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Autore: La Mutaforma    28/06/2012    5 recensioni
Pensò che troppe volte aveva graffiato il suo unico giaciglio pensando a tutti quelli che non restavano, a quelli sempre in fuga, i fuorilegge con un grande fascino e il miagolio facile.
Quelli come lui, insomma.
La cosa più sorprendente era che stava dividendo la cesta con un tipo come lui. E non le dispiaceva affatto.
[Il Gatto con gli stivali]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gatto con gli stivali
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Accucciata nella sua vecchia cesta polverosa, ascoltava senza impegno -e con il battito del suo cuore accelerato- le fusa appena dietro le sue spalle. Pensò che troppe volte aveva graffiato il suo unico giaciglio pensando a tutti quelli che non restavano, a quelli sempre in fuga, i fuorilegge con un grande fascino e il miagolio facile.

Quelli come lui, insomma.

Pensava che ormai fosse cresciuta per quel genere di cose, nemmeno lei credeva in quelle favole bellissime, quando alla fine della pagina si scriveva “e vissero per sempre insieme”. Già, perché il “felici e contenti” era inaccettabile già da quando era solo una micina.

La cosa più sorprendente era che stava dividendo la cesta con un tipo come lui.

E non le dispiaceva affatto.

 

Dedicato (di nuovo) ad Adelfasora

E a Blazethecat31, perché qualunque cosa

Accada, non resteranno mai sole

 

 

Le leccò delicatamente una guancia, sfiorandola coi lunghi baffi, ma ciò che la fece tremare più di tutto fu la sua voce, calda e profonda.

-Qualcosa ti preoccupa, chica?-

Si chiese se valesse la pena mentirgli. Non era molto sveglio, di sicuro avrebbe creduto alle sue bugie senza problemi.

-Sto bene- si limitò a dire, e in effetti era vero. La sua voce tremò così violentemente che anche un cactus avrebbe pensato che stesse mentendo.

Era felice, eppure tremava. Forse perché sapeva che non sarebbe durato per sempre.

Lo sentì accarezzarla con la coda. Era dolce. E insopportabile.

Si sentiva protetta e vulnerabile allo stesso tempo, pensando che quella sensazione di pace che provava sentendosi accarezzata così teneramente presto l’avrebbe abbandonata.

-Ho fatto qualcosa che non va?- chiese, dopo una lunghissima pausa di silenzio, con voce colpevole, mentre si scostava lievemente da lei.

Kitty pensò che lui in fondo non meritasse di sentirsi in colpa.

O forse era dannatamente colpa sua ma riusciva a sembrare sempre innocente. A quegli occhioni verdi -bellissimi, doveva ammetterlo- e quel musetto tutto raffinato non poteva tenere il broncio troppo a lungo.

Motivo in più per detestarlo ed essere pazza di lui.

-Domani non sarai qui, vero?-

Lui sospirò, così maledettamente sincero, tenendole la zampina bianca, soffice e senza artigli.

-Kitty…ascolta, non posso restare, sono ricercato, se mi trovassero sarebbero guai anche per te… e io non posso permetterlo, perdonami, mi amor…- mormorò il gatto, voltandosi di spalle.

Seguì un lungo silenzio, di nuovo. Nessuno dei due era forte abbastanza da sostenerlo.

Sospirò di nuovo, sul punto di alzarsi e di lasciare la stanza.

-Qualunque cosa deciderai di fare domattina, nulla ti impedisce di restare qui, come nulla ti trattiene in questo letto- rispose lei, fingendo una freddezza che non le apparteneva.

Sarebbe finito. Tanto valeva godere di quel tepore affettuoso fino all’ultimo istante.

Avrebbe voluto restare sveglia, ascoltare il suo respiro, e fingere di dormire mentre lui si preparava per andar via.

Eppure qualcosa le faceva pensare che non si sarebbe trattenuto.

Già immaginava il freddo senza le sue carezze, e il silenzio corposo nel suo letto quando lui sarebbe andato via, a lasciarla sola coi suoi pensieri.

Ne era così convinta che non si voltò nemmeno verso di lui, e quando lo sentì accucciarsi alle sue spalle, sentì lo stomaco farsi caldo, come si stesse sciogliendo, mentre le sfregava affettuosamente il muso sulla guancia. Era una sensazione di calore così stupenda che si chiese come avesse potuto farne a meno fino a quel momento.

-Perché sei rimasto?- chiese lei solo dopo un po’, con una certa timidezza, non riuscendo a resistergli mentre lo sentiva fare le fusa.

-Non potevo lasciarti sola, mia señorita- e ripresero a dormire come se niente fosse.

 

Probabilmente avrebbe dovuto aprire gli occhi e accettare la realtà, invece di continuare a fingere di dormire.

Contò fino a tre. Poi aprì un occhio, e nemmeno completamente.

Nella tenue luce soffusa del primo mattino l’unica cosa che riuscì a distinguere furono un paio di stivali di cuoio buttati senza cura in un angolo.

Aprì entrambi gli occhi, sicura che la vista la stesse ingannando.

Erano due stivali neri bordati di rosso. E non erano i suoi.

Si mise a sedere, confusa, e quando si voltò con un po’ di coraggio alle sue spalle, vide il gatto ancora addormentato accanto a lei, che la cercava con la zampa, alla ricerca di un abbraccio.

Sotto quel punto di vista era buffo e dolce; non sembrava il gattanova che diceva di essere, era solo un gatto -molto cattivo- alla disperata ricerca di coccole. E questo non lo rendeva meno pericoloso.

-Si può sapere che ci fai ancora qui?!-

Il gatto sbadigliò svogliatamente, strofinandosi gli occhi e il naso, senza spostarsi.

-Buongiorno, señorita…- mormorò, con voce profonda, non senza un audace sorriso che gli riusciva benissimo anche appena sveglio.

-Ma tu non dovevi partire?!- esclamò Kitty, infastidita.

-Avevo detto domani- rispose il gatto, stiracchiandosi e riaccoccolandosi nel calore del loro giaciglio. Pigro come un gatto, ovviamente.

-Il domani di ieri è oggi, stupido!-

Lui si trascinò lentamente davanti a lei, strusciando il suo muso contro la sua guancia, con fare innocuo, facendole le fuse.

-Finiscila- obbiettò lei, schietta.

-Non puoi dire semplicemente “buongiorno, sono felice di vederti, mi corazòn”?- mormorò lui al suo orecchio, cercandole la coda con la sua.

-Forse non è esattamente quello che vorrei dirti- disse Kitty, ignorandolo, ma nemmeno rifiutando le sue attenzioni. Era un bravo seduttore.

Forse non così bravo.

-Lo sai, sei la prima con cui mi risveglio, potrei anche abituarmici. Che ne pensi, micia?-

-Non oso nemmeno immaginarlo-

Lui rise, afferrandole una zampa. -Hai delle zampine davvero morbide, sai?-

-La vuoi finire?!- esplose Kitty, afferrando il cappello del gatto -abbandonato per qualche strana ragione sul pavimento- e sbattendoglielo in faccia non con molta grazia. Lui se lo sistemò in testa, con tutta calma, lasciando il calore della loro cesta, per recuperare la cintura e gli stivali.

-Penso che non dovresti più venire!-

Lui non rispose subito; si infilò lentamente gli stivali e si voltò con tranquillità, con un placido sorriso e i baffi disordinati.

-Io penso invece che tornerò e che tu mi lascerai entrare, ogni volta che vorrò. E tu ne sarai felice e non potrai farci niente-

Lei lo guardò con odio, pensando a quanto fosse maledettamente vero. Abbassò lo sguardo punta nell’orgoglio, e si voltò di spalle.

-Puoi non dirlo. Lo so che hai bisogno di me. E io non ho bisogno che tu me lo dica- disse lui infine, sorridendole con affetto e allo stesso tempo con ardore.

Lei non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bello, forte, amabile, e -buffo, con quei baffi arricciati.

-Dovresti sistemarteli, sai, quei baffi, così fai ridere!- fece Kitty, cercando di soffocare una risatina. Lui non fece una piega, lisciandosi i baffi con un artiglio, e si sedette accanto a lei, con un enigmatico sorriso dipinto sul muso.

Le posò di sfuggita un bacio sulla guancia e risalendo -sfiorandola ancora coi baffi e il suo respiro- le mormorò all’orecchio parole che lei non avrebbe mai sperato di sentirsi dire. 

-Te quiero. E sono felice di non aver mai amato qualcuno prima d’ora- disse infine il gatto, e lei rimase così colpita da quelle parole che non ci fu più nulla di cui discutere. 

 

Forse miagolare alla luna non era il suo forte.

Forse lei moriva di gelosia quando pensava a come facesse il cascamorto con le altre e con lei stessa -e come ci riusciva!- e ogni volta che tornava da lei le faceva le fusa e gli occhi languidi e -non poteva dirgli di no.

Forse perché non lo voleva e basta, perché amava le sue attenzioni, le sue carezze, il suono delle sue fusa appena dietro l’orecchio. Più di tutto, le piaceva avere compagnia la sera, quando non c’era più nessuno nei suoi pensieri, tranne che lui.

Persino l’oro aveva un colore più inteso quando lo rubava insieme a lui.

Con un sorriso, non poté non pensare che Gatto non fosse semplicemente il suo compagno, o qualunque altra parola che sottolineasse il loro impegno sentimentale. Era molto di più. L’estensione della sua ombra, mentre osservava la luna piena, oltre i tetti di San Ricardo.

  

 

 

   
 
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