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Autore: Logic Error    18/06/2012    0 recensioni
[[Persona 4]]
//Dal momento che le fict di P4 finiscono nel tag di P3 in mancanza di un tag proprio//
Fict che ho deciso di dividere in capitoli perchè stava venendo troppo lunga- ops. Anyway, è una AdachixOlder!Nanako, perchè sì. In questa fict, ho immaginato un Adachi fuori di prigione 14 anni dopo gli eventi di Persona 4.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Andò avanti così per una settimana circa: i pomeriggi passavano tra una spiegazione e l’altra, diminuendo il tempo dedicato allo studio per dedicarne altro alla più pura e disinteressata arte della conversazione. Adachi non credeva che potesse esistere una persona capace di farlo sorridere: eppure, quando lei gli ripeteva che non era più una bambina, quando arrossiva e gonfiava la guance, le tristi labbra dell’ex-poliziotto non potevano che  inarcarsi in un sorriso. Avere una persona accanto era un piacevole lusso a cui Adachi non era abituato. Ma sentiva che ci avrebbe fatto l’abitudine molto in fretta.
Andò avanti così per una settimana circa: finchè lei non disse.
“Dovresti incontrarlo.”
“…”
Non c’era bisogno di aggiungere altro, sapeva benissimo a chi si riferisse.
“M-ma…”
“Non dico ora, Adachi-san. Ma, in un futuro…”
“S-sì, lo so…”
“…non troppo distante…”
“Mh.”
“Ti accompagnerò io con la mia auto.”
“Oh! Nanako-chan sa guidare?!”
La mano della ragazza raggiunse la guancia di Adachi per dargli un colpetto.
“Ti ho detto che non sono più una ragazzina!”
 
Le sue guanciotte e gli occhi dolci erano stati decisamente convincenti. Era l’unica risposta che riusciva a darsi alla domanda “Perché lo sto facendo?” che si poneva ad ogni semaforo che incontravano.
Nanako aveva mantenuto un’espressione rilassata e vagamente soddisfatta lungo tutto il tragitto: che lo facesse per tranquillizzarlo? Beh, in realtà era soltanto riuscita ad irritarlo ulteriormente: dopotutto, era lui che doveva affrontare il suo ex boss!
Una volta arrivati dai Dojima, Nanako si fermò di fronte la residenza.
“Eccoci qui.”
“G-già…”
Dojima. Cosa…cosa gli avrebbe detto? Tsk, sempre se avesse avuto il tempo di dirgli qualcosa prima che il suo collega gli sbattesse la porta in faccia. Dojima era la persona che Adachi aveva ingannato più di tutte; e, tra tutte, era proprio quella a cui teneva di più. Poteva sembrare assurdo, se si pensa agli schiaffi, cazzotti ed insulti che volavano tra i due –sempre a senso unico, da Dojima verso Adachi- ma era così. Da qualche parte, nel suo inconscio, Adachi lo considerava un amico. O qualcosa del genere.
Ma a cosa serviva farsi tutti quei problemi? Nel migliore dei casi, Dojima lo avrebbe di nuovo denunciato alla polizia.
Nananko sembrò intuire il turbamento dell’uomo: dopo un piccolo sospiro, poggiò la sua mano sulla sua e gli sorrise.
Adachi sussultò e si voltò incredulo: doveva avere un’espressione davvero sconvolta perché Nanako diventò rossa e mosse via la sua mano.
Tsk, già, non sei più una ragazzina.
Lui le sorrise, nonostante sapesse che non poteva vederlo: ma fu una reazione spontanea a quel dolce gesto  cui non era abituato.
“Allora vado.”
“Ti aspetto qui.”
 
Adachi ci stava mettendo più tempo del previsto. Era un buon segno: suo padre doveva averlo perdonato ed ora stavano parlando come ai vecchi tempi, da vecchi colleghi. Nanako sospirò ed appoggiò la testa sul volante: avrebbe voluto essere lì. Le mancavano quelle serate in…famiglia, sì, famiglia. Ma adesso persino cenare con suo padre era impossibile: perché era così cocciuto? perché non lo capiva che prima o poi avrebbe comunque dovuto andarsene? Nanako era l’ultima persona al mondo che restava a Dojima, e lei questo lo capiva. Precludere a Nanako la possibilità d’una vita migliore, però, era ciò che suo padre stava facendo, ma non sembrava capirlo.
Anche per questo aveva sperato che Adachi potesse ritornare in buoni rapporti con lui: un amico non avrebbe mai potuto rimpiazzare una figlia, ma meglio di niente, no?
E poi, riaverlo tra i piedi –così come usava dire Dojima anni prima- non era così male, anzi. A Nanako piaceva stare con lui. Dopo quell’episodio, dopo quella scenata e dopo le lacrime era più o meno ritornato l’uomo di un tempo: aveva, di tanto in tanto, dei momenti di cupa tristezza, ma era più solare, più imbranato, più Adachi. Le stava venendo in mente la scena di qualche giorno prima, quando era inciampato in uno dei suoi calzini sull’uscio della porta. Rise tra sé e sé, coprendosi il volto tra le mani quando si sentì arrossire. A-A cosa pensi, Nanako…m-meglio dormirci su…
 
Nanako si era addormentata con la testa sul volante. Eh, aveva fatto decisamente tardi. Nonostante l’imbarazzo iniziale però l’incontro era andato meglio del previsto. Per fare un riassunto, adesso Adachi aveva di nuovo un amico. Purtroppo non più un collega, ma…un amico di certo. Era andato via con una piacevole sensazione nel petto, quella che probabilmente si chiama speranza. Non credeva possibile rammendare, aggiustare, mettere a posto le cose dopo ciò che aveva fatto. Ma c’era riuscito. E allora tutto diventava un po’ più semplice. L’idea di poter contare anche su qualcun altro e non solo su se stesso sembrava aver alleggerito il carico di rimorsi che portava sulla sua schiena.
La porta era aperta: entrò in macchina e osservò Nanako. Sembrava una bambolina, coi capelli lasciati morbidi sulle spalle e le ciglia che le sfioravano le guance. Il muoversi ritmico del petto era il solo indizio per capire che era reale.
Gli dispiaceva svegliarla, ma doveva farlo: portò una mano sulla sua guancia e la pizzicò.
“Nanako-chan…”
Il suo risveglio fu lento: le palpebre si alzarono con dolcezza offrendole un graduale ritorno alla realtà. Peccato che non appena i suoi occhi incontrarono quelli di Adachi, saltò letteralmente dal sediolino, afferrò le chiavi e mise in moto.
Lui dovette trattenersi dal ridere. Sapeva che non doveva, non dopo ciò che aveva fatto anni prima, ma…stuzzicarla e vederla imbarazzata era troppo, incantevolmente divertente.
“C-c-com’è andata?”
“Tutto bene. La prossima volta vieni anche tu, così facciamo una bella cena tutti insieme!”
Ad un tratto, sembrò allarmata.
“Gli hai detto di me?”
“Uh? No, in realtà no…perchè?”
Lei sospirò, un misto di sollievo e rassegnazione.
“C’è qualcosa che non va?”
Lei non rispose.
“Nanako…”
E quel Nanako voleva dire molto: c’era un ‘voglio aiutarti perché tu hai fatto lo stesso con me, ma non solo, mi interessa davvero vederti stare bene!’.
Apparentemente, la ragazza sembrò capirlo ed iniziò:
“La mia università cambia sede e si sposta in una città alquanto lontana da Inaba…quando mio padre l’ha saputo ha iniziato ad urlare e…e a dire che avrei dovuto cambiare corso di studi. Capisco che si sente solo, ma…! Non può impedirmi di andare avanti con la mia vita!”
Aveva alzato un po’ il tono della voce e le sue mani stringevano forte il volante. Dopo essersi calmata, ricominciò a parlare.
“E quindi mi ha cacciato di casa. E non ho soldi per vivere nel campus universitario.”
Adachi la guardò shockato.
“C-cosa? E dove vivi ora?!”
Nanako indicò il tettuccio della macchina; Adachi ci mise un po’ a capire.
“In macchina?! Sei impazzita!? E se---“
Nanako rise d’istinto alla reazione esagerata dell’uomo, non senza arrossire lievemente al pensiero che Adachi fosse davvero preoccupato per lei.
“Non c’è nulla da ridere!”
“L’università inizierà tra qualche giorno, troverò un modo.”
“C’è posto da me se vuoi.”
Ok, beh, diciamo che era stato semplicemente spontaneo. Infatti, non appena finì di pronunciare quelle parole, una bella tinta di rosso acceso gli infiammò il volto.
Stessa reazione in Nanako: la ragazza frenò improvvisamente, tamponando la macchina davanti alla sua. Qualche insulto volò dal conducente, ma lei non se ne curò, anzi, le fischiavano troppo le orecchie per sentirlo.
“E-er…”
“….”
“Era per dire…”
“T-troverò un modo…”
“Certo…”
“….”
E così fino all’abitazione dell’ex-poliziotto.
Si augurarono buonanotte, incerti sul da farsi: guardarsi, non guardarsi, scambiarsi un sorriso, o un abbraccio anche, dopotutto devo ringraziarla per quello che ha fatto, no? , e se poi lo metto in imbarazzo?
E inevitabilmente i pensieri vinsero sull’azione: un timido buonanotte, due mani che si salutavano e niente più.
Adachi sospirò prima di mettere la chiave nella porta: che deficiente.
   
 
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