“Ti sembra poco, la felicità?”
I suoi occhi brillavano di una luce nuova, una luce di pazzia che prima di allora non si era mai vista.
“Io le dono una vita felice! Le sto dando qualcosa che nessuno, mai, mai, le avrebbe dato!”
Puntava il dito tremante, mentre quelle parole, urlate con un dolore immenso, uscivano dalle secche labbra.
“Dimmi il nome di un solo uomo, uno solo! Un unico nome di qualcuno che rinuncerebbe a tutto pur di vedere chi ama felice!”
Il silenzio che lo attorniava non faceva che accrescere quella rabbia, il dolore era diventato come aria pesante sulla sua testa.
“Rispondi!”
E mentre pronunciava quelle parole, il pugno si serrava e colpiva con forza quello specchio che lo fissava incessantemente.
Mille schegge cadevano sul pavimento, e altre penetravano la sua pelle.
Cadeva in ginocchio, mentre stringeva la mano insanguinata e dolorante, gemendo. Ma non tanto per quel dolore fisico, al quale si abituava facilmente. Era quello interiore, quello, che lo buttava sempre più giù, in quel baratro di tristezza dal quale non riusciva ad uscire. Col tempo, anzi, vi sprofondava dentro sempre più velocemente, senza però mai vederne il fondo.
Sapeva che non avrebbe mai finito di cadere, dentro quel pozzo di dramma. Come poteva, del resto? Come se l’assenza di lei, seppur giustificata, potesse mai smettere di demolirlo.
Si dice che non si dimentica mai chi si vuole bene, ma che ci si abitui solo alla sua assenza.
Duncan era d’accordo solo con la prima parte. Era la prova vivente che, nonostante il tempo passasse, fosse insopportabile vivere senza chi si ama davvero.
Stringeva ancora la mano dolorante, ma guardava i frammenti di specchio.
Colui che prima aveva scatenato la sua furia, ora lo fissava, non più con un paio d’occhi, bensì con centinaia e centinaia, con lo stesso sguardo sofferente che lui stesso aveva.
Come poteva sopportare quegli occhi, gli stessi che avevano visto lei? Come poteva sopportare le sue mani, che l’avevano sfiorata dolcemente, i suoi capelli, che erano stati scombinati da lei stessa, i suoi piedi che avevano camminato di fianco ai suoi …?
Non sopportava niente di sé stesso. O meglio, niente che non fosse accompagnato da qualcosa di lei. Quindi, sì, effettivamente nulla gli era ormai sopportabile.
L’unica cosa, in quel mare di dolore, nel quale aveva la sensazione di affogare senza mai morire davvero, era la consapevolezza che, nel lasciarla libera, non le aveva che fatto del bene.
Cosa aveva, lui, da offrirle? Cosa poteva darle di migliore rispetto ad un qualunque altro uomo?
Ciò non giovava affatto alla sua autostima, ma rianimava lievemente il suo morale, anche se per un tempo davvero limitato.
Cosa gli restava da fare, ormai? Rimaneva fermo lì, a fissare quegli occhi attraverso i vari pezzi, ricordando malinconicamente che un tempo, a scrutarlo, vi erano un paio di occhi scuri familiari, decisamente più amorevoli e affascinanti di quelle pietre acquamarina senza vita. 










Nota dell'autrice:
La Strega è tornata fra voi! Non siete contenti? *gli spettatori si guardano l'un l'altro imbarazzati, finché uno più coraggioso urla un secco "No!"*
Oh, il vostro appoggio mi consola tanto :')
Prima di intimarvi a lasciarmi una recensione, anche piccina piccina, volevo citare la mia cara Dikasterion Clover, dalla quale ho rubacchiato l'idea di non citare la ragazza amata in questione ;)
e ora, via con le recensioni :D
La Strega