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Autore: Iluvatar    24/06/2012    3 recensioni
In questa linea temporale, nessuno ha notizie di Frodo e Sam da tempo, e la Guerra dell'Anello continua imperitura. Minas Tirith resiste ancora, e un nuovo Generale si appresta a guidare le truppe di Sauron. Ma il corso degli eventi è steso su di un libro indecifrabile, già scritto, ma incomprensibile e imprevedibile...
Premetto che si tratta della mia prima Fan Fiction, e che le critiche sono ben accette...
Buona lettura :)
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il  germoglio indelebile del Passato


Tutta la scena appariva inondata dal buio. Un impenetrabile cortina di fumo giaceva sulla landa. Lentamente, la massa d’aria sembrava muoversi, diventare compatta; in lontananza pilastri di fumo salivano verso il cielo, come grandi torri, mentre fiocchi della stessa aria grigia andavano schiarendosi, salendo ancora più in alto sottoforma di strati informi. In basso, il fumo si incanalava lungo un’unica direzione accompagnato da un curioso rumore, e parti di questa grande corrente cominciarono a brillare di un’opaca luce riflessa…  era come se l’aria volesse aderire allo scenario che nascondeva. Le colonne di fumo distanti si compressero fino a divenire solide, aderendo completamente a ciò che sembrava una fortezza. I fiocchi dispersi divennero chiari e candidi, come delle nuvole. Lunghe distese di erba verde andavano formandosi, mentre alla base della lontana fortezza si era generato un grande fiume. Il fumo restante nell’aria si diradò velocemente, liberando un infinito cielo scuro, appena illuminato dalle lontane luci del tramonto.

Ma un nuovo, diverso tipo di fumo, non era sparito dalla scena. Nero e cupo, si innalzava da un piccolo villaggio ai margini di un inospitale foresta. Una figura tetra e spaventosa sovrastava la scena, retta e immobile sulla cima di un colle. Indossava una sofisticata armatura a piastre, stivali e guanti in pelle e un elmo di ferro, che la rendeva ancora più temibile. Quando lo tolse, l’essere si mostrò per ciò che era, un orco: non aveva capelli, e grossi bozzi di pelle riempivano il suo grottesco volto ruvido e verdastro. I suoi piccoli occhi rossi fissavano con attenzione il villaggio in fiamme ai propri piedi, messo a ferro e fuoco dai suoi serventi. Tetre risate si innalzavano tra le case in fiamme, mentre svariati orchi correvano senza apparente ordine per le strade.

 Ma tra la folla di piccole orride creature che si affrettavano nei loro saccheggi, due individui si distinguevano vicino ad un granaio semidistrutto: uno era alto e robusto, con addosso una grezza armatura di ferro; il suo viso (orchesco, ma incredibilmente espressivo) era di un curioso marrone pallido, ed era solcato da qualche ruga. Aveva lunghi capelli scuri e li agitava furiosamente mentre degustava una grossa zampa di maiale. L’altro appariva molto basso rispetto al corpulento amico, ma era ben impostato; Indossava una cotta ferrea arrugginita insolitamente pulita coperta da una corazza leggera. I suoi capelli erano neri e arruffati, e il viso era attraversato da svariate cicatrici. A dispetto di quanto si potesse credere, quello era il volto di un giovane uomo.

 Il ragazzo lanciava torvi sguardi ai vari orchi che passavano vicino al duo, e con un sospiro profondo si voltò verso il compagno:” La mia lama oggi non è stata desta come dovrebbe, Uflag. La mia volontà vacilla.”

 I suoi occhi scuri si posarono pensierosi su di una piccola casa inghiottita dal fuoco.

“Non riesco a sfoderare la mia ira contro gli abitanti dell’Ithilien. Sai, quando gli Esterling mi abbandonarono qui durante una fase del mio addestramento, temevo queste genti.” La sua voce si fece grave. “ Ma non sospettavano della mia natura, e mi accolsero tra loro… un po’ mi manca quel periodo.”

“Anch’io ho svariati ricordi riguardo queste terre.” disse il mezz’orco, strappando con i grossi denti altri bocconi di carne da portare alla bocca già piena. “Non è la prima volta che vengo mandato in queste lande a depredare villaggi.”

Il giovane, con le braccia incrociate e una smorfia di disapprovazione, lanciò uno sguardo curioso all’amico. “Io mi riferivo a ricordi felici.” disse con voce fredda.

Il mezz’orco allargò la bocca in un sorriso deforme e indicò fieramente la sua zampa di maiale. “Beh, anche io. “

Il ragazzo assunse un’espressione indecisa tra la risata e il rimprovero, e spostò il suo sguardo su un gruppo di suoi commilitoni. D’improvviso, uno schiocco rapido gettò a terra uno degli orchi, che cadde trafitto da un sottile giavellotto. Il giovane umano allargò gli occhi con aria stupefatta e afferrò con furia la spada legata alla cintura, mentre il suo compagno abbandonava il tanto bramato bottino di viveri per prendere con le poderose mani uno spadone poggiato accanto. Le urla graffianti degli orchi si fecero più rabbiose, mentre un incalzante rumore di zoccoli invadeva le strade del villaggio. Tra le macerie, i due potevano chiaramente vedere un gran numero di cavalieri con strette maglie azzurre e splendenti corazze, armati di lunghe picche.

Il mezz’orco scrollò le spalle e fece roteare un paio di volte la sua grande spada. “Gondor risponde… ma non possono essere tanti, non qui.” Si voltò appena. “Seguimi , pivello.” In poche falcate raggiunse il centro della battaglia e il giovane, con respiro affannoso, lo seguì.

Il primo raggiunse una decina di orchi piegati innanzi alla marea di cavalieri nemici, mentre il secondo si ritrovò ben presto ad affrontare da solo un Gondoriano, che disarcionò assestando un fendente alla gamba del cavallo dell’avversario. A colpi di spada il ragazzo si fece strada nella distesa di tintinnii e lamenti acuti che aveva ricoperto tutto il borgo, finché non avvertì un duro blocco al livello delle gambe, ed inciampò. Con un espressione di sollievo si assicurò di essere del tutto integro e quando si voltò vide che era inciampato contro un cavallo, che con macabri nitriti ansimava per terra. Attorno a lui le urla si innalzavano con più forza, mentre il suo sguardo ostentava tra le fiamme delle capanne vicine e il fumo sempre più fitto. Il giovane tentò di alzarsi, ma un duro colpo lo raggiunse nel mezzo delle scapole, spedendolo con un grave tonfo contro il terreno. Il fango gli coprì il viso, e mentre cercava di scollare il miscuglio di capelli e terra incrostato sugli occhi, qualcosa lo sollevò per una cinghia della corazza con un forte scossone e lo lanciò contro una grossa trave di legno.

 Con uno sforzo immane, il ragazzo aprì gli occhi; lo scenario davanti a lui era sfocato e confuso, ma tuttavia riuscì a vedere: a pochi metri un enorme soldato di Gondor sovrastava di parecchio il suo sguardo. Era alto quasi quanto Uflag, ma i suoi capelli erano ricci e biondi. Con la mano sinistra toglieva del sangue dal labbro inferiore, gli occhi vitrei fissi sul giovane accasciato contro la trave, e con la mano destra reggeva una sottile spada.

Con passi gravi e lenti, il soldato avanzava verso il giovane, che a fatica cercava di ritrarsi. Con gli occhi ancora impastati di terra, il ragazzo arrancava il più lontano possibile da quell’uomo, ma un dolore lancinante attraversò da parte a parte la sua gamba sinistra costringendolo ancora una volta a cadere per terra. Il Gondoriano, chinatosi sul giovine, aveva trafitto la sua gamba con estrema rapidità e rigirava la propria lama nella ferita. Il giovane tentò di urlare, ma la sofferenza lo soffocava. Non riusciva a vedere nulla e si rifiutava di ascoltare gli acuti di dolore provenienti dal resto del villaggio. Avvertiva soltanto un insopportabile calore divampargli sulla guancia destra. Aprì gli occhi e, incapace di mettere a fuoco la situazione, allungò il braccio destro verso un forte bagliore a pochi centimetri dal suo volto, e strinse la mano attorno ad un tizzone di legno ardente.

Deciso a non cedere di fronte alla morte, il ragazzo sfruttò le sue ultime, disparate forze per sollevarsi col braccio sinistro e con un scatto del braccio destro sferrò un rapido colpo sul volto del Gondoriano, che con un grave lamento cadde all’indietro, piantando l’elsa della sua spada nella fanghiglia. Per un attimo il giovane riuscì a portare le mani al volto sporco e sudato per liberarsi dalla crosta di terra che lo accecava, ma quando le prime luci attorno alla scena cominciarono ad assumere forma e colore, vide nuovamente l’ombra del gigante soldato che si scagliava contro di lui.
Con forza immane venne sollevato; per un secondo interminabile, sentì il caldo e sgradevole respiro del nemico sul suo volto, prima di essere scaraventato contro un muro di mattoni. Le mani dell’avversario cinsero il tenero collo del ragazzo, ormai sopraffatto. Attorno a lui la scena tornava confusa, il fiato veniva a mancare, e gli occhi deboli osservavano la luce fioca delle stelle spegnersi tra le sue pesanti palpebre... ma così come un piccolo fuoco si alimenta anziché spegnersi davanti al vento, la debole fiamma della sua volontà lo spinse ancora una volta a impegnare ogni sua forza nell’estremo atto di salvarsi. Energicamente il giovane sollevò la gamba destra e colpì alla cieca davanti a lui.

Nel caos della sua mente, capì soltanto di poter assaporare ancora una volta l’aria libera. Cadde nuovamente a terra, ma questa volta non vide nessuna ombra minacciosa avanzare verso di lui; desiderava tanto allietarsi nella sua meritata pace, ma capì quanto potesse essere breve e precaria, così si sollevò con acuti lamenti e guardò con attenzione davanti a sé. Il Gondoriano gemeva a terra, muovendo a scatti i piedi, ma del tutto incapace di alzarsi. All’altezza delle costole, la sinuosa spada si ergeva al di sopra del suo proprietario, trafiggendone il petto. Il ragazzo cominciò a osservare l’arma, come rapito; si accorse solo allora di quanto la lama fosse elegante e curiosamente nera. Iniziò ad arrancare verso il corpo ormai immobile dell’enorme avversario, gli occhi fissi sulla spada. Si accasciò accanto al Gondoriano e infilò la mano sotto il suo corpo, in un impasto di terra e sangue fresco.

Strinse le dita attorno all’elsa, e la percezione dei suoi sensi venne alterata.

Attorno a lui, tutto cominciò a spegnersi. Le abitazioni si dissolsero come polvere al vento, mentre lo scenario distante perdeva consistenza, lasciando posto ad un fosco fumo grigiastro. Le fiaccole attorno alla scena perdevano colore, mentre il terreno diventava sempre più friabile. Allo stesso tempo, due voci si inoltrarono nella mente del giovane; Una era fredda e pacata, femminile, decisamente distante, mentre l’altra proveniva direttamente da qualcuno alle sue spalle che lo strattonava, ed aveva un tono più che familiare…

Vi è malizia in questa spada… finalmente ti ho trovato, pivello …il nero cuore del fabbro vi risiede ancora… che l’Occhio mi sia testimone, Ulthar! Hai ucciso il loro capitano! …non amerà la mano che la impugna… Generale! Tu, verme, chiamami il Generale …né rimarrà con te a lungo.



Il Numenoriano spalancò gli occhi bruni all’oscurità della stanza.



Si mise a sedere in fretta, il viso grondo di sudore, fissando il nulla. Dopo qualche secondo di riflessione, alzò lo sguardo: con un fioco cigolio, la porta della baracca si era aperta mostrando un Nazgul all’ingresso, un’ombra nera circondata dall’opaca e candida luce della luna. “Seguimi.” Disse con un rauco sussurro, per poi voltarsi e sparire alla vista dell’uomo. Ancora incapace di inquadrare la situazione, Ulthar si alzò e, spinto dalla forza dell’abitudine, indossò la pesante armatura a piastre e prese con insolita riluttanza la sua arma. La candela poggiata sul tavolo si era oramai esaurita, e il camino spento lanciò qualche scoppiettio mentre l’uomo si affrettava fuori dalla porta.

Rimasto su di una sedia all’interno, l’inquietante elmo di ferro luccicava del riflesso di una piccola finestra. Il Numenoriano non badò alla sua dimenticanza e imboccò quasi inconsciamente il vicolo più vicino; questo era stretto e buio, ma la luce di una fiaccola lontana indicava il cammino. Dopo qualche curva, il lungo vicolo si fece più largo, fino a giungere in una piazzetta dove le vecchie lastre di pietra della via cedevano coperte da muschio ed erba folta. Lì, i Nazgul presenti erano divenuti tre: Le nere figure osservavano l’uomo dall’alto di tre cavalli altrettanto scuri. Accanto a loro, una quarta cavalcatura dal pelo marrone agitava furiosamente uno zoccolo contro una zolla di terreno, mentre alle loro spalle una ventina di orchi dall’aria assonnata prendeva posto su grossi mannari.

Il Numenoriano lanciò uno sguardo interrogativo agli spettri, finché uno dei tre non parlò. “Abbiamo stabilito per te una nuova missione, umano. Guiderai queste esigue truppe in una missione a Nord. Il vostro obbiettivo sarà mantenere un basso profilo per infiltrarvi tra i nostri nemici.” Lasciò le brighe del cavallo libero, e Ulthar le afferrò con rapidità. “Ti condurremo.” Subito dopo i tre Nazgul si voltarono, lanciandosi in una veloce cavalcata lungo le lande, seguiti dalla manciata di orchi. Il Numenoriano salì in sella e lasciò briga sciolta al suo destriero, che raggiunse in fretta il resto dei compagni. Ulthar permise ancora una volta alla mente di vagare nell’ignoto dei suoi pensieri, mentre il gruppo imboccava una via celata tra gli alberi. Una missione con una ventina di orchi, mai aveva sentito una scusa più patetica di questa, eppure i Nazgul parevano più che fermi nella loro decisione. Di qualunque cosa si trattasse, quel compito avrebbe portato alla morte tutti loro, eppure perché

…la compagnia rallentò, fino a fermarsi del tutto alle pendici di un colle. Il viaggio era durato meno del previsto. Lo scenario apparve familiare agli occhi di Ulthar, e decisamente vivo nei ricordi. Oltre il bosco, una vasta landa con pochi villaggi giungeva fino al grande fiume Anduin. Lì, su di una piccola isola, era possibile scorgere una lontana fortezza. Il Numenoriano spalancò gli occhi dall’incredulità. Era tornato sulle coste di fronte a Cair Andros.

Di fronte al suo fato ignoto, il Numenoriano ostentò lungo la via della Redenzione.
  
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