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Autore: lady hawke    03/01/2007    2 recensioni
[Elizabeth]
Due donne a confronto, l'una prigioniera dell'altra, in un mondo di uomini. Due figure in grado di segnare profondamente la storia di una nazione intera. La decadenza di una regina e il trionfo di una principessa. [One- shot ispirata al film Elizabeth]
Partecipante alla seconda sfida dell'archivio "Out of time".
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Captiva, l’astro nascente

- Credo che stanotte morirò -
Fu l’unica frase che riuscì a pronunciare verso le sue compagne di cella mentre veniva trascinata fuori con forza. Era bastato davvero poco per dare voce alle paure di Elizabeth. Confusa e frastornata non riusciva a pensare ad altro che a sua sorella. Era lei la causa di tutto, lo sentiva. Lo aveva capito quando era stata arrestata senza alcuna spiegazione, e ancora prima dalle notizie che giungevano da Londra. Sicuramente la Regina aveva firmato la sua condanna a morte: non dicevano forse a corte che la sua sorte era segnata?
Brividi di freddo la colsero mentre usciva all’aperto, avvolta soltanto dalla fredda nebbia autunnale. O era forse paura, la sua?
Era così, la principessa era atterrita, sentiva il cuore palpitare furiosamente nel suo esile petto; avrebbe potuto fermarsi per sempre in quel momento, eppure cercava di apparire impassibile. I figli di Enrico VIII non dovevano mostrare la loro fragilità e non dovevano apparire deboli.
Le avevano riferito dell’orribile morte della madre che a stento ricordava; tutto a causa di un padre tanto folle da litigare con il Papa in persona solo per poter divorziare. E lei era il risultato: l’erede illegittima, generata da una strega, rea di aver abbracciato una religione nata da un capriccio. Scosse la testa tentando di scacciare quel pensiero: il Re aveva fatto ciò che era giusto e non le aveva mai fatto mancare nulla; la religione era quella di stato, la fede inglese, la sola. Dopotutto suo padre non poteva aver sbagliato.
Camminò a lungo, sorretta da due soldati che le stringevano violentemente le braccia. Solo quando si trovò al sicuro all’interno di una carrozza riuscì di nuovo a respirare, nuvolette di fumo di formavano nell’aria gelida. Il ceppo del boia non era stato preparato per lei; non ancora, almeno. Dove sarebbe stata condotta ora? Pensò ad altre prigioni, a nuovi interrogatori. Avrebbero potuto fare del male alle sua ancelle, a Kat.
Eppure non capiva: che importanza poteva avere pregare Dio in inglese o in latino?
All’Onnipotente interessava solo una sincera fede, nient’altro. Era quello che aveva detto al suo carceriere. In cambio lui l’aveva definita Eretica, urlando furiosamente.
Maria la Sanguinaria, come cominciavano a chiamarla, e i suoi alleati sembravano non essere d’accordo. Continuavano a massacrare innocenti, le nubi di fumo dei roghi oscuravano i cieli e il paese era smembrato. Non vi erano mai stati in passato momenti così bui; l’Inghilterra era divenuta l’anticamera dell’Inferno, morta come i rami secchi e neri dei boschi in inverno.
- Elizabeth! Principessa! -
Dovevano aver riconosciuto la carrozza e i cittadini protestanti invocavano ora il suo nome. Disperati battevano le mani contro il legno della vettura; la loro unica salvezza, una giovane dai capelli rossi. L’avevano eletta loro protettrice ma non poteva fare nulla. Prigioniera e controllata come si ritrovava era lei ad aver bisogno d’aiuto; la sua vita era in mano a persone che non desideravano altro che la sua fine.
Si lasciò condurre docilmente tra il dedalo dei corridoi e passaggi segreti del palazzo. Finalmente gli uomini armati mollarono la presa e le ordinarono di aprire la porta che la stava di fronte. Oltre la soglia l’attendeva Maria, Regina d’Inghilterra.
Non la vedeva da anni. Era sorpresa e non sapeva che fare; non le venne in mente altro che rimanere immobile, attaccata alla parete. Dal momento in cui aveva messo piede nel castello avrebbe dovuto capire che l’avrebbero portata al suo cospetto; eppure, in preda all’agitazione e alla paura, aveva smesso di ragionare. Trasse un profondo respiro e osservò la donna attentamente.
Maria era cambiata, era diventata più maestosa e temibile di quanto ricordasse, ma non c’era alcuna luce nei suoi occhi. La malattia era evidente: il volto scavato, le occhiaie scure…

Elizabeth si chiese come riuscisse ancora a governare in quelle condizioni. Fu destata improvvisamente dalla voce scortese della sorella che l’invitava ad avvicinarsi. Si guardarono negli occhi. Entrambe riconobbero l’una nell’altra le qualità del padre che le aveva generate.

* * *


Maria osservò la sorella con sufficienza. Tale e quale a sua madre, una donnetta insipida e insidiosa. Falsa, rea e traditrice. Non capiva davvero come potesse scorrere in lei il suo stesso sangue. Notò con disappunto i suoi capelli rossi sciolti sulle spalle: erano una prova evidente della sua discendenza maledetta.
Anna doveva aver circuito la corte intera per riuscire nel suo intento, ma alla fine quella puttana era caduta, come tutte le indegne. Solo coloro che erano nate dal sacro vincolo matrimoniale potevano aspirare al soglio regale. Lei ne era la prova. E non avrebbe permesso di infangare il trono su cui sedeva, mai.
Eppure nemmeno lei era eterna, e si sentiva ogni giorno più stanca. La luna comandava le maree, e il filo del destino le stava lentamente scivolando di mano; sarebbe stata presto trascinata via dalle onde, sarebbe stata spogliata delle sue foglie e delle sue fronde ormai opache, come le querce del parco che muoiono ad ogni inverno.
Filippo l’aveva abbandonata. L’avevano avvelenata e il figlio che portava il grembo - l’erede al trono - era stato assassinato ancora prima di nascere.
Era inutile fingere; lei stessa stava morendo e doveva occuparsi della successione. Elizabeth era la più diretta discendente, ma al contempo era la più grande minaccia del regno: con lei si sarebbe persa la fede e un intero popolo sarebbe stata condannata per sempre alla dannazione.
Ma la Vergine concede sempre il perdono… forse le stavano mentendo, il traditore poteva essere uno dei suoi. Quale dei fedeli alla Principessa avrebbe potuto colpire così dolorosamente? Perseguitati com’erano nessuno. Metà di loro era stata impiccata, e l’altra era nella torre o attendeva di esservi condotta.
Era certa di aver compiuto le scelte giuste, eppure… aveva in qualche modo la sensazione che suo padre la stesse rimproverando dall’alto come quando, bambina, veniva aspramente ripresa se non si dimostrava abbastanza devota al fratello Edoardo, l’unico vero Figlio.
Dalla morte di Enrico la corona era divenuta instabile, e Maria temeva che la sua fine potesse essere dolorosa come quella di quel ragazzino troppo piccolo e gracile anche solo per portare un mantello d’ermellino. Il suo era un cancro. Dirlo lo rendeva anche più terribile di quanto non fosse, una malattia senza scampo, oscura, dolorosa.
La testa le pulsava furiosamente mentre cercava di parlare, ma non avrebbe ceduto.
La piccola illegittima era stata istruita bene, eludeva le domande insidiose, evitava di mettersi nei guai con le proprie parole. Brava come un’attrice, forse anche di più.
- Agirò secondo la mia coscienza -
Aveva osato rispondere così alla sua richiesta di rimanere fedeli a Roma. Una frase assurda, che non era affatto una risposta, completamente priva di significato perché interpretabile in più modi.
Solo una cosa l’avrebbe piegata: il documento della sua condanna.
- Manca solo la mia firma! – quant’era dolce il trionfo.
Eccola pregare ai suoi piedi, implorare clemenza, implorare i comuni natali. Amava suo padre, ma stava diventando una presenza oscura troppo prepotente; non poteva tornare qui, tra i vivi, e rimescolare le carte. Aveva avuto il suo regno ed era morto. La famiglia Tudor sapeva cosa bisognava agire anche senza di lui.
Che fare della ragazza?
Ucciderla?
Lasciarla vivere?
Avrebbe avuto abbastanza tempo per decidere più avanti, della sua fine. Per il momento era libera di andare, ma non per i passaggi sicuri da cui era venuta: dall’ingresso principale della corte, esposta al pubblico dileggio.

* * *


Uscendo Elizabeth sentì puntati su di sé decine di occhi. Non c’era bisogno di osservarli per indovinare le loro espressioni: disgusto, disprezzo, forse perfino odio. Per un momento pensò di chiudersi nel suo guscio, di scappare a testa bassa, ma fu la follia di un momento. Non poteva atteggiarsi a sconfitta, quando aveva ancora buone possibilità di divenire la futura sovrana; se non avessero cominciato a rispettarla fin da quel momento in futuro sarebbe stata sopraffatta.
Altezzosamente lanciò uno sguardo sicuro alla folla e camminò a testa alta fino all’uscita delle sale nobili, incurante dei bisbigli; una volta fuori trasse un sospiro di sollievo. Ora doveva liberare le sue amiche fedeli, avrebbe avuto bisogno di loro come non mai.
Fu ricondotta al castello dove viveva, controllata, da alcuni mesi. Cominciò subito a scrivere freneticamente lettere e salvacondotti a Sua Maestà e ai ministri per la liberazione di Kat e delle altre: non potevano essere accusate di altro tradimento quando la loro stessa padrona era innocente. Una volta finito si mise a pensare con calma al suo colloquio privato con la Regina: non riusciva a comprendere del tutto la necessità di quelle parole… sapevano già tutto, no? Maria sembrava così agitata, sembrava volesse liberarsi da un peso che aveva trattenuto a lungo. Aveva sputato fuori le parole con ansia, come se non avesse avuto nessun altro al mondo con cui parlare. Buffa situazione… Era arrivata quasi alle lacrime quando le aveva confessato di avere un cancro. La corte doveva averlo saputo per prima dalle ancelle e dal medico, forse prima ancora della sovrana stessa: ecco perché tanti bisbigli, tanti incontri e dichiarazioni misteriose. Possibile che non capisse? Norfolk non era il suo alleato, lavorava contro di lei. Aveva osato dire all’ambasciatore spagnolo di offrirla in sposa a Filippo quando Maria era ancora in vita! Norfolk, che l’aveva sempre osteggiata e chiamata “puttana”, si rivelava per quello che era: un approfittatore pronto ad accaparrarsi un regno. Come avrebbe voluto distruggere quell’uomo! Ma non poteva parlarne a nessuno: la Regina non le avrebbe creduto e avrebbe trovato la spinta finale a firmare quel dannato foglio. I suoi alleati, d’altro canto, non avrebbero osato tanto. Ancora una volta con le mani legate.
No, no: bisognava solo pazientare e aspettare il momento buono.
Probabilmente nessuno si fidava di loro. Due donne: una al potere, l’altra pronta a prenderselo. Ambasciatori e ministri tentavano in ogni modo di evitare una situazione del genere. Elizabeth ricordava bene la fretta con cui erano state celebrate le ultime nozze regali: sarebbe stato così anche per lei in caso di incoronazione?
Forse i sussurri dei cortigiani erano dovuti a questo, e non ad altro.

* * *


Il prete se n’era andato da pochi momenti. Non riusciva nemmeno a ricordare cosa le avesse detto. L’aveva confessata, aveva affidato la sua anima alla Santa Madre… ma dopo?
No, non le veniva in mente altro. La testa, lo stomaco, tutto doleva e la sua stanza non le era mai sembrata così buia. Le damigelle già portavano il nero, e dalla porta a stento vedeva un frettoloso via vai di persone. Quanto sarebbe durata ancora quell’agonia? Perché Filippo non era venuto? Dopotutto sua moglie stava morendo.
L’unica persona che le si era avvicina era Norfolk: faticava a riconoscerlo, i suoi lineamenti erano confusi. Portava con sé un documento, ancora la condanna a morte di sua sorella. La stava ubriacando di parole: era importante, il regno non sarebbe durato con quella strega, non si poteva lasciar vivere una creatura malefica come quella.
Perché insisteva, perché urlava?
Maria si voltò dall’altra parte per non vedere e non sentire.
Non potevano chiederle una cosa del genere,in quel momento. Non poteva macchiarsi di omicidio in punto di morte. Era un peccato mortale e il prete l’aveva già confessata, non voleva la dannazione eterna. E poi si trattava di sua sorella, del suo stesso sangue. Bisognava concedere il perdono, mostrare clemenza. Cristo insegnava l’amore.
Fece un cenno per mandare via quel demone tentatore, ma non servì. Avrebbe voluto gridare e cacciarlo,ma non ne aveva più la forza. Voleva la pace, la tranquillità di una morte serena… perché quel mostro voleva negargliela? Aveva ucciso abbastanza, aveva fatto tanto per difendere la cristianità inglese, ormai non era più compito suo. Il dolore si fece più acuto, e poi cessò.

Maria era morta.
Norfolk le sfilò l’anello regale con brutalità, furente. Quella maledetta donna non le era stata di alcun aiuto, avrebbe dovuto trovare un’altra soluzione. Fissò per un momento l’anello; l’avrebbe indossato prima o poi, la ragazza non sarebbe durata a lungo. Prima dell’estate le campane di Westminster avrebbero suonato per lui.
- Portatelo alla principessa -

* * *


Elizabeth sentì le campane suonare a lutto per tutta la campagna circostante; sua sorella era caduta, il cancro l’aveva vinta. Si recò nella piccola cappella che aveva a disposizione e pregò per la sua anima. Lo fece, quasi inconsapevolmente, in latino cosciente che non avrebbe mai ripetuto un gesto simile per nessun altro. Lo fece per rispetto per una donna che aveva avuto un destino difficile e una fine ingloriosa.
- Maestà, venite! Presto! -
Sentì lontana la voce di Kat e in sottofondo il galoppo di alcuni cavalli. Sapeva cosa l’aspettava. Uscì nel parco e camminò fino a raggiungere l’ombra di un’enorme quercia, dove un piccolo corteo l’attendeva. Seguendo una formula di rito, vecchia di secoli, un uomo le si avvicinò e inchinandosi disse:
- La Regina è morta. Lunga vita a Elizabeth, Regina d’Inghilterra!-

Tutti chinarono il capo di fronte alla nuova sovrana mentre le veniva consegnato l’anello posseduto da tutti i re e le regine, suoi antenati.

- Questa è l’opera di Dio, ed è meravigliosa ai nostri occhi -
Fu tutto ciò che riuscì a dire, con un groppo alla gola e la vista offuscata dalle lacrime.
Perché piangeva? Non avrebbe saputo spiegarlo: gioia, tristezza, dolore, emozione. Il suo cuore era un calderone incandescente che ribolliva di sensazioni nuove.
L’attendeva una sfida durissima, ma Elizabeth non era disposta a perdere. Avrebbe vinto la sua battaglia e avrebbe governato come una vera Regina. Donna o meno lei aveva la corona e l’avrebbe ricordato sempre. Non più prigioniera era il nuovo raggio di sole, la nuova brezza primaverile che avrebbe condotto l’Inghilterra alla gloria e al dominio sul mondo.

Note: tutti di dialoghi sono ripresi dal film da cui questa storia è stata tratta, Elizabeth. Non si tratta di plagio, ma è stato necessario introdurli per chiarire la trama in alcuni punti. Non è intesa, pertanto, alcuna violazione del copyright.

  
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