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Autore: rees    24/06/2012    5 recensioni
Ambientata post finale di terza stagione (è vecchissima e l'ho appena ritrovata), come se la quarta non ci fosse mai stata.
Come sarebbe potuta andare (ma, come sappiamo, non è andata) tra Jane e Lisbon dopo la morte di John il Rosso (Tim Carter).
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Maledizione! È la seconda volta che mi ritrovo in questa situazione. Di certo la prima volta non è stato così difficile.
Sono passati tre anni da quando Patrick ha ucciso John il Rosso. Tre anni durante i quali il team è riuscito a trovare tutte le attenuanti possibili contro la pena di morte, prima tra tutte, l'arma che l'assassino teneva stretta sotto il braccio, che si è rivelata la più influente. Hanno faticato un sacco a trovare delle attenuanti anche per la premeditazione, dato che entrare in un centro commerciale con una pistola non è proprio segno di omicidio improvvisato; comunque con tutto l'impegno che hanno impiegato sono riusciti a fargli avere un solo anno di reclusione. Con la promessa che, non appena sarà tornato al lavoro (non so se ha ipnotizzato Bertram per farsi riassumere), non mi rivolgerà la parola per almeno il resto della sua vita.
Mi sono tirata fuori dal caso appena ho saputo quello che aveva fatto. Ho chiesto un permesso ad Hightower – ovviamente reintegrata – e lei ha acconsentito all'istante, capendo le mie ragioni.
Ed ora mi trovo a riflettere su questi anni passati, seduta, con una gamba poggiata sulla scrivania, questa volta rotta e non slogata. Guardo fuori dalla finestra del sottotetto, diluvia e le gocce che scivolano lungo il vetro creano disegni astratti, mettendomi addosso un sacco di malinconia. Lui non lo sa, o finge di non saperlo, che ho passato un anno tremendo a causa sua. Le lacrime mi hanno assalita ogni notte, da quell'episodio. E ho passato tre quarti del mio tempo in ospedale, tanto che sono stata mandata in ferie forzate prima di rischiare di morire in una delle tante sparatorie per colpa della mia testa perennemente concentrata sull'assenza di quei ricci biondi.
La gamba rotta me la sono procurata proprio a causa di quei ricci che mi sono trovata davanti mentre scendevo di corsa le scale del CBI. Sono caduta dallo shock per ritrovarmi in ospedale, di nuovo, con una gamba ingessata e tanti antidolorifici.
Ora sono in via di guarigione, l'accesso al sottotetto vietato al consulente almeno finché non starò meglio. Mi sono accorta che quassù, nonostante tutto, mi concentro meglio mentre compilo le scartoffie, e la scrivania è all'altezza perfetta per poggiare la mia gamba, ora solo fasciata. Solo che è la pioggia, oggi, a distrarmi. Non so perché ma sento questo peso in petto che mi impedisce di concentrarmi. Sarà per il sorriso malinconico che ogni giorno mi rivolge Patrick quando entro con le stampelle passando davanti al bullpen dopo aver preso il mio caffè, sarà perché ogni mattina trovo sulla scrivania un mazzo composto da una peonia, una calendula ed un giacinto, tutti fiori che servono a chiedere perdono; sarà perché si sta impegnando come promesso a non rivolgermi la parola nemmeno sulle scene del crimine quando comunichiamo utilizzando Cho come tramite, come bambini di due anni. Però, se non lo perdono, un motivo c'è. Per sette lunghi anni ho tentato in ogni modo di convincerlo ad abbandonare i suoi propositi di vendetta, ho creduto di avere più tempo, invece no. John doveva pentirsi e chiedere scusa all'idiota! Quando Rigsby me l'ha detto mi è venuta voglia di andare a vedere il corpo del killer e sparargli di nuovo. Ma dico, brutto idiota che non eri altro, uccidi la moglie e la figlia di un uomo, sai benissimo che lui vuole vendicarsi, giochi con lui per sei lunghissimi anni e non pensi minimamente che lui non ha alcuna intenzione di lasciarti andare via così? Non ti viene in mente che, sapendo che vi sareste incontrati, si sia in qualche modo “attrezzato”? No. No, perché il corpo esanime aveva ancora un'espressione stupita sul volto.
La pioggia continua ad impazzare ed i miei pensieri si fanno sempre meno coerenti. Mi rendo conto di essere passata dalla mia caviglia a John senza collegamenti precisi se non uniti da una sola costante: Patrick Jane. Prima, quando l'ho visto in prigione la prima volta, la spalla fasciata ed i suoi occhi fissi sulle bende, prima mi sentivo tradita. Tradita perché Patrick era la persona che più mi era stata vicino, era il mio migliore amico. Poi, invece, tempo un anno, che l'affetto si è trasformato in qualcosa di più profondo. Amore? Non potevo saperlo, poiché lui non era lì come sempre. La costante, quella che anche oggi non mi vuole lasciare, è il senso di tradimento. Per capire di amarlo, però, ho impiegato pochi minuti. Mi è bastato vederlo lì, in fondo alle scale che portano quassù al sottotetto.
Nuovamente mi rendo conto di essermi deconcentrata. Quando mi riscuoto mi accorgo che Patrick è entrato nella stanza di soppiatto, poggiando lui personalmente i fiori sul banco di legno. È la prima volta che si fa vedere quando sono sola. La sua espressione da cucciolo ferito mi trafigge il cuore come una lama, ma ha sbagliato. Non avrebbe dovuto uccidere la sua nemesi, per quanto profondo potesse essere l'odio, non ha scusanti.
Insieme ai fiori posa sulla scrivania una lettera e si allontana, senza però uscire dalla stanza. La apro lentamente ed inizio a leggere le parole scritte con quella calligrafia elegante ed allo stesso tempo comune che ho visto tutte le volte che mi ha lasciato un messaggio per qualche caccia al tesoro e che ormai ho imparato a riconoscere.

Cara Teresa,
come promesso non ti sto rivolgendo la parola, sappi solo che mi dispiace davvero la situazione che si è creata tra noi. So che la colpa di tutto ciò è solamente mia, ma non ti dirò che sono pentito di averlo ucciso. Ora sono in pace con me stesso.
Nel momento in cui ho premuto il grilletto ho sentito di aver fatto la cosa giusta anche se non era più per Angela e Charlotte, ma per me. Per me perché ora non sento più i sensi di colpa. Per me che ora posso provare a ricostruirmi una vita.
I fiori che ti lascio tutti i giorni indicano perdono, questo ormai l'avrai scoperto. Avrai scoperto anche che il giacinto si regala per chiedere perdono alla persona amata.
Ed è per questo che ti scrivo, come un bambino alle elementari con i bigliettini su cui va messa la crocetta, perché è così che ci stiamo comportando ultimamente. Mi dici sempre che ho la maturità di un bambino di cinque anni ma in questi ultimi mesi mi sembra che stiamo facendo a gara a chi si comporta nel modo più infantile.
Ti scrivo, perché tu non sai le ultime parole che mi ha detto John prima che sparassi quei tre colpi. Mi ha fatto capire di essere lui l'uomo che cercavo con tanta foga, ma prima, prima mi aveva detto di smetterla di inseguirlo. Di trovare una donna da amare. Di mettere su famiglia.
Ti scrivo, perché tu non sai quali sono state le ultime parole di Bosco prima di morire, quando ho alzato lo sguardo su di te attraverso il vetro. Mi ha detto che mi amavi. Solo tre parole che mi hanno portato a cambiare il mio atteggiamento nei tuoi confronti.
Mi sono avvicinato a Kristina per cercare di capire se le persone troppo vicine si rivelavano in pericolo e quando così è stato la distanza tra noi è diventata incolmabile. Ho iniziato a tenerti segrete molte cose. Prima i versi di William Blake, poi l'innocenza di Hightower, la talpa al CBI. Segreti mantenuti per proteggerti, segreti mantenuti con le intenzioni migliori, posso giurartelo. Ma un segreto non avrei dovuto mantenerlo, l'arma. Avrei dovuto dirtelo, avrei ucciso John in un altro modo, ovviamente, ma tu avresti capito. Avresti capito che nulla al mondo poteva farmi rinunciare alla mia vendetta, anche senza approvarla. Probabilmente ora le cose sarebbero uguali, ma io potrei dire di aver fatto davvero tutto il possibile per non ferirti come invece ho fatto.
Per i primi mesi, quando Kim mi ha detto che O'Laughlin ti aveva ferita in un modo più grave di quanto tu mi avessi detto mi sono sentito un verme. Avevi detto che saresti stata bene, pensavo ti avesse sparato su di un braccio, invece no. Ti ha colpita poco sopra il seno destro, me l'ha detto sempre Kim. Così come ho odiato Van Pelt quando ho saputo da Hightower che subito dopo la sparatoria è corsa da O'Laughlin, invece che controllare la tua salute. E, fidati, in carcere, di tempo per odiare e sentirsi dei vermi, ce n'è in abbondanza.
Lo so che mi odi, non mi aspetto altro. Ma so anche che una piccola parte di te mi ama. Non nel modo normale di amore, ma di un amore tutto nostro. È un modo diverso, fatto di sarcasmo e battute, ma è pur sempre amore. Così lontano da quello carnale, non è un amore che è nato così, di punto in bianco, è maturato con il tempo. È sempre stato amore ma era totalmente diverso. Era un amore basato sul flirt, sulle nostre piccole e quotidiane battute. E probabilmente sarebbe nato prima se non avessi tentato la sorte con quella pazza che si fingeva una sensitiva (e tra parentesi, ma siete riusciti a svegliarla? Perché, fosse per me, potrebbe rimanere cerebralmente morta). Anche in questo, quindi, la colpa non può essere che mia, ma se sono qui, ora, nel sottotetto in attesa che tu termini di leggere questa lettera seduta alla scrivania con la gamba fasciata, è solo per farmi perdonare.
Se vuoi aggiungo davvero i riquadri per scegliere “si o no”, ma la domanda è semplice. Mi ami? Perché io ti amo, con tutto me stesso.
Tuo per sempre,
Patrick

Sono lacrime quelle che sento scorrere sulle mie guance, fino a giungere alle mie labbra dischiuse? Il sapore salato è proprio il loro e devo sforzarmi immensamente per non continuare a piangere. Al diavolo John, lui è qui. Ha ucciso un uomo, per quanto un assassino, ma se fosse andata come credevo io, ora lui non avrei questa lettera tra le dita. La mia visione drastica della morte del serial killer prevedeva me in lacrime che lo uccidevo perché lui aveva ucciso Jane. Posso quindi ritenermi molto fortunata ad avere quel biondo angelo seduto sulla brandina alle mie spalle.
Con fatica mi alzo dalla sedia e, zoppicando, arrivo a sedermi al suo fianco con una penna in mano. Prendo il suo braccio e con cura traccio due piccole linee, una sinuosa e l'altra retta. Alzo lo sguardo per incontrare i suoi occhi. Sorride.
Sorrido anche io. Lo so, sono volubile e lunatica, ma non è sempre così. Patrick Jane mi fa un brutto effetto. Lo amo e questo è abbastanza.
Non mi interessa di quello che è successo tre anni fa. Tre anni sono tanti. Tre anni sono abbastanza per perdonarlo. Tre anni fa lo avrei ucciso, ora, invece, mi domando semplicemente perché abbiamo dovuto attendere tutto questo tempo per stare insieme.



Spazietto autrice
Funziona così: invece di studiare per la maturità (e per la terza prova di domani), mi metto a rileggere le mie vecchie ff dall'hard disk e ne trovo di mai pubblicate. Quindi le pubblico.
Questa... potrebbe essere carina se non fosse che con tutta la stagione passata è praticamente inutile e stupida! xD
Bon, volevo chiedervi le solite recensioncine carine carine che sono sempre iper apprezzate ma, soprattutto, di iscrivervi a questo fantastico contest in onore del Jisbon Day!
QUI!
Un bacione baciotto,
Aoko
   
 
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