Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: SAranel    25/06/2012    8 recensioni
Sherlock e John, in una rara serata tranquilla nel loro appartamento, decidono di guardare i Bafta Awards alla TV. Peccato che la serata non sia destinata a rimanere tranquilla come John sperava. Cosa succederà?
"Cosa dovremo sorbirci, stasera?" sbuffò Sherlock spazientito. "Altri episodi di Doctor Who? Altre interminabili repliche di Top Gear o i tuoi adorati polizieschi?".
John ebbe una mezza idea di fulminare il detective con un'occhiatina glaciale ma abbandonò quasi immediatamente l'intenzione quando Sherlock, deliberatamente e perfettamente conscio della reazione che avrebbe provocato, strofinò il naso contro la pelle morbida del suo collo.
“Per tua informazione” disse, meno autoritario di come si fosse imposto di sembrare. “Stasera ci sono i Bafta. E ho tutta l’intenzione di guardarli fino alla fine”.
Sherlock, che aveva cominciato a lambire con le labbra il percorso dal suo collo al lobo dell’orecchio, si scostò da lui come se avesse appena preso una scossa improvvisa, con uno sguardo atterrito in viso, come se John avesse appena minacciato di infilargli una mano nel tritarifiuti."[...]
Genere: Avventura, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ciao fandomminomioadorato!
Ci ho messo un secolo per aggiornare, perdonatemi, ma il tempo è stato veramente tiranno con me!
Questo è definitivamente il penultimo (stavolta per davvero, sì) capitolo, prevedevo dovesse essere l’ultimo, ma non volevo costringervi a decine e decine di pagine tutte assieme e ho preferito dividerlo!
Sperando in bene, vi auguro buona lettura!

S.

 

*

 
John attese, preoccupato e teso, che Sherlock parlasse, che mettesse fine alle mille domande su quell’uomo che John aveva in testa, frustrato dal non poter conoscere la sua identità.
“Buonasera, Signore” sentì però dire a Sherlock, del tutto inaspettatamente. “In cosa posso esserle utile?” continuò, in un tono gentile e cordiale palesemente contraffatto. John si sporse inutilmente in avanti, chiedendosi ancora chi fosse la persona e perché Sherlock gli si stesse rivolgendo a quel modo. Non era uno dei loro inseguitori, forse?

“Che sfacciataggine!” sbottò l’altra persona, adesso ancora più irritata di prima. “Questa sera la biancheria nella mia stanza non è stata cambiata! Esigo una spiegazione, giovanotto! Che razza di servizio offrite?”.
John tirò un sospiro di sollievo forse un po’ troppo sonoro, tanto che fu costretto a tapparsi la bocca con il palmo della mano, sperando con tutto il cuore che lo sconosciuto non avesse sentito. Per fortuna, almeno a giudicare dal suo continuo tamburellare sul pavimento con la punta del piede, non si era accorto di nulla.
“Oh lei ha ragione, Signore, ma c’è stato un…piccolo intoppo” disse prontamente Sherlock, e John ancora si stupì per quanto credibile quell’uomo riuscisse a sembrare a seconda delle situazioni. “Verrò immediatamente. Stanza?” domandò.
Il tamburellio cessò, e il proprietario del paio di gambe si rilassò mollemente, come se tutta la tensione di poco prima fosse dovuta esclusivamente a quel paio di insignificanti asciugamani sporchi.
“La 323” disse l’uomo, spocchioso. “E quella comunicante con la stanza del Signor West, l’attore. Sono il suo assistente” disse il tizio con tono supponente, come se si credesse di una spanna superiore a Sherlock.
John esultò silenziosamente nel suo nascondiglio, agitando i pugni e facendo attenzione a non urtare le pareti di metallo. Quella fortuna era giunta insperata e soprattutto al momento giusto, quando le speranze di riuscire erano drasticamente diminuite rasentando lo zero. Sentì Sherlock battere con le ginocchia contro il carrello, probabilmente anche lui in fibrillazione per la gradita scoperta.
“Oh, verremo certamente, Signore, ci conti” sentì annunciare a Sherlock con tono eccitato. L’uomo batté i tacchi sul marmo del pavimento e tossicchiò.
“Molto bene, grazie. Io sarò giù per un po’, ma al mio ritorno mi aspetto che la mia richiesta sia stata esaudita” aggiunse, con tono ancora più presuntuoso. John aveva una seria voglia, nonostante quell’uomo insopportabile fosse la fonte di ogni loro fortuna, di prenderlo a schiaffi. Se l’avessero punzecchiato con uno spuntone, sarebbe esploso come un palloncino a una festa di compleanno.

“Sarà fatto” lo assicurò di nuovo Sherlock. “Glielo garantisco”.

L’altro sbuffò con fare arrogante, e si allontanò.
“Arrivederci, Signore” John sentì dire al coinquilino, e fu straordinariamente sollevato di vedere i piedi di quell’uomo scivolare via dalla sua visuale verso la scalinata.

Quando furono al sicuro, senza nessuno nei paraggi nel corridoio, John improvvisò una piccola danza della vittoria nel suo cubicolo che fu accolta da una risatina profonda e soddisfatta da parte di Sherlock.
“Questo è un puro colpo di fortuna! Assolutamente insperato” disse ancora Sherlock, come se anche lui fosse decisamente incredulo di fronte a quello che era appena successo.
John si sostenne al carrello prima di rispondere, con Sherlock che con un notevole sprint aveva preso a correre spericolato per i corridoi come un bambino su un carrello al supermercato.

“Cerca uno scomparto interno, John, dovrebbe esserci un passepartout! Temo che se provassimo a forzare le serrature scatterebbe un allarme interno” gli disse, infervorato. John sbuffò, ancora tenendosi, sballottato dentro la scatola come un uovo in padella.
“Va piano, Sherlock, non siamo a Silverstone! Non riesco a muovermi così” sibilò tra i denti mentre andava a cozzare violentemente contro una scatoletta metallica interna, spinto dalla prima pericolosa curva presa da Sherlock in tutta velocità.

Per fortuna però, in quello scomparto trovò ciò che gli serviva.
“Sherlock!” gridò ancora, stringendo in mano la chiave e mandando al diavolo la riservatezza. “L’ho trovata!” continuò, ricevendo come risposta una raffica di botte sopra di sé, come se Sherlock stesse suonando il tamburo di un’invisibile batteria.

“E assolutamente grandioso, John, grandioso!” ripeté per l’ennesima volta il detective, imboccando l’ultima curva prima di rallentare gradualmente (per fortuna di John aveva deciso di non cimentarsi in una brusca fermata), davanti ad una porta nel corridoio est del piano.

Sherlock armeggiò con il telo bianco sopra il carrello e John sentì Sherlock armeggiare con la parte superiore del suo nascondiglio. Con un ultimo forte clang! la porta scorrevole si aprì sopra di lui. Venire investito dalla luce intensa delle lampade del corridoio costrinse John a strizzare gli occhi per riabituarsi.

“Bentornato” lo accolse il detective, posandogli un bacio sulla fronte. Ridacchiando, John si puntellò sui lati del carrello e sbucò fuori, atterrando sul pavimento.

“Forza, abbiamo poco tempo ancora” lo spronò John, assolutamente deliziato al ricordo delle labbra di Sherlock sulla sua pelle poco prima. Possibile che ancora gli facesse effetto anche un contatto tanto semplice, nemmeno fosse un adolescente alle prime armi?
Sherlock annuì e prese la scheda dalle mani di John, maneggiandola tra l’indice e il medio per individuare la maniera corretta con cui lasciarla passare nel circuito della porta.
John osservò lo scintillante numero 324 in ottone impresso sulla porta di legno scuro poco più avanti come se fosse un premio prestigiosissimo conquistato dopo ore di incommensurabile fatica. E in fondo in fondo, pensò, quell'idea non si allontanava poi molto dalla verità.
Sherlock inserì la tessera nel lettore, che quasi immediatamente emise uno squillo e un flebile ronzio d’ingranaggi che scorrono l’uno sull’altro, e alla fine, con uno schiocco secco, la serratura si sbloccò.

“Entra, presto” sussurrò Sherlock, assicurandosi che nessuno li avesse visti, mentre velocemente chiudeva la porta dietro di loro. La stanza era ampia e spaziosa, una delle più belle stanze d’albergo che John avesse mai visto in vita sua. Soltanto l’anticamera era quasi più grande del loro intero appartamento, e il letto, seppur disfatto da un precedente utilizzo, era uno dei più ordinati, sfarzosi e imponenti che John avesse mai avuto il privilegio di guardare. Sherlock individuò immediatamente la porta per la stanza accanto e senza ulteriore indugio si precipitò ad aprirla senza trovare alcun impedimento, sbucando in una stanza perfettamente gemella di quella da cui erano entrati.
Una sottile brezza notturna penetrò dalla finestra semiaperta, facendo sventolare le tende damascate e le frange dorate delle lampade sui comodini.
“Quest’aria ha un sapore dolce, John” esclamò Sherlock abbassando l’interruttore di una lampada a muro poco lontana. “Sento che la vittoria è vicina”.
John non rispose immediatamente, preferendo prima dare un’occhiata in giro invece di cantare immediatamente vittoria. Ad un primo superficiale controllo, non sembrava che il principale motivo della loro presenza in quella stanza fosse esattamente a portata di mano.
“Aspetta a dirlo Sherlock. Io non vedo quella statuetta in giro” John placò l’entusiasmo del detective. “Troviamola prima di cantar vittoria”.
Sherlock osservò John con disappunto, come se non approvasse che bruciasse in quel modo il suo ottimismo. Dopo un’occhiata alla stanza anche da parte sua, uno sguardo desolato stampato sui bei tratti diede conferma a John che anche il detective era giunto alla sua stessa conclusione.
“Io darò un’occhiata negli armadi e nei comodini. Tu controlla la stanza del suo assistente, magari l’ha lasciata lì prima di andare”.
John annuì, sperando con tutto il cuore che Sherlock non si sbagliasse, e attraversò nuovamente la porta fra le due camere.

Sherlock fu minuzioso e certosino nella sua ricerca, come sempre.

Aprì le ante del grosso armadio laccato, trovandovi solamente qualche abito elegante e biancheria da letto ordinatamente ripiegata, controllò il contenuto dei cassetti (troppo piccoli per un oggetto di quelle dimensioni, ma era sempre meglio controllare), dei comodini, controllò sotto il letto, sul pavimento lindo e pulito, nelle intercapedini tra i mobili e le pareti, sullo scrittoio sul quale era poggiata solo una pila di vecchi libri e una macchina fotografica. Fece un approfondito sopralluogo in bagno (mobiletto vuoto, il water idem per fortuna, cestino della spazzatura immacolato) e infine, sconsolato, vide la sua ultima speranza andare in fumo quando John ritornò della stanza con espressione mesta e a mani vuote.
Sherlock colpì il muro con un pugno, provocandosi discreto dolore che mascherò in un flebilissimo verso sconsolato, e sospirò.
“Dove diamine l’avrà messo? Sono sicuro che è qui, lo ha lasciato qui, lo so!” sbottò, esasperato il detective.

John si guardò ancora intorno, scoraggiato.
“E se l’avesse portata con sé, Sherlock?” propose, ricevendo soltanto un’occhiatina irritata come risposta. Sherlock diede un’altra pacca eloquente alla tasca della giacca.
“Lucy ha detto che West ha lasciato l’albergo con la giacca sottobraccio e nient’altro. Greta ha affermato con sicurezza che è entrato nel locale con la giacca indosso e le mani libere. Jessica la cameriera ha confermato che gli unici effetti personali depositati sono stati un cellulare, un cappello e un orologio”.

John guardò il soffitto, fingendosi costernato per non aver pensato prima alla nuova rete d’informazione di Sherlock. Si colpì la fronte con il palmo della mano, enfatico.
“Oh, è vero. Dimenticavo le tue…Sherlock’s Angels”.
“Le mie cosa?” Sherlock domandò, allibito.
John lo guardò sorpreso.
“Non hai mai… sì, ok, lascia perdere” gettò la spugna in partenza, per nulla desideroso di addentrarsi in quella conversazione.
“Pensa John, pensa. Dove può averla messa? Dove può averla nascosta?”.
“Hai controllato ovunque? Dappertutto?”.
“In ogni angolo e pertugio, John”. Sherlock rivolse a John un’occhiata indispettita, come se fosse offeso da quella domanda. John osava dubitare della sua scrupolosità? Tsk.

John ridacchiò, quando un’idea bislacca e totalmente assurda saltò alla sua mente. Aveva visto un film con una situazione simile nemmeno troppo tempo prima…
“Magari l’ha nascosto nello sciacquone” disse ancora, divertito. “Sai, come un criminale con una pistola illegale e cose così”.
Nonostante John avesse formulato un’ipotesi scherzosa per smorzare la tensione, Sherlock sembrò illuminarsi all’istante, come se fosse stato investito da un lampo improvviso. Senza dire niente si precipitò nella stanza da bagno, arrampicandosi lesto sulla tavoletta chiusa del water e sporgendosi a guardare nella vasca di ceramica dello sciacquone.
Il verso trionfante e soddisfatto che seguì l’attento scrutare del detective, lasciò il medico senza parole. Sherlock tirò fuori una busta di plastica gocciolante, contenente una statuetta bronzea abbastanza pesante, e la lanciò a John che la afferrò sbalordito e abbastanza disgustato.
“Oh mio Dio” balbettò John, incredulo. “Io stavo solo scherzando”.
Sherlock rise, allegro.
“Sei sempre preziosissimo, John!” Sherlock lo abbracciò, in preda all’eccitazione.
“G-grazie…” rispose John, ancora guardando allibito l’oggetto nelle sue mani.
Sherlock rise alla reazione del medico.
“Anche se non capisco davvero perché ha sentito la necessità di nasconderla a quel modo. Insomma, non è certo un…tesoro” affermò poi Sherlock, come se pensasse che anche la sola idea fosse assurda.

John distolse lo sguardo e scoppiò in una risata sarcastica ma assolutamente adatta in quella circostanza.
“Oh non riesco davvero a immaginarlo Sherlock!” esordì in una vocina fintamente ingenua. “Chi potrebbe voler rubare una cosa del genere?”.

Per fortuna, il detective sembrò non aver nemmeno lontanamente udito l’ultima affermazione, all’improvviso preso dalle sue elucubrazioni, con gli occhi puntati nel vuoto e le punte delle dita unite.
John rimase in silenzio, come sempre, ad aspettare che il detective si risvegliasse dalla sua trance. Sperò almeno che stesse elaborando un piano per quella che aveva cominciato a definire la…consegna.

Poi, senza che John potesse prevederlo, Sherlock non si avviò verso la porta, anzi, tornò nella stanza da letto e si avvicinò al piccolo scrittoio accanto alla finestra, dove una macchina fotografica di ultima generazione faceva la sua bella figura nascosta tra due vecchi libri. Il detective l’aveva già notata, in precedenza, senza prestarci molta attenzione nella foga della ricerca.
“Sherlock, cosa fai?” domandò John, allibito. Il tempo a loro disposizione era sempre di meno e adesso Sherlock perdeva tempo dietro qualche foto?
“Voglio capire che tipo è questo West” annunciò, con tutta la semplicità del mondo. Come se non avessero i minuti contati.
“E per farlo devi ispezionare la sua fotocamera?” continuò John, esasperato. Non poteva continuare a ignorare quell’uomo come aveva fatto fino a nemmeno cinque minuti prima?

“Si può capire molto di un uomo dai soggetti che immortala” spiegò, tranquillo, premendo un tasto. “Scrivilo, per tuoi affezionati lettori”.

“Sherlock, per favore… usciamo da qui” lo supplicò John, osservando teso l’orologio sulla porta. Era veramente rimasto pochissimo tempo.

Sherlock non rispose, ma la sua espressione mutò improvvisamente dal profondamente curioso all’assolutamente interessato nel giro di qualche secondo mentre pigiava velocemente la rotella per lo scorrimento delle varie foto. A quel punto John, pur con tutta la fretta e la buona volontà del mondo, non riuscì a non farsi prendere da un moto di curiosità, sbirciando da dietro le spalle del detective.
“Forse dovrò ricredermi, John. A quanto pare il nostro amico era veramente dispiaciuto di aver soffiato il premio a Benedict” disse Sherlock mellifluo, con un sorriso. Porse la fotocamera a John che sbalordito, prese a scorrere le foto una ad una, costretto a schiudere le labbra per la sorpresa. Poi, senza riuscire a fermarsi, scoppiò in una risata fragorosa.
Almeno cinquanta delle settantacinque foto presenti ritraevano Benedict Cumberbatch in tutto il suo splendore in varie situazioni. Benedict intento a sistemarsi la giacca, Benedict in maniche di camicia, Benedict con un drink, Benedict sorridente, Benedict in procinto di salutare un amico, Benedict mentre fumava una sigaretta, Benedict mentre si sistemava i capelli pettinandoli con le dita (‘quella è la più bella’ aveva detto Sherlock e John aveva convenuto) Benedict e il proprietario della fotocamera in posa e sorridenti, West che sfoggiava in volto il suo sorriso più smagliante e uno sguardo assolutamente sognante. A giudicare dai vestiti, le fotografie erano state scattate tutte quella sera stessa.

“Chi l’avrebbe mai detto?” ghignò ancora John, divertito. “Mi sa che non sei l’unico qui ad avere una cotta per lui, Sherlock” lo stuzzicò il medico, aspettando la reazione del detective.

Reazione che ovviamente si manifestò nella solita alzatina di sopracciglia esasperata e una scrollata di spalle indispettita.
“Sai John, stai diventando monotono” esclamò, con tono annoiato. “Potrei davvero contemplare l’idea di rimanere in quest’albergo e…circuire il ‘mio’ bel Benedict”.
John sorrise, anche se con una certa preoccupazione. Non sarebbe certo stata un’impresa per Sherlock, anche se il medico non l’avrebbe mai riconosciuto davanti a lui.

“Oh, ne sei così sicuro? Peccato che solo io riesca a sopportare tutte le tue stranezze”.
Sherlock ridacchiò, ironico.
“Oh si abituerebbe. Se si parla di questo, anche Lestrade mi sopporta da anni. E da più tempo di te, oltretutto”.

Non era del tutto sbagliato ma John represse un commentino acido quando immaginò Lestrade e Sherlock per più di una settimana intera nella stessa stanza. Il povero Greg avrebbe cambiato nazione e continente pur di non rivedere il detective ancora.

“Lungi da me distruggere le tue aspettative, Sherlock” commentò invece, e il detective s’immusonì, come un bambino col broncio.

“Comunque, ora questo West mi è decisamente più simpatico” annunciò solenne Sherlock. “Insomma, non ho il minimo rimorso per ciò che sto facendo, ma se avessi avuto un minimo di senso di colpa, adesso sarebbe drasticamente diminuito”.
John scosse la testa, divertito e allibito allo stesso tempo.
“Certo, Sherlock”.

“Beh sì, insomma, penso che si senta in colpa anche lui, no? Quindi sarà più che felice del nostro gesto. Anzi, sono sicuro che se fosse stato qui ci avrebbe volentieri dato una mano” disse, sicuro della sua affermazione.

John rise, pensando che, effettivamente, alla luce di quella nuova scoperta, Sherlock non avesse poi tutti i torti.
“Peccato che non sia qui allora. Ci avrebbe facilitato di molto l’intera faccenda”.

Con un ultimo sorrisetto complice, Sherlock tornò a concentrarsi sulla via di fuga. Arrivato di fronte alla porta, si fermò per udire ipotetici rumori di passi e una volta assicuratosi che non ve ne fossero, fece cenno a John di raggiungerlo.

“Adesso usciamo, con calma. Non dovrebbe esserci nessuno. Tu rientra in quel coso” disse Sherlock, a bassa voce, controllando ulteriormente la situazione dallo spioncino della porta. John sbuffò ed emise un versetto desolato alla prospettiva di un nuovo giretto su quell’aggeggio infernale, ma non si lamentò, rassegnato.
Per fortuna o per disgrazia (a seconda dei punti di vista) però, qualcuno aveva ritenuto opportuno riappropriarsi del carrello, probabilmente qualche vero inserviente, e già quella prima misera parte del piano andò bellamente a farsi benedire.
“Oh benissimo” esclamò Sherlock, sarcastico, nascondendo la statuetta sotto la divisa come poteva. “Ci toccherà rischiare e andare a piedi”.

Rasentando il muro, i due scivolarono fino al corridoio successivo, abbastanza lontano dalla stanza precedente nonostante si trovasse sullo stesso piano. John si domandò come i clienti di quel posto riuscissero a trovare le loro stanze senza consultare una mappa, che di sicuro, nel caso fosse esistita veramente, sarebbe stata tre volte più ampia dello stradario completo di Londra e dintorni.

Dopo un’altra curva, un altro corridoio, e un ruzzolone per le scale sfiorato per pochissimo, riuscirono a intravedere in lontananza la porta della stanza 221.

“Oh grazie al Cielo!” sbottò Sherlock a bassa voce, dando una pacca al rigonfiamento nella sua giacca provocato dalla statuetta, come a volersi dare coraggio.
Lesti e quasi invisibili, strisciarono quatti fino alla porta, e John sospirò di sollievo.

Sherlock tirò fuori il passepartout dalla tasca con fare sicuro, ormai sentendo la vittoria a portata di mano, quindi fu colto totalmente di sorpresa quando la serratura, al posto del familiare e confortante scatto d’apertura, li accolse con un fastidioso suono cantilenante.
“E ora che succede? Perché non ti apri?” domandò Sherlock alla porta come se quella potesse parlare. Afferrò la maniglia e l’abbasso, senza troppe speranze, trovando ancora l’accesso bloccato. Passò di nuovo la tessera, girandola e rovesciandola nel caso funzionasse a quel modo, ricevendo come risposta sempre lo stesso monotono suono.

John, che sempre più teso non aveva aperto bocca fino a quel momento, tolse di mano al detective la scheda magnetica, preso da un dubbio atroce che cercò in tutti i modi di scacciar via dalla sua mente.
Quando osservò la superficie della tessera, che presentava un impercettibile rilievo che nella fretta era sfuggito a entrambi, mugolò sconsolato.
“Questa apre solo dalla 250 alla 350” disse, appoggiando la schiena al muro e puntando gli occhi al cielo. “Siamo fregati”.

Sherlock, se possibile, era ancora più desolato di lui e John, ormai lo conosceva benissimo, ne sapeva benissimo il motivo. Sherlock non aveva mai sopportato neppure l’idea di non portare a termine un caso, e quando succedeva nella realtà, diventava dieci volte più insopportabile, intrattabile e insofferente di quanto lo fosse di solito. Nella sua mente, John già prevedeva settimane di raccolta proiettili dalla parete, di cibo imposto con la forza e soprattutto un’enorme forza di volontà per non tener conto delle mille battutine acide dettate dalla frustrazione che avrebbe dovuto tollerare.

“Sherlock, è andata così. Non so…lasciala qui di fronte alla porta” propose il medico, non sperando molto in una risposta affermativa di Sherlock. Infatti, l’altro lo guardò come se John avesse appena minacciato di appiccare il fuoco al suo cappotto.

“Mai e poi mai John. Dovessi forzare la porta e farmi arrestare, io porterò a termine quello che mi ero prefisso” spiegò, senza possibilità di replica.
“Sherlock, io però non voglio farmi arrestare!” sbottò John, vagamente indispettito. “Non oso pensare cosa succederebbe, se ci ammanettassero insieme” John sembrò rabbrividire, al pensiero.
“Ti prenderei come ostaggio e ti porterei al sicuro” rispose Sherlock con un sorrisetto furbo, dimenticando per un secondo il problema ‘porta’.
John tossicchiò, divertito.
“Mi trascineresti in un vicolo per sottopormi ad ogni tuo bieco desiderio?” chiese, ridendo.
Sherlock lo guardò sottecchi con uno strano luccichio negli occhi, come se stesse seriamente accarezzando l’idea.

“Non ci avevo minimamente pensato John. Grazie, mi hai fornito uno spunto interessante” lo ringraziò Sherlock, avvicinandosi pericolosamente.
John lo lasciò fare, non curandosi più del tempo ormai agli sgoccioli, felice di poter concedere anche una minima consolazione al suo povero (completamente matto) detective preferito. Sperava di fargli dimenticare quella storia e ogni tentativo criminale di metter fine ad essa, dandogli qualcosa con cui…distogliere la sua attenzione.
John lo strinse a sé in un abbraccio avvolgente, caldo, familiare. Sherlock lo spinse ancora contro il muro bloccandolo con il suo corpo e annullando le distanze per un bacio pieno di trasporto e passione che John accolse più che volentieri con una sensazione trionfante nel petto, senza curarsi di tutto il resto, come se non si trovassero in un corridoio di un albergo extralusso, anche se deserto, con la possibilità di essere visti da chiunque, oltretutto con indosso due divise trafugate, una chiave rubata da un carrello, un oggetto requisito da una stanza non loro e attaccati l’uno all’altro contro il muro come se non si vedessero da un decennio.

Quando si staccarono, per pura necessità respiratoria, Sherlock rise contro le labbra di John, accarezzando una guancia del dottore.
“I tuoi…uhm, argomenti hanno fatto vacillare pericolosamente la mia determinazione, John. Non abbastanza da farmi cedere, però, mi dispiace” disse, con un’espressione canzonatoria sul viso. John sbuffò, impotente.
“Cosa vuoi che faccia allora?” chiese allora il medico, ancora stretto nell’abbraccio, cercando di concentrarsi nonostante gli occhi di Sherlock ancora puntati nei suoi.
“Che tu mi sostenga, John” ripose Sherlock semplicemente. “Che tu mi aiuti a risolvere questo piccolo intoppo”.

Il medico fece scivolare le braccia dai fianchi di Sherlock fino a sfiorare con i palmi la parete su cui era appoggiato. Sospirò, sconsolato.
“Io non posso fare magie, Sherlock. Non posso cacciar fuori una chiave dal nulla, non sono…Harry Potter, diamine”.

Sherlock storse il naso.
“Harry chi?” domandò, senza l’impressione di necessitare però di una risposta. Continuò ad osservare John come se si aspettasse davvero che trovasse una soluzione al suo problema.
“Harry…lascia perdere anche questo, Sherlock” esclamò John, spazientito. “Senti, rassegnati. Non sono capace di evocare qui qualcuno con le chiavi. Fattene una ragione”.
Proprio mentre Sherlock stava per replicare, il detective fu costretto a voltarsi quando si sentì chiamare timidamente da qualcuno con un buffetto lieve su di una spalla.
Quando John riuscì a sporgersi dalla spalla di Sherlock, vide Christina, la ragazza che avevano incontrato alla reception, che li guardava rossa in viso con un’espressione timida, come se si sentisse combattuta e imbarazzata allo stesso tempo.
“Ehm…io non sarò Harry Potter” ridacchiò, per farsi coraggio. “ma…ho visto dei tipi strani scendere e salire le scale e…li ho depistati. E poi, ecco, sono salita a controllare la situazione e ho pensato che avrei potuto aiutarvi dandovi…questa”.
Ancora più rossa in viso porse a Sherlock un’altra tessera, stavolta dorata, che non recava (con somma felicità di entrambi) alcuna scritta indicativa al di sopra. John la guardò come se la ragazza avesse appena porto a Sherlock un fiabesco baule pieno d’oro.
“Le apre tutte, tranquilli. Vi prego però, fate in modo che torni a me. Solo questo”.

Era impossibile dire cosa stava succedendo dentro Sherlock in quel momento. La sua espressione era un cocktail di emozioni contrastanti: incredulità, felicità, eccitazione, frenesia, addirittura gratitudine.
“Tu sei veramente un portento, Christina, davvero” fu tutto ciò che disse Sherlock, senza staccare gli occhi dalla ragazza, che se possibile, assunse una sfumatura scarlatta ancora più intensa. Le prese il viso tra le mani e la baciò sulla guancia, esaltato, e quel punto la ragazza fu costretta a reggersi al muro per non liquefarsi sul pavimento in un nanosecondo.
Ridacchiò, cercando di darsi nuovamente un contegno, e si sistemò la gonna con le mani alla ricerca di qualcosa con cui distogliere l’attenzione dai due.
“Lieta di…” tossicchiò, con un sorriso a trentadue denti. “Lieta di esservi stata utile. Io…io…sarà meglio che tornì giù prima che comincino a farsi domande”.

“Grazie mille, Christina, davvero” la ringraziò anche John, sfiorandole una mano. “Non so come avremmo fatto senza di te”.
Lei ridacchiò ancora nervosamente e sventolò la mano, come a sminuire l’importanza del suo intervento. Se solo avesse saputo quanto in realtà aveva fatto per loro…

Con un cenno della mano la ragazza salutò Sherlock e John, precipitandosi verso la scalinata come se il corridoio stesse andando a fuoco e quella fosse l’unica via di fuga.
Sherlock sorrise e si strofinò le mani, impaziente.
“Un altro colpo di fortuna John. Oggi il fato ci assiste” esclamò, fremente.

Tornato a rivolgere l’attenzione alla porta, Sherlock strisciò la tessera nella serratura ed emise un versetto estatico quando invece del solito suono irritante sentirono uno squillo diverso, identico a quello udito nella stanza di West. Sherlock saltellò sul posto, stringendo i pugni e trattenendosi per non gridare, eccitato.
“Fantastico, John, fantastico” sussurrò mentre abbassava la maniglia della porta, spalancandola.

John entrò dopo Sherlock e si guardò intorno, aiutato dalla luce abbastanza intensa della strada, curioso.
La stanza era pressappoco identica a quella che avevano…visitato in precedenza, a parte la tappezzeria di un vivo blu cobalto e un bellissimo lampadario a gocce di cristallo che rifletteva la luce proveniente dalla finestra.
La stanza era silenziosa, deserta, ma lo sguardo sul viso di Sherlock disse a John che il detective non era del tutto sicuro che la situazione fosse tranquilla come sembrava.
Sherlock socchiuse gli occhi e si guardò attorno, senza nemmeno cercare l’interruttore, aggirandosi per la stanza a passo felpato e annusando l’aria come un segugio in cerca di una traccia.
“Sherlock…” sussurrò John, sinceramente preoccupato per la reazione del detective. Sherlock lo zittì con un gesto della mano.
“Non siamo soli, John…” annunciò poi, parlando flebilmente per non farsi udire da quell’ipotetico qualcuno nella stanza. “Credo ci sia qualcuno nascosto da qualche parte”.

L’affermazione di Sherlock provocò a John un brivido decisamente allarmante lungo la schiena, costringendolo a guardarsi attorno guardingo, come se dovesse aspettarsi un agguato dall’armadio o un’imboscata da sotto il letto.
“Sei sicuro, Sherlock?” domandò ancora John, in tensione.
L’altro annuì, sollevando un lembo della coperta per rovistare sotto il letto.
“E allora dove…?” cominciò John, prima di essere interrotto da un rumore secco e assordante.

Qualcuno venne fuori dalla toilette, sbattendo la porta con forza, avvolto in un accappatoio blu scuro. Tra le mani stringeva un portasciugamani di metallo, brandito come una spada.
“Chi siete?” gridò la voce dello sconosciuto, minacciosa. “Cosa fate qui?”.
John si precipitò a cercare l’interruttore della luce, impossibilitato a vedere bene il volto dell’uomo in quella penombra, percorrendo tastoni il muro accanto al letto, desideroso di fermare l’ira dello sconosciuto prima possibile. Quando trovò la leva, illuminando l’enorme lampadario, John guardò verso Sherlock che era rimasto fermo e immobile di fronte alla porta e all’intruso, senza il minimo accenno a volersi spostare.
E quando John spostò lo sguardo e riconobbe l’uomo davanti alla porta, fu costretto a reprimere un gemito di sorpresa, incredulo. Sherlock sorrise, incrociando le braccia.
“Buonasera Signor Freeman, è davvero una piacevole sorpresa vederla qui”.

 

 

 

Continua…

  
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