò e deglutì: aveva fatto male a parlare del “Yuiitsu no saishoku shugi-sha”, in quei tempi Gakupo Kamui era sempre più teso. Miku provò ad inventarsi una scusa per spiegargli il perché avesse detto quelle cose, ma fu preceduta dalla voce di Gumi.

-Ciao, Gakupo-chan~!- lo salutò energeticamente, aumentando il nervosismo da parte del loro datore di lavoro.

-Ti ho detto mille volte che per te sono Denjo. Sono il capo di questo ristorante e quindi dovete rivolgervi al sottoscritto con rispetto. E poi, si può sapere da dove la prendi tutta questa confidenza?

Gumi alzò le spalle, sorridendogli. Si vedeva da un miglio che era preoccupato per il ristorante, che stava mano a mano precipitando. Voleva assolutamente fare qualcosa per il capo, perché le sue giornate sarebbero state buie e fredde senza il “Yuiitsu no saishoku shugi-sha”. Batté le mani, attirando l’attenzione dei due e chiuse gli occhi, riaprendoli poco dopo. Il suo sguardo era volenteroso e combattivo. –Denjo- pronunciò quel nome con una tale sicurezza che fece battere per un attimo irregolarmente il cuore di Gakupo. –Mi intrufolerò nel Shinjuku Night Club e distruggerò la serata, così da far scappare da lì e a quel punti li consiglierò di andare a mangiare nel nostro ristorante.

-Volevi dire nel mio ristorante- la corresse lui, scuotendo i lunghi capelli.

-No, nel nostro. Perché anch’io, a modo mio, ne faccio parte.

Detto questo si precipitò verso l’uscita, salutandoli con un cenno della mano destra e se ne andò.

-Che brava ragazza, finalmente mi ha chiamato come è giusto che sia- disse semplicemente Gakupo, prima di tornare in cucina, per vedere cosa stessero combinando i cuochi.

Miku, invece, fissò la porta per qualche minuto di più.

-Ti prego, non fare pazzie.

  
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