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Autore: Balestra    20/06/2012    0 recensioni
"Gli si avvicinò, chiese dove andava, se poteva andare anche lui. E si ricordò del sorriso che gli aveva rivolto, forse il primo -No, questa è una cosa che posso fare solo io. Tu non ne avresti la forza.-
-Ma sei tu che mi hai allenato!- protestò -Come faccio a non essere ancora forte?-
-Sei giovane. Troppo.- "
Come ci si sente quando perdi un maestro, un amico, la persona che ti ha risollevato quando tutto sembrava perduto?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avanzava lentamente lungo la grossa scalinata in pietra; attorno a lui solo sangue, morte e fuoco. La guerra. Mai avrebbe pensato che il suo mondo si sarebbe sgretolato, tanto sembrava perfetto: come era possibile che Solace potesse essere toccata dalla guerra? Un continente così pacifico, così prospero... il furto dell'Eldrit non era che una grossa parentesi di avventure al confronto della vastità della pace che aveva sempre vissuto. Anche a Peita, si era fatto due risate: i demoni cosa potevano mai fare, costretti in u tempio? Poi, era arrivato a Belder. E lì era rimasto stupefatto: la capitale, la più ricca e potente di tutte le città, col suo invincibile esercito, era caduta. I suoi abitanti massacrati e in fuga, i soldati raccolti in un minuscolo campo di tronchi appena fuori dalle imponenti mura. Lì, con il suo gruppo, si era messo al servizio di Vanessa che li vedeva come l'unica speranza di salvare la città: se Belder fosse stata perduta, l'intero regno sarebbe stato da considerarsi spacciato. Si credeva invincibile solo perché lo chiamavano eroe; pensava di essere il più forte solo perché la folla lo inneggiava. Eppure, quando si scontrò per la prima volta con i Vargo, quelli veri, con gli Elfi Oscuri e con altri mostri, si rese conto della verità: era debole. Poru, Nasod, Uomosauri... cosa erano, in confronto a quei potenti esseri che sembravano non finire mai, che erano come un'enorme mare di mostruoso acciaio? Un giorno, dopo una battaglia nel quale era rimasto ferito, si era seduto sconsolato fuori dalla sua tenda, la spada a terra, abbandonata. Il suo orgoglio di guerriero doleva più delle sue ferite. Cosa era lui? Non era un cavaliere: non sapeva proteggere nessuno. Non era un mercenario: non era forte. E mentre si deprimeva ed evitava di combattere, passò i giorni a compiangersi, lasciando che gli altri scendessero nuovamente in quell'inferno, ad uccidere ed essere uccisi. Finché, un giorno, qualcuno non entrò nella sua tenda; era coperto di sangue, la mano Nasod era completamente rossa, la lama della spada spezzata per i troppi colpi inferti e parati. Il suo sguardo ardeva di sdegno e furia. Gli gettò in mano la spada e lo trascinò fuori dalla tenda. Gli urlò contro che non doveva lasciarsi abbattere, che solo gli inetti si scoraggiavano alla minima difficoltà. E quando provò ad obbiettare, ricevette solo aspre parole di rimprovero: nessuna comprensione. Raven era così. Con nuova determinazione, riprese in mano la spada e divenne suo allievo. Combatterono fianco a fianco, sempre alla testa dell'esercito; uccisero nemici su nemici, non si fermarono un secondo. E divennero sempre più forti. Per lui, Raven era davvero invincibile: nessuno sembrava poterlo sconfiggere, niente ne intaccava la freddezza e la saldezza. Divenne il suo modello e da lui imparò a combattere, rinacque come la fenice dalle sue ceneri. Poi, una notte, lo vide allontanarsi. Gli si avvicinò, chiese dove andava, se poteva andare anche lui. E si ricordò del sorriso che gli aveva rivolto, forse il primo -No, questa è una cosa che posso fare solo io. Tu non ne avresti la forza.-

-Ma sei tu che mi hai allenato!- protestò -Come faccio a non essere ancora forte?-

-Sei giovane. Troppo.- e, detto questo, era uscito dall'accampamento. Mai si dimenticò di come era il Raven che gli aveva rivolto quelle parole: il suo braccio Nasod era enorme, nero, non sembrava più di metallo... era diventato come una parte di lui. E aveva la sua spada, quella che utilizzava ai tempi dei Corvi. I suoi occhi dorati risplendevano di determinazione. Tutto quello, lo fece sentire strano, gli diede una strana sensazione. E due giorni dopo ne ebbe la conferma: Vnessa gli portò un braccio. Il braccio sinistro di Raven, quello con cui usava la spada. Lo avevano ucciso. I demoni avevano mandato indietro quell'arto come macabro monito. La sua furia era stata cieca. La sua rabbia divorante. La sua sete di vendetta senza freni. Non parlò più con nessuno: né Aisha, né Rena, né Chung. Combatté, soffoco il suo odio nel sangue, massacrando ogni demone che gli si metteva davanti; sempre in prima linea, sempre con la sua furia. Ma niente sembrava placarlo: l'unico che voleva davvero era Ran. Lui, colui che aveva scagliato le legioni dei demoni sul mondo; Lui, che stava portando tutta quella distruzione; Lui, che aveva ucciso Raven. Infine, il giorno della vendetta era arrivato: la milzia di Belder attaccò la città in un ultimo assalto e sfondò i cancelli. Il palazzo era circondato, ma si combatteva ancora in ogni angolo della città. E ora, era sulla scalinata che conduceva all'interno dell'edificio dove l'oggetto del suo odio lo aspettava. Fece un passo. Ma qualcuno chiamò il suo nome -ELSWORD!- Si voltò di scatto, guardando Aisha, col fiatone, che gli correva dietro. Gli arrivò a canto. Era corsa fin lì? -Dove stai andando?-

-Non sono affari tuoi.- e si voltò, tornando a salire. Ma la mano della maga si strinse sulla sua spalla, bloccandolo -Elsword, non farlo... ti ucciderà... è troppo, per te...-

-Ha ucciso Raven.-

-Ora basta con questa storia! Da quando è morto, sembra che non ti importi più di vivere! Non parli più con nessuno, non mangi, non esci dalla tenda... uccidi e anneghi nella tua rabbia! Ora basta, Elsword! Raven non vorrebbe vederti così!-

-COSA NE SAI, TU?!- urlò -COSA NE SAI DI COSA AVREBBE VOLUTO?!-

-Elsword, so come ti senti ma...-

-NO, TU NON LO SAI! NESSUNO LO SA! LUI ERA IL MIO MAESTRO, LUI MI HA INSEGNATO A COMBATTERE, LUI MI HA COSTRETTO A CONTINUARE A COMBATTERE, QUANDO MI STAVO ABBANDONANDO!-

-LUI DI CERTO NON TI CHIEDEREBBE DI ANDARE A MORIRE PER VENDICARLO!- senza accorgersene, anche Aisha si ritrovò ad urlare. Urlò tutta la sua rabbia, tutta la sua frustrazione. Le dava sui nervi. Si credeva tanto forte, non vedeva i suoi limiti. Era ancora un dannato bambino. -SE MORIRAI, COME FAREMO?! COME FARA LA MILIZIA?” E CHUNG E RENA?!...- ansimò -...e come farò io?- aggiunse in sussurro. Elsword la guardò. Era ferita, ansimava e le magie le stavano risucchiando via tutto il mana, rendendola sempre più pallida. Si sentì uno stupido. Come si era ridotto? Ma ormai... -...è troppo tardi per tornare indietro.- e, detto questo, si allontanò, salendo i gradini. Non si voltò indietro. Questa fu l'ultima immagine che Aisha ebbe di lui.

 

*

Sedeva sul suo trono nero e scarlatto, appoggiato su un bracciolo, i lunghi capelli bianchi che ricadevano sulle spalle. Gli occhi vermigli fissarono Elsowrd fin dal primo momento in cui entrò nella sala. Il guerriero restituì lo sguardo. Uno sguardo carico d'odio, d'ira... di determinazione. Era rosso di sangue di Vargo, di Viverna, di Coccatrice. Era ferito. Sentiva le braccia pesanti. Ma non importava. Lo avrebbe ucciso, avrebbe vendicato Raven. Guardò Ran, il suo sguardo divertito. Lui lo aveva ucciso. Aveva ucciso il suo maestro, il suo migliore amico. Alzò la spada, puntandogliela contro. -COMBATTI, BASTARDO!- 

  
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