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Autore: advocat    29/06/2012    1 recensioni
Questa storia è una cross over tra Castle e The Mentalist ed è già stata pubblicata sulla sezione di Castle. Voglio ripubblicarla qui per dare la possibilità anche a chi segue solo The Mentalist di leggerla. E' il primo dei capitoli della trilogia Red heat, in corso d'opera. Ho aggiunto al titolo originale All in one perchè qui troverete lo storia completa rivista e corretta. L'iterazione tra i personaggi vi sorprenderà ed il nostro Jane troverà un nuovo amico, e non solo...
Un omicidio apparentemente normale, una coppia che collabora alle indagini, e Jane che apre gli occhi su parecchie cose, compresa la sua relazione con Lisbon.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAP. 1
Ore 7:20 a.m.
La risvegliò di soprassalto il telefono sul comodino. La vibrazione lo faceva muovere e l’illuminazione blu del display le batteva sulle palpebre. Aprì un occhio nella speranza che smettesse e attese. Nulla di fatto. Dopo trenta secondi si decise ad allungare il braccio e rispondere: “ Beckett!”
Quello che le stavano dicendo non le piaceva affatto e si limitò ad un secco:” Tra 20 minuti siamo lì”.
Chiuse la chiamata e si mise a sedere sul letto. Si girò alla sua sinistra e con la mano prima scompigliò i capelli del suo compagno, poi gli scosse la spalla: prima piano e poi sempre più decisamente. Sentì una specie di grugnito provenire ovattato da sotto le coperte, segno che qualcuno si stava svegliando, anche se voleva far finta di nulla. Lei però sapeva che c’erano due cose che lo avrebbero sempre fatto destare velocemente e per una non c’era tempo.
“Alzati, un morto ci aspetta”.
Come previsto di scatto si alzarono le coperte e un assonnato Castle con i capelli arruffati rispose: “ Come? Abbiamo un cadavere, qui? Stai scherzando, vero?”.
“Mi sa di no” rispose Beckett.
“Non ci credo” disse lui lasciandosi ancora cadere sul materasso “ Non dovremmo essere in vacanza? E poi siamo sulla costa ovest, non abbiamo alcuna competenza!”.
Beckett si era alzata e si stava infilando i pantaloni. Guardò nella direzione del suo compagno che, accigliato e visibilmente scocciato, si era girato sul fianco e, appoggiato sul gomito, la fissava.
“Ti ho detto solo che qualcuno è morto”. Castle aggrottò la fronte, non capiva.
Beckett sospirò mentre si stava infilando la cintura e si riavvicinò al letto, poi si sedette accanto a lui. “Era il direttore dell’albergo, ci aveva chiamati al telefono in camera ma ieri l’avevo messo silenzioso”, Castle sorrise al pensiero ma la lasciò continuare “ così ha provato sul mio cellulare e ha avuto più fortuna: hanno ritrovato il corpo di una giovane donna morta: è Cindy”.
L’uomo finalmente capì il perchè della chiamata.
“5 minuti e sono pronto” rispose e si alzò di slancio dal letto andando verso il bagno.
 
Ore 7:45 a.m.
Castle e Beckett stavano percorrendo il tratto che divideva il loro recidence dal corpo centrale del “Sunny and Quiet Best resort spa Hotel” di Napa Valley circa ad un’ora d’auto da Sacramento e ad un paio da San Francisco. L’hotel non era di quelli esageratamente lussuosi ma comunque ogni angolo emanava eleganza.
Era composto da tre corpi di fabbrica disposti a ferro di cavallo e la parte libera aveva una splendida vista sulla valle. Il corpo centrale era la parte amministrativa dell’Hotel, quella ad est ospitava la spa e i ristoranti, mentre quella ad ovest era il vero e proprio residence.
Castle e Beckett avevano una suite al terzo piano ad angolo con vista sulla valle. Nel mezzo del complesso d’edifici vi era il giardino con quattro fontane: una a rappresentare ognuna delle stagioni dell’anno e della vita.
Era stato Castle a richiedere appositamente un posto del genere per mettere a suo agio la sua compagna e c’era riuscito fino a quel momento.
 
Alcune settimane prima
Quando l’editore di Castle organizzò la campagna promozionale per il nuovo romanzo della saga di Nikki Heat, questi mise solo due condizioni. Il detective Kate Beckett doveva accompagnarlo e tutto doveva assecondare lo stile ed i desideri della sua musa.
Così Gina, conoscendo da anni la tenacia di Castle, e rendendosi conto che il nuovo romanzo avrebbe probabilmente surclassato di gran lunga le vendite dei precedenti in poco tempo, acconsentì.
Heatstroke sarebbe diventato un best seller campione di vendite entro il primo mese. Anche se conosceva da anni il suo ex marito, non aveva potuto che stupirsi dell’intensità con cui aveva scritto ogni singola pagina del nuovo romanzo. Per una volta ringraziò di non aver seguito il suo istinto di donna gelosa e di essersi tenuta ben stretta lo scrittore che, ancora una volta di più, si sarebbe rivelato la sua gallina dalle uova d’oro. In fondo avrebbe contribuito anche stavolta a rinnovare il suo guardaroba, anche se in maniera un poco più indiretta. Così si consolò anche quando lesse la dedica del libro “ A KB. Always”.
Non c’era dubbio. Non poteva competere con Kate Beckett, o meglio non come donna, lei non si sentiva certo inferiore a quella poveretta con gli abiti di qualche negozietto di Brooklyn, ma si era resa conto che Castle ne era completamente infatuato. E poi, in fondo, rispetto ad altre bizzarrie dello scrittore quello che aveva chiesto era ben poca cosa.
Per questo inviò una donazione da $ 100.000,00 al 12° distretto di Polizia di NY pur di far concedere un luogo periodo di ferie al detective Kate Beckett.
Il capitano Montgomery non credette ai propri occhi, quando si vide recapitare l’assegno con la richiesta di Gina e chiamò subito Castle.
“Non posso tenere l’assegno, benché ne avremmo veramente bisogno, ho già dato le ferie a Beckett, dopo quello che è successo ho pensato che un periodo lontano dal distretto non potesse che farle bene”.
“Ma questo Gina non lo sa” rispose Castle, “ e per quanto mi riguarda io non ho mai ricevuto questa chiamata”. Montgomery era ancora dubbioso sul da farsi, non era nella sua natura d’uomo e di poliziotto omettere alcunché per trarne un vantaggio, benché non personale, ma senza dubbio il sindaco si fece molti meno problemi di lui e garantì che con un buono di ringraziamento per Gina da Elisabeth Arden tutto sarebbe stato ok. E così fu.
Beckett fu felice di poter staccare la spina per un po’ e soprattutto con il suo scrittore preferito; aver risolto il caso di sua madre era stato come togliersi un macigno dallo stomaco che ormai la perseguitava da anni, ma ciò che aveva dovuto passare era stato spossante.
Per fortuna c’era Castle accanto a lei e non come suo amico, o suo braccio destro ma come suo uomo. E così oltre a chiudere il capitolo più doloroso della sua vita aveva anche trovato il coraggio di aprirne quello che avrebbe potuto essere il più bello: quello con Rick Castle.
Inconsciamente Gina fece inoltre un altro enorme regalo a Kate, rifiutandosi di accompagnare in prima persona lo scrittore per la presentazione di Heatstroke nella west coast, aveva dato loro la possibilità di una prima vacanza da fidanzati. Negli intemezzi delle presentazioni del libro avrebbero potuto godersi del tempo, da soli, insieme.
Ovviamente Rick non stava nella pelle quando Kate accettò e, benché gli dispiacesse di non poter avere con sè Alexis, che doveva prepararsi per gli esami d’ingresso al college, si ripromise di godersi appieno questo periodo. In fondo le avrebbe raccontato tutto ogni sera attraverso Skype.
Le cure di Castle vennero affidate dalla sua casa editrice a Cindy Cape, una biondina sui trent’anni con i denti leggermente pronunciati, che curava gli affari sulla costa occidentale, molto magra, molto competente, molto gay. Era estremamente capace nel suo lavoro e per questo aveva fatto strada nel mondo dell’editoria. Originaria di una cittadina del Maine si era trasferita da dieci anni nella grande mela e abitava in un bell’appartamento nell’Upper Est Side.
Nel loro peregrinare Castle e Beckett si erano ritagliati una pausa di quattro giorni nella Napa Valley, per bere merlot e firmare qualche libro a ricchi viticoltori. Castle sperava anche di garantirsi il rifornimento gratuito per la propria cantina e, in effetti, grazie al suo sorriso affascinante ed allo sguardo disarmante della sua bellissima accompagnatrice aveva già ottenuto la promessa di alcune casse di chardonnay e di sauvignon.
Beckett non poteva che sollevare il sopracciglio quando vedeva Castle all’opera ma, in cuor suo, non poteva non ammettere che ci sapeva fare con i fans.
Inoltre Cindy era capace di farlo apparire ancora più bello, brillante ed affascinante di quanto fosse. Aveva organizzato per il loro arrivo una festa a Malibù degna di un principe arabo e Castle non si era certo tirato indietro dal suo ruolo. In più avere Kate al suo fianco amplificava l’impatto sulle persone: non è da tutti i giorni conoscere un personaggio trasfigurato in letteratura, un po’ come incontrare Holmes che fuma la pipa accanto a te su una panchina del parco.
Cindy si rivelò comunque un aiuto prezioso anche se sapeva essere molto riservata, lasciava trasparire il proprio carattere amichevole ma teneva le distanze e non permetteva che le persone andassero al di là del limite che si era prefissata.
Per questo a Kate Cindy andava a genio, e per questo alla telefonata che annunciava la sua dipartita si risvegliò il detective che era in lei e che per troppo tempo era stato sopito da qualche bicchiere di vino e dalle luci della ribalta.
 
Ore 7,50 a.m.
Beckett  notò che vi erano diverse persone ammassate nei pressi della costruzione sul lato est, in particolare osservavano qualcosa vicino alla fontana dell’inverno.
Lei fece segno con la testa allo scrittore e si avvicinarono. Ricordava di essere stata in quel posto quando le venne fatto fare il giro di visita dell’albergo e le venne spiegato il significato delle fontane. Erano disposte in senso orario guardando verso la valle e partendo dalla primavera, cioè la nascita, seguendo con l’estate, la giovinezza, poi con l’autunno, la maturità, e per terminare con l’inverno, la vecchiaia. In ognuna di queste fasi vi erano i loro pregi e potevano essere vissuti appieno con uno stile di vita adeguato.
Molto fusion come concetto. Ogni fontana era al centro di uno spazio circondato da alberi frondosi e vi erano panchine dove sedersi a riflettere al suono rilassante dell’acqua.
Accanto alla fontana c’era il medico legale, il suo assistente, un poliziotto in completo grigio di origine orientale, un ex militare a prima vista, e una donna, forse alta un metro e sessantacinque capelli neri, lunghi oltre le spalle, con una deliziosa frangia che le abbelliva il viso e gli occhi smeraldo vispi.
Aveva l’aria di essere il capo da come comandava e da come tutti la stavano a sentire per poi partire da qualche parte, evidentemente ad eseguire un suo ordine. Era vestita in maniera sportiva; jeans neri, canotta nera, un paio di anfibi ai piedi e una giacca di cotone verde militare corta in vita. Senza dubbio una bella donna e di carattere.
Castle spostò lo sguardo poco più a destra della donna, vicino agli alberi più prossimi all’edificio.
C’era un uomo di spalle che osservava in alto le fronte degli alberi. Non sapeva per quale motivo ma quell’uomo aveva un’aria familiare e a prima impressione peculiare.
Era un uomo longilineo, poco meno dell’uno e ottanta, con un tre pezzi blu su una camicia bianca senza cravatta e, tocco di vera eleganza, scarpe e cintura marroni. Era come se non volesse mostrare la signorilità della sua persona, una specie di falso trasandato, ma senza dubbio quell’uomo li sapeva portare i completi.
Era una questione di atteggiamento. Per Castle un uomo o sapeva portare i completi oppure, anche con il più bell’Armani, avebbe fatto la figura di uno spaventapasseri che andava a zonzo con un vestito da $ 2.000,00.
Quell’uomo sarebbe stato sicuramente bene in un Armani, probabilmente più di lui purtroppo, ed in più era biondo e californiano.
Kate notò cosa stava fissando Castle e, dopo qualche momento, gli toccò il braccio per richiamare la sua attenzione e Rick, riavendosi le rispose “ Si certo, andiamo”.
Si avvicinarono alla donna vicino alla fontana mostrando il tesserino di Beckett all’agente che era andato verso di loro per bloccarli per poi indicargliela come loro riferimento.
A pochi passi da lei la sentirono dire “...e assicurati che il medico legale ci invii i risultati appena pronti. Contatta anche la polizia di New York e vedi che cosa ti possono dire della vittima”.
“ Nulla di interessante, almeno così di primo acchito” rispose Backett.
Questo fece voltare la donna che la fissò con aria interrogativa.
Kate sorrise e mostrando il tesserino “ Detective Kate Beckett, polizia di New York”.
“Certo che non si può dire che non siate tempestivi voi della est coast!” e tendendole la mano “ Agente Teresa Lisbon CBI”.
 
Da sotto una pianta Jane osservava la scena. Una coppia si era avvicinata a Lisbon. A dire il vero aveva avuto la netta sensazione di essere osservato, quel formicolio alla nuca che da quando era piccolo lo metteva in guardia su qualcosa.
Erano un uomo ed una donna, lui sulla quarantina, lei poco più di trenta. Entrambi alti, entrambi eleganti, entrambi indiscutibilmente non di zona, probabilmente della est coast. Lui portava jeans blu scuro di Hugo boss, camicia di sartoria, una giacca di renna leggera e scarpe italiane coordinate. Tutto in lui diceva “ per me solo il meglio”.
Lei era una donna veramente molto bella. Indossava un completo grigio perla con giacca a tre quarti, con camicia, cintura e scarpe alte di vernice rosse. Caspita che tacchi!! Come faceva a camminare senza avere mal di schiena quella donna? Lisbon portava quasi sempre scarpe senza tacco, anche a causa del suo lavoro, un po’ troppo sovente per i suoi gusti. Comunque una gran bella coppia.
Lei stava facendo vedere a Lisbon un tesserino di riconoscimento e adesso stavano parlando, l’uomo era silenzioso, si intromettava solo di tanto in tanto, quando non giocherellava con il suo i-phone, sembrava concentrato, ma quando era la sua compagna a parlare cambiava espressione. Quei due stavano assieme. E aveva capito anche chi erano.
Lui l’aveva visto più volte, lei solo una paio su delle riviste, ma pochi giorni prima c’era stato un servizio al telegiornale su di loro.
Si staccò dall’albero a cui si era appoggiato. Quel che era importante era già stato immagazzinato nella sua memoria e decise che era ora di andare a fare le presentazioni.
 
“Lui è Rick Castle.” disse Beckett.
“Piacere” disse lui dando la mano a Lisbon “ A dire la verità la vittima era con noi, per la precisione organizzava gli incontri per la campagna promozionale del sig. Castle ed agiva in rappresentanza della sua casa editrice” .
“Lei è Rick Castle, lo scrittore?!” esclamò Teresa ”Ma certo come ho fatto a non riconoscerla subito, la sua foto è sul retro copertina dei suoi libri. Ho anche una sua copia autografata di Storm Fall. Me l’ha regalata un mio amico”.
Infatti quel libro le era stato regalato da Cho per il suo compleanno, sapendo che quello era praticamente l’unico genere di letteratura che interessava al suo capo.
Castle sorrise orgoglioso e Kate non potè che alzare gli occhi al cielo e commentò “ No! La prego! Altrimenti per contenere il suo ego non basterà nemmeno tutta la valle”.
“ Cosa ha detto di male Kate?” disse il diretto interessato. E a lei bastò uno sguardo per metterlo a tacere.
Lisbon dal canto suo era alquanto divertita dalla scena e sorridendo “Chiamami Teresa. Venite con me. Vi aggiorno.”
Così facendo si avvicinò alla vasca dove il medico legale aveva estratto il corpo che era disteso a terra.
“La vittima è stata trovata da un inserviente all’inizio del suo turno alle 6,00 di stamattina. Era immersa nella fontana con la faccia nell’acqua. Ha chiamato l’ambulanza ma quando sono arrivati i paramedici hanno potuto solo constatare il decesso. Il medico legale presuppone l’ora della morte tra le 23,00 e le 2,00 della scorsa notte ma ne sapremo di più dopo l’autopsia. Dovremo verificare anche la presenza di acqua nei polmoni ma c’è un particolare interessante” e così dicendo si avvicinò, si inginocchiò vicino e scoprì il corpo di Cindy “questo ematoma sul lato parafrontale sinistro” indicò il punto “compatibile con l’impatto con un corpo contundente, probabilmente di legno. Abbiamo trovato delle schegge nella ferita. Sono già in laboratorio per l’analisi. Ne sono state trovate tracce anche su questa escoriazione” e scoprì anche il braccio sinistro.
Si alzò dal corpo e fece cenno all’aiuto del medico legale che per il momento avevano finito con il corpo. I tre si spostarono di alcuni passi per continuare a parlare.
“Ipotesi?” chiese Beckett.
“Allo stato possiamo ipotizzare che sia caduta da quella finestra lassù al terzo piano” si girò per indicare l’apertura sopra di loro “abbia rimbalzato sui rami degli alberi e sia atterrata nella fontana svenendo e affogando. Era troppo basso perchè morisse a causa dell’impatto”.
“Una bella sfortuna” commentò Castle.
“ Per chi ci crede si.” disse una voce alle loro spalle. Era l’uomo che Castle aveva notato prima vicino agli alberi.
“Jane!” disse Lisbon non avendolo sentito arrivare ”Ti presento la detective Kate Beckett della polizia di New York, lui è Richard Castle. Questo è Patrick Jane, consulente del CBI”.
Allungando la mano verso chi gli stava di fronte Jane commentò “Piacere di conoscervi. Non è da tutti i giorni incontrare Agatha Cristie e Poirot”.
“Jane!” Lo rimproverò Lisbon.
“ Non si preoccupi” iniziò Beckett.
“ Poteva andare anche peggio, poteva paragonarti a Miss Marple” continuò Castle, che venne fulminato dallo sguardo di Kate.
Cercando di salvarsi poi aggiunse “ anche se caratterialmente sei più simile ai dieci congiurati dell’Orient Express!”. A Beckett sfuggì un sorriso e anche a Lisbon che si girò verso Jane in cerca di spiegazioni.
“ Dai Lisbon non dire che non hai capito chi è la dectective Beckett?!” la scherinì sorridendo “ lei è Nikki Heat!”. Lisbon solo allora collegò il tutto e rimase a bocca aperta dandosi della stupida per non essersi ricordata delle fotografie sui giornali. Disse ai due “ Così voi siete qui per la campagna pubblicitaria  del nuovo libro di Nikki Heat?”.
“ Heat Stroke” comfermò Castle.
“ Il nome è tutto un programma” disse in un ghigno Jane.
Beckett abbassò lo sguardo e arrossì leggermente. Cercò di cambiare rapidamente argomento e proseguì. “Ma se la tesi più accreditata è l’incidente perchè il direttore del resort ci ha chiamati?”
“Perchè non è stato un incidente” interruppe Jane.
Tutti si voltarono verso di lui e Lisbon con uno sguardo di rimproverò.
“Venite con me” fece lui, dirigendosi verso l’ingresso dello stabile dietro di lui pronto a compiere le sue magie.
 
Risalendo le scale videro che quella parte dell’edificio era parzialmente in corso di ristrutturazione. Gli agenti fecero loro largo mentre la scientifica curava i rilievi.
Il sergente spostò la tenda in plastica che chiudeva la porta della stanza da cui era presumibilmente caduta la vittima facendoli entrare. C’erano detriti sparsi un po’ ovunque, anche sotto le finestre, materiali da costruzione per terra e un gran caos e polvere.
“ Ci saranno diverse decine di impronte e tracce di ogni tipo qui dentro. Gli agenti della scientifica diventeranno matti” commentò Castle, “ e quasi tutte inconferenti con la morte di Cindy” proseguì Kate “ isolare quelle della vittima richiederà un bel po’ di tempo, ma si può sapere perchè era venuta fin quassù?” e così dicendo guardò la compagna negli occhi che gli rimandò uno sguardo piuttosto preoccupato.
Jane sorrise nel vederli. Avevano un’intesa eccezionale. Sarebbe stato interessante avere a che fare con loro.
“Venite” e così dicendo li invitò ad avvicinarsi alla finestra “ fate attenzione c’è molto materiale qui sotto e non ci sono le protezioni”. Gli altri si avvicinarono con cautela e dopo essersi affacciati si ritrassero prudentemente. “Tre sono le ipotesi possibili: o la nostra vittima si è suicidata, o ha avuto un incidente o è stata uccisa.”.
“Ed ecco Patrick Jane che inizia il suo show” pensò Lisbon “ vuole far vedere che il più intelligente nella stanza è sempre lui”.
“Il suicidio lo puoi escludere” disse Castle “ Anch’io l’ho pensato” ribattè Jane, “ anche se per motivi diversi dai tuoi. Le donne non amano suicidarsi in un modo del genere”.
“Io intendevo che dal terzo piano tutti sanno di non avere la sicurezza di morire, ci sono buone probabilità solo se ti butti di testa, ma ci sono troppe variabili e Cindy non era una stupida, avrebbe preso un tubetto di pillole. Più sicuro.” Concluse Castle.
“Touché” pensò Patrick “si sarà divertente”.
Beckett e Lisbon erano leggermente staccate dai due e Kate si lasciò scappare “Ma guarda che due bei galletti”.
“Già si stanno gonfiando le piume e sono pronti a far vedere chi ha la cresta più alta” aggiunse l’altra.
Jane sorrise alla corretta osservazione dello scrittore e continuò “ Per quanto riguarda l’ipotesi dell’incidente avremmo dovuto trovare delle tracce della vittima sull’intelaiatura della finestra e sul davanzale. Ho chiesto ai ragazzi della scientifica di controllare se vi fossero impronte”
“ Certo! Se vi fosse salita e sporta per vedere qualcosa si sarebbe tenuta ai lati della finestra o appoggiato le mani alla base” continuò il ragionamento Castle mimando i gesti, “ esatto Watson,” disse Jane mentre lo scrittore lo guardava di sbieco “ ma non è stato trovato nulla”.
“ Quindi è omicidio” concluse Beckett.
“Dopo aver eliminato l’impossibile ciò che resta per improbabile che sia deve essere la verità” finì Castle, poi verso Jane “E due, alla terza sei eliminato”.
“Jane piantala, adesso usciamo”disse Lisbon.
“Ma cosa ho fatto?”
“Pensi troppo!” disse lei.
“ Non posso vivere se non faccio lavorare il cervello. E del resto per cos’altro vale la pena di vivere?”.
Lisbon non stava nemmeno a sentirlo ed iniziò a scendere le scale. Rick si girò verso Beckett “Ha letto anche lui il Segno dei quattro”. E così detto li seguirono fuori.
 
Tornati alla fontana Beckett si avvicinò alla sua alter ego californiana e le disse “ Senti non voglio fare giri di parole e andrò al punto: il direttore può dire quel che vuole ma la competenza sul caso è la tua e so che al massimo siamo dei testimoni. Quindi se mi chiedi di starne fuori ti capisco” .
“Cosa? Ma potremmo essere utili...” interruppe Rick.
“Zitto Castle!” lo ammonì di rimando lei ottenendo il suo immediato silenzio.
“Ovviamente il mio dipartimento sarebbe comunque a tua completa disposizione per ogni aiuto”.
“ Grazie per la tua correttezza, ma sinceramente mi sembrerebbe sciocco rifiutare l’aiuto della migliore detective di New York, sempre che Castle non abbia ingigantito le tue qualità.”
“Di solito lui ingigantisce le sue” e così dicendo si strinsero la mano per sancire l’accordo.
“Ehi!” si lamentò lo scrittore.
“Di certo non si può dire che non crede in se stessa” commentò sottecchi Jane ma Beckett lo sentì.
“Vado a telefonare ai miei ragazzi per chiedere di raccogliere informazioni sulla vittima, poi ti faccio un dossier su quanto sappiamo noi di lei e sui suoi movimenti in questi giorni, se per voi va bene vi raggiungiamo al CBI nel pomeriggio” disse Kate allungando il suo biglietto da visita.
“Ok” rispose Lisbon imitando il gesto  “ ci aggiorniamo dopo”.
Beckett fece per allontanarsi ma si fermò e guardando Patrick “ Signor Jane, non sono d’accordo con coloro che annoverano la modestia tra le virtù. Per un uomo dotato di logica, tutte le cose devono essere viste esattamente come sono. Sottovalutare se stessi significa allontanarsi dalla verità almeno quanto sopravvalutare le proprie doti.”
Jane restò sorpreso da quella frase detta con un tale carattere e una tale sicurezza da quella donna. “Come vede conosco anche io Conan Doyle . Andiamo Castle”. Così dicendo si voltò ed iniziò ad incamminarsi.
“L’ adoro quando fa così” disse lo scrittore che la guardava con la faccia inebetita. Salutò con un cenno di capo Jane e Lisbon e seguì la sua musa al loro residence.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAP. 2
Ore 10:20 a.m.
Beckett aveva appena terminato una lunga chiamata con il capitano Montgomery.
Le tre ore di fuso orario che dividevano San Francisco da New York le avevano permesso di raggiunge Ryan ed Esposito poco prima della pausa pranzo per dar loro le direttive per le ricerche da fare su Cindy.
Poi ovviamente il suo capitano aveva voluto avere un aggiornamento su quanto accaduto e raccomandarle di tenere d’occhio Castle. Erano dall’altra parte del paese e qualcuno nel loro enturage era stato ucciso. Occorreva la massima attenzione. Chiuso il telefono si spostò dalla camera da letto nel loro salotto privato per cercare il suo compagno di camera.
Non si sorprese nel vederlo a lavoro sul suo mac, appoggiato alla scrivania sotto la finestra che dava sulla fontana d’estate, lo vedeva scrutare molto preso alcune pagine di Google.
Questi la sentì entrare nella stanza  e si girò verso di lei.
“ Eri al telefono con Montgomery?”
“Già”
“Era contrariato?”
“Piuttosto direi preoccupato”.
“Per noi?”
“...E per come si giustificherà con la tua casa editrice. Capirai! Una loro dipendente è stata uccisa con me nei paraggi! Gran bella figura per la polizia di New York ...e per la sottoscritta!”
“Ehi!”le disse e così facendo la tirò dolcemente a sedere sulle proprie gambe. Lei lo lasciò fare.
“Non ti preoccupare” le disse mentre con l’indice le percorreva la guancia dall’orecchio fino al mento.
La guardava negli occhi, e la vedeva in profondità, capiva la sua rabbia, la sua paura, la sua frustrazione e anche il suo desiderio di giustizia. Cindy era una brava ragazza e chi l’aveva uccisa aveva commesso un grosso errore.
La baciò. Semplicemente. Una bacio che la rassicurò, la nutrì e le diede aria, come sempre. Così erano i baci di Rick, e riaccendevano in lei la scintilla.
Quando si staccarono Kate tornò a guardalo negli occhi.
Si ricordò la prima volta che lo aveva guardato veramente nei suoi occhi blu.
Lei lo conosceva già da qualche tempo e sapeva di che colore erano ma poi, d’improvviso, lui sollevò gli occhi da un fascicolo che stava leggendo in centrale e li vede: la guardano e lei vide fin dentro a Castle. Un formicolio le salì dalla schiena al collo...ed ecco fatto!
In quel momento si disse “No Kate, non pensarci nemmeno!! No e poi no! Quell’uomo è una fonte di guai, non puoi innamorarti di lui, e nemmeno andarci a letto”. Eppure in cuor suo lei sapeva che il primo era ormai successo e che per il secondo era solo una questione di tempo.
“Ho avvisato io Gina” disse Castle ridestandola dai suoi pensieri “e direi che non l’ha presa nemmeno così male. Ho avvisato l’assistente di Cindy,  per modificare i nostri impegni per i prossimi due giorni, sembrava sconvolta la piccola Tool, ma ha già provveduto.”
“Non chiamarla così” lo sgridò lei, “ è un orribile soprannome, si chiama Megan”.
“A si? non lo sapevo, comunque ha fatto tutto”
“Hai avvertito anche Martha?”
“Si, non volevo che lo venissero a sapere dai giornali. Mia madre e Alexis erano un po’ meno tranquille, ma ho assicurato loro che saremmo stati attenti e che avremmo risolto anche questo caso.”
“Sembri sicuro” commentò lei sapendo che c’era qualcosa sotto.
“Ho i miei buoni motivi. Guarda questo e sarai più tranquilla anche tu” .
Si girò verso il computer, sempre con Kate sulle gambe che a sua volta si girò per assumere una posizione più comoda. A notare la disinvoltura con cui finalmente assumeva atteggiamenti così intimi con lui sorrise e, accarezzandole il braccio, iniziò a scorrere le pagine sul computer.
“Ho fatto un po’ di compiti e, oltre a raccogliere quello che potevo sulla nostra sfortunata accompagnatrice, ho voluto curiosare per sapere qualcosa di più anche sui nostri nuovi amici.”
Kate seguiva attentamente le sue parole visibilmente incuriosita.
“ L’agente Lisbon è da parecchi anni nel CBI, ha avuto successi rilevanti ed è stata insignita di parecchie onorificenze. Pensa che le hanno assegnato il comando di una squadra tutta sua a soli 26 anni.”
Kate era visibilmente colpita e sorrise per il soprannome che era stato affibbiato alla piccola Lisbon dopo un caso ‘Santa Teresa’. Non le si addiceva.
Quella donna era forte, tenace, in un certo senso si assomigliavano. A quanto c’era scritto aveva avuto problemi familiari e aveva cresciuto praticamente da sola i suoi tre fratelli minori. Un’altra vita spezzata da un evento di cronaca nera.
Chissà quanta rabbia, povera Lisbon, e quante responsabilità. Troppe per una ragazzina.
“Ma se pensi che io non possa tirarti fuori altri conigli dal mio cilindro... guarda un po’”le sussurrò cliccando su un’altra pagina “mi sembrava un viso familiare quello del nostro Jane ma non riuscivo a capire dove lo avevo già visto”.
Quello che vide la detective riuscì a zittirla. Era una raccolta dei casi investigativi seguiti dalla squadra di Lisbon negli ultimi tre anni.
La quantità di omicidi risolti era impressionante persino secondo i suoi standard, come lo era la velocità con cui l’assassino era stato consegnato alla giustizia. Un buon numero di casi si era concluso con la confessione del sospettato, dovuta all’abilità di Jane per buona parte, e le condanne confermate erano altissime. Oltre 30 persone arrestate da Jane e Lisbon erano in attesa nel braccio della morte.
Patrick Jane era il golden boy del CBI.
Vi erano raccolti anche alcuni particolari delle funamboliche gesta del consulente che, a quanto sembra, usava le sue qualità deduttive uniche e la sua esperienza nell’analisi della psiche per acciuffare i criminali ed il suo intervento era stato essenziale per salvare la vita di diverse persone. In particolare aveva salvato Lisbon.
“Strano”, disse Beckett quando era arrivata al punto che descriveva come Jane avesse sparato, mortalmente, ad un sospettato di omicidio che stava per uccidere Teresa “non avrei descritto Jane come un uomo d’azione; devi avere un bel sangue freddo per sparare senza preparazione ad un uomo e colpirlo a morte, anche se per salvare una tua collega”.
“Io per te lo farei” disse Rick.
Lei si voltò e gli accarezzò il viso sorridendogli. “Ma non è questo il punto” continuò lui, “in quel momento stavano indagando sul loro caso principale e quel sospettato era l’unico collegamento per poter arrivare a John il Rosso”.
“Il serial killer?”
Lui annuì e continuò “Guarda chi c’è tra le vittime di John il Rosso” ed indicò l’articolo che parlava dello sterminio della famiglia Jane. “La moglie e la figlia erano state tremendamente trucidate, a quanto pare, a seguito di dichiarazioni fatte dallo stesso Jane ad un programma televisivo. A quell’epoca lui si spacciava sensitivo e si era costruito un bel giro d’affari ma, dopo la morte della sua famiglia ed un periodo in cui non ci sono state notizie su di lui, è iniziata la sua collaborazione con la squadra che è a caccia del killer dei suoi cari.” Non occorreva essere un genio per intuirne il motivo.
“Avevo visto il servizio in televisione, aveva fatto molto scalpore. E' stato un omicidio efferato e mi ricordo che mi aveva colpito perchè la figlia di Jane aveva solo pochi anni in meno di Alexis. Mi ero immaginato io al suo posto. Probabilmente sarei impazzito dal dolore".
"Forse anche lui. Questo buco di quasi due anni e poi la decisione di cambiare vita e unirsi al CBI devono far riflettere."
"Vendetta?" si interrogò lui.
"Forse" continuò lei "Hai visto i suoi occhi? Dietro il suo sorriso c'è una tristezza infinita”.
"Sì però uccidendo quell'uomo per salvare Lisbon ha perso la possibilità di catturare John" controbattè lui.
"Ha agito per fare la cosa giusta, forse era convinto che comunque lui avrebbe preso John con o senza quell'uomo". Castle la guardò con aria interrogativa."Anche io ho ucciso l'assassino di mia madre per salvarti. Dovevo scegliere e ho seguito il mio istinto. Sapevo che stavo facendo la cosa giusta e che comunque avrei preso quei bastardi che avevano ordinato la sua morte."
Castle la guardò, l'attirò a sé e la baciò di nuovo, con intensità. La mano dietro la sua testa la sospingeva verso di lui, mentre con l'altra le accarezzava la schiena. Lei fece scendere la sua dal collo alla parte aperta della camicia per accarezzargli il petto. La mano si intrufolò dentro, aveva la pelle calda e sapeva di legni aromatici. Iniziò a slacciargli i bottoni, uno a uno, lentamente.
Rick si alzò dalla sedia e, portandola tra le braccia, si spostò nella stanza attigua. La appoggiò delicatamente sul letto e le si stese accanto. Si staccarono per un attimo e si fissarono uno perso negli occhi dell'altra.
"Non potrei vivere senza di te" disse lui.
"Non provarci nemmeno" gli rispose lei prima di ricominciare a baciarlo. Voleva solo stare con lui, sentirsi tra le sue braccia, amata, protetta e sua.
Lui la spogliò piano, senza fretta, erano insieme, dopo tanto tempo, tante difficoltà e incomprensioni, ora erano solo loro due.
Sentire quella pelle sulla sua lo faceva perdere come mai prima e il suo cuore sembrava scoppiargli nel petto. Alle volte si sentiva come un sedicenne alla prima cotta. Per fortuna non era più così imbranato ed inesperto, adesso sapeva cosa doveva fare e lei gliene dava atto.
La sentiva muoversi ed impazzire sotto di lui. Non si parlavano, si guardavano solo tra un bacio e l’altro, poi un sospiro ed un gemito ed un altro ancora. Ancora. Questa era la parola che continuava a ripetersi nella testa di Kate ed questo che faceva sentire attraverso il suo corpo anche a lui: e questo lo fece definitivamente partire.
"Sei mia tesoro"le sussurrò a fil di voce nell'orecchio.
"Ti amo Rick" gli rispose lei appena prima dell'amplesso.
 
Ore 11:55 a.m.
"Cosa mi fai fare.." disse Kate ancora stretta a Rick nel loro letto.
"Non mi è sembrato di averti spinta a fare qualcosa che non desideravi o di averti legata...o è questo il problema?" rispose lui con lo sguardo sornione.
"Piantala!" gli rispose la compagna dandogli uno schiaffetto sulla spalla "siamo nel mezzo di un'indagine di omicidio e tu..." le mancavano le parole.
"Io?" la interrogò
"Mi fai fare...questo al posto di completare il dossier di Cindy che devo spedire al CBI".
"Ti ho dato quello di cui avevi bisogno, anzi quello di cui entrambi avevamo bisogno. Poi per la precisione noi collaboriamo con il CBI, ma l'omicidio è della squadra di Lisbon. Comunque non preoccuparti, ho già impostato il dossier e mi servono i dati che Ryan ed Esposito ci devono mandare per completarlo. Adesso mentre tu vai ad incipriarti il naso " lei lo guardò male a quella frase " e a ravvivarti i capelli io controllo le mail per vedere se a New York stanno battendo la fiacca, finisco il lavoro e poi lo sottopongo alla tua attenzione".
"Dovrei farlo io quel lavoro " obbietta lei.
"Io sono più veloce al computer e ovviamente ho una prosa migliore, e poi dopo tutti questi anni a vederti compilare scartoffie potrei imitare il tuo stile ad occhi chiusi".
"Cosa scusa?" Beckett era tornata.
“L’ho già fatto più di una volta anche se tu non te ne sei mai accorta” lei lo iniziò a guardare male.
"Dai non arrabbiarti, la parola è come musica, una stonatura rovina l’insieme e quando sei stanca non sei esattamente come Pavarotti” lei lo guardava sempre peggio” dai vatti a preparare. Se ci sbrigliamo facciamo anche in tempo a mangiare un boccone prima di andare al CBI" così dicendo la guardò con lo sguardo più dolce che poteva, le diede un bacio leggero, e si alzò prima di ogni sua protesta.
Si mise la vestaglia di seta blu che aveva appoggiata lì accanto e andò verso il computer nell'altra stanza.
"Ah Kate!" si volse e la fissò ancora nuda sul letto "ti amo anch'io".
 
Ore 2:20 p.m.
Erano quasi arrivati al CBI. Il navigatore della loro BMW M6 cabrio, argento metalizzata, motore aspirato V10, diceva che erano a poco più di un miglio dalla loro destinazione.
Beckett era alla guida, come al solito, Castle non era riuscita a convincerla a farlo guidare nemmeno con la scusa di essere già stato in California e di conoscere i posti.
"Lunga vita a chi ha inventato i navigatori" aveva risposto lei sequestrandogli le chiavi. Quella macchina era veramente grandiosa, ovviamente non era la Ferrari di Rick, ma era comunque di gran lusso. Inoltre l'aria calda californiana che sentiva scendendo dalla valle le dava una fantastica sensazione. D'altra parte era una macchina che costava oltre € 130.000,00 cioè più di $ 180.000, e li valeva dal primo all'ultimo.
Castle aveva un gran gusto nella scelta delle auto. Come le aveva spiegato, guidare una BMW non è come guidare un'altra auto, benchè sportiva, ed era vero. Non è semplicemente bella, se ami guidare veramente allora ami una BMW, e non quelle mostruose station wagan di lusso che molti uomini trovano così di tendenza così come i suv fuoristrada. Quelle sono auto per chi è privo di gusto e di passione e con seri complessi di inferiorità ai loro membri.
Auto con la A maiuscolosa sono i coupè, le spaider, le cabrio, degne d'essere guidate solo da Uomini. O da vere donne, ma di carattere, come Beckett. La sensazione che le lasciava l'auto era unica.
Più spingeva il motore più le sembrava che la macchina s' incollasse all'asfalto e che lei si trovasse sui binari. Era bello quel rombo, potente, dei cavalli che scaricano sull'asfalto. Tutto merito della trazione, ma la sua stessa bellezza è anche la sua pecca, basta un gesto brusco o uno sbaglio, o poca distichezza, ed il retrotreno parte.
Beckett era stata la prima del suo corso in accademia in guida "sportiva", come la chiamava lei, per questo insisteva così tanto con Castle per guidare sempre.
Lei adorava guidare, la rilassava, la concentrava, e poi Castle era troppo carino quando era concentrato: sarebbe rimasta tutto il tempo a fissarlo inebetita.
Come aveva previsto Castle erano riusciti a terminare la relazione per Lisbon con i dati arrivati da New York abbastanza in fretta, Castle era stato molto bravo.
Ovviamente Kate non lo ammise davanti a lui, ma non potè non constatare che, per quanto riguardava il puro lavoro investigativo, Rick era di gran lunga migliore di gran parte dei suoi colleghi. Aveva un istinto innato, una curiosità che, invece di scontrarsi con la logica, vi si univa per dar luogo a deduzione pura.
Non era semplice intelligenza, Castle era non solo questo o acculturato o brillante, per Beckett erano tutti riflessi di quel suo istinto primordiale che lo facevano essere bambino e uomo, deciso e sensibile, scrittore e detective.
Comunque inviarono il tutto via mail a Lisbon anticipandole che sarebbero arrivati nel primo pomeriggio per il breefing con la sua squadra.
Kate vide la segnalazione di svolta a destra sul led e l'edificio da lontano, nulla di eclatante, anzi abbastanza anonimo malgrado tutto.
Mise la freccia e si fermò alla sbarra d'ingresso. Alla guardia che si avvicinò mostrò il tesserino e disse che l'agente Lisbon la stava attendendo. La guardia verificò la visita e la lasciò passare indicandole dove parcheggiare e dirigersi.
Salirono al primo piano dell'edificio, svoltarono a sinistra e, dopo un lungo corridoio arrivarono ad una grande stanza comune. Teresa era in ufficio poco lontano da loro sulla destra che parlava al telefono con un certo La Roche, mentre alla loro sinistra vi era una piccola stanzetta, probabilmente una specie di cucina.
"Benvenuti" disse una voce da lì dentro. Dopo qualche secondo comparve Jane, in camicia e panciotto, che stava mettendo in infusione una bustina di the in una tazza.
"Una tazza di the?" disse lui sorridendo sinceramente ai due ed iniziado a sorseggiare il prezioso liquido.
"No grazie" rispose Beckett. "Già, è ovvio, tu preferisci il caffè. Una tazza di buon caffè allora. Lisbon ha la sua riserva di Blue Mountain speciale nello stipetto, ma non ditelo in giro".
Kate non riuscì a non sorridergli.
"Ci penso io" disse Castle, ed entrò nel bullpen a preparare, come sempre, il caffè per la sua compagna.
"Kate!" era Lisbon che si stava avvicinando "Siete arrivati finalmente, vi hanno bloccato all'ingresso? Abbiamo avuto dei problemi di sicurezza l'anno scorso e adesso gli esami per i visitatori sono più rigorosi"
"Problemi, stai diventando diplomatica Lisbon, tra un po' potresti darti alla politica" commentò Jane avvicinandosi il suo the alla bocca. Teresa con uno sguardo la fulminò.   .
"No..." Kate arrossì leggermente ricordandosi perchè si erano attardati.
"Siamo stati trattenuti dal capitano Motgomery per gli aggiornamenti" intervenne Rick appena riemerso dal cucinino con tre tazze  di caffè in mano. Ne porse una a Beckett e nel gesto con l' indice le diede una impercettibile carezza alla mano.
Questa scena non passò inosservata a Jane come la ritualità del gesto " Già, quando chiama..."
Castle, lanciò uno sguardo di sottecchi al consulente e porse una tazza anche a Lisbon "Nero, ho immaginato".
"..Grazie" disse lei colpita dalla gentilezza.
"Il minimo per aver usufruito della tua ospitalità" rispose voltandosi di nuovo verso Jane.
Lisbon rimase un po' perplessa, poi si decise ed inspirò dalla tazza. Ma quella era la sua riserva speciale! Come aveva fatto Castle a trovarlo?
Il suo consulente si guardava in giro facendo finta di nulla. Con lui avrebbe fatto i conti dopo.
"Andiamo, il resto della squadra ci aspetta nella sala per la riunione".
 
Lisbon fece rapidamente le presentazioni, tutti erano emozionati di conoscere il famoso Richard Castle, soprattutto Cho che era un suo accanito lettore. Ovviamente non si profuse nei suoi confronti come un normale fans, ma si ripropose di farsi fare una foto con lui al momento giusto.
Rigsby fu invece più colpito dalla bellezza forte ed elegante di Beckett: aveva sempre ammirato le donne decise. In più Lisbon gli aveva dato il compito di raccogliere qualche notizia in più sulla detective, voleva andare sul sicuro, che poi aveva diffuso a tutta la squadra. Il risultato fu che Beckett stava alla polizia di New York come Lisbon stava al CBI. Pertanto aveva la massima stima da parte di tutti loro.
Cho riassunse per tutti il dossier stilato da Castle ed inviato poco prima da Beckett.
Cindy Cape era una persona riservata ma affabile, era stimata sul lavoro, infatti da poco meno di due mesi era stata promossa dalla casa editrice Black Pawn da responsabile per la sezione autobiografica e cronaca a direttore per i rapporti commerciali con la west coast. Con un bel salto di carriera era passata a livello dirigenziale. La sua assistente personale Megan Fox, detta poco gentilmente dai colleghi di Cindy  "Tool"  l'aveva seguita nel trasferimento. In realtà era la sua ombra.
Comunque anche in questo trasferimento non sembrava aver pestato i piedi a nessuno ed il suo capo, Gina Conwell, assicurava che si trattava solo di meriti personali.
Ryan ed Esposito avevano perquisito il suo appartamento di New York ma non avevano trovato nulla di interessante. Viveva sola e, a parte le foto dei genitori e dei nipotini, non vi era nulla che potesse dire qualcosa in più sulla sua vita privata. Cindy era dichiaratamente gay, ma non vi erano tracce di una relazione amorosa stabile. Sembrava vivesse per il lavoro.
"Ci sono già novità dal medico legale?" chiese Beckett.
"In effetti sì. L'ora della morte è stata collocata definitivamente tra le dieci di sera e mezzanotte. La causa è stata un ematoma subdurale, la sua testa  è stata colpita violentemente da un oggetto di legno ancora non identificato che le ha provocato la rottura di una delle vene della testa che si è riempita come un palloncino di sangue."
"Ma come, non è stata la caduta?" chiese Rick.
"Il medico lo esclude, quando è caduta in acqua era già morta, non è stata trovata acqua nei polmoni" continuò Lisbon "a quanto pare le schegge di legno che aveva sulla fronte sono diverse da quelle sull'escoriazione al braccio, quest'ultima  rivelava tracce di legno di betulla, proprio come gli alberi sotto la finestra da cui è caduta, mentre quelle sulla testa sono di pino, con tracce di sughero e di gesso."
"La stanza in cui era è in corso di ristrutturazione, nulla che combacia?"
"No Kate, e nemmeno nelle stanze vicine"
"Quindi sappiamo che Cindy è stata colpita con un oggetto di legno alla testa e poi è stata spinta dalla finestra di sotto probabilmente per inscenare un incidente. Poi l'assassino ha portato via l'arma"
"Questa sembra l'ipotesi più credibile".
"Ma come è possibile che un semplice colpo in testa abbia portato alla morte? Insomma molto spesso le vittime hanno un intervallo lucido, prima che un ematoma di quel tipo abbia effetti letali. La ferita non era profonda, insomma sembrava una brutta botta o poco di più. Ci potevano volere ore o addirittura giorni perchè quell'ematoma si potesse rivelare letale."
Gli altri lo guardarono con aria interrogativa.
"Avevo fatto una ricerca sugli ematomi per il terzo libro di Storm. Non mi piace sparare a caso. Tutto ciò che inserisco in un libro è verificato. Non scrivo cose false, l'unica cosa frutto di fantasia è la storia ma deve essere veritiera altrimenti non funziona. Una descrizione sommaria sarebbe dozzinale. Non si scrivono così i best seller ma solo i racconti di quarta categoria se pensi che due scene spinte siano sufficienti per vendere. Inoltre nei miei libri dò sempre tutte le informazioni utili per risolvere un caso, come faceva anche Agatha Cristie. Il giorco altrimenti non sarebbe equo."
"E' vero" commentò Cho.
"La tua obiezione è giusta Castle" proseguì Teresa "infatti il medico legale ha trovato anche tracce di anticoagulanti.  Con quelli il sangue si è sparso in un baleno. A quanto risulta dalla sua scheda medica si era incrinata una caviglia e per sicurezza il suo medico glieli ha prescritti. "
"Ovvio per evitare possibili coaguli. La scorsa settimana, durante una festa, è letteralmente inciampata sul tappeto rosso. Si vedeva che si era fatta male. Ma il giorno dopo si è presentata con una fasciatura è ha detto che andava tutto bene."
" Probabilmente ne era convinta. Il vero problema è che Cindy non avrebbe dovuto prendere antitrombotici: era incinta."
Per poco Castle si trozzò con il caffè.
Anche Beckett guardava la sua interlocutrice con evidente sorpresa. "Lo sapeva?"
"Non ne siamo sicuri, era di 7 settimane"
Jane era stato in silenzio fino a quel momento "Quindi abbiamo una donna tranquilla e riservata, senza nessun nemico e senza alcuna relazione sentimentale, dichiaratamente gay,  che ottiene la promozione più importante della sua carriera, si fa mettere incinta, parte in un lungo viaggio d'affari e viene ad essere uccisa da qualcuno in un attacco d' ira e che poi, per coprire il delitto, inscena maldestramente l'incidente".
"Pensi ad un omicidio passionale?" chiese Rick.
"Mi sembra l'unica alternativa logica. Una lite finita male. L'arma dell'omicidio deve essere stata improvvisata, quindi non c'era premeditazione. Probabilmente ha preso la prima cosa che gli è capitata in mano. Magari una mazza da baseball, c'erano tracce di gesso. Da quello che ci ha detto il medico legale l'assassino non poteva sapere le conseguenze del suo gesto. Per questo, quando ha visto che le cose gli erano scappate di mano ha inscenato l'incidente. La scientifica non ha trovato impronte sul davanzale della finestra ma c'erano fibre del vestito della vittima. Questo mi fa pensare che qualcuno abbia portato fin lassù il corpo lo ha appoggiato al bordo della finestra e poi lo abbia gettato sotto. Ma chiunque fosse non agiva con lucidità, altrimenti non avrebbe fatto un tentativo così raffazzonato. Ha agito d'impulso."
"Quindi pensi ad un uomo?" disse Beckett.
"Non è detto, Cindy era una donna minuta anche un'altra donna, seppur con fatica, poteva spostarla. E poi era gay. La sua compagna scopre che l'ha tradita, e per di più con un uomo, ed in un impeto d'ira e di gelosia la colpisce a morte".
"Potrebbe reggere" commentò Lisbon. "Dobbiamo scoprire cosa ha fatto negli ultimi giorni, con chi si è vista e dove è andata ieri sera. Così troveremo la scena del crimine primaria. E vediamo se qualcuno che frequentava gioca a baseball".
"Ho convocato la sua assistente. Sarà qui a momenti con l'agenda personale della vittima"
"Bravo Cho, allora diamoci da fare" terminò Lisbon.
"Si ma io non perderei troppo tempo con la storia delle mazze" interruppe Castle.
Jane si girò verso di lui con aria interrogativa.
"Le mazze sono il legno duro come acero canadese o ebano oppure di alluminio, certo non di pino".
Tutti si alzarono e Rick passò proprio a fiancò di Jane, quindi lo guardò dritto in volto "...e tre. Eliminato!".
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAP. 3
Ore 3:20 p.m.
“Questa volta mi sa che hai trovato pane per i tuoi denti Jane” disse Lisbon sorridente.
Era contenta che qualcuno avesse rimesso a posto l’ego del suo consulente.
“Mi piace sul serio Castle. E’ un uomo di principi”. Lisbon lo guardò non capendo, pensava si sarebbe accigliato dopo essere stato battuto così davanti a tutti.
“Ma dai, non dirmi che hai veramente pensato che potessi commettere un errore così dozzinale!”le lanciò un sorriso.
“Anche io inseguivo il mito americano da bambino, non avendo il fisico per il football ho imparato a giocare a baseball”.
Lisbon alzò il sopracciglio invitandolo a darsi una mossa.
“Volevo avere la prova che quei due stanno insieme.”
“Ma non è possibile, sui giornali hanno sempre dichiarato...”
“Balle. Non stanno insieme da molto, questo è vero, ma ti assicuro che erano in ritardo perchè avevano meglio da fare” rispose allusivo.
“D’altra parte basta leggere i libri di Castle per capirlo.”
“Non ti credevo appassionato del genere”.
“Quando passi tante ore insonni i libri sono una valida alternativa” le rispose con un filo di tristezza.
“Quindi?” lo incalzò.
“Volevo vedere come reagiva. Si difendono a vicenda, l’ hai notato? Si proteggono, è molto bello. Castle voleva vendicarsi perchè avevo messo in imbarazzo Beckett ed io l’ho provocato. Oserei dire che è stato un gesto molto cavalleresco.”
“Vuoi dire che hai appositamente sbagliato?”
“Dai Lisbon, lo sai che sono veramente poche le possibilità che io mi sbagli! Il tipo di lesione che aveva la vittima è compatibile con il movimento rotatorio di 180° dal basso verso l’alto che fa il battitore. Anche la presenza di gesso potrebbe avvalorare questa teoria.”
“Si ma il materiale?”
“Ah, ecco dov’era il mio tranello ed il buon Castle, tutto preso a salvare l’onore della sua musa, c’è cascato. Devi sapere che prima di essere tutte sostituite da quelle di alluminio le vecchie mazze da softball erano in legno dolce, soprattutto quelle a poco prezzo. Sono sicuro che al liceo la nostra vittima si divertiva un mondo a giocare a softball”.
“E perchè non glielo hai fatto notare?”
“Te l’ho detto: Castle mi piace.”
Si girò verso di lei e le sorrise avvicinandosi leggermente “Adesso che ti ho dimostrato che sono sempre il migliore, vieni a far vedere ai due piccioncini che sei brava quanto me?
 
Ore 3:35 p.m.
“Tool”, al secolo Megan Fox, era seduta nella sala interrogatori e aveva davanti a sè Lisbon e Jane.
Castle e Beckett era nella camera di osservazione insieme a Cho.
Rigsby e Van Pelt erano occupati a controllare i tabulati telefonici della vittima e i suoi conti bancari.
Castle osservava la piccola Tool agitarsi sulla sedia. Aveva gli occhi gonfi e delle brutte occhiaie, segno che aveva pianto  di recente e parecchio. Se l’immaginava chiusa nella sua stanza a battere pugni sul letto mentre i telefoni continuavano a suonare. Non era molto bella, era l’opposto di Cindy, quasi la sua nemesi. Ventisette anni. Piccola, magra, anzi un fascio di nervi, con i capelli neri corti, gli occhi piccoli che spuntavano da quella testa un po’ troppo grande rispetto al corpo. Era molto maschile nel suo modo di fare, sempre con addosso jeans neri stretti alle caviglie e maglie larghe. Forse per questo le avevano affibbiato quel soprannome.
“Signorina Fox, da quanto tempo era l’assistente di Cindy Cape?”
“Da circa due anni, mi aiutò a trovare lavoro e mi prese come sua assistente alla Black Pawn. Eravamo originarie della stessa cittadina. Mia sorella andava al liceo con Cindy. Era tornata a casa a trovare la famiglia per il Ringraziamento e io e mia sorella Jenny l’abbiamo trovata al pub. Avevo finito il college già da un po’, ma non avevo ancora trovato nulla di buono. Lei mi chiese se volevo visitare la grande mela ed io le risposi che era il mio sogno trasferirmici. La settimana dopo ero già in prova alla casa editrice”.
“Problemi sul lavoro?” Aveva litigato con qualcuno?”
Tool si spostò sulla sedia, come se avesse ricevuto una scarica elettrica che l’avesse fatta saltare in aria. Cercò una posizione più comoda.
“No tutto bene. Aveva ricevuto una promozione. Tutti la stimavano, altrimenti non l’avrebbero messa a ruolo dirigenziale”
Jane notava che la sua interlocutrice guardava verso il basso e si torceva le mani visibilmente agitata.
“Era contenta allora di questo nuovo lavoro?” disse Lisbon cercando di aggirare la sua ritrosia.
“Certo! Era felice di potersi spostare per lunghi periodi sulla costa ovest e poi il suo primo incarico importante era organizzare il tuor promozionale del signor Castle. Era al settimo cielo, anche perchè il signor Castle è una persona molto gentile e disponibile. Poi anche la detective Beckett è adorabile, non manca mai di un saluto” e così dicendo leggermente arrossì, qualcosa di impercettibile.
“Era l’amante di Cindy Cape?” domandò d’un tratto Jane era come se avesse sentito suonare la carica.
“Cosa? No, era il mio capo”
“Ma avrebbe voluto, non è vero? Non ha detto no non sono lesbica, ma ha inventato la vecchia scusa del capo. E’ per questo che l’ha assunta subito quando l’ha incontrata, perchè voleva portarsela a letto e, dopo averlo fatto, l’ha lasciata e adesso lei si è vendicata, non è vero?”
“No! Mai e poi mai avrei fatto del male a Cindy, lo giuro, dovete credermi!”
“Le conviene iniziare a dirci la verità allora” la incalzò Lisbon.
“E’ vero io ero innamorata di Cindy. Ma è sempre stata molto corretta e teneva le distanze. C’è stato solo qualche bacio due o tre mesi fa, poi, all’improvviso, mi ha detto che voleva starsene da sola, che non le sembrava il momento per l’inizio di una nuova storia dato che aveva ricevuto la promozione e che voleva concentrarsi sul lavoro. Mi ha detto che se volevo andarmene mi capiva. Ma io non volevo lasciarla sola. Era stata a casa malata per due settimane, mentre non aveva mai preso un giorno di ferie in dieci anni, e la cosa mi è sembrata strana”.
Jane incominciò ad elaborare quelle informazioni. La ragnatela si stava formando.
“Precedenti fidanzate gelose o arrabbiate?”
“Non che io sappia.”
“E fidanzati?”
“Era gay!” questa risposta la diede con rabbia. Gli angoli della bocca di Jane si alzarono.
“Ha detto che stava male. Sa se era stata dal medico?” chiese Teresa.
“Non lo so ma potete contattarlo. E’ la dottoressa Robin. Trovate il suo numero in agenda. L’ho consegnata prima al suo agente”.
Si riferiva a Cho che, in effetti stava già scartabellando dietro al vetro. Trovato il numero si lanciò fuori dalla stanza per telefonare alla dottoressa e, in caso di sua ritrosia, avrebbe chiesto ai colleghi di NY di andare a farle visita per farsi consegnare la cartella medica della vittima. Intanto Castle e Beckett iniziarono a sfogliare l’agenda per vedere gli ultimi appuntamenti della donna. Negli ultimi due mesi a quanto pareva non si era fatta visitare ma, tre giorni prima di morire, aveva un appuntamento con il dottore dell’albergo.
“Guarda qui” disse Kate indicandogli il punto.
“Beh, probabilmente si voleva far controllare la caviglia dopo la caduta”
“Forse, ma è meglio farci una chiaccherata”.
Dall’altra parte del vetro Lisbon stava incalzando la ragazza.
“Da quando siete arrivati in California nulla di strano? Aveva litigato con qualcuno? Le era sembrata strana? Qualsiasi cosa fuori dal normale, soprattutto negli ultimi giorni? Ci pensi è importante”
“Mi sembra di no, anzi era come rinata da quando era qui. Era di nuovo serena, sorridente, non soffriva più dei malesseri che sembravano stancarla tanto. A parte l’altro giorno.”
“Cosa è successo signorina Fox?”
“Stavamo passeggiando qui nel centro e tornavamo fino all’auto. Avevamo appena finito l’allestimento per la giornata di presentazione del romanzo. Quando d’improvviso è come sbiancata, aveva lo sguardo perso nel vuoto. Le ho chiesto se stesse male ma mi ha risposto che le era sembrato di vedere qualcuno che conosceva ma che si era sbagliata.”
“Si ricorda dove vi trovavate di preciso?” le domandò Jane sporgendosi sul tavolo.
“Mi sembra a tre quarti della Union verso Middletown Plaza, all’ingresso dei giardini”.
“Poi non è successo più nulla?” riprese Teresa.
“Non proprio. Ieri pomeriggio ha ricevuto una busta. Aveva il timbro del Major Theater. Ho pensato fossero degli inviti. Ne riceveva moltissimi. Tutti facevano a gara ad averla ai loro eventi, con la speranza che portasse i personaggi famosi che rappresentava. Altre volte più semplicemente erano gli stessi clienti della casa editrice che le mandavano questi omaggi. Quando era alla sezione autobiografie aveva conosciuto moltissimi personaggi famosi del mondo dello spettacolo. Spesso le si affezionavano, sapeva farsi volere bene ed era molto brava nel suo lavoro.”
“Sa per quando erano quei biglietti e se Cindy li ha usati?”
“Non so, non me li ha fatti vedere, ma posso vedere se sono da qualche parte”
“Grazie e potrebbe fornirci anche un elenco delle persone con cui era entrata in contatto per curarne le autobiografie diciamo nell’ultimo anno?” chiese Jane.
“A cosa ti serve?”domandò Lisbon.
“Ho una mia teoria” commentò con voce sommessa.
“Pensa che qualcuno possa c’entrare con la morte di Cindy?”
“Dobbiamo verificare tutte le piste” intervenne Teresa per cercare di calmare Megan.
“Mi lasci uscire di qui e tra massimo mezz’ora avrà tutto. Basta scaricare i dati dal palmare e confrontarli con le uscite editoriali”.
“Va bene. L’agente Cho le spiegherà come fare. Ma la prego di rimanere ancora a nostra disposizione”
“Certo agente Lisbon” e si alzò per lasciare la stanza.
“Solo una piccola curiosità Megan” disse Jane “Lei giocava a softball al college?”
“Io no, ma sa la cosa strana? Giocavano Jenny e Cindy al liceo”
“Davvero?” e si girò sorridendo verso il vetro “ed in che ruolo?”.
“Jenny seconda base, Cindy battitore”.
“Grazie Megan” la congedò.
“Battitore” ripetè lui sorridendo al vetro.
 
“Merda!” imprecò Castle dall’altra parte del vetro.
Beckett si girò verso di lui con aria interrogativa.
“Niente non ti preoccupare”si affrettò a dire lui.
Lisbon aprì in quel momento la porta e fece loro cenno di seguirla.
Lo scrittore si malediceva per la sua stupidità. Come aveva fatto a non pensarci prima ed a essersi fatto fregare così? Adesso stava iniziando a comprendere quali erano i giochi mentali per cui Jane era diventato così famoso.
Era così indispettito con lui per la battuta che aveva fatto con Kate che non aveva ragionato. L’unico sul pensiero era di batterlo al suo stesso gioco, in cui anche lui era bravo, il ragionamento deduttivo, ma non a livello di Jane a quanto pare.
Ma in realtà Jane giocava a scacchi e gli aveva mangiato l’alfiere senza farsi accorgere che era in agguato.
Aveva volontariamente parlato di mazze da baseball al posto di quelle da softball per vedere se Castle cascava nella sua rete, e aveva pescato il suo pesce.
Rick si domandava il motivo per cui non aveva fatto subito notare il suo errore, ma anzi aveva incassato il suo sberleffo.
Voleva continuare a giocare con lui per poi umiliarlo? A quanto aveva scoperto contro Jane c’erano montagne di formali lamentele per il suo comportamento sopra le righe. Vedendolo non sarebbe sembrato, con quel suo viso solare, il modo di fare elegante, ma a quanto sembrava il modo più comunque di definirlo era “grandissimo bastardo”.
In un certo senso Castle iniziava a capirne il motivo.
“Dobbiare fare un piano d’azione” diceva Lisbon a Beckett di qualche passo avanti a lui mentre alle sue spalle vide che stava sopraggiungendo Jane di corsa.
“Lisbon!”
Tutti si voltarono mentre lui si portò al suo fianco e la prese lievemente per il gomito per farla leggermente avvicinare.
Teresa ebbe un brivido alla schiena, come le capitava sempre quando lui la sfiorava, le rare volte che accadeva. Si augurò che non se ne accorgesse ed assentì per farlo proseguire. Invece lui lo percepì e per questo sorrise.
“Beh, penso che abbiate un bel po’ di dati da controllare, quindi penso che come bravo ospite io potrei portare Castle a fare un giro. Ci potrete chiamare non appena avrete novità”.
Castle lo guardò con sguardo stupitò e poi si voltò da Beckett.
“Mi sembra un’ottima idea. Ti chiamo appena ci sono sviluppi”.
Era curiosa di sapere cosa aveva in mente Jane. Aveva capito cosa era successo nella sala interrogatori ed in più realmente quei due non potevano fare molto in quel momento.
“Ok allora” si convinse Rick.
“Bene, vieni andiamo con la mia auto”
“Jane!!!
“Non preoccuparti Lisbon, andrò piano” disse dal fondo del corridoio Jane salutandola con la mano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAP. 4
Ore 4:20 p.m.
Castle correva dietro a Jane nel parcheggio del CBI. Non riusciva a capire perché avesse inventato quella scusa per parlare con lui ma era sicuro che sarebbe stata una conversazione interessante. Il sole batteva forte, d’altra parte era fine maggio, non c’era vento e nemmeno una nuvola. Di sicuro non gli dispiaceva uscire, ma avrebbe voluto rimanere con Beckett.
Jane era davanti a lui a circa due metri ed interruppe i suoi pensieri “Non preoccuparti, la tua detective si divertirà un mondo con Lisbon”. Era pazzesco come quell’uomo fosse irritante quando entrava nei tuoi pensieri. Ovviamente non era possibile, ma l’impressione era proprio quella. “Vedrai ti divertirai un mondo anche tu” e così dicendo girò dietro un grosso SUV nero.
Castle non credette ai suoi occhi. Jane era a fianco di una autentica Citroen DS Special perfettamente restaurata. “Incredibile” guardando con gli occhi sgranati “del ’72?”
“A dire il vero è del ‘71” precisò Jane con orgoglio.
“Alec Guinnes ne aveva una così, vero?”
“Si, per quello anche il papa e Brigitte Bardot, oltre a diverse migliaia di europei per lo più”
“Fantastica! Non è che..”
Jane capì al volo e gli lanciò le chiavi “solo perché tu non hai detto come Lisbon la prima volta che l’ha vista: guarda la macchina del tenente Colombo!”
“Ma quella era una Pegeuot”
“Appunto”.
Castle rise tra sé, accese l’auto ed uscì dal parcheggio andando in direzione della baia.
 Puoi toccare tutto ad un uomo, ma non la sua amata auto. Puoi rubargli la promozione, farti la sua donna, persino sederti sulla sua poltrona preferita, ma guai ridere della sua macchina. Non aveva valutato Jane da quel punto di vista. Forse era più normale di quanto volesse apparire.
“Sai Beckett non vuole mai farmi guidare, dice che non si fida, ma in realtà è perché vuole divertirsi ad avere il controllo e lanciare le auto a tutta velocità, soprattutto se potenti, e poi per lei è un modo di rilassarsi”
“Anche Lisbon ha questa fissa, a parte che lei prefisce guidare uno di quei grossi Suv che hai visto nel parcheggio. Io li trovo inguardabili ma evidentemente per lei è una questione di sicurezza”
“O forse le manca qualcosa” sogghignò Castle.
Jane rise di gusto senza però fare commenti. “Diciamo che questa è un’auto con una sua storia e la racconta, per questo mi piace”.
“E non ti chiede mai di fargliela provare?”
“Stiamo ancora parlando di auto?” gli rispose Patrick non essendo sicuro se lo scrittore fosse serio o volesse essere di nuovo allusivo. Poi continuò “E quando hai preso la patente per guidare quella della bella detective Beckett?”
“Si può sapere come fai Jane?” chiese Castle a metà tra l’irritato ed il divertito.
Jane gli scoppiò a ridere. “Ma dai non c’è bisogno di essere un genio per capire che sei innamorato di quella donna! Ti sei mai visto come la guardi?”
“Me l’hanno detto” ripensando ai commenti che faceva sempre loro Lanie.
“In più quando i vostri sguardi si incontrano sono scintille… E poi continuate a toccarvi.”
“Non è vero!” protestò Castle.
“Oh sì che è vero. Forse non lo notate ma è come se continuaste a cercarvi. Avete bisogno di sentire la presenza l’uno dell’altra. Non mi fraintendere io lo trovo molto bello.”
Rick ripensò agli anni che erano trascorsi, quando lui e Kate non stavano insieme. Aveva ragione Jane, lui cercava sempre di sfiorarla, perché quando la sfiorava il suo cuore esplodeva, era come prendere una boccata d’aria dopo l’apnea. Lo faceva impazzire quel brivido dietro la schiena quando lei era così vicina da sentire il calore della sua pelle e voleva solo annullare quell’inutile distanza. A volte tornava a casa e sentiva il profumo di lei sulla camicia e non se la toglieva. Voleva dormire con quel sentore addosso. Per fortuna ora dormiva con lei addosso. Quel pensiero gli scaldò il cuore e sentì un nuovo brivido che gli rammentò una cosa che gli era parso notare poco prima.
“E’ per questo che tu eviti di toccare l’agente Lisbon?” disse Castle voltandosi.
Jane lo fissò a sua volta per qualche istante. Poi tornò a guardare la strada.
Passata una buona mezz’ora Jane gli indicò di fermarsi e Castle parcheggiò proprio vicino alla spiaggia. Scesero dall’auto ed iniziarono ad incamminarsi sulla sabbia bianca e fine.
“Perché prima non hai detto che mi stavo sbagliando?”
“Perché non ce n’era bisogno, e poi non avresti potuto difendere la tua bella” disse sereno Jane.
“Non capisco”
“Vedi volevo solo irritarti per sapere se sotto pressione usi la testa o il cuore. Hai delle grandi doti deduttive, e hai anche cuore. Così adesso sono sicuro che sei una persona che mi va a genio”
Castle era allibito di quella spiegazione ma lo lasciò proseguire.
“Comunque non è detto che quella della mazza sia la giusta teoria per individuare l’arma del delitto, è solo una delle possibili teorie da prendere in considerazione ma molti altri oggetti possono lasciare le stesse tracce”. Jane diede un leggero calcio che sollevò una nuvoletta di sabbia. Fissò i granelli ricadere spargendosi.
“Mi dispiace”disse Castle. Jane si voltò distogliendosi dall’arenile “per prima in macchina. Non ho diritto di farmi gli affari tuoi”
“No, a dire la verità hai ragione. Tendo ad evitare i contatti con le persone”.
“Beh, è normale dopo quello che ti è successo” Rick si morsicò la lingua troppo tardi, ma Patrick non era arrabbiato, anzi continuava a sorridere.
“E’ esattamente questo che intendevo, sei una persona sincera. Comunque sono lusingato che il grande Rick Castle abbia fatto ricerche su di me. Internet? Di sicuro, ho visto che smanetti sempre con il tuo I phone. Allora cosa si dice di interessante di me sul web?”.
Castle fece il riassunto di quello che aveva scoperto, dalla vita precedente di Patrick al presente, sottolineando il suo gesto eroico di aver salvato Lisbon quando un pazzo amico di Red John la stava per uccidere.
“Dumar…” rimuginò Jane “era da un po’ che non sentivo quel nome. Comunque non ha importanza”
“Ma poteva portarti da Red John”
“Seguirò un altro sentiero, che mi condurrà comunque fino a lui” lo disse con forza e con una determinazione che gli fece brillare lo sguardo.
“Non ti è costato ucciderlo?”
“Vedi Rick io odio le armi. Tutte. Quindi sì, mi è costato sparare a quell’uomo anche se, intendiamoci, come amico di John sicuramente non meritava di restare in vita. Comunque non ho nemmeno pensato, è stato un attimo: ho visto Teresa in pericolo e ho visto il fucile. Un istante dopo avevo il fucile in mano che aveva già sparato. Penso che il rumore del colpo mi abbia come svegliato. Lo avevo centrato in pieno. Non so come posso esserci riuscito”.
“Kate è rimasta molto colpita quando l’ha letto. Anche lei mi ha salvato una volta in una situazione molto simile.” Rimase un attimo in silenzio.
“Mi è capitato altre volte di salvarle la vita, ma per fortuna non ho dovuto sparare più a nessuno. Io cercherò sempre di proteggerla” finì la frase con un tono molto serio, non triste ma certo.
“Ti capisco, io mi butterei nel fuoco per Kate”
Jane lo guardò con un sincero sorriso in volto “Eh sì, mi vai proprio a genio”.
Così detto camminarono sulla spiaggia in silenzio.
 
Ore 5:45 p.m.
Lisbon e Beckett avevano appena posato i rispettivi telefoni e stavano comparando i dati.
Esposito e Ryan erano andati a fare visita alla dottoressa Robin a NY.
A quanto pareva la vittima aveva davvero una salute di ferro e la dottoressa non era al corrente di alcun periodo di malattia di Cindy negli ultimi tempi. Così avevano battuto le farmacie più vicine all’abitazione della vittima e avevano scoperto che risultava una prescrizione a suo nome di sette settimane prima in quella più vicina a casa sua: aveva comprato antibiotici a largo spettro e forti antidolorifici. La ricetta non era della dottoressa Robin ma di un certo dottor Mc Finc, medico di pronto soccorso del Methodist Hospital. Ovviamente si recarono a controllare.
Il grosso dottore irlandese che si parò loro davanti non aveva molte intenzioni di collaborare con i due agenti, almeno fino a quando Ryan non scoprì di avere degli avi in comune con lui e che le rispettive madri andavano nella stessa chiesa: questo aprì loro gli archivi dell’ospedale anche in assenza di un mandato. Cindy si era presentata nel bel mezzo della notte al pronto soccorso: era stata stuprata e picchiata. Era anche in stato catatonico. Si rifiutava di parlare dell’aggressione.
Fu ricoverata solo per un giorno e poi insistette per andarsene. Non disse nulla nemmeno agli agenti che si erano presentati per interrogarla.
“Quindi Cindy non si era ammalata, era rimasta chiusa in casa per due settimane perché aveva subito uno stupro e non era andata dal suo medico curante perché non voleva che nessuno lo sapesse. Probabilmente è rimasta incinta a seguito dell’aggressione” commentò Lisbon.
“Sono d’accordo. Ho già chiesto a Ryan ed Esposito di inviare i risultati del kit stupro eseguito su Cindy in ospedale. Hanno anche parlato con gli agenti che hanno cercato di interrogarla. Ha detto loro che era stata aggredita da un tizio che non aveva visto in volto tornando a casa ma che non si ricordava nulla di utile, quindi hanno archiviato il caso come irrisolto. Tutto questo però non mi convince.”
“Già sembra una scusa. Comunque faremo confrontare i risultati del DNA dello sperma dell’aggressore con il feto e vediamo se ci saranno utili. Mi stavo chiedendo come ha fatto Cindy ad affrontare questa cosa da sola. Non ha chiamato nessuno quando è successo, insomma poteva veramente mantenere un simile segreto con tutti? Eppure da quello che mi hanno detto Rigsby e Van Pelt le uniche chiamate di quella giornata  sono state o  a clienti o a Megan e, in tarda serata solo al suo capo”.
“Ha telefonato a Gina?” chiese Beckett.
“Si, alle…11:47 p.m. per essere precisi, perché?”
“Hanno parlato?”
“Poco più di due minuti, perché?”.
“Perché non conosci quella donna. Se ha risposto a quell’ora invece di pensare agli affari suoi c’era un motivo”
Beckett andò a ricontrollare un particolare sulla cartella clinica della vittima che i suoi agenti le avevano spedito.
“Indovina chi ha pagato il conto dell’ospedale di Cindy? La casa editrice Black Pawn”
“Quindi la vittima aveva chiamato qualcuno” proseguì Lisbon nel ragionamento.
“Già Gina, che poi si è premurata di pagare anche il conto dell’ospedale. Ma per quale ragione?”
“Forse per la stessa per cui poco dopo ha avuto una promozione che la portava dall’altra parte del paese”
“Castle andrà su tutte le furie questa volta. Sappiamo cosa stava facendo quella sera Cindy?”
“Da quanto ci risulta dalle nove in poi era impegnata in una festa per la presentazione dell’autobiografia di un tenore lirico, Anthony Sabini. “
“Mi ricordo, ne avevano parlato i giornali. Doveva essere una festa molto glamour e metà New York voleva andarci”
“Era stato invitato anche Castle alla serata dalla sua casa editrice?”
“Non so, ma quella sera eravamo impegnati in un caso quindi di sicuro non c’è andato”
Beckett non andò oltre nel discorso. Si ricordava di quella sera perché erano vicini a prendere il responsabile della morte di sua madre. Se lo ricordava bene perché Castle era andato a casa sua e si erano addormentati abbracciati sul divano. Erano stati molto vicini al loro momento della verità. Ripensò alla sensazione che provò la mattina dopo nell’essersi svegliata tra le braccia di Rick con il suo profumo addosso, il suo sguardo dolce e arruffato del primo mattino, la voce calda che le chiedeva se si sentiva meglio. Kate scacciò quel pensiero. Doveva lavorare non poteva perdersi in stupide romanticherie. Ma si segnò mentalmente che quella notte si sarebbe fatta stringere da Rick, possibilmente fino al mattino.
“Dobbiamo scoprire chi c’era alla festa. Chiamo Megan Fox e mi faccio mandare l’elenco” disse Lisbon prendendo il telefono.
Intanto Beckett stava scorrendo i risultati del controllo sui conti di Cindy Cape. Aveva ricevuto un bonus di $ 25.000 al momento della sua promozione, ma adesso non le sembrava più tale. Appariva più come il prezzo per il silenzio di una vittima, soprattutto se uniti con gli ulteriori $ 125.000 che avrebbe guadagnato all’anno. Kate prese il suo telefono e chiamò Ryan ed Esposito anche se era piuttosto tardi nella grande mela.  Spiegò cosa avevano scoperto e ordinò loro di andare a prendere Gina e di farla parlare: lei doveva sapere chi aveva violentato Cindy e Beckett voleva quel nome. Disse loro di usare i metodi che ritenevano più opportuni ma che si aspettava un risultato al più presto.
Lisbon aveva finito al telefono e si girò verso Kate dicendole “Mi sono appena arrivati i risultati preliminari sul corpo di Cindy. Li sto stampando” intando il telefono della sua scrivania iniziò a suonare. Vide che era l’interno di LaRoche.
“No, questo adesso non lo sopporto” era impossibile, era la terza volta quel pomeriggio che la chiamava chiedendo aggiornamenti. Risoluta prese i fogli dalla stampante e la sua giacca e fece un cenno a Kate che la seguì.
“Sarà meglio che andiamo a controllare quei due che non facciano troppi danni” e così dicendo uscirono dal palazzo.
Ore 6:20 p.m.
Rick e Patrick era seduti sulla terrazza del “Marina’s” proprio di fronte alla spiaggia alla destra del porto turistico.
La brezza calda della sera proveniva dal mare e faceva muovere le fronte degli alberi del giardino dietro di loro. Si stavano gustando due straordinari bicchieri di vino. Patrick aveva insistito dicendo che in quel locale avevano una cantina favolosa e Castle doveva ammettere che aveva ragione. La bottiglia da cui erano stati empiti quei calici era superba. Era un Chateauneuf du Pape del 2005 del Chateau la Nerthe, che viene prodotto solo in annate giudicate eccezionali nella valle del Rodano meridionale. Il Grenache noir, il Syrah e una piccola quantità di Mourvédre vengono vinificati insieme in botti di legno per dare questo prodotto eccezionale che spande in bocca aromi ampi e rotondi.
Patrick ne bevve un sorso guardando il mare. Il liquido gli avvolse la lingua ed i tannini gli persistettero nel palato. Espirò ed inalò i profumi di rimando dalle narici. Era pieno, con sentori di mosto e di frutta rossa, e con profumo di sottobosco, legno,  ma non di vaniglia (sintomo di naturale maturazione senza aggiunte troppo convenzionali), di viola ma soprattutto di rosa rossa.
Come il profumo naturale della pelle di Teresa. Desiderò per un attimo che fosse lì con lui e fantasticò di girarsi e baciarla per sentire quello stesso sapore nella sua bocca. Per sentire come fosse baciarla e sentire quel profumo di rosa dentro le sue narici e sulla sua lingua.
Scacciò quel pensiero come fosse una mosca fastidiosa che gli ronzava attorno senza dargli tregua. Non poteva permettersi certe debolezze. Pensò fossero stati i discorsi di Castle a fargli venire certe strane idee.
Lo squillo del suo cellulare lo destò dai suoi pensieri ma non potè non sorridere quando lesse il nome sul display, quindi rispose “Ti mancavo troppo Lisbon?”
Castle si girò curioso di sapere se ci fossero novità con le orecchie tese.
“A dire il vero volevamo controllare non vi steste battendo a regolar tenzone  o foste finiti in qualche guaio”.
“Dovresti imparare  fidarti di più della mia parola. Sei in auto?”
“Si, io e Kate siamo venute a vedere se non foste in qualche scarpata”
“Bugiarda..” disse Patrick sogghignando “…anche se non ti vedo lo sai che so quando mi racconti storie. Mi sa che stai scappando ancora una volta da La Roche, non è vero?”
“Jane, piantala” gli rispose fingendosi scocciata.
“Facciamo così, noi siamo al Marina’s, voi ci raggiungete così ci aggiornate sul caso mentre mangiamo qualcosa. Intanto qui c’è  una fantastica bottiglia di vino francese con il tuo nome scritto sopra ed un meraviglioso tramonto. Cosa ne dici?”
La voce di Jane era languida, rassicurante e così calda. Teresa arrossì involontariamente. “Va bene ma paghi tu”. Lui sentì la sua voce e capì che era riuscito a metterla in imbarazzo, di nuovo, ed era incredibilmente divertente e lusinghiero. “Ok vi aspettiamo. Fate presto”.
Rick lo stava fissando in evidente attesa.
Quelli a lui sembravano preliminari di corteggiamento ma si tenne il pensiero per sé.
“Chiamiamo il cameriere per fargli preparare un tavolo. Stasera portiamo a cena le nostre ragazze”.
Sorridendo alzò il calice e bevve ancora del prezioso nettare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAP. 5
Ore 7:50 p.m.
Il Marina’s era un locale famoso oltre per la splendida posizione panoramica e per cantina con oltre trecento etichette, per il suo incredibile chef: Marina Fattori in Griffin.
Lisbon era già stata in quel posto con Jane in un’altra occasione, quando Walter Mashburn li aveva appena conosciuti e, per ringraziare il suo consulente, gli aveva prestato la sua favolosa auto e lui l’aveva portata in quel meraviglioso ristorante. Era stata una bella serata, serena.
Il matre aveva fatto preparare per Jane ed i suoi ospiti un grande tavolo rotondo sotto un acero frondoso nel lato più riparato del giardino, così da permettere loro di mangiare all’aperto senza sentire dell’umidità della sera. Era una posizione un po’ defilata, per permettere loro di parlare con tranquillità senza essere disturbati dagli altri avventori. Erano due belle coppie aveva notato l’uomo, che aveva già visto Jane con la brunetta che gli sedeva di fianco, mentre l’uomo di fronte a lui e la sua compagna erano certamente di fuori a giudicare dall’accento, probabilmente una coppia in vacanza.
Kate notò con quanta cura era stata preparata la tavola; la lunga tovaglia bianca scendeva fino quasi a terra, le due forchette erano a sinistra, i due coltelli a destra insieme al cucchiaio e le due posate da dolce in alto. Ovviamente i bicchieri erano leggermente spostati a destra del piatto davanti ai coltelli. I sottopiatti erano in pesante ceramica del colore del mare.
L’acqua era servita in bottiglie di vetro soffiato blu, il vino al suo fianco. Il pane fatto in casa era  servito a lato di ogni commensale su piattini da cui saliva il profumo fragrante della farina di kamut usata per gli impasti. Marina era di origini italiane e aveva lavorato a lungo nel suo paese d’origine prima di decidersi a spostarsi in California, per amore. Ciò però non la distolse dal portare i profumi, i gusti e l’attenzione per gli ingredienti della centenaria tradizione mediterranea.
Kate era stata tentata da un piatto di crudo di tonno servito su una strana insalata violacea che, come il cameriere le aveva spiegato, cresceva tardiva in una regione del nord Italia, e guarnita da dei gamberi rossi. Lisbon aveva preferito mangiare del pesce cotto e si era convinta per un trancio di ricciola al forno con impanatura ai fiori di lavanda, con una pallina di patata schiacciata all’olio e guarnita con due salse una al pomodoro fresco e l’altra al basilico.
Marina spiegava sempre che quel piatto era un omaggio al suo grande maestro in Italia che lo aveva inventato.
Rick e Jane invece preferirono delle costolette d’agnello, accompagnate da una millefoglie di patate e carciofi croccanti.
Beckett e Lisbon non erano abituate a quei tipi di cibi, ma, come aveva sottolineato Jane, non lo erano nemmeno la stragrande maggioranza degli americani e delle persone in generale, ma quello non era un buon motivo per non passare infine dal nutrirsi al mangiare.
Rick invece era un buongustaio ed apprezzava visibilmente quanto gli venne servito.
Le donne ragguagliarono i loro compagni su quanto scoperto quel pomeriggio.
I risultati preliminari dell’esame del corpo non avevano rivelato molto di più di quanto già sapevano. La causa della morte era stata confermata. Gli esami ulteriori non ci sarebbero stati fino all’indomani e i tecnici avevano promesso che avrebbero fatto il possibile per la comparazione del dna. L’unico particolare erano dei lividi comparsi post mortem sui polsi, come se fossero stati stretti con qualcosa.
Rigsby e Cho avevano esaminato la camera di Cindy in albergo ed avevano trovato la busta del Major con un biglietto per la sera in cui Cindy è morta. Il portiere aveva riferito di aver chiamato un taxi per la vittima quella sera per le 7 di sera e ha sentito chiedere all’autista di dirigersi verso Sacramento. Aveva un borsone con sé. Si stavano premurando di cercare l’autista del taxi per farsi dire dove aveva lasciato Cindy.
Esposito e Ryan invece non erano ancora riusciti a rintracciare Gina che sembrava scomparsa nel nulla.
Jane diede una scorsa alla lista degli invitati alla festa per l’autobiografia di Sabini. Van Pelt ci stava lavorando su facendo raffronti con gli archivi delle forze dell’ordine e, secondo un suggerimento di Castle, anche con le compagnie aeree per scoprire se qualcuno era al momento in California.
Rick era furibondo con Gina, non aveva una così grande stima verso di lei ma non la pensava capace di essere implicata in un reato. Invece era evidente che Cindy era stata violentata da qualcuno che era alla festa, qualcuno che aveva legami forti con la Black Pawn, e che, per mettere tutto a tacere la dirigenza aveva pagato per il silenzio di Cindy, per farle dimenticare l’ingiustizia subita.
“Il problema non è che la gente pensi che tu abbia un prezzo, ma se tu accetti di fissarne uno” commentò Jane che proseguì “comunque sono sempre più convinto che la violenza subita da Cindy sia collegata al suo omicidio”.
“Sono d’accordo con Patrick. Bisogna capire cosa ha fatto Cindy quella sera.”
“Beh, semplice voleva andare a teatro” gli altri lo fissarono mentre portava alle labbra un napoleon appena riscaldato con una buona quantità di Couvoisier imperial.
“Andiamo! Nessuno manda un solo biglietto in omaggio, ne manda almeno due. Ma noi ne abbiamo trovato uno solo, quindi l’altro lo aveva con sé la vittima”
“Ma non abbiamo trovato la matrice tra le cose della vittima” obbiettò Lisbon.
“Può averlo perso oppure gettato. Cindy quando è stata ritrovata era in abito da sera, quindi posso giocarmi quello che volete che voleva andare a teatro”
“Da sola? Ma perché? Poteva chiedere a Megan di accompagnarla”
“Perché mia cara voleva parlare a quattrocchi con il fantasma che aveva visto qualche giorno prima. Cosa c’è sulla Union dall’altra parte della strada rispetto all’ingresso dei giardini?”
“Il Major Theater” concluse lei.
“Quindi Cindy vede davanti al teatro qualcuno, che la spaventa, forse il suo aggressore e probabile padre del suo bambino, e se ne va in tutta fretta pensando di non essere stata notata”inizia Beckett.
“Ma invece il suo fantasma, che fa parte dell’enturage del teatro, la vede, e vuole divertirsi a stuzzicarla, per questo le manda i biglietti, vuole farle sapere che sa dove si trova e può raggiungerla”continuò Castle.
“Non può essere non le avrebbe mandato due biglietti con il pericolo che si presentasse a teatro con qualcuno che lo potesse affrontare” obbiettò Lisbon.
“No, sapeva che non l’avrebbe fatto perché aveva accettato di essere comprata per il suo silenzio, altrimenti lo avrebbe denunciato. Cindy era dichiaratamente gay, forse sperava che arrivasse con un’amica. L’uomo che l’ha aggredita non si è limitato a violentarla, l’ha picchiata e umiliata. Ha bisogno di esercitare il controllo sulla sua vittima e farle sentire che è uno strumento nelle sue mani. L’ha usata, l’ha comprata, è un suo oggetto. Probabilmente è anche convinto che a Cindy sia piaciuta la sua violenza, magari crede addirittura di averla fatta ricredere sui suoi gusti. Se Cindy fosse andata da lui doveva essere per compiacerlo”.
L’analisi di Jane aveva un senso ammise a sé stessa Lisbon.
Castle terminò il ragionamento.
“Invece la vittima va dal suo carnefice e lo affronta, magari munita della sua mazza da softball, vuole fargliela pagare ma lui riesce a sopraffarla, ne nasce una colluttazione e lei ha la peggio. Muore per le conseguenze della ferita alla testa. L’assassino non sa come disfarsi del corpo ed inscena la caduta”.
“Sì ma ci sono ancora troppi buchi da riempire. Non abbiamo la scena del crimine né l’arma del delitto. Anche ammettendo che fosse la mazza di Cindy e che l’assassino l’abbia disarmata e usata contro di lei sarebbe utile scoprire dove è andata a finire” obbiettò Beckett.
Rick alzò lo sguardo dal suo telefono sorridendo “Forse però riesco a rispondere ad una domanda importante. Sapete quale spettacolo danno al Major? La Traviata di Verdi. Ed indovinate chi fa la parte di Alfredo?”
Le donne lo guardarono interrogative. “Il protagonista maschile!” cercò di spiegare Castle.
“Io dico Anthony Sabini” rispose Patrick.
Tres bien mon ami” disse lo scrittore di rimando alzando la sua coppa di cognac ancora intatta, ma per poco.
 
Ore 11:00 p.m.
Castle e Beckett erano rientrati in albergo da una mezz’ora.
Lisbon era tornata a Sacramento con l’auto Jane. Aveva insistito per guidare dicendo che se li avessero fermati lo avrebbero arrestato per guida in stato di ebbrezza ma lui le rispose che non sarebbe successo niente del genere perché, nel caso una pattuglia li avesse bloccati per un controllo, lei avrebbe mostrato il suo tesserino e li avrebbero lasciati passare. Inoltre Patrick puntualizzò che  reggeva benissimo l’alcool quindi la sua auto avrebbe continuato a guidarla solo lui così non avrebbe potuto rovinargli il cambio. “A furia di guidare quei mostri con il cambio automatico non sei più capace a guidare le vere auto” commentò mentre le apriva la portiera per farla salire.
Si lasciarono con l’accordo di ritrovarsi l’indomani entro la mattinata al CBI. 
Kate era andata a farsi un bagno mentre lo scrittore era sul letto con il suo Mac aperto sulle gambe. Stava finendo una per mail Alexis quando la porta del bagno si aprì facendo uscire una nuvola di vapore. Si girò e la vide avvolta solo in un asciugamano.
“C’è di nuovo la nebbia londinese?”chiese inviando il messaggio per poi chiudere il computer e posarlo sul comodino.
“Molto divertente!” gli rispose sedendosi accanto a lui.
Le mise un braccio sulle spalle e l’avvicinò a sé. Iniziò a baciarla nell’incavo del collo e risalì fino a dietro l’orecchio “Mmh…ciliegie..”
“Non mi hai ancora raccontato di oggi con il tuo nuovo amico. Mi sembra che andiate d’accordo”
“Mi interrompi mentre sto cercando di sedurti per farti raccontare quello che mi sono detto con Jane?”
Lei lo guardò con lo sguardo affermativo.
“Ma quanto sei curiosa amore mio!” la baciò sulla guancia e la fece appoggiare sul suo petto.
“La nostra prima impressione su di lui era corretta. Patrick è una persona molto sensibile, di un’intelligenza straordinaria ma che è stato terribilmente ferito. Sta pagando ancora adesso per la tragedia che ha vissuto. Cerca di tenere le persone a distanza per paura di poterle perdere. Secondo me ha un debole per il suo capo ma tenta di minimizzarlo e tenerla lontana. Per lui quello è l’unico modo di proteggerla ma non sa cosa si sta perdendo, nessuno come me può dirlo. Inutile aver paura di quel che potrebbe accadere, dovresti temere quello che ti rifiuti di far accadere”.
Anche Kate si era fatta raccontare un po’ di cose su Jane da Lisbon quando li stavano raggiungendo, aveva parlato della sua infanzia, del suo passato da sensitivo, del periodo in cui era stato ricoverato dopo la morte della moglie e della figlia sull’orlo del suicidio e degli anni al suo fianco. Si erano salvati la vita diverse volte, erano molto uniti. Anche secondo Kate, Lisbon aveva un debole per il suo bel consulente, ma dava l’impressione di essersi messa l’anima in pace valutando come impossibile qualsiasi contatto ulteriore.
“Forse gli serve una spinta” rimuginò lo scrittore.
“Castle, no!Toglitelo dalla testa”
“Cosa ho fatto?”
“Nulla e continuerai su questa strada”
“Perché? ho fatto innamorare tanti personaggi nei miei libri e quei due sono già a buon punto”.
“Appunto erano romanzi, e Jane e Lisbon non hanno chiesto il tuo aiuto quindi fatti gli affari tuoi e non pensare ai problemi sentimentali degli altri”.
“Ho fatto innamorare anche te” rispose avvicinandosi pian piano al suo viso.
“Allora vedi di lavorare per mantenere i miei favori ancora a lungo” gli rispose attirandolo  e lo fece distendere su di sé.
Con un rapido gesto le sciolse l’asciugamano che cadde a terra. Sapeva cosa stava chiedendo. L’avrebbe tenuta stretta fino al risveglio.
 
Ore 8:20 a.m.
Lisbon stava entrando al CBI dopo un sonno ristoratore.
Si era trovata bene a cena e anche il suo biondo consulente gli aveva dato quell’impressione.
Il suo viso era disteso mentre guidava. La mascella era rilassata, il respiro regolare. L’aroma del cognac che aveva bevuto dava ancora più calore all’aura che sapeva emanare. Era terribilmente affascinante in quelle situazioni. Per questo mentre la riaccompagnava lei chiuse gli occhi. Si sentiva sopra una nuvola. Voleva solo inebriarsi di quell’aroma senza che lui la potesse prendere in giro come suo solito. Jane l’aveva notata poco dopo e aveva pensato che dormisse. In effetti lei si era rilassata così tanto che il respiro era diminuito ed era a metà strada tra il sogno e la veglia.
L’aveva imparato nei lunghi anni in cui doveva prendersi cura dei suoi fratelli e badare che suo padre non facesse loro nulla di male. Per questo nemmeno Patrick si accorse che era ancora vigile.
Percepì il suo sguardo su di lei, più volte, poi insistentemente.
Sentì le sue dita percorrerle la guancia dall’ orecchio al mento con un tocco leggero che la fece percorre da un brivido ma che, questa volta,  partiva dal cuore per scenderle in basso.
“La mia bellissima rosa” lo sentì sussurrare, come un’alito di vento.
Poi portò la sua mano a toccare quella sinistra di Lisbon appoggiata al sedile. La sollevò leggermente, fece scorrere il suo pollice sul dorso della mano, dal polso alle nocche, mentre le altre dita percorsero il palmo nel medesimo senso. Il cuore della donna si fermò per qualche attimo.
“Perdonami” sussurrò.
Ritrasse la mano riportandola al volante.
“Dormi Teresa, dormi sogni d’oro”.
Arrivati a casa sua la chiamò per svegliarla, le augurò la buona notte e se ne andò senza nulla aggiungere.
Quella mattina Teresa si domandava se quello che ricordava era frutto della sua fantasia.
Poi la vide, era sulla sua scrivania.
Una splendida rosa dal lungo gambo. Era una Acapella, un rosa rossa dai grandi fiori color ciliegia all’interno e argentati all’esterno con il bocciolo ancora chiuso a spirale. La prese e se la portò al naso per aspirarne l’aroma era intenso e forte, proprio come lui, e non poteva che essere stato lui a regalargliela. Quindi la notte prima non aveva sognato.
La posò ed uscì dal suo ufficio.
“Cho, hai visto Jane per caso?”
“Non ancora capo, ma di solito non arriva mai così presto”.
“Già” poi si girò e vide che la luce della soffitta era accesa, segno visibile che il suo usuale occupante c’era.
 
 
 
 
 
 
 
 
CAP.6
Ore 10:20 a.m.
Patrick Jane era disteso sul giaciglio che aveva improvvisato in soffitta del CBI. La luce del giorno lo disturbava, non riusciva a riflettere, e continuava a maledirsi per aver perso il controllo la sera prima.
Aveva l’avambraccio posato sul viso per oscurare la vista, ma lo fece scendere fino al suo fianco “Che idiota!” e si alzò.
Quella mattina aveva scelto il completo grigio perla, ma in quel momento era in maniche di camicia. Camminò fino alla vetrata che dava sul cortile del CBI ed appoggiò entrambe le mani al vetro abbassando il capo.
Gli tornò in mente l’aria fresca della notte mentre scherzava con Lisbon e la faceva salire in auto, era disteso e sereno come da tanto tempo non gli accadeva più, forse per l’ottima cena, forse per il vino ed il cognac, forse per la compagnia dei due nuovi amici, forse perchè per una sera il fragore delle onde aveva spazzato via l’ombra di Red John e del suo maledetto passato.
Forse per tutto quanto assieme aveva abbassato la guardia, solo per un attimo, ma era successo. Guardarla riposare serena accanto a lui in auto, gli era sembrata la cosa più normale del mondo e l’unica sensata in quel momento. Per quello per un attimo l’aveva desiderata, per quello ora doveva essere ancora più solitario. Non poteva per nessun motivo farle correre dei pericoli, teneva troppo a quella ragazza.
Il suo amico Castle aveva c’entrato in pieno il bersaglio: Patrick evitava volontariamente ogni rapporto fisico con Teresa perchè aveva il terrore di cedere alle emozioni.
Ogni volta che le stava accanto curava a che le loro  mani e le loro braccia non si sfiorassero, di mantenere una distanza di sicurezza per non percepire i suoi feromoni, e di non cingerle mai la vita quando gli camminava accanto, di distogliere lo sguardo ogni dieci secondi mentre lei gli parlava, di non fissarle mai le labbra, insomma attuava ogni precauzione per evitare di saltarle addosso e prenderla sulla scrivania del suo ufficio.
Quei pensieri lo accaldarono e quindi aprì la finestra per inspirare un poco dell’aria ancora fresca della mattina, ma non servì a molto, sentiva ancora sui polpastrelli la morbidezza della sua mano. Inspirò con il naso ed espirò con la bocca, tre volte, ad occhi chiusi. Il cuore aveva rallentato, il respiro era tornato normale come la pressione. Se non avesse avuto tutto quell’autocontrollo non ci sarebbe mai riuscito.
Riaprì gli occhi e vide la BMW di Castle entrare nel cortile di fronte a lui ed era lo scrittore alla guida. Parcheggiò e scesero dall’auto.
Castle a quanto pareva si stava adattando allo stile californiano, indossava una giacca in cotone tinta corda sopra i jeans e la sua adorata camicia viola. Beckett invece portava un abito smanicato lungo poco sopra il ginocchio color salvia con intarsi marrone scuro e scarpe con un’alta zeppa di cuoio.
Castle alzò la testa verso di lui, si tolse i suoi Ray-Ban Olympian dalle lenti verdi, disse qualcosa alla sua compagna, le sorrise, si rimise gli occhiali da sole e, sospingendola dalla vita, la diresse verso l’entrata del palazzo.
Jane si girò, raccolse la giacca che aveva appoggiato alla spalliera della sedia, e infilandosela, scese ad accoglierli. Finalmente il treno poteva ripartire.
 
Jane vide che Castle e Beckett erano stati bloccati all’inizio del corridoio da Rigsby e Van Pelt con cui avevano iniziato a conversare amabilmente.
Ad un tratto dietro di loro comparve una Lisbon alquanto corrucciata. Doveva essere stata per parecchio tempo nell’ufficio di La Roche a sentirsi una paternale sul suo comportamento del giorno precedente. Lo fissò da lontano ma non fece un cenno. Si girò a parlare con Kate che, dopo poco, la seguì verso la sala riunioni.
Castle invece, vedendolo davanti alla porta del bullpen, le indicò di andare avanti e gli venne incontro.
“Ciao Patrick, splendida giornata, non è vero? A parte che credo che, qui in California, i giorni brutti siano rari!”
“Già, non la senti la pubblicità? Qui il sole splende tutto l’anno!”
“Che ti succede?” chiese Castle percependo l’amara ironia nella voce dell’altro.
“Non ti preoccupare amico, non sono riuscito a dormire bene, tutto qui, che ne dici se ti offro un caffè?” In effetti l’intenzione dello scrittore era di preparare i soliti due caffè, per sè e per Kate, e poi sentire le novità dal medico legale.
Mentre faceva scendere il contenuto desiderato nelle due tazze, Jane si preparò il suo the.
Castle ripensò a quante volte aveva ripetuto quel gesto nel corso dei tre anni precedenti e si augurò di poterlo fare per i successivi cinquanta. Kate gli era stata aggrappata tutta la notte.
“Tu invece sembri aver riposato molto bene” commentò il suo nuovo amico sorridendo “e a quanto sembra sei anche riuscito a convincere la tua bella detective a farti guidare stamattina”.
Castle lo aveva visto mentre li osservava dalla soffitta e sapeva che gli avrebbe chiesto spiegazioni. Beckett semplicemente lo aveva consigliato di dirgli la verità.
“Quello era un benefit” rispose quindi semplicemente Rick.
“Per cosa?”
Castle si limitò a guardarlo inarcando le sopracciglia con un sorrisetto beffardo sulle labbra. Poi gli mise in mano una tazza di caffè e ne prese altre due “Potresti iniziare con portare al tuo capo una tazza di caffè e magari riusciresti a scoprirlo” lo schernì uscendo e dirigendosi nella stanza per assistere con gli altri alla riunione.
 
Tutta la squadra era schierata in sala riunioni pronta per il breefing. Van Pelt stava riassumendo i risultati degli esami dei vari campioni prelevati dal corpo della vittima.
Castle entrò per primo e andò a sedersi di fianco a Beckett porgendole la sua tazza di caffè, lei gli rispose con un cenno del capo ed un sorriso.
Lisbon era seduta dopo di loro mentre Cho, Rigsby e Van Pelt erano dall’altra parte del tavolo.
Jane entrò subito dietro Rick, posò la tazza di caffè accanto a Teresa e andò a posizionarsi a capotavolo, rimanendo però in piedi, appoggiato alla finestra, con le veneziane di plastica abbassate per proteggere l’ambiente dal sole, sorseggiando il suo te.
Lisbon si stupì un po’ di quella gentilezza, ma poi le venne in mente la rosa nel suo ufficio; notò che anche Grace stava guardando la scena con aria interrogativa, ma non si fermò e proseguì la sua relazione.
“Quindi le analisi del sangue per rilevare la presenza di sostenze tossiche non hanno dato alcun risultato però il nostro medico legale ha fatto prelievi anche di capelli e sull’adipe e ha scoperto tracce residue di ketamina”.
“Non me la vedo proprio Cindy che si prende quella roba, era una naturalista” obbietta Castle.
“L’assunzione risale a circa 6-7 settimane fa” finisce Grace.
“Più o meno quando è stata stuprata” commenta allora Beckett “quindi il suo aggressore può averle somministrato la droga alla festa, ha aspettato che iniziasse l’effetto e che Cindy perdesse il controllo per agire”.
“Così ha approfittato di lei mentre non era in grado di poter ricordare chi la stesse aggredendo” disse Rick.
“Non proprio, la realtà è ancora peggiore” Jane si era rabbuiato dicendo quelle parole “la ketamina non è la droga classica usata per gli stupri, ti fa partire per un altro pianeta, ti dà allucinazioni ma anche una resistenza incredibile, probabilmente quando la stava picchiando lei non sentiva nemmeno un grande dolore, ma di certo lo ha sentito dopo. Il referto dice che era stata quasi massacrata di botte, quell’uomo l’ha fatto per infierire ancora di più su di lei”.
Tutti lo fissarono quasi allibiti. Quell’eventualità, se si fosse rivelata come vera, avrebbe portato a rivelare un delitto di una tale crudezza da rendere ancora più esecrabile il trattamento successivo riservato alla vittima.
“Abbiamo notizie sul dna?” chiese Teresa alla sua rossa agente con un netto sospetto.
“L’aggessore era il padre del bambino che aspettava la vittima, e c’è qualcosa che può rivelarsi utile: il feto era portatore della beta-talassemia”
“L’anemia mediterranea?”Castle saltò sulla sedia, e tutti prestarono attenzione “E’ una malattia che comporta una ridotta o assente produzione delle due catene di beta globina nel sangue. Ha gravi conseguenze, ma se solo uno dei due genitori è coinvolto è praticamente asintomatica. E scommetto che non era Cindy la portatrice”.
Grace controllò un attimo il referto e poi assentì.
“Quindi se possono non esserci segni evidenti, come facciamo a trovare quel bastardo?”chiese ai presenti Kate.
“Secondo le ricerche che avevo fatto per il mio quinto libro, un buon numero di soggetti che hanno questa malattia hanno origini da zone in cui impestava la malaria”
“Come nei pressi dei fiumi?” chiese Jane.
“Si certo, perché?”
“Se non sbaglio Sabini è originario delle pianure del nord Italia, proprio delle zone più vicine al loro maggior delta”.
Lo sguardo di Lisbon andò a fuoco.
“Cho avverti l’impresario di Sabini, voglio un colloquio con lui, possibilmente per ieri”
Il suo agente si alzò e corse subito a telefonare, quando il suo capo dava un ordine con quel tono non era abituata a doverlo ripetere.
Stavano tutti per alzarsi quando Rick domandò “Grace, la scientifica ha detto qualcosa sui frammenti prelevati dalla ferita alla testa della vittima?”
Beckett lo guardò di traverso e Jane con un sorriso divertito.
“Si certo guarda” e gli consegnò il rapporto.
Lesse rapidamente, si fermò un attimo a riflettere e si girò verso il consulente “Hai sbagliato”
Teresa si stupì, Jane non si sbagliava praticamente mai, ma ancora di più diceva lo sguardo di lui.
“Sono state rilevate tracce di legno, di gesso compresso e di vernice acrilica”.
“Quindi?” pressò la detective.
“Quindi siamo degli idioti” dichiarò Jane.
“Parla per te io ti avevo detto che avevi sbagliato” disse Castle facendo quasi la ruota come il pavone.
“Jane!”
“Ok Lisbon, mi spiego. Credo che Castle abbia scoperto il tipo d’arma del delitto usata e la possibile scena del crimine. Quelle sostanze trovate nella ferita appartengono ad una parete in cartongesso dipinta e sorretta da pali in legno”
“Come i fondali per le sceneggiature teatrali” terminò Castle sorridente ammiccando a Beckett che non potè non alzare gli occhi al cielo.
“E adesso chi lo ferma più!?” commentò “Sai anche cosa c’era nella sacca che Cindy aveva con sé quando è uscita dall’albergo e dove è andata a finire? Non la si trova da nessuna parte”
“Siamo in quattro e dobbiamo fare tutto io e Jane?” fece Rick allargando le braccia.
“Bene saputelli” rispose Lisbon divertita “venite con noi che vi insegnamo come si scoprono gli elementi di prova, così magari prima o poi la smettete di tirare ad indovinare”.
 
Ore 1:40 p.m.
Beckett, Castle, Jane e Lisbon si trovavano nei pressi del Major Theater, e lo scrittore aveva insistito perché andassero con la loro BMW. Il biondo consulente ne fu ovviamente felice, l’idea di predere un po’ di sole sul viso lo rasserenava. Lui e Lisbon si accomodarono sui sedili posteriori. Lei non aveva fatto cenno in alcun modo alla rosa nel suo ufficio. Meglio così. Quello doveva essere l’unico ricordo da conservare della sera precedente ma non doveva mai averne coscienza.
Cho e Rigsby li avevano preceduti per ispezionare il perimetro del teatro.
Il taxista che aveva accompagnato Cindy aveva riferito di averla lasciata non davanti all’edificio ma nella via dove si trovava l’uscita secondaria. I due agenti ispezionarono il vicolo e, dietro un cassonetto, a pochi passi dalla porta di servizio, scoprirono la sacca nera che la vittima aveva con se. Ne esaminarono il contenuto e vi scoprirono, in effetti, una mazza da softball, ma in alluminio di quelle di nuova generazione. Circostanza interessante era che non vi erano tracce di sangue sull’attrezzo.
Rigsby aveva provveduto a ragguagliare immediatamente Lisbon e gli altri su quanto scoperto.
“Forse Cindy aveva nascosto la mazza nel vicolo appositamente, sapeva che non l’avrebbero fatta entrare con quella nel teatro” disse Beckett.
“L’ha nascosta vicino alla porta secondaria con l’intenzione di sgattaiolare fuori al momento opportuno per poterla recuperare e poi usare” finì, come sua abitudine, il ragionamento Castle “la vittima voleva diventare carnefice ma si è riscoperta vittima”. Lui e Kate si sorrisero. Per gli altri era strano vedere tanta empatia ma per loro era il solo modo d’essere possibile.
Lisbon fece un cenno agli altri che la seguirono. La loro visita era stata annunciata, non molto gradita, ma annunciata, per questo la guardia li scortò nel foit e spiegò loro dove dovevano andare.
Percorsero la strada che li portò all’ingresso della platea, si sentivano le voci degli artisti, stavano provando. Scesero le scale e notarono che i pochi presenti erano tutti nelle prime file.
Albert Magnus, l’agente di Sabini, era seduto nel posto laterale in quinta fila. Era un uomo massiccio sulla sessantina, parzialmente stempiato, in un completo di lino chiaro e camicia color salmone. In effetti Castle ebbe l’impressione che fosse anche viscido come un pesce.
Lisbon gli si avvicinò mostrando il tesserino, lui girò appena il capo e bofonchiò che l’atto era quasi finito e gli artisti avrebbero fatto una pausa, e il grande Anthony Sabini avrebbe concesso loro cinque minuti.
L’aria si concluse ed il primo operatore diede il comando per il cambio di scena.
Il famoso tenore Sabini era riconoscibile, un uomo possente di circa un metro e novanta dalla pancia empia e dalla folta barba fulva. Aveva 46 anni ed era uno degli artisti più ricercati ed apprezzati nel campo lirico. Un uomo di circa dieci anni e quindici centimetri in meno,  gli andò incontro porgendo un asciugamano e facendogli i complimenti, ma questi lo mandò a quel paese e si avvicinò alla squadra investigativa.
“Sono questi i poliziotti che volevano parlarmi?” chiese sbrigativo.
Lisbon presentò sé stessa e gli altri componenti della sua squadra, l’unica reazione che mostrò fu quando strinse la mano a Castle.
“Lo sa che siamo colleghi? Almeno così mi hanno detto” e rise forte “Anche io ho scritto un libro, o meglio qualcuno l’ha scritto per me, ma io l’ho firmato. Non so bene cosa ci fosse dentro ma mi hanno detto che doveva essere la mia autobiografia. Probabilmente era piena di sciocchezze” e rise ancora.
Castle fece un sorriso forzato. Per lui scrivere era di più addirittura di un lavoro, lo prendeva molto seriamente e chi prendeva in giro la nobile arte non lo divertiva mai molto. In più il tenore stava squadrando la sua musa da capo a piedi, spogliandola con gli occhi, per cui l’avrebbe volentieri strozzato. Però ci fu qualche effetto positivo.
“Cosa volete sapere?”
Lisbon gli diede la notizia dell’omicidio di Cindy, come per testare la reazione dell’uomo che non si scompose più di tanto ed inziò ad interrogarlo sui suoi rapporti con la vittima e della festa per l’uscita della sua autobiografia.
“Professionali, ma aveva un gran bel culo. Peccato che mi avessero detto non gradisse le attività tradizionali. Comunque non l’ho vista molto alla festa, era sempre attaccata al suo telefono, e mi sono concentrato su una affascinante signorina dai capelli rossi. Ad un certo punto me ne sono andato via. Con lei”
“Si ricorda il nome della ragazza?”
“Certo che no, perché avrei dovuto? Siamo andati nel mio albergo e dopo un paio d’ore l’ho spedita via con un taxi”
“In piena notte?” disse Rick più come affermazione che come domanda.
Sabini lo guardò come fosse la cosa più normale del mondo.
“Chi c’era con lei alla festa?”
“Direi il mio impresario, mio fratello Michael, che è il mio assistente personale” facendo un cenno con la testa verso il tizio che gli aveva sporto l’asciugamano poco prima e che ora era in disparte “e un’altra decina di persone. Se volete vi farò avere un elenco“
“La ringrazio, si ricorda se c’erano ancora tutti i suoi accompagnatori quando ha lasciato la festa?”
“Non ne ho idea” rispose senza interesse.
“Forse posso esservi utile io” interruppe Magnus “ero con Michael quando te ne sei andato, c’erano ancora tutti, e poco dopo anche Cindy è sparita. Dopo circa un’ora abbiamo chiamato tre taxi che ci hanno riaccompagnato tutti quanti in albergo”.
“Da quella notte non l’avete più vista?” intervenne Jane.
“No” risposero entrambi, “ma le ho mandato dei biglietti” concluse il tenore.
“Quando e come mai?”
“Quando non ne ho idea. Vede agente Lisbon, Cindy mi aveva fatto un buon servizio dopo tutto, e la mia segretaria sa di dover mandare biglietti a chi ha lavorato per me con profitto. Tutto qui.”
Era sconvolgente la sufficienza con cui l’uomo trattava le persone, quasi non fossero nulla più di pertinenze alle sue proprietà. Castle provò una spontanea repulsione verso la persona davanti a sè e d’istinto si fece più vicino a Kate, come sempre a volerla proteggere.
“Avremo bisogno di parlare con la sua segretaria e con i suoi accompagnatori della festa di NY”
“Fate come meglio credete” fece Sabini, intanto alzandosi per andarsene.
“Ancora una cosa signor Sabini” gli andò incontro Teresa richiamandolo “dove si trovava due sere fa tra le 8 di sera e le 2 del mattino?”
“Sul palcoscenico. Il serale inizia alle 9 e finisce a mezzanotte. Io sono qui alle sette e me ne vado circa all’una. Poi sono andato a mangiare qualcosa con gli altri attori e sono rientrato in hotel circa alle tre. Tra l’altro quella sera era molto importante perché registravano lo spettacolo per poterne fare un dvd. Ho fatto una straordinaria prestazione”
“Mi piacerebbe molto vederla, è possibile?”interruppe Jane sfoderando il suo più bel sorriso. Sia con donne che con uomini quel sorriso era molto pericoloso.
“Sa, sono un suo grande ammiratore e penso sia stato eccezionale nel Barbiere di Siviglia. L’ho vista a Chicago. Straordinaria prestazione, quelli della critica si sono accaniti senza motivo”.
Sei mesi prima infatti, nel corso delle rappresentazioni dell’opera di Rossini, il grande tenore era incappato in una prestazione un po’ sottotono rispetto ai suoi standard, culminata una sera con una sonora stacca a metà del secondo atto.
La critica voleva la sua pelle, anche perché lui si era sempre mostrato un grande stronzo nei confronti dei giornalisti, che non vedevano l’ora di fargliela pagare.
“Allora fra i poliziotti c’è anche qualcuno che ha un’ erudizione” il tenore era tronfio d’orgoglio “certo, Albert pensaci tu e, anzi, venga stasera allo spettacolo insieme al signor Castle, le farò riservare un palco nel primo ordine”
“E’ veramente troppo generoso, non so come ringraziarla” rispose sempre più sornione Jane.
Sabini alzò regalmente una mano per salutarli e se ne andò “E passate nel mio camerino dopo lo spettacolo”.
“Jane, non sei andato di recente a Chicago, o mi sbaglio?” gli chiese a fil di voce Lisbon.
“L’ultima volta che ci sono stato era presidente Clinton.”
“Grazie allora sig. Magnus, lasciamo qui gli agenti Cho e Rigsby per continuare il lavoro ed interrogare le persone dello spettacolo”.
Castle fissò un attimo Michael che se ne era stato tutto il tempo in disparte a fissarli. Aveva come avuto l’impressione che la sua attenzione fosse stata attirata in particolar modo dal bel capo dell’unità del CBI. Fu distolto dai pensieri da Jane che prese per il braccio lui e Beckett per condurli verso l’uscita, intanto che Lisbon dava le ultime istruzioni ai suoi agenti che avevano molto lavoro da svolgere e parecchie persone da interrogare.
“Hai sentito che razza d’imbecille?”chiese Rick al consulente.
 “Non del tutto” Beckett si girò interrogativa e sorpresa “Non che non sia imbecille, ma mi sono assentato qualche minuto e mi sono perso qualcosa. Erano tutti impegnati attorno al cappone e la mia assenza non è stata notata.”
“Dove sei andato?”
“Dietro il palco, dovevo controllare un paio di cose”
“E allora?”lo incalzò Kate.
“Allora devo controllare il video delle riprese di due giorni fa e poi tornare a dare un’ultima occhiata. Intanto i vostri colleghi a New York devono fare un paio di domande. A proposito detective, ho visto che hai fatto colpo”
“A quanto mi è sembrato anche Lisbon” commentò Castle con falso sarcasmo.
“Ho notato”disse amaro Patrick “si vede che in famiglia non hanno insegnato loro come si trattano le signore” terminò determinato voltandosi verso lo scrittore.
“Quindi?” insistette Kate che stava iniziando a spazientirsi.
“Quindi tesoro tira fuori l’abito da sera” le disse Castle “e spero che Jane abbia ritirato lo smocking dalla lavanderia” Rick e Patrick si sorrisero“Portiamo le nostre ragazze a teatro stasera”.
Intanto li raggiunse Lisbon che non aveva colto il discorso e non capiva perché quei due stessero sogghignando di gusto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAP.7
Ore 8:00 p.m.
Jane stava cercando di farsi il nodo al farfallino davanti ad un piccolo specchio appoggiato alla parete est della soffitta del CBI.
Lui e Lisbon avevano dovuto litigare non poco con Castle per convincerlo che sarebbe stato poco appropriato se una limusine li fosse andati a prendere sotto le rispettive abitazioni per condurli a teatro, avrebbero tranquillamente potuto andare con la propria auto e trovarsi lì.
Lo scrittore aveva allora accettato di scendere ad un compromesso: lui e Beckett li sarebbero andati a prendere con la limusine al CBI, ma a teatro sarebbero arrivati insieme e con una entrata alla Castle. Lisbon era ancora contraria, ma Kate la fece cedere pregandola: ”Tanto non la smetterà finchè non gli dirai di si, non so tu, ma io devo darmi da fare per essere pronta per l’inizio dello spettacolo, quindi per favore accontentalo!”.
Quindi lei e Jane corsero a prendere degli abiti appropriati e decisero di cambiarsi in ufficio dopo aver svolto il lavoro più urgente ed impartito il lavoro ai sottoposti.
Patrick si guardava allo specchio poco convinto, non tanto per il suo smoking, era un blu midnight molto ben calzante, o per la camicia con i bottoni in madreperla, proprio come i gemelli, o per il panciotto da cui si intravedeva la catenella dell’orologio, ma perché non era mai riuscito a far stare ben dritto il papillon. Di solito ci pensava Angela.
Un tocco leggero si sentì alla porta “Posso entrare Patrick?” era Van Pelt.
“Piccola Grace! Vieni. Non è che mi puoi dare una mano?”
Grace sorrise vedendo il bel consulente litigare con il farfallino di raso “Aspetta, ci penso io”.
Le lunghe dita della giovane si muovevano esperte “Aiutavo sempre mio padre, anche lui non ci sapeva molto fare” spiegò sorridendo “ma non pensavo che anche tu avessi simili problemi”.
Jane le fece uno dei suoi soliti sorrisi “Sai quando un viso si può dire veramente bello piccola Grace?”
La ragazza non capiva “Come quello di una statua greca o di un dipinto? Quando le due metà non sono simmetriche ed identiche. I piccoli difetti fanno la vera bellezza”
“Ti stai paragonando alla statua di un dio greco?” chiese Van Pelt.
Jane non disse nulla lasciando a lei la risposta. Questa scosse la testa.
“In effetti stai bene stasera” disse lei “ma credo proprio che sarai in secondo piano.”
“Anche tu rapita dal fascino di Castle?”
Lei terminò di sistemarlo e assentì compiaciuta del risultato.
“Ho aiutato il capo a prepararsi, dovrebbe essere quasi pronta. Sei fortunato ad avere una dama così affascinante. Dai sbrigati, non farla aspettare”.
Grace uscì dalla stanza, Patrick stette un attimo a riflettere, si guardò allo specchio e le andò dietro scendendo nella sala sottostante.
Rigsby lo canzonò appena lo vide dalle scale “Ma guarda sembri appena uscito da una sfilata di Versace o giù di lì”
“Grazie Wayne ma questo è uno smoking fatto su misura e non so se il mio sarto apprezzerebbe il paragone”
“Come puoi permetterti un vestito di sartoria?”
“E tu come fai a dire che lo ha pagato?” intervenne Cho senza alzare il viso dai rapporti davanti a lui. Jane se la rise, lo divertivano sempre i siparietti tra quei due.
Si sentì aprire una porta alle loro spalle, i tre uomini si girarono per vedere il loro capo in abito da sera.
Rigsby la guardò esterefatto e rimase un po’ con la bocca aperta “Capo…sei veramente splendida”
“Sì, molto bene” aggiunse Cho.
“Una bellissima rosa” bisbigliò per ultimo Jane.
Infatti Lisbon aveva un vestito blu notte senza spalline, con lo scollo a cuore. Gli strati di stoffa si alternavano proprio come i petali di un fiore fino alle caviglie ma sul davanti si apriva un profondo spacco che lasciava scoperte le gambe fino alla coscia. Il corpetto dell’abito era intarsiato di pietre  trasparenti che formavano un disegno complicato. Ai piedi- finalmente pensò Patrick- Teresa si era messa delle scarpe con il tacco molto alto, dei saldali eleganti anch’essi impreziositi delle stesse pietre dell’abito. I capelli erano leggermente raccolti e solo qualche ciuffo fuggiva dalla morbida acconciatura.
Grace era stata in gamba e aveva detto la verità: la dea era lei.
La donna guardava verso il basso, era un po’ imbarazzata ad essere l’oggetto di così  tanti complimenti.
Jane si avvicinò e quando le fu vicino non si trattenne dal dirle “ Hanno ragione, è come se Sirio per una sera fosse scesa a splendere sulla terra”.
A quelle parole la donna avvampo’ ancora di più ma, fortunatamente, dei passi lungo il corridoio lasciavano intendere l’arrivo di ospiti nella loro entrata trionfale: per quanto Beckett riuscisse a tenerlo a freno lui era sempre inevitabilmente Richard Castle.
Lei, sottobraccio allo scrittore, erano fonte di quello scompiglio nel dipartimento, tanto che persino La Roche si affacciò per vedere cosa stesse succedendo.
Castle indossava il suo famoso smoking bianco di Dolce Gabbana che tanto aveva tenuto in serbo per un’occasione speciale. Si era detto, l’Armani posso indossarlo sempre, ma quando posso sfoggiare questo? Sopra i pantaloni ed il panciotto nero a tre bottoni neri, aveva una camicia bianca con asole nascoste ed i gemelli d’oro erano a forma di pennino da scrivano, regalo di Alexis di un paio di natali prima.
La sua compagna quando lo aveva visto per canzonarlo si era limitata a dire “Non pensavo di dover uscire con Ian Fleming”.
Castle ci rimase male non sapendo quanto in realtà lei lo trovasse affascinante, persino più dell’autentico Bond, Sean Connery.
Beckett invece portava Valentino e non un abito qualunque ma un autentico rosso Valentino, il tessuto morbido lasciava una spalla nuda e anche metà della schiena, sul davanti la gonna si fermava a parecchi centimetri sopra il ginocchio, rivelando le bellissime e lunghe gambe della detective, mentre dietro vi era un leggero strascico che si fermava a pochi centimetri da terra. Ovviamente ai piedi aveva, come sempre, sandali dai tacchi molto alti. I lunghi capelli castani le ricadevano morbidi sulle spalle.
Il fascino di Beckett era diverso da quello di Lisbon, sembrava a metà tra una modella ed un’attrice, e sembrava assolutamente a suo agio. Un po’ tutti gli uomini ne furono colpiti, e persino Teresa che le disse “Siamo proprio sicuri che fai la detective?”
“In effetti quello è il secondo lavoro, principalmente è la mia musa” rispose Castle cercando di avvicinarsi per rubarle un bacio ma, per avuto l’ardire di rispondere al posto della detective, si prese uno scappellotto.
“Ahi! Ma cosa ho fatto?” si lamentò lo scrittore.
“Uccidi la mia pazienza” rispose lei secca.
“In realtà mi ama, è solo timida” fece allontanandosi per non prendersi un altro schiaffo.
I presenti risero e a Kate non rimase che sollevare gli occhi al cielo.
“Hei amico” disse poi rivolto a Jane “ ti manca il fiore all’occhiello” e mostrò il bocciolo di rosa che portava.
In effetti Jane si accorse di non avere nemmeno il fazzoletto e qualcosa era necessario.
Lisbon entrò di corsa nel suo ufficio ed uscì con la rosa che aveva trovato sul suo tavolo quella mattina. Non era ancora schiusa e l’appuntò alla giacca di Jane.
“Che splendido fiore” fu il commento di Kate.
Patrick guardò negli occhi il suo capo. Lei lo sapeva. Ne era certo.
“Penso sia ora di andare” disse fissandolo di rimando.
“Certo! Notte ragazzi, non aspettateci alzati” disse Castle incamminandosi giù per le scale accarezzando con la mano la schiena di Beckett.
“Castle!” lo sgridò lei.
“Dai lascia che tutti gli uomini mi invidiano” le rispose posandole un leggero bacio sulla guancia proprio mentre passavano davanti a La Roche  che li fissava con sguardo severo.
Nel mentre, senza staccarle gli occhi dal viso, Jane porse il braccio a Teresa, passarono a loro volta davanti al loro capo, ed uscirono dal CBI.
 
La limousine era quasi giunta a destinazione. I quattro erano comodamente seduti e Rick aveva deciso di aprire una bottiglia di Dom Perignon. Mentre faceva saltare il tappo Kate non si trattenne dal rimproverarlo “Castle siamo in servizio!”
“Non esattamente Beckett, ti ricordo che noi li stiamo solo aiutando” ed indicò la coppia seduta di fronte a loro “Come ci si sente mia cara?”.
Lei scosse la testa, come faceva spesso quando non sapeva come gestirlo, mentre lui versava due coppe di champagne e gliene porse una. Lei lo rifiutò.
 “Ma dai, è in omaggio con l’affitto della carrozza! Non vorrai che vada sprecato, intanto Bobby lì davanti non può mica approfittarne, lui deve guidare”. Beckett non riusciva più a trattenersi, in fondo si era innamorata di lui anche per questo, la faceva ridere. Anche i loro compagni erano visibilmente divertiti da quella scena.
Castle li guardò non capendo bene se lo stessero prendendo in giro.
Jane scoppiò in una risata “Scusami Rick!”. Anche Lisbon lo seguì.
Lo scrittore fissò la sua compagna e poi attese spiegazioni.
“Scusateci” disse Lisbon riprendendo il controllo “avete notato che solo quando avete i vostri battibecchi vi chiamate ancora per cognome?”
In realtà no, non ci avevano mai fatto caso, ma a Kate non dispiaceva affatto che quella parte del loro rapporto fosse rimasta intatta.
In quel momento suonò il telefono di Castle, era un messaggio.
“E’ Alexis, ci augura buon divertimento e si raccomanda di stare attenti. Guarda, ci ha mandato anche una foto di lei al campus”
“E’ tua figlia?” chiese Jane.
L’altro sorrise e gli passò il telefono per fargliela vedere. Alexis era una bella ragazza dai lunghi capelli rossi e dagli intensi occhi azzurri molto simili a quelli del padre. Patrick pensò che non avrebbe mai visto la sua Charlotte andare al college. Teresa capì i suoi pensieri “Complimenti Castle, tua figlia è splendida” disse restituendogli il telefono.
“Kate come stanno andando gli interrogatori dei tuoi uomini a New York?”
“Ryan ed Esposito hanno già rintracciato gli autisti dei taxi che la sera del party di Sabini hanno riaccompagnato la troupe in albergo, dovrebbero sentirli proprio ora e poi toccherà al personale. La cartella medica del nostro tenore dovrebbe essere in arrivo. Mi manderanno tutto via mail. Invece Cho ha scoperto qualcosa?”
“ La segretaria di Sabini ricorda di aver trovato l’appunto di mandare i due biglietti a Cindy ma non sa chi glielo ha lasciato, Il personale del teatro ha confermato di aver notato la vittima entrare da sola e accomodarsi in platea, aveva i posti centrali in quinta fila, ma non l’hanno vista uscire e non ricordano se è sempre rimasta seduta”.
L’autista stava fermando l’auto. Era ora di andare in scena.
 
La maschera li aveva fatti accomodare in uno dei palchi centrali al primo ordine. Erano dei posti stupendi, praticamente sotto di loro avevano l’orchestra e si vedava bene anche la posizione in cui era stata seduta Cindy.
I due uomini avevano ceduto i posti più avanzati alle dame e si erano messi al loro finco leggermente più arretrati.
“Non vedo l’ora di sentirmi aggrovigliare le budella” disse Rick.
Beckett si girò alzando il sopracciglio “Preatty woman?”
“Beh però è vero!” le rispose lui semplicemente. Poi avvicinandosi al suo orecchio “ E non vedo l’ora di toglierti questo vestito, chissà se c’è un pianoforte a disposizione nell’albergo?”
Lei si limitò ad appoggiargli una mano sulla gamba e rispondergli “Peccato non sfruttare la limusine”.
Lui si morsicò il labbro inferiore.
Le luci diedero il segnale e i musicisti cessarono di accordare gli strumenti.
Jane si avvicinò a Teresa “In fondo ha ragione, la prima volta all’opera può essere un’esperienza straordinaria. Inizia a seguire le parole, le vedrai scritte in alto, poi dopo un po’ non ti serviranno più”.
Le luci si spensero e l’orchesta attaccò.
L’allestimento era molto ben congeniato e sia Sabini che la sua partner, la soprano tenore Anita Vars, erano straordinari. Kate non conosceva bene quell’opera ma Castle le aveva fatto un riassunto mentre si preparavano.
La Vars interpretava Violetta Valery mentre il tenore interpretava il suo innamorato Alfredo Germont.
Nei tre atti si racconta la struggente storia d’amore dei due ambientata a Parigi, piena di colpi di scena, di separazioni, di incomprensioni, principalmente per ragioni economiche, che finivano in tragedia, più o meno come tutte le opere. Lei muore per la tubercolosi.
Il primo atto si apre con una festa nella casa parigina di Violetta. Alfredo è segretamente innamorato di lei ma non sa come dichiararsi. Durante la festa la donna cerca di nascondere i primi segnali della sua malattia e, proprio in quel frangente, lui le confessa i suoi sentimenti.
Kate fu colpita dall’abito di scena di Violetta, ricco e sontuoso, nero con ricami dorati, mentre nell’abito di lui era elegante, nero, ma senza la fusciacca bianca alla vita che portava sul cartellone. Avrebbe dovuto tenerla, completava l’abito.
Sabini poteva anche essere una carogna ma era davvero un grande artista. L’intensità che dava al personaggio lo rendeva molto più che credibile, era come se amasse sul serio quella donna davanti a lui.
L’appassionata confessione dei personaggi la fece ripensare a quando fu Rick a dichiararsi a lei.
 
Aveva appena messo in cella l’assassino di sua madre. Castle le era stato vicino, come sempre, l’aveva protetta ed assieme avevano chiuso il caso. Così anche un capitolo della vita della detective si era chiuso anzi, forse era IL capitolo, ma perché allora si sentiva così? Doveva andarsene dalla centrale non poteva rimanere lì un attimo di più. Prese la giacca dalla spalliera della sedia e corse via.
“Kate!” la chiamò lui. Lei non si girò.
“Cosa aspetti”gli disse Montgomery”vai! Vai  da lei”.
Rick non se lo fece ripetere e corse come un matto per le scale del distretto per cercare di raggiungerla. Giunto all’uscita vide che la sua auto era ancora nel parcheggio ma di lei nessuna traccia. Guardò a destra e a sinistra ma nulla. Vide Esposito che stava parlando con un sergente suo amico “Ehi! Esposito, hai visto Beckett?”
“E’ andata via, di là, verso il fiume”
Castle alzò la mano per salutarlo ed iniziò a correre verso la direzione che gli aveva indicato.
Lei era sconvolta, lui lo sapeva e non poteva stare sola, non poteva permettere che si lasciasse andare a tutto quel dolore. Quel dolore sopito per anni,  aveva cementato il suo desiderio di vendetta,  l’aveva portata a diventare poliziotta per il solo desiderio di arrestare l’uomo che le aveva ucciso la madre, ma adesso sarebbe esploso come una bomba e lei ne sarebbe stata completamente investita. Aveva il fiatone per la corsa, l’attività fisica non era il suo forte, il cuore sembrava scoppiargli nel petto e doveva tenersi il fianco per trattenere il dolore. Si piegò leggermente in avanti per tentare di far cessare le fitte e la vide ad una ventina di metri davanti a lui. Era appoggiata al muretto e guardava in basso verso il fiume. La sera era ormai scesa ed in lontananza le luci rosse del tramonto stavano lasciando posto alle ombre blu della notte.
Lui le si avvicinò senza dir nulla, quando Kate si accorse della sua presenza si limitò, senza neppure voltarsi,  a dirgli “Vattene”.
“No”.
“Ti ho detto di andartene Castle” gli ripetè alzando la voce.
“E io ti ho detto che non me ne vado” le rispose deglutendo. La sua voce era ferma e tranquilla.
“Voglio restare da sola! Sparisci”
“No”
Lei si girò un attimo fissandolo con rabbia, poi si voltò dalla parte opposta e si mise a camminare velocemente per sfuggirgli. Lui non esitò, la rincorse e la prese per un braccio per trattenerla e farla voltare.
Lei lo fece e gli diede uno schiaffo in pieno viso. Lui restò un attimo senza parole. Gli occhi di Kate erano pieni di rabbia, ma si vedeva anche che trattenevano le lacrime.
“Scordatelo”disse l’uomo semplicemente.
Lei gli diede un altro schiaffo, più forte del precedente che gli fece voltare completamente la testa.
Lui si ricompose e tornò a fissarla deciso nei suoi propositi.
Beckett fece per mollargli l’ennesimo manrovescio ma lui la fermò e le prese entrambi i polsi traendola più vicino a sé “Forse non ci siamo capiti: puoi anche spararmi ma io non ti lascio sola”.
Kate aveva la preparazione fisica per metterlo a terra se avesse voluto, ma lui sapeva che non lo avrebbe fatto. Infatti lei non si mosse.
“Guardami”proseguì e lei lentamente tornò a fissarlo negli occhi “non sarai mai sola” rilasciando la morsa ai polsi, ormai non era necessario “mai più”.
“Castle..”
Non riusciva più a trattenersi  e la tensione repressa e finì in lacrime, appoggiata alla camicia di lui.
Castle le accarezzò i capelli e la tenne vicino a sé dicendole semplicemente “Va tutto bene, va tutto bene adesso”.
Si, in effetti lì, tra le braccia dello scrittore, tutto le sembrava andare bene, tutto era caldo, tutto era tranquillo e sicuro, una sicurezza che non aveva più sentito da moltissimo tempo.
“Non ti lascerò mai” le continuò a sussurrare.
La sera intanto era calata e l’aria del fiume iniziava a farsi sentire. Le braccia di Kate stringevano la vita di Rick da dentro il cappotto dell’uomo che era aperto. Non sapeva se il calore che sentiva era semplicemente dovuto al cashmire o anche all’uomo. Il suo respiro era calmo e ma  il battito del suo cuore sembrava un po’ accelerato.
Dopo alcuni minuti Beckett rialzò la testa “Scusami, mi dispiace per averti colpito”e fece per staccarsi lui però la trattenne ancora “Puoi fare quello che vuoi tranne che cercare un’altra volta di andartene da me”.
Lo sguardo di Rick era intenso e la sua voce era determinata come prima. Kate lo fissava confusa, non credeva che stesse accadendo sul serio.
“Non ho più intenzione di passare un solo giorno della mia vita senza prendermi cura di te” Kate lo fissava a bocca aperta non sapeva cosa dire “perciò se non ci sono obiezioni sensate adesso intendo baciarti”.
Prima che lei potesse anche solo pensare di dire qualcosa lui fece quanto promesso, la strinse e la baciò. L’unica reazione della donna al suo toccò fu di cingergli il collo con le braccia per avvicinarsi ancora di più a lui. Rick sentendo l’abbraccio ricambiato l’appoggiò con la schiena al muretto e con una mano spinse la nuca di Kate verso di lui affondando le dita nei morbidi capelli.
Si continuarono a baciare a lungo senza preoccuparsi di mostrare le loro effusioni. Ogni tanto qualche passante occasionale del lungo fiume lanciava loro un’occhiata senza dare troppo peso alla scena.
Dopo parecchio Kate si scostò, rimasta senza fiato. Appoggiò la testa al petto di Rick cercando di riprendersi: era come fosse scesa da dieci giri sulle montagne russe più alte del mondo, aveva quasi le vertigini.
Castle le baciò i capelli “Mi sono innamorato di te”. Sentì il respiro della donna spezzarsi per poi riprendere ed il suo cuore battere forte contro il suo petto.
“Ehi, ci sei ancora?”
Lei alzò il viso mostrando un sorriso e gli occhi velati ma per la gioia questa volta.
“A dire la verità non mi aspettavo questa reazione, che ne so, non dico proprio una confessione di quello che senti per me, che sarebbe appropriata, ma non proprio lacrime e disperazione”fece lui ironico. Lei alzò un sopracciglio e trattenne a stento la risata.”Sei un ragazzino!”
“Lo dici solo perché ci siamo baciati un’ora in mezzo alla strada come due quindicenni?”e si avvicinò al viso di lei che però gli prese la testa per i capelli e lo trattenne a pochi centimetri dalle sue labbra “Manterrai la promessa?”
“Per sempre” le rispose.
“Lo spero, perché anche io mi sono perdutamente innamorata di te”.
Lasciò la presa e ripresero un nuovo giro sulle montagne russe” 
Da quella sera lei e Rick continuavano ogni giorno la corsa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAP. 8
Ore 10:15 p.m.
Era in corso l’intervallo tra il primo ed il secondo atto ed i quattro erano scesi al bar interno del teatro per fare una piccola pausa.
Il barman stava servendo loro dello champagne ordinato da Castle che voleva festeggiare. Era entusiasta della rappresentazione e della situazione in cui si trovavano. Per lui non c’era nulla di meglio di avere contemporaneamente: mistero, eccitazione, stile e la vicinanza di persone che godevano della sua ammirazione oltre, ovviamente alla sua Kate.
“Sei riuscito a visionare il dvd con la registrazione dello spettacolo?” chiese a Jane passandogli la coppa.
“Solo qualche spezzone purtroppo, conto di terminare entro domattina. Tu?”
Castle scosse la testa mentre beveva “Mi ha fatto perdere tempo Beckett”
Lei lo fulminò con lo sguardo ma nulla più.
“Sempre alla ricerca di benefit?” chiese malizioso Jane.
Lisbon lo guardò malissimo e stava per riprenderlo quando Beckett si avvicinò a lui “Avevamo in tutto poco più di due ore, pensi che gli bastasse?”
Poi verso Castle passandogli il bicchiere “Vado in bagno” e si allontanò seguita da Teresa.
Jane rimase a fissare le loro schiene con il bicchiere in mano.
“Lo so Patrick, la mia Kate è strepitosa!” disse Castle dandogli una pacca sulla spalla
“Ha la lingua più affilata di un rasoio”
“Non te la prendere, se gli stessi antipatico ti avrebbe appeso al muro. Sei ancora qui quindi le sei simpatico. Poi te l’ho già detto, quello che ha saputo su di te l’ha colpita, ancora di più dopo che ha parlato con Teresa”.
Il nome lo fece riflettere "E quindi la cara Lisbon ha finalmente ammesso le mie qualità?".
"Secondo Kate è innamorata di te".
Per poco Jane non si strozzò con lo champagne "Le ha detto questo?"
"No, ma ha chiaramente detto quanto ti stima e ti è affezionata, Kate ha solo unito i puntini. E' molto brava in questo sai?".
Jane guardava nel suo bicchiere senza dire una parola.
"Senti Patrick, Kate mi ha ordinato di farmi gli affari miei ma io non sono molto bravo a seguire le imposizioni" l'amico lo guardava in attesa "vi ho osservato, ho visto come lei guarda te e come tu guardi lei, anche stasera, lo sai cosa stai gettando via?"
"Ho i miei motivi".
"Ascoltami, io e Kate siamo specialisti in questo gioco, siamo andati avanti quasi quattro anni e, per paura di soffrire, abbiamo negato i nostri sentimenti per troppo tempo, soffrendo ancora di più e facendoci del male a vicenda. Quando finalmente abbiamo deciso che noi dovevamo passare in primo piano rispetto a tutti i se ed i forse, abbiamo capito che nulla poteva succedere di male perchè stare insieme era l'unica cosa giusta da fare. Non si vince contro il destino, bisogna assecondarlo".
"Dai non dirmi che credi veramente che tutto sia scritto?"
"Lavori con Teresa da pochi anni ma mi hai detto di conoscerla da sette. In che occasione vi siete incontrati?"
Jane se lo ricordava perfettamente, anche se in quel momento per lui Teresa era stata solamente un poliziotto gentile che si era avvicinata per chiedergli come stava e per dirgli che un suo collega lo avrebbe interrogato. Era il giorno in cui Red John gli aveva sterminato la famiglia.
"Allora, torniamo al palco?" le parole di Kate lo avevano distolto dai suoi pensieri.
"Certo, andiamo" rispose lui cedendo il braccio a Lisbon per non dover rispondere.
"Jane, tutto bene?"
"Tutto bene" si limitò lui abbozzando un sorriso.
Castle lo stava fissando, avrebbero ripreso l'argomento più tardi.
 
Il secondo atto si apre con una scena nella casa di campagna di Violetta, dove i due amanti vivono felici. Alfredo però scopre che Violetta è sul lastrico, per poterli mantenere sta dissipando ogni suo bene. Volendovi porre rimedio Alfredo parte per trovare una soluzione, proprio in quel momento sopraggiunge Giorgio Germont suo padre, che convince Violetta a separarsi da lui per il suo bene ed il suo futuro avvenire.
In questo quadro gli artisti avevano cambiato gli abiti di scena, i sontuosi abiti da sera erano stati sostituiti da più pratici abiti da giorno.
‘A quale sacrificio si sottopone Violettà’, pensò Lisbon, ‘fingersi innamorata di un altro per convincere Alfredo a lasciarla, in fondo lei era sul lastrico e malata, mentre lui aveva il diritto di vivere’.
Una lacrima le scorse sul viso.
Jane la vide in controluce. La capiva, la comprendeva meglio di chiunque altro.
Negare l'evidenza per il bene dell'altro: bisogna avere un gran coraggio per lasciare andare la persona che si ama.
Nella scena successiva i personaggi si spostano ad una nuova festa, per il carnevale,  a casa dell'amica di Violetta, Flora, e tornano gli abiti sontuosi già visti nel primo atto, qui Alfredo, accecato dalla gelosia, accusa l'amata di averlo tradito e sdegnato le getta una borsa di denaro ai piedi.
Lei sviene, primo simbolo della fine annunciata e lui rimedia un duello, come se anch'egli non volesse altro che morire. Invece vive.
L'ultimo atto, che segue senza pausa il precedente, trasferisce la scena nella camera da letto di Violetta che, in fin di vita, canta il suo amore per Alfredo che in effetti sopraggiunge e svela il patto che la donna aveva fatto con il di lui padre.
Lui promette di portarla via con sè, lei gli regala un medaglione con la sua immagine affinchè lui non si dimentichi mai di lei che, subito dopo, muore stronacata dalla malattia.
Jane conosceva quell'opera ma la prima volta che l'aveva vista rappresentare era in uno squallido teatro di una piccola città del Tennessee che puzzava di stantio. Eppure la storia lo aveva affascinato. Si era chiesto perchè una persona si potesse convincere a tali compromessi, insomma gli sembravano esageratamente romanzati il sacrificio di Violetta ed il folle perseverare di Alfredo. Poteva una persona toglierti ogni forma di egoismo in quel modo? Le persone sono di fondo vili, ciniche e miserabili, come poteva un sentimento portarle ad un tale livello di nobiltà?
Jane non era più del tutto convinto di quel pensiero. Cioè ancora oggi non aveva una grande considerazione per le persone, ma aveva capito che il suo cinismo non poteva che portare sofferenza. In fondo, nel passato avrebbe forse avuto così tanti riguardi per la sua partner?
Nel frattempo le luci si riaccesero e notò un particolare che prima gli era sfuggito: Michael, il fratello di Sabini, stava posando il suo strumento, un oboe, e stava lasciando l'orchestra.
Aveva alzato lo sguardo verso il loro palco e pareva stesse fissando Teresa, che stava conversando entusiasta con Kate dello spettacolo.
Castle notò lo sguardo di Jane verso l'orchestra e colse chi aveva attirato la sua attenzione. I due si guardarono, questa era una sorpresa.
Lo scrittore si sporse verso la sua compagna e le indicò il punto sotto di loro. Tutti e quattro seguirono l'uscita di Michael dal palco.
"Ma non era l'assistente personale del fratello?" domandò retoricamente Kate.
"Evidentemente ha un secondo lavoro" finì il pensiero Castle.
Scesero le scale e nel foiet incontrarono Magnus.
"Buonasera signori, come vi è sembrato lo spettacolo?"
"Magnifico, non vedo l'ora di ringraziare il signor Sabini per la sua cortesia" disse Jane eccessivamente affabile.
"Bene seguitemi allora, vi sta aspettando".
Magnus li guidò attraverso ad una delle porte di servizio e da lì lungo un corridoio che conduceva dietro le quinte. Arrivarono davanti ad una porta e il loro accompagnatore si raccomandò "Si sta cambiando, aspettate qui vi chiamerà appena finito"
"Scusi, c'è un bagno per cortesia?" chiese Jane.
Magnus, lo guardò storto "Tre porte indietro, passato l'angolo".
"Scusate" fece lui andandosene di corsa.
"In certe situazioni si emoziona sempre" cercò di giustificarlo Lisbon.
Passarono dieci minuti e di Jane nemmeno l'ombra "Ma dove è finito il vostro amico?"
Teresa era preoccupata, il suo consulente stava di sicuro facendo qualcosa che avrebbe potuto cacciarla nei guai.
Intanto si aprì la porta  "Eccovi! Benvenuti" era Sabini che stava finendosi di sistemare dopo la doccia "Ma come non c'è il nostro simpatico poliziotto amante dell'opera?"
"Certo eccomi qua"
Jane era tornato appena in tempo.
"Tutto bene in bagno?" disse ironica la compagna.
"C'era tutto quello che mi aspettavo di trovare" le rispose sottovoce.
Entrarono nel camerino che era abbastanza ampio da contenere tutti.
Sabini si sedette sulla poltrona e fece cenno di avvicinarsi e di sedersi dove trovavano posto.
"Allora, che ve ne pare?"
"Indubbiamente una splendida interpretazione" iniziò Beckett e Sabini ne fu estremamente compiaciuto, non le toglieva gli occhi di dosso, se avesse potuto le avrebbe strappato l'abito facendone brandelli.
"Già la signora Vars è stata superlativa" terminò Castle guardando dritto negli occhi il tenore.
Jane doveva correre ai ripari o la gelosia dello scrittore avrebbe fatto saltare i suoi piani.
"Il suo Alfredo è stato toccante, paragonabile solo all'interpretazione del grande Luciano"
"Lo ha notato?In effetti mi sono ispirato a lui"
"Ma certo anche i movimenti, i gesti, straordinario"
Sabini era di nuovo nelle sue mani.
"Ma mi ha piacevolmente stupito sapere che lei non è l'unico artista in famiglia"
Il tenore lo guardò un attimo "Parla di Michael? Si è diplomato al conservatorio ma è un'incapace. Lo fanno lavorare solo grazie alle mie pressioni sulle compagnie, in fondo laggiù insieme ai fiati non può combinare grandi guai è solo uno dei due oboi"
"Già" commentò retorico Jane. Sabini si alzò pronto a congedarli. Tutti lo seguirono e gli strinsero la mano per salutarlo.
"Solo una curiosità signor Sabini, l'anemia ha mai influito sulle sue esibizioni?"
Il tenore guardò Jane un po' spiazzato.
"No, è recessiva. E' solo da parte di mio padre, basta solo fare i normali controlli. Ma lei come fa.."
Non lo lasciò nemmeno terminare e stringendogli ancora la mano disse "Grazie tante, spero di rivederla presto"  facendo al contempo cenno agli altri che era ora li levare le tende, e di corsa.
"Arrivederci" disse il tenore ancora interdetto.
 
ore 0:40 a.m.
Erano risaliti in tutta fretta sulla limousine che li stava aspettando fuori dal teatro e si stavano dirigendo al CBI per riaccompagnare Lisbon e Jane.
"Perchè sei scappato così?" chiese Castle.
"Volevi aspettare ancora un po' che quel porco finessi di spogliarti con gli occhi la ragazza?"
"Non intendevo questo, e comunque sapevo come gestirlo"
"Cosa avresti fatto, gli avresti lanciato addosso tutti i tuoi 22 best seller?" lo interruppe Kate.
"23 con Heat stroke, non dimenticarlo"
"Il colpo di calore  è venuto a te per il sole" ribattè lei sarcastica.
"Avrei estratto la tua calibro 22 che tieni per sicurezza" disse lui sorridente.
Lei arrossì per il solo fatto che lui l'avesse pensato.
Teresa tentò di salvarla dall'imbarazzo
"Jane è solito a queste uscite, non fateci caso, dai dicci cosa hai scoperto quando sei sparito"
"Ho travato delle tracce che potrebbero essere di sangue sul fondale che era servito per il primo atto, in basso proprio vicino alla base"
"Ne sei sicuro?"
"direi di sì"
"Chiederò subito un mandato per far andare la scientifica a controllare"
"Perchè hai fatto tutto di nascosto?" gli chiese lo scrittore.
"Perchè volevo vederlo con i miei occhi prima che potessero far sparire le tracce. Se avessimo chiesto di vedere il dietro le quinte magari non ce lo avrebbero concesso, ma chi ha ucciso Cindy sarebbe stato messo in allarme. Così in ogni caso ho visto quel che mi interessava. Non credo troverete delle impronte, lì c'è un gran movimento".
"Ma noi non l'abbiamo esaminato!" protestò Rick.
"Guarda tra le foto sul tuo i-phone"
Castle si mise la mano in tasca, estrasse il telefono e lì c'era la foto della scenografia e del punto con il sangue descritto da Patrick.
"Jane!"
"Dai Lisbon non te la prendere, il suo telefono ha una risoluzione migliore del mio!"
"Ti sembra una buona scusa per rubare il telefono degli altri?"
"Non l'ho rubato, l'ho restituito, e poi non se n'era nemmeno accorto. A proposito Beckett, stai veramente bene con il costume verde"
Kate si sentì sprofondare dalla vergogna, aveva visto le loro foto a Malibù.
"Comunque vorrei fare due chiacchere anche con Michael Sabini" disse Lisbon "Nel frattempo dovrebbero arrivare i risultati anche da New York".
"Ti terrò aggiornata" rispose Beckett.
L'auto stava sopraggiungendo al CBI, mise la freccia e svoltò.
"Comunque devo ammettere che stiamo lavorando bene, siamo una squadra affiatata" commentò Castle.
Jane notò che la sua espressione era leggera, come quella di un bambino.
"Nel mio prossimo romanzo potrei far collaborare con Rook e Nikki degli agenti federali con a fianco un brillante consulente ex sensitivo" Castle stava scherzando ma in realtà ci aveva già pensato seriamente. Un aiuto esterno avrebbe potuto rilanciare la saga di Nikki Heat come non mai, dando novità alla storia.
"Toglitelo dalla testa" disse a voce alta Jane.
L'auto si era fermata.
"Mai, per nessun motivo dovrai parlare di una persona che, anche solo lontanamente, mi somigli, ci siamo capiti?" stava gridando.
"Ma Patrick, io non capisco" rispose Castle balbettando.
"E' proprio questo il tuo problema. Beckett non permetterglielo. Non fare mai un errore del genere. MAI" e scese di scatto dalla limousine dirigendosi verso la sua auto.
"Non preoccupatevi, andate" disse Lisbon ad un Rick ed a una Kate stupefatti per lo sfogo anomalo di Jane "ci vediamo domani, parlo io con lui"
"Sicura?" chiese Beckett.
"So perchè fa così. Andate, andrà tutto bene. A domani".
La donna scese e si chiuse la portiera alle spalle. La limousine ripartì alla volta di Napa.
Si guardò attorno e lo vide in fondo al parcheggio vicino alla portiera della sua auto che armeggiava non trovando le chiavi.
"Si può sapere perchè ti devi comportare così?"
Lui non si volse nemmeno. Appoggiò le mani sulla fiancata dell'auto.
"Jane.. "
Nulla. "Jane!"
"Lo sai il perchè maledizione!" gridò dando uno schiaffo al tetto che suonò all'impatto.
Si girò, pieno di rabbia.
 "Lo sai benissimo cosa succede se qualcuno mette in mostra me oppure mette in dubbio la missione di Red John"
"Jane non puoi dirlo"
"Non posso? Scusa ma penso di sì" intanto si avvicinava a Lisbon non accennando a calmarsi "dato che sono io a trovare la mia bambina e mia moglie aperte come dei maiali sul mio letto"
La donna era spaventata da quella sua follia "Hai la minima idea quanto sangue c'era?"
Gli occhi di Patrick si riempirono di lacrime la voce si stava spezzando "La mia bambina era così pallida"
"Jane.."
"Io non la vedrò mai con il tocco. Castle ha una famiglia, ha una figlia. Deve far finta di non avermi mai conosciuto"
Non voleva sentirlo parlare così, si sentiva morire a vederlo vulnerabile.
"Patrick, devi.."
"Ma cosa vuoi?"
Si avvicinò, la scosse "Che diavolo vuoi da me?".
La guardò fissa negli occhi con tutta l'intensità e la disperazione di cui era capace e la baciò, con rabbia. Le fece aprire le labbra e, se avesse potuto, le avrebbe risucchiato l'anima.
Quando si staccò Lisbon era disorientata.
 Riuscì dopo qualche secondo a dirgli "So che sei sconvolto adesso, ma so anche che la tua vera natura è diversa. Ieri sera, in macchina.."
Lui lasciò la presa di scatto. Si guardò la rosa appuntata, se la tolse, e gliela gettò ai piedi.
"Non è stato nulla" ed indietreggio.
"Solo uno stupido errore" e detto questo salì di corsa sulla sua auto e partì facendo stridere le gomme uscendo dal parcheggio del CBI.
CAP. 9
 
Ore 10:50 a.m.
 
Castle e Beckett erano di nuovo al CBI.
Quella mattina erano stati svegliati presto da una telefonata di Esposito che li voleva aggiornare sugli sviluppi delle indagini. Seppur controvoglia dovettero alzarsi per andare da Lisbon.
I due notarono che c’era una strana calma negli uffici, videro Van Pelt da lontano nel bullpen e le si avvicinarono.
“Ciao Grace, tutti stanchi dopo una notte di baldoria?” disse Castle scherzando.
Van Pelt era seria “Io e gli altri siamo stati qui fino a tardi per controllare le deposizioni raccolte. Io sono tornata al CBI prima delle otto stamattina ed il capo era già nel suo ufficio, e non si è ancora mossa.”
“E Jane?” chiese lo scrittore.
“Non si è fatto vedere. Ho provato a chiamarlo ma non risponde”
“Rick, ti spiace prendermi un caffè? Muoio dal sonno, e magari lo vuole anche Grace. Io intanto vado ad iniziare ad aggiornare Lisbon”
“Ma certo” le rispose.
Certo, aveva ragione, era meglio se da Teresa andava da sola, se si sarebbe aperta con qualcuno sarebbe stato con una donna.
Beckett bussò alla porta del suo ufficio, le veneziane erano abbassate. Nulla.
Bussò un po’ più forte “Sono Kate”
“Avanti” si sentì dall’interno.
Lisbon era seduta sul divano con un fascicolo aperto sulle gambe, l’abito della sera prima era appeso dietro di lei, segno che, da quando l’avevano riaccompagnata al CBI, non era tornata a casa.
“Ciao” le disse Beckett con un sorriso.
“Ciao, novità dai tuoi a New York?”
“Sei rimasta qui questa notte?”
“Sì avevo molto lavoro da sbrigare”.
L’altra la guardò con aria di rimprovero “ Cosa è successo?”
Teresa sbuffò, sapeva che l’amica non avrebbe mollato.
“Nulla di importante. Scusami ma adesso sto solo pensando al caso. Allora, cosa hanno scoperto i tuoi?”
Beckett fece un rapido riassunto. Rayan ed Esposito avevano rintracciato quelli che avevano lavorato al party. Sabini che era in effetti andato via con una donna dai capelli rossi abbastanza conosciuta nell’ambiente  per essere un squillo. Alla buoncostume, che  l’aveva interrogata, aveva confermato l’alibi di Sabini, ma aveva anche aggiunto che l’aveva cacciata in tutta fretta nel bel mezzo della notte dopo una telefonata arrivata al suo albergo senza passare dal centralino. Avevano provato a rintracciarla ma proveniva da una cabina telefonica. La squillo non ricordava nulla di particolare nella conversazione, quindi se volevano saperne di più dovevano chiedere al diretto interessato.
Cindy invece era stata in giro fin verso le undici poi all’improvviso nessuno l’aveva più vista.
“Gli altri ospiti dell’enturage di Sabini si sono in effetti fatti riaccompagnare in albergo in taxi, era stato Magnus a farli chiamare ma sai qual’è la cosa strana? Lui non l’ha preso. I taxisti si ricordano di avere accompagnato solo sette persone ?”
“Chi mancava oltre a Magnus?”
“Michael Sabini”
In quel momento bussarono alla porta, e la persona entrò in quanto invitata. Era Castle con i caffè in mano, si era stufato di stare ad aspettare e dato che aveva sentito da fuori che stavano parlando di lavoro si fece coraggio.
Lisbon lo ringraziò, era molto gentile, era evidente che lo faceva per cavalleria, ma non era abituata a tali gesti.
“Le hai già detto di Gina?” chiese Rick.
“Non ancora. Esposito l’ha rintracciata, la stavano andando a prendere quando mi ha chiamato stamattina. Abbiamo una teleconferenza tra mezzora: seguiremo l’interrogatorio del capitano Montgomery. Mi hanno detto che vuole farlo personalmente. Si era stupito troppo dell’insistenza con cui Gina aveva chiesto la mia presenza in California e adesso vuole vederci chiaro”
“Pensa che lei ti abbia voluto allontanare da New York volontariamente?”
“Non credo.” Si intromise lo scrittore “Se c’entra con lo stupro di Cindy ed il successivo insabbiamento non le avrebbe mai messo vicino la migliore detective di New York. Voi non volete capire che per Gina, semplicemente, tutto ha un prezzo e tutto può essere comprato, come la tua presenza qui Kate. Io ti volevo accanto a me e lei mi ha accontentato. Se le avessi chiesto una banca me ne avrebbe procurata una”.
“La stai difendendo?” chiese la sua compagna.
“Assolutamente, anzi credo che c’entri fino al collo con questa storia. Mi basterà sentirla  nell’interrogatorio per capirlo e per cercarmi una nuova casa editrice. L’unico aspetto positivo è che potrò smettere di pagarle gli alimenti”.
Entrambe le donne lo fissarono incredule.
“E’ stata una delle condizioni che ho fissato nel divorzio. Io posso aver fatto molte stupidaggini, ma tutte di poco conto. Sapevo che se invece Gina si fosse messa nei guai, sarebbe stato per qualcosa di serio, e qualcosa collegato alla sua fissazione per i soldi. Speravo che così facendo avrebbe riflettuto e si sarebbe tenuta fuori da situazioni pericolose.”
Kate lo fissò dolcemente. Anche in una situazione difficile come quella del suo divorzio aveva avuto un occhio di riguardo per la sua ex cercando di proteggerla da sè stessa. Era veramente un uomo dal cuore straordinario.
“Bene allora andiamo a prepararci” disse Lisbon uscendo dal suo ufficio.
Castle notò l’abito da sera appeso e quindi volse uno sguardo interrogativo a Beckett che scosse il capo.
Mentre stavano andando nella sala riunioni per prepararsi per la teleconferenza Castle compose un sms: ”Dove cavolo sei Jane? Vieni a darmi una mano. Siamo al CBI”.
La busta dava il segnale di inviato mentre seguì Kate dentro la stanza.
 
Ore 11:50 a.m.
Attorno al tavolo, davanti al monitor LCD a trentadue pollici che mostrava le immagini di New York, c’erano Lisbon con Cho e Castle con Beckett.
L’immagine che arrivava dall’altra costa mostrava una Gina particolarmente tesa con davanti a sè il capitano Montgomery ed Esposito.
“Perchè è scappata?” le chiese senza indugi l’uomo.
“Non sono scappata, mi ero presa qualche giorno di vacanza in una beanty farm. In questo periodo il lavoro mi uccide”:
Kate arricciò il naso e non solo per la battuta infelice. Non le era mai parso di vedere la bionda ex di Castle distrutta dalla fatica, tranne forse per aver fatto troppo schopping con i tacchi alti.
“Cosa sa dirci dell’omicidio di Cindy Cape?”
“Nulla. Mi hanno avvisato appena dopo aver trovato il corpo, quindi non so proprio cosa dovrei dirvi”
“Vediamo se abbiamo più fortuna, cosa sa dirmi invece dello stupro di Cindy?”
Gina non rispose.
“Sappiamo che la sua dipendente è stata stuprata alla festa organizzata da voi per Anthony Sabini. Cindy l’ha chiamata quella notte per chiederle aiuto e lei ha cercato di risolvere il problema alla sua maniera, non è vero? Pagando per il suo silenzio e per difendere un delinquente. Ci dica, chi ha coperto?”
Gina opponeva ancora uno strenuo silenzio ma Castle notò che stava iniziando a dare segni di cedimento.
Montgomery le mise sul tavolo le foto che avevano fatto a Cindy all’ospedale. Aveva lividi e tumefazioni dappertutto.
“Ma ha visto come l’aveva ridotta? Poteva ammazzarla! E’ l’ultima volta che le faccio questa domanda e poi la mando in cella a riflettere: chi ha stuprato Cindy Cape?”
“Non lo so”
“Portatela giù” disse risoluto il capitano che aveva perso la pazienza “e cercate se hanno avanzato una bella divisa da carcerato marcata Dior”
“Aspettate!” fece segno spaventata la donna.
“Vi dirò quel che so, ma vi prego non mettetemi in prigione!”
“Parla “
“ Cindy mi chiamò quella notte, è vero. Mi disse che si era risvegliata in nel magazzino dietro alla sala congressi dove si era svolto il party, non si ricordava nulla, pensava di essere stata drogata e stuprata. Le ho detto di andare al pronto soccorso a farsi visitare ma di non dire nulla, avrei pensato io a tutto.”
“Chi l’ha accompagnata?”
“Non volevo che l’accompagnasse la sua assistente perciò ho chiesto a qualcuno che aveva interesse di mantenere la cosa riservata per provvedervi”
“Chi?”
Silenzio. “Il nome, ora!”. Montgomery non scherzava.
“Albert Magnus, l’agente di Sabini”.
Gli spettatori a Sacramento si guardarono. Castle notò che Cho aveva appoggiato il suo telefono sul tavolo, che segnalava una telefonata in corso.
“Voglio sapere tutto” lo sguardo dell’uomo non ammetteva repliche.
Gina sospirò capendo che era la sua unica possibilità.
“Magnus accompagnò Cindy in ospedale e la lasciò lì dopo essersi raccomandato con lei di mantenere il riserbo, e promettendole che avremmo trovato una soluzione. Io provvidi a pagare tutti i suoi conti e Magnus mi disse di aver parlato con tutti e di non sapere chi fosse stato. Mi propose di darle almeno un risarcimento economico, a cui avrebbe in parte provveduto personalmente Sabini, e una promozione. Mi sembrò l’unica cosa da fare e Cindy fu felice. Tutti erano contenti”
“Mi sta dicendo che, malgrado lei sappia che il suo ex marito collabora con noi, non le è venuto in mente di chiamarci per indagare su quel crimine e ha lasciato che un agente di musica lirica facesse il nostro lavoro? Poteva almeno chiamare un investigatore privato.”
“Io dovevo mantenere il riserbo altrimenti sarebbe scoppiato uno scandalo che avrebbe danneggiato tutta l’azienda ed io non posso permetterlo. Doveva essere mantenuto il massimo riserbo e se l’avessi detto a Rick lui sarebbe subito corso dalla sua amata detective”.
“Si rende conto solo per un momento che quella ragazza è stata picchiata a sangue e violentata?”.
“E lei si rende conto che ho un’azienda da gestire e devo rispondere agli investitori? Cindy è stata lautamente risarcita e guardi che non era così santa, a lei è andata bene così!”
“Per questo l'ha spedita a curare i rapporti con la costa ovest? Per tenerla lontana da New York?”
“Ho pensato che farla allontanare sarebbe stata una buona idea. Cindy era brava, avrebbe fatto un buon lavoro per la campagna di Rick”.
“Una cosa non capisco, perchè ha insistito perchè lasciassi partire Beckett? Perchè metterla vicino ad una vittima con il rischio che parlasse?”
“Ma quale rischio? Cindy aveva firmato un accordo in cui esonerava la casa editrice da ogni responsabilità per l’accaduto e si impegnava ad un patto di riservatezza a cinque zeri in cambio della promozione. Come le ho detto a Cindy andava bene così. Per quanto riguarda la sua detective il discorso è stato molto semplice: Rick la voleva accanto e questa mi è costata meno di molte altre sue stramberie. Ad un solo mese dall’uscita il suo libro ha già sfondato il mezzo milione di copie vendute. Nemmeno Storm Fall era andato così bene. Si pensa che arriveremo ai due milioni entro l’anno. Se Rick mi avesse chiesto Marilyn Monroe avrei incaricato qualcuno di farla riesumare”.
Montgomery si voltò verso la telecamera, come per cercare approvazione per terminare l’interrogatorio. Castle prese il telefono e mandò un messaggio. Il capitano avvertì la vibrazione dal suo cellulare e lesse.
“Sa se Magnus fosse andato da solo all’ospedale?”
“Non so penso di sì”.
Ancora una vibrazione. L’uomo lesse e rise “Portatela in cella”
“Ma come, mi aveva detto che non mi sarebbe successo nulla! E poi con Cindy c’era un accordo”
“No questo non l’ho mai detto. Cindy ha firmato un accordo con la società ai soli fini civili. Lei è accusata di favoreggiamento e si ritenga fortunata che non l’accusiamo di complicità nello stupro”.
“Uscirò subito su cauzione” disse la donna con aria di sfida.
“Forse, questo dipenderà dal Giudice e da dove troverà i soldi." Lei lo guardò un attimo dall'alto al basso.
"Ancora una cosa Gina: Castle le manda a dire che ha bloccato le sue carte di credito ed il suo assegno di mantenimento..”.
Gina si lasciò sfuggire una maledizione prima che l’agente la facesse alzare “...e che lui ha sempre avuto un debole per le more!”
Gina non gli rispose e si lasciò portare via.
Montgomery si girò verso la telecamera con aria soddisfatta.
“Ragazzi ora tocca di nuovo a voi”.
 
Ore 1:30 p.m.
Castle stava preparando due caffè. Kate era chiusa nell’ufficio di Lisbon e stava cercando di organizzare i nuovi interrogatori per i fratelli Sabini e per Magnus. Occorreva però convocarli con i giusti tempi e riuscire a non farli parlare tra loro. Il primo sarebbe stato proprio l'agente, poi Michael e quindi il tenore.
Rick stava girando il liquido scuro e profumato continuando a riflettere.
Gina. Come aveva fatto a legarsi con una persona del genere? Era così disperato a quel tempo da non vedere chi stava facendo entrare nella sua vita ed in quella di Alexis? Che errore imperdonabile aveva commesso.
Una mano si posò sulla sua spalla facendolo ridestare.
"Un penny per i tuoi pensieri" gli sussurrò Kate. Lui si girò, si guardò intorno e, notando che non c'era nessuno nei paraggi, la prese per la vita e l'avvicinò a sè. Le posò un bacio leggero sulle labbra e le sorrise.
"Grazie" gli rispose "ma dicevo sul serio".
"Stavo pensando che con tutto quel che guadagnerò di royaltes posso comprarti una Ferrari tutta tua. Di che colore la vuoi? Che ne dici di gialla?"
"Rick.."
"O forse è meglio bianca..no, sicuramente nera?"
"Castle!"
Lo scrittore capì che era inutile continuare, lei sapeva benissimo che lui era molto più turbato di quel che voleva far vedere dall'interrogatorio di Gina. Già in un'altra occasione un suo amico si era dimostrato..poco raccomandabile e Kate lo aveva dovuto arrestare. Non si capacitava di aver potuto sbagliare così tanto a giudicare persone a cui aveva voluto bene.
"Ho fatto così tanti errori Kate, e se.."
"Suh!!" gli mise un dito sulla bocca e si avvicinò "Tu sei una persona meravigliosa ed estremamente sensibile, ma non puoi rispondere per quello che fanno gli altri o incolparti se si sono approfittati della tua fiducia."
Lui la guardava intensamente, stava per dire qualcosa ma lei lo fermò di nuovo "E non crucciarti con brutti pensieri: mi sono convinta persino io che non farai nulla che mi possa far stare male!". Lei lo guardò negli occhi sorridendogli.
"Grazie amore"
"Lo so, non sapresti cosa fare senza di me". Kate gli aveva intrecciato le mani dietro la nuca e si avvicinò per baciarlo ma sentì qualcosa che vibrava in tasca di Castle.
Lei gli fece segno di controllare e lui controvoglia ubbidì. Era un messaggio di Jane.
"Quando hai finito con la tua musa sali da me in soffitta, meglio se con una tazza di the, e, mi raccomando, metti prima il latte"
Rick mostrò il telefono alla donna che si slacciò dall'abbraccio.
"Vai a vedere che fine ha fatto il tuo amico e, tanto che ci sei, vedi di capire cosa gli è preso ieri sera. Deve averne combianata una grossa. Io vado a dare una mano a Grace".
Stava per andare via ma lui la trattenne per la mano. Si guardarono ancora un attimo e lui l'alzò e le posò un bacio leggero sul dorso, socchiudendo gli occhi.
Lei gli sorrise "Ti amo anch'io" e si allontanò verso la porta "..e vedi di portare giù il culo presuntuaso di Jane a lavorare".
Lui rise, probabilmente lo avrebbe fatto anche Patrick se l'avesse sentita. Seguendo le istruzioni prese la tazza di the e salì le scale.
Aprì la pesante porta tirandola a sè e vide Jane sdraiato sul suo giaciglio.
"Bel posticino" commentò.
"Non sarà il tuo studio a New York ma qui è tranquillo, posso riflettere".
"In verità il mio studio non è nulla di trascendentale e riesco a scrivere solo quando mia madre e Alexis sono da qualche altra parte. La maggior parte della fase creativa la faccio di sera o di notte, mentre di giorno mi dedico alle correzioni. E' un'abitudine che mi è rimasta da quando Alexis era piccola, la mettevo a letto e poi iniziavo a lavorare".
Jane si era messo seduto e aveva fatto un cenno di ringraziamento a Castle che gli aveva porto la tazza..
"Allora, dov' eri finito questa mattina? Ti sei perso l'interrogatorio alla mia ex moglie".
"Dovevo riflettere, comunque ho seguito tutto. Bella strega quella donna"
Castle non capiva, come poteva sostenere di aver seguito la teleconferenza? Ma poi ragionando "Cho! stavi ascoltando dal suo telefono".
Jane assentì continuando a sorseggiare il suo the. "Dopo il tuo messaggio ho chiamato il buon Cho e gli ho spigato cosa fare"
"Perchè non sei sceso?"
"Mi sono rintanato qui verso le sei stamattina. Nessuno mi ha notato. E' meglio che non mi faccia vedere troppo in giro"
"Cosa è successo Patrick?".
"E' un problema che devo sistemare da solo, ma tu puoi fare qualcos'altro per me"
Castle era in attesa, Jane si alzò e gli si avvicinò "Mi devi promettere che mai, per nessuna ragione, scriverai una sola parola su di me, lo puoi fare?".
Castle lo fissò intensamente "Me lo stai chiedendo come amico o come cacciatore di un famoso serial killer?"
Jane era molto serio "Come amico".
"Allora lo prometto, ma mi aspetto che un giorno, quando sarà tutto finito tu ammetta la tua idiozia" così dicendo gli porse la mano.
Il consulente gliela strinse "Non esserne così sicuro".
Rimasero silenziosi per qualche secondo. "Bene, visto che hai bevuto il tuo the possiamo tornare a lavoro e sappi che la tua presenza è stata richiesta personalmente dalla detective Beckett e non ho intenzione di deludere le sue aspettative". Aprì la porta e lo invitò a precederlo.
"Lo sai che sei succube di quella donna vero?" gli disse superandolo.
"Sì, so di essere veramente fortunato" rispose seguendolo al piano inferiore.
 
Teresa stava fissando senza particolare attenzione lo schermo del suo computer.
 "Hai la minima idea quanto sangue c'era?" le parole di Jane della sera prima le rimbombavano nella testa. Se la prese tra le mani. Rivedeva i suoi occhi del colore del cielo pieni di lacrime e di disperazione. "Non è stato nulla... solo uno stupido errore".
Uno stupido errore. Come aveva potuto anche solo pensare che il loro legame fosse più forte del delirio di Jane? Di poterlo, con il tempo, ricondurre alla ragione?
Alzò gli occhi e lo vide scendere dalla soffitta insieme a Castle.
Ora sapeva cosa fare. Quello sarebbe stato il loro ultimo caso, poi avrebbe chiesto a La Roche di spostarlo ad un'altra squadra.
Si alzò ed uscì dal suo ufficio.
I loro sguardi si incrociarono. Jane non si mosse.
"Bene, grazie per averci raggiunto" gli disse.
Aveva un tono asciutto e duro "Sbrighiamoci, alle quattro arriveranno Magnus e Sabini per l'interrogatorio, Cho e Rigsby sono già andati a prenderli e c'è ancora molto lavoro da fare".
Si girò e tornò sui suoi passi.
Castle e Beckett si fissarono.
Jane rimase in silenzio ma aveva capito che ciò che era successo la sera precedente avrebbe portato delle conseguenze.
 
 
 
 
 
CAP.10
Ore 4:00 p.m.
Albert Magnus era seduto nella sala interrogatori 2 del CBI.
Cho lo aveva accompagnato ed era andato ad avvertire Lisbon che fino a quel momento era rimasta rintanata nel suo ufficio senza dire o fare nulla percepibile all'esterno.
Castle era seduto su una sedia e sorseggiava tranquillo una tazza di caffè mentre Jane era appoggiato alla scrivania vicina e non toglieva gli occhi dalla porta di Teresa. Si vedeva che era preoccupato. Castle lo osservava. Si vedeva che quella notte l'aveva passata insonne. Indossava un completo grigio semplice, con una camicia azzurra. Come se si fosse messo la prima cosa che capitava. Aveva un velo di barba, non si vedeva molto dato il colore e la sua carnagione, ma era chiaro che non era abituale per lui.
Qualcosa nel suo atteggiamento non lo convinceva, era come fosse stato stato molto scosso. Gli occhi erano un po' gonfi e arrossati, come se avesse pianto. Sicuramente era dovuto alla veglia, si disse Castle.
Lisbon uscì dalla stanza dirigendosi verso la sala interrogatori "Kate, vieni a darmi una mano?"
"Certo" rispose Beckett un po' confusa.
A Castle, Cho e Jane non rimase che sistemarsi nella sala di osservazione. "Amico, ti conviene sbrigarti a risolvere i tuoi guai" gli sussurrò Castle.
Jane non rispose nulla ma era sempre più cupo.
"Grazie di essere qui signor Magnus" esordì Lisbon accomodandosi davanti a lui con Beckett al suo fianco.
"Non mi è sembrato di avere scelta" le rispose l'uomo visibilmente arrabbiato.
"Dipenderà solo da lei quanto ci metteremo". La donna lo guardò dritto in volto con uno sguardo che brillava come quello di una tigre.
"C'è qualcosa che vuole rettificare nella sua deposizione?" e gli lanciò dei fogli davanti. Lui nemmeno li guardò e rimase in un ostinato silenzio.
"Ok. Giochiamo a carte scoperte. Dopo che il suo pupillo ha lasciato la festa sappiamo che non è stato a bere long drink e sappiamo che non è tornato a casa con gli altri. Vuole continuare lei?"
"Se la cava benissimo, faccia pure" disse sarcastico.
"Sappiamo che ha ricevuto una telefonata da uno degli amministratori della casa editrice per mettere a tacere una situazione compromettente: qualcuno dei suoi aveva stuprato Cindy Cape"
"Lo dice lei che è stato uno dei miei" attese qualche secondo poi sospirò e si allungò sul tavolo appoggiando i gomiti  "Gina Conwell mi chiamò verso mezzanotte. Mi disse che Cindy le aveva telefonato ed era sconvolta, straparlava  e non sapeva cosa le era successo. Io andai nel luogo dove doveva trovarsi e la vidi. Qualcuno l'aveva pestata a sangue, non riusciva a reggersi in piedi. Chiamai un'autista e l'accompagnai all'ospedale più vicino. Le raccomandai di non dire nulla, perchè altrimenti quella storia sarebbe finita su tutti i giornali, non mi disse di essere stata stuprata, per la verità non mi disse nulla. La lasciai nelle mani dei dottori e me ne andai. Mi misi a chiedere ai ragazzi ma nessuna l'aveva vista parlare con qualcuno in particolare e ad una certa ora era sparita. Io avevo pensato che se ne fosse andata"
La versione concordava con quella data da Gina, pensò Castle, ma qualcosa non lo convinceva.
Come se lo stesse ascoltando Lisbon chiese "Era solo quando andò da Cindy?"
L'uomo esitò poi rispose "No, stavo parlando con Michael quando ricevetti la chiamata e gli chiesi di venire con me, mi aiutò a caricarla in macchina e poi gli dissi di tornare in albergo e di dimenticarsi di quello che aveva visto".
Beckett lo vide che stava sudando copiosamente. Gli porse una bottiglietta d'acqua, lui la ringraziò con uno sguardo, l'aprì e ne bevve circa metà.
"E poi?" lo incitò.
"Quando uscii dall'ospedale telefonai ad Anthony per avvertirlo di cosa era accaduto. lui mi disse di scoprire se qualcuno del gruppo era nei guai e di tenerlo informato. Così feci come le ho già detto e quindi pensai che sarebbe stata una buona idea mettere a tacere tutto con un aiuto a Cindy"
"L'ha pagata per il suo silenzio."
"Senta, per me è sempre stato fondamentale proteggere il mio ragazzo. Lui non è solo mio cliente, è mio nipote"
Lisbon si gelò. Non si ricordava di aver letto nulla in proposito.
"La madre era mia sorella. L'ho preso con me quando era solo un ragazzo, seppur molto dotato, e l'ho aiutato a fare strada. Doveva terminare gli studi. Poco tempo dopo ha sfondato"
"Vanno d'accordo i due fratelli?" domandò Beckett.
"Sono fratelli. Anthony  ha una carattere forte, prepotente, ma ha sempre cercato di guidare il fratello"
"O forse dominare?"
Lui la guardò "Anthony è così, deve avere il comando. Michael è tranquillo, taciturno, studioso, forse un po' solitario. Si è diplomato brillantemente al conservatorio, sapete? Ma con un fratello come Anthony è difficile sfondare"
"E non gli dispiace? Fargli da ombra intendo"
"Anthony è un fratello impegnativo, ma si sa far voler bene".
"Ha visto Cindy la sera della sua morte?"
"No e non sapevo nemmeno che sarebbe dovuta venire a teatro. Era da New York che l'avevo persa di vista. Mi spiace per quel che le è accaduto"
Le donne si guardarono: l'interrogatorio era terminato.
 
Ore 4: 50 p.m.
Lisbon era nel cucinino a prendersi dell'acqua prima di affrontare l'interrogatorio di Michael Sabini che la stava già aspettando da un quarto d'ora. Rigsby si era occupato personalmente di andarlo a prendere e di non farlo parlare con nessuno. Stava per uscire quando Jane la fermò sulla porta. Lei gli rimase davanti in silenzio.
"Devo entrare con te per l'interrogatorio" le disse.
"Con me verrà Beckett, è deciso" e fece per farlo scostare ma non lo toccò.
"Non parlerò ma devo entrare per vederlo da vicino. Mi metterò dietro di voi. Non mi sentirai, ma devo essere lì ".
La voce di Jane era bassa e calma. Aveva le mani nelle tasche della giacca e fissava in basso verso il volto della donna.
"Fai come credi" gli rispose facendolo scostare e avviandosi verso la sala 3.
Le due donne ripresero posizione davanti a Michael Sabini, Jane si sedette su una sedia alle loro spalle vagamente nell'ombra.
Michael era un uomo visibilmente complessato. Stava ricurvo sulla sedia tormentandosi le mani. Continuava a far scrocchiare le dita e guardava torvo da sotto gli occhiali da miope. ‘Le altre volte non li indossava’ notò Castle dall'altra parte dello specchio.
Era una decina di centimetri meno del fratello e più asciutto.
Jane vide che le braccia si rivelavano in realtà molto più sviluppate di quanto appariva da sotto la larga camicia con i polsini ben allaciati. Secondo lui doveva anche avere dei tagli sulle braccia, probabilmente autoinferti, ma non recenti. Le nocche erano segnate, gli ricordavano i segni che avevano alcuni sportivi, anche se non sembrava che quel tipo amasse molto l'attività fisica.
D'altra parte suonava l'oboe in un'orchestra e aveva un fratello oppressivo ed autoritario: era normale che avesse un tic agli occhi: continuava a batterli quindi si riposizionava gli occhiali sul naso leggermente pronunciato.
"Signor Sabini lei era a New York con suo fratello quando conobbe Cindy Cape, che rapporto avevate?" Lisbon stava cercando di metterlo a suo agio per farlo parlare.
“Era una persona gentile. Ma non abbiamo parlato molto, io non parlo mai molto” e si tirò su gli occhiali, guardò alla sua sinistra poi in alto e quindi tornò a fissare da sotto gli occhiali Lisbon. La gamba batteva sotto il tavolo ed il ginocchio sinistro lo faceva vibrare.
“Ha parlato con lei alla festa? Quella organizzata per suo fratello?”
“L’ho salutata, le ho fatto i complimenti per il vestito. Lei mi ha sorriso, ma era sempre al telefono.”
“Che ora era?””
“Le dieci, forse poco più” la sua voce si era fatta più sottile.
“E poi cosa ha fatto, non l’ha più rivista?”
Lui non rispose subito, continuava ad ispezionarla con gli occhi. Saliva dal collo agli occhi riscendeva alle mani, risaliva alle guance si fermava sulle labbra: Teresa doveva ammettere di iniziare a sentirsi a disagio. Vide una bottiglietta d'acqua davanti a sè, l'apri e ne bevve, poi la rimise davanti a lui.
“Sono stato qui e là a unirmi alle conversazioni degli altri. Per lo più ascoltavo. Poi sono rimasto con Albert fino a poco prima di andar via”
Per tentare di distogliere lo sguardo dell’uomo intervenne Beckett “Ci racconta della chiamata arrivata al sig. Magnus verso mezzanotte?”.
Lui rimase sorpreso della domanda e dell’intervento.
“Allora l’avete saputo.. Ok. Siamo andati a prendere Cindy. Ho aiutato Albert a caricarla sull’auto e poi si è occupato di tutto lui, come sempre. Io ho chiamato un taxi e me ne sono tornato in albergo. Mi è stato detto di non parlarne e così o fatto”
‘Succube anche dello zio’, pensò Teresa.
“Ha più rivisto Cindy? Magari in città ” lo incalzò di nuovo Beckett.
“No, io non sto qui in albergo. Ho una piccola casa poco fuori Sacramento. Mi piace la tranquillità qui vengo solo per gli spettacoli. Mi è stato detto che è venuta a vederci, ma sa io nella fossa sono tagliato fuori”
Jane lo stava osservando attentamente. Quell’uomo aveva appena mentito. Aveva visto Cindy, quando era in città e l’aveva sicuramente vista la sera in cui era morta. Avrebbe voluto smascherarlo subito, ma aveva promesso di non parlare, sperava che almeno Beckett se ne accorgesse.
“E’ sicuro? La vittima aveva i posti centrali in quinta fila, non era così distante, anzi si vede bene dai fiati. E poi, magari nell’intervallo, non può essere passata dietro le quinte per salutare?”.
“No, io rimango con l’orchestra”
A detto no, non “non lo so” pensò Castle, sicuro che anche Beckett avrebbe notato il particolare.
Riprese lei infatti ” Signor Sabini, una nostra squadra sta ispezionando le quinte del teatro e troveranno del sangue su una delle scenografie. Sappiamo che Cindy è venuta lì dietro, chi sta proteggendo?”
“Nessuno”
“Non mi convince” disse la detective alzando la voce “lei sa più di quello che ci vuole far credere!".
Lui guardò di nuovo fisso Lisbon, dritto negli occhi, in attesa del suo punto di vista. Lei si raddrizzò sulla sedia e stava per parlare quando la porta si aprì di colpo:
"Buongiorno signori sono David Blake, l'avvocato del sig. Michael Sabini" disse l'uomo entrando che poi, rivolgendosi al cliente "mi manda suo fratello, adesso andiamo via subito".
"Perchè questa interruzione?"chiese Lisbon
"Se volete parlare ancora con il mio cliente lo farete di fronte a me, e in difetto di accuse, noi andiamo"
"Dov' è suo fratello? Dobbiamo parlare anche con lui".
L'avvocato si voltò mentre stava facendo alzare Michael tirandolo per un braccio "Non lo so, mi ha avvisato di venire qui. Lui doveva assentarsi dalla città e ha sfruttato i due giorni di riposo dagli spettacoli. Lo sentirete, dopo avermi avvertito, al suo ritorno" e uscirono.
Beckett si alzò tenendo in un fazzoletto la bottiglietta d'acqua che aveva fatto scivolare sotto il tavolo.
 
ore 6:10 p.m.
Al gruppo non restò altro che lasciare andare via Michael con il suo avvocato. Non avevano prove di un qualche suo coinvolgimento nè con lo stupro nè con l'omicidio di Cindy.
Lisbon diede la bottiglietta d'acqua che era ‘rimasta’ nella sala interrogatori a Cho "Mandala con l'altra per impronte e dna al laboratorio"
Castle la guardò sorpreso.
"E spegnete pure il riscaldamento" terminò.
L'aveva fatto apposta! Con quel mezzo, certo poco ortodosso, era riuscita ad acquisire legittimamente materiale probatorio che gli interessati non le avrebbero mai consegnato volontariamente.
Lo guardò e gli disse "Alle volte bisogna essere creativi".
Si riunirono tutti nel bullpen.
"Non mi fido di Magnus" commentò Kate.
"Sono d'accordo con te" disse lo scrittore "ma non me lo vedo a stuprare Cindy, però  potrebbe essere complice del suo adorato nipote".
"E come? Lui era da un'altra parte."
"La testimonianza della squillo potrebbe non essere attendibile, come anche quella degli ospiti circa l'orario. Sabini avrebbe potuto stuprarla prima di essersene andato oppure potrebbe aver lasciato la festa dopo.”
"Non mi convince, anche se ha il carattere perfetto per essere un violento misogeno".
"Lo sapremo presto" intervenne Lisbon, mettendosi a sedere su una scrivania di fianco a Beckett "ho chiesto di rilevare anche i vari marcatori genetici. Sapremo non solo se Magnus è il padre del bambino, ma anche se è per caso imparentato con l'aggressore. Questo, se accadrà, ci porterà a Sabini. Comunque sono convinta che ha avuto un coinvolgimento nell'omicidio"
"Hai ragione capo" intervenne Van Pelt dandole un fascicolo "L’auto noleggiata da Magnus ha preso una multa per la velocità la notte in cui è morta Cindy, esattamente all' 1:50 della mattina. Si stava allontanando dal resort dirigendosi sulla statale 46".
"Bingo!" fece Lisbon scendendo dalla scrivania.
"Quindi Sabini, o lo stesso Magnus, stupra Cindy a New York, nascondono il misfatto, la vittima ha pochi ricordi dell'accaduto, e poi l’incontrano di nuovo qui"
"Ma perchè riattirarla a loro?" chiese Kate.
"E se Cindy avesse iniziato a ricordare?"lui guardò la sua musa negli occhi.
"Cindy potrebbe essere andata da loro per accusarli, era rimasta incinta, avrebbe potuto dimostrare lo stupro e l’aggressione e per questo l'hanno uccisa"
"Cindy va in teatro" interviene Teresa nel ragionamento " si aggira dietro le quinte, vuole recuperare la mazza e spaccarla in testa a Sabini, Magnus la vede, la blocca, litigano, ne nasce una collutazione, lei cade e per l’ematoma muore. Poi Magnus riporta il corpo in albergo ed inscena il falso incidente per depistarci."
"Non è possibile" sono le uniche parole di Jane che era rimasto fino a quel momento in silenzio.
"Sono convinto che Magnus sia coinvolto, ma non come pensate voi" e si avvicinò a loro tenendo una mano in tasca e l'altra appoggiata al mento, guardando verso il basso. Tutti lo stavano fissando attenti.
"Chi ha stuprato Cindy è anche il suo assassino e Sabini era sul palco quando lei è morta."
"Il tenore era sul palco ed il fratello stava suonando, quindi non può che averla uccisa Magnus" disse Teresa.
"Non credo che Cindy si sarebbe sfogata con lui rivelandogli le sue intenzioni, quindi non avrebbe avuto motivo di colpirla, farla cadere e battere la testa"
"Jane, piantala con le tue congetture, abbiamo un teste che dice di aver visto parlare la vittima con Albert Magnus all'intervallo, erano nel corridoio che porta al primo ordine."
"Appunto, perchè farsi vedere?"
"Perchè allora mentirci?" Lisbon aveva fatto qualche passo verso di lui, si guardavano negli occhi.
“Cosa dicono le tracce rilevate?”
“Hanno cercato di coprirle ma non c’era molto sangue”
“Vuol dire che l’hanno trattenuta da qualche parte nel teatro, fino alla fine dello spettacolo”
“Sciocchezze qualcuno l’avrebbe vista o sentita”
Patrick fece ancora un passo verso di lei.
"Ce l'hai così tanto con me  da non voler vedere la verità?" glielo disse d'un fiato.
"Vai al diavolo Jane!" gli gridò e voltandosi percorse a grandi passi la distanza che la separava dal suo ufficio. Senza guardare fece per chiudere sbattendo la porta ma una mano la fermò prima.
Era Patrick che le era corso dietro sotto gli occhi increduli degli altri.
Non serviva essere nella stanza per sentire la loro conversazione.
"Non possiamo mettere da parte i nostri problemi  e cercare di risolvere il caso?" le chiese.
"Levati di torno"
"Ma dai! Fino a due giorni fa non avresti mai pensato che uno come Magnus si caricasse un cadavere in macchina e facesse un'ora di auto per simulare un suicidio. E poi sarebbe stato più semplice scaricarla in un vicolo in città."
"Non ne posso più delle tue teorie" non lo guardava tentando di trattenere la rabbia e la tensione.
"E poi cosa mi dici di Michael, che ruolo ha avuto in questa storia? Lo hai escluso? Quell'uomo è inquietante, ha problemi con le donne tanto come il fratello"
"Quell'uomo è succube del fratello ed era assieme all'orchesta nella fossa quando la vittima è morta. Piantala con le tue fissazioni e le tue teorie senza senso".
Jane si appoggiò con le mani alla scrivania e si sporse verso Lisbon dall'altra parte del tavolo.
"E invece ha senso quello che stai facendo? Ti ho ferito così tanto da non fidarti più di me e del mio intutito?"
Lei fremeva ma non rispondeva “Prova a rimanere professionale e rispondimi: pensi davvero che io stia sbagliando? O vuoi solo prenderti una rivincita su di me?"
Lisbon strinse la mascella, fece il giro attorno al tavolo e gli si posizionò davanti.
"Tu sei fuori".
Lui la guardava fisso, incredulo, e non riusciva a deglutire.
"Sarai in attesa di riassegnazione. Non ti bloccherò il pass, ma non farti più vedere da me".
Jane cercò di scrutarla ancora negli occhi, poi fece quello che gli aveva chiesto: si voltò e lasciò l'edificio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAP. 11
Ore 8:45 p.m.
Castle e Beckett si erano congedati dal CBI e si erano dati appuntamento con Rigsby e Van Pelt per il giorno dopo nel pomeriggio.
Avevano una lettura pubblica di Heat Stroke la mattina successiva a cui non potevano dire di no, ma li rassicurarono che avrebbero fatto il prima possibile per raggiungerli. In ogni caso dovevano aspettare i risultati degli accertamenti effettuati in teatro dagli uomini della scientifica.
Intanto Lisbon aveva fatto spiccare un mandato di cattura per Albert Magnus, latitante, e degli agenti erano andati a perquisire la sua camera d’albergo, senza trovare, in realtà,  nulla di utile. Anche gli aeroporti erano stati avvertiti, non poteva andare lontano, erano sicuri di scovarlo.
Pensarono anche che potesse aver raggiunto Anthony Sabini, perciò si misero in moto per rintracciare anche quest’ultimo.
La coppia aveva scelto per la cena un in piccolo bistrot nella zona universitaria, giusto qualcosa di veloce e poco impegnativo, prima di tornare in albergo.
In quei giorni la loro vita da innamorati in vacanza era stata scombussolta e Rick voleva tornare a qualche momento di tranquillità con la sua donna.
Anche quella sera, presa a parlare di come voleva gestire gli spostamenti tra i loro appartamenti quando sarebbero tornati a New York, dietro la luce della candela al centro di quel tavolino, gli sembrava la cosa più bella su cui si fosse mai posato l’occhio umano. L’amore che provava per la donna di fronte a lui la rendeva ancora più splendida, la sua musa, la sua dea, la sua vita.
“Se penso ad Erato penso a te” le disse.
“Chi? Non mi stavi nemmeno ascoltando” rispose Kate sgridandolo.
“Erato era una delle nove muse di grecia, figlie di Zeus e della Memoria, e Apollo era il loro protettore” la donna voleva interromperlo la lui alzò la mano e continuò “era la musa che provocava il desiderio ed era preposta alla poesia amorosa”
“Ed io che pensavo di assomigliare a  Calliope!”
“No, lei era alla poesia mitologica. Tu sei la mia Erato, musa del canto corale e della poesia amorosa, ti immagino con la tua corona di mirti e di rose, con in mano la lira ed il plettro”.
Kate arrossì, alzò lo sguardo solo quando lo sentì riprendere “Noi sappiamo dire molte menzonie simili al vero, ma sappiamo dire anche, quando vogliamo, il vero cantare. E’ l’incipit di ‘Teogonia’ di Esiodo dove vengono enumerate le muse. Ma Erato è quella speciale, tanto da essere citata anche nel ‘Fedro’ di Platone, anche se non è speciale quanto te”.
Lui continuava a fissarla e lei non sapeva che rispondere. Era sempre un po’ imbarazzata dalle stranezze del suo scrittore.  Rimaserò così per circa un minuto poi lui riprese la forchetta “E non farti tanti problemi: quando torneremo a New York verrai a stare da me. E’ l’unica cosa sensata”.
Quel discorso non ammetteva repliche e a Kate non usciva una sola parola.
 
 Ore 23:10 p.m.
Tornati in albergo Castle voleva fare due chiacchere con Alexis e riguardare alcuni appunti per il giorno successivo.
Rick era collegato via Skipe con la figlia da quasi mezz’ora nel salotto, quando Kate lo sentì:” Dai tesoro, è tardi. Va a dormire se non domani chissà cosa combini ai test”
“Non preoccuparti papà, andrà tutto bene” disse sorridente la ragazza dall’altra parte dello schermo “salutami ancora Kate e mi raccomando, state attenti”
“Non preoccuparti tesoro, con la mia detective sono in una botte di ferro!” rise lui.
“A domani papà, vi voglio bene”.
“Anche noi tesoro, a domani”
Chiuse la chiamata. Si stirò sulla sedia. Non aveva molta voglia di riguardare gli appunti e i capitoli per il giorno dopo. Si girò sentendo una musica provenire dalla stanza da letto.
Si alzò e avvicinandosi riconobbe di che si trattava.
Beckett era distesa sul letto con due cuscini dietro le spalle. Indossava semplicemente un paio di fuseaux neri e una lunga maglietta grigia. A Castle sembrava bellissima anche così.
Stava guardando la registrazione della Traviata della notte dell’omicidio. Sentendosi osservata disse: “Ti godi lo spettacolo?”
“Dipende”.
Lei sorrise “Avevate molto da raccontarvi tu e la tua bambina” più come affermazione che come domanda.
“Mi ha detto di salutarti e di dirti che ti vuole bene”
Lei lo guardò dolcemente.
“Sei fortunata, tre generazioni di Castle ti adorano” fece lui avvicinandosi e distendendosi di fianco a lei.
Lei prima alzò lo sguardo al soffitto poi si girò a guardare il suo sorriso sornione “Anche io adoro tua madre e Alexis” gli rispose.
“Solo loro?” le fece avvicinandosi per rubarle un bacio.
“Dipende” gli rispose attirandolo a sé sprofondando le mani tra i capelli morbidi. Lui le posò una mano sul fianco.
Lei si allontanò dopo poco. Rick non capiva.
“Devo finire di vedere la registrazione” e fece cenno al televisore.
“Perché?”
“Perché qualcosa di questa storia non mi convince”
Rick la guardò, aveva bisogno anche del suo aiuto. Seppur controvoglia si rigirò, posò un braccio attorno alle spalle della sua donna e cominciò a fissare il video.
Anthony Sabini appariva nel suo bell’ abito scuro del primo atto con tanto di fusciacca bianca in vita, come da cartellone. Appariva tranquillo e concentrato, un po’ troppo secondo lo scrittore. Come poteva essere così calmo con la sua vittima in platea?
Ogni tanto allungava una mano sul comodino per prendere la lattina e berne un sorso.
“Lo sai che quella roba è veleno?” gli chiese Kate.
“Ma guarda che è light”
“Appunto, hai una minima idea con cosa è fatto l’aspartame?”
“No, perché?”
“E’ meglio se non te lo dico, la prossima volta guarda su Wikipedia ma piantala. Non dovrei dirlo ma ci tengo al tuo cervello”
Riposò la lattina un po’ dispiaciuto e tornò a fissare lo schermo.
Si stava quasi appisolando lì con Kate accoccolatagli addosso, quando ad un certo punto qualcosa lo destò. “Guarda”.
La detective aguzzò lo sguardo ma non trovò nulla “Non vedo niente”
“Appunto, è quello che non c’è” prese il telecomando e stoppò l’immagine.
“Sabini non ha più la fusciacca. Nel primo tempo sì.”
“Nemmeno quando siamo andati noi l’aveva. Dove sarà finita?”
“Aspetta” Castle corse nell’altra stanza a prendere un fascicolo e risaltò sul letto a fianco a lei.
“Ecco” disse mostrandole un particolare dell’autopsia “ci sono dei lividi post mortem comparsi sui polsi di Cindy, ce lo aveva detto Van Pelt alla riunione”
“Me lo ricordo adesso” disse sedendosi a gambe incrociate di fronte a lui “forse abbiamo limitato lo spazio temporale in cui la vittima è stata colpita. Potrebbe essere stata legata proprio con la fusciacca e tenuta da qualche parte prima di essere spostata in un secondo momento dopo lo spettacolo. Sabini così si è creato un alibi perfetto, tutto il teatro lo stava guardando”.
“Bisogna trovare quella fusciacca. Potrebbe essersene liberato vicino al teatro, magari in un tombino, e bisogna scoprire dove l’ha tenuta nascosta durante lo spettacolo”
“Lo sai cosa vuol dire? Jane aveva ragione”
“Lo so” disse alzandosi “ vado a chiamare Lisbon”.
Lui deglutì “Auguri”.
“Già”.
Kate tornò nella stanza dopo circa una ventina di minuti. Castle aveva spento il dvd e la stava aspettando smanettando al telefono. Quando la vide lo rimise sul comodino.
“Come è andata?”
“Farà quello che ho chiesto” e sospirando si buttò sul letto.
“Così male?”.
La sua compagna sospirò ancora una volta.
“Wohw!” esclamò.
“Jane non si è confidato con te?”
“No. Mi ha solo detto che è un problema che deve risolvere da solo”.
“Non mi sembra gli riesca molto bene”
Castle rise e aggiunse “E’ strano, Patrick sa leggere dentro le persone meglio di chiunque altro, ma quando si tratta di Lisbon cambia completamente”
“Cosa intendi?”
“Lo hai visto quando lei non lo considerava oggi? Poi hai sentito cosa si sono detti”
“Per quello tutto il piano li ha sentiti”
“Anche noi ne abbiamo fatti molti di litigi, ma mai, nemmeno in quello più brutto tu mi hai guardato come Teresa lo ha guardato oggi”
“Capisco quello che dici.. e a cosa ti riferisci. Io ho sempre saputo che tu non avresti mai smesso di lottare per me”.
“Per sempre” le disse avvicinandosi a baciarla.
“Sempre” gli rispose lei sulle labbra.
Kate amava tutto di lui e amava baciarlo. Spesso gli uomini baciano poco, hanno altre priorità, ma non Rick.
Si ricordava la prima notte dopo la loro confessione in riva al fiume. Erano andati a casa sua ed erano stati ore sul divano. Non avevano fatto l’amore ma si erano baciati tanto, a sfinimento, e accarezzati. Ogni cosa ha il suo tempo ed entrambi lo sapevano.
Quando si erano addormentati aggrovigliati e con le labbra gonfie avevano capito che quella parola che era diventata quasi un motto e che si ripetevano, “Always” , poteva essere vera.
L’uomo la prese tra le braccia e la fece sedere a cavalcioni su di lui. Si staccarono guardandosi un attimo, poi Kate appoggiò la fronte su quella di Rick fissando quegli occhi blu come il mare.
Sapeva cosa voleva dirgli. Lo sapeva da molto tempo. Perciò allungò un braccio e spense la luce.
 
CAP. 12
Ore 11:10 a.m.
"...Finalmente anche Nikki capì che le parole che le aveva detto Rook erano le uniche sensate. Il desiderio di vendetta l'aveva accecata per troppo tempo e non era riuscita veramente a vivere. Lei doveva ricominciare a vivere, ne aveva tutto il diritto. Il calore che sentiva non era dovuto nè alla temperatura nè alla rabbia: era per quello che provava per lui."
Un applauso si accese appena Rick terminò quelle parole. La sala conferenze dell'Eden Hotel di Sacramento era gremita di gente. Normalmente le sue letture si svolgevano nelle grandi librerie, ma avevano ricevuto così tante richieste da dover affittare un posto più spazioso.
Castle venne letteralmente sommerso dalle persone che si accalcavano al lungo tavolo presso cui era seduto per farsi autografare il libro. Sulla copertina si vedeva una spiaggia in cui era conficcato un termomentro raffigurante la siluette di una donna (Nikki ovviamente), che veniva ad essere infranto da un proiettile.
Kate si era lamentata perchè anche questa volta Nikki era nuda, ma dovette ammettere che era anche una copertina molto azzeccata e di strordinario impatto.
La sua detective non era andata con lui, l'avevano chiamata dal CBI per avvertirla che avevano rintracciato Anthony Sabini e che lo stavano conducendo lì e Castle non aveva avuto cuore di trattenerla. La sua vita non era comparire alle prime, lei era prima di tutto un poliziotto.
Dopo circa mezz'ora di autografi lo scrittore si girò verso il tavolo del buffet e scorse, dietro alle altre persone, un Jane sorridente nel suo completo blu che gli alzava un calice di spumante in saluto.
Rick riuscì a divincolarsi dai fan e a raggiungerlo.
"Patrick! Che sorpresa, come hai fatto a trovarmi?"
"Non lo sai che leggo nella mente?" rispose ridendo.
Castle lo guardò male, non valeva la pena insistere tanto non glielo avrebbe detto.
"Ottimo questo vino, lo champagne dopo un po' mi stufa, troppo gasato!" e con un sorso finì il bicchiere.
"Sei di buon umore dopotutto" commentò Castle aspettando la sua reazione.
"Dov'è la nostra  Nikki Heat?"
"Kate è scappata al CBI con una scusa. Mi sa che non ce la fa più di questa vita mondana"
Jane annuì. " E se ti proponessi di fuggire di qui?"
"Direi che sei il mio salvatore!"
I due presero con calma l'uscita vicino al palco e sgattaiolarono fuori dirigendosi verso il parco.
Tool avrebbe impiegato un po' di tempo per accorgersi che l'ospite d'onore se ne era andato.
La giornata era assolata, ma non ancora troppo calda. Poco lontano nel parco Castle vide un gruppetto di bambini che giocava a pallone. Anche un cane inseguiva la sfera per prenderla creando scompiglio.
Imboccarono uno dei viali laterali passeggiando con calma e godendosi il verde.
“Ti hanno aggiornato sulle novità del caso?” chiese dopo qualche minuto a Jane.
“Sì, fortunatamente la piccola Grace non mi sa dire di no”.
Continuarono solo a camminare per qualche altro minuto.
“E’ stato brillante il modo in cui hai rivelato il trucco, ovviamente lo avrei notato, ma non ho ancora fatto in tempo a vedere il video”
Castle lo guardò con un’espressione corrucciata per la battuta.
“Lisbon se l’è presa molto?”
Nessuna risposta, lo scrittore voleva fosse lui a proseguire. Jane si fermò e gli fece cenno di sedersi con lui su una panchina proprio sotto un grande olmo.
“Non sono particolamente fiero di quello che ho fatto. L’ho ferita e adesso ne pago le conseguenze”
“Perché? Insomma non ti capisco. Tu sei un uomo acuto, forse il più geniale che io abbia conosciuto, e affabile, sei sempre gentile, quando non fai l’arrogante ovviamente, come è possibile che sei così spiazzato con lei?”
“E’ più facile quando non ci tieni alle persone” si abbassò e strappò un filo d’erba da sotto i suoi piedi. Guardò quello stelo così verde che gli ricordava gli occhi di lei. Lo lasciò cadere “Per proteggerla le ho spezzato il cuore. Non era mia intenzione farla soffrire, ma io porto ancora troppo dolore dentro. Forse è meglio così, lontana da me sarà più al sicuro”
“Cavolo, piantala! Questo è un mantra che continui a ripetere nella convinzione che si avvererà. Red John. E’ lui che ti preoccupa, non è vero?” Jane si girò a guardarlo in volto.
“Non hai mai pensato Patrick che il modo migliore di proteggerla è averla accanto?”.
L’uomo strizzò gli occhi. Rick continuò “Se Red John è in gamba come tu dici, e se non sei ancora riuscito a prenderlo è evidentemente così, guarda che ha già capito come stanno le cose tra te e Teresa, quindi l’unica maniera per proteggerla e tenertela accanto, stretta a te”.
Jane era turbato, non aveva mai preso in considerazione i fatti da quella prospettiva.
L’i-phone si mise a suonare, era Beckett. “Castle!” rispose lui.
La sua espressione da sorridente si fece sempre più seria, qualcosa non andava.
Chiuse la comunicazione e gli fece segno di seguirlo.
“Castle, che succede? Mi spieghi perché corri? Dai fermati un attimo” e lo trattenne.
“Era Kate dal CBI, Lisbon non si è presentata stamattina” gli occhi di Jane si oscurarono “Non rispondeva e così hanno mandato una pattuglia a controllare, non c’è nessuno. E’ sparita”
L’incubo di cui avevano appena parlato si era concretizzato. Non riusciva più a deglutire.
“Vieni, andiamo a vedere cosa succede”. Rick lo prese e lo condusse alla macchina.
 
Ore 1:05 p.m.
L’auto di Jane entrò al CBI a tutta velocità e quasi investì due agenti che stavano parlando e non l’avevano vista arrivare. L’uomo con una brusca frenata arrestò la macchina e senza badare a Rick che gli diceva di aspettarlo iniziò a salire i gradini dell’edificio due alla volta.
Quando Grace vide che correva verso il bullpen con quell’espressione e la fronte imperlinata di sudore si preoccupò visibilmente.
“Jane, cosa ci fai qui?”
Castle era appena arrivato e annaspava per la corsa.
“Perché non mi avete avvertito?”
“Perché Lisbon era stata molto chiara con te ieri” la voce proveniva dalle sue spalle ed era quella di JJ La Roche. Il Capo fece alcuni passi e spostò la sua pesante mole a fianco di Jane.
“E’ solo stato uno scambio di opinioni, avremmo chiarito” rispose guardandolo negli occhi.
“O forse l’agente Lisbon si era finalmente resa conto di chi tu fossi. Vi ho sentiti persino io dal mio ufficio, non mi sembrava una discussione di lavoro. Scommetto che quel tuo bel viso da cavaliere senza macchia non faceva più effetto, non è vero?”
“Tutto ciò che dobbiamo dirci io e Lisbon è un affare personale che verrà risolto quando io la troverò e la riporterò a casa”
“Sicuro?” La Roche lo guardava sogghignando “Dov’eri tra le 11 di ieri e le 8 di stamattina?”.
“Ok...”
Jane si passò una mano tra i capelli, lo guardò fisso e si avvicinò ad una decina di centimetri dal suo viso: la sua voce era bassa, scandita e tranquilla “Potrei dirti che ieri sera uscito da qui sono andato al mare, dove sono rimasto fino alle due del mattino. Potrei anche dirti che sono tornato a casa e sono rimasto sveglio fino all’alba a pensare a lei, ma questi sono affari miei. L’unica cosa che ti deve importare è che adesso io mi metterò ad aiutare i miei compagni e ritroverò Teresa e, se tu proverai a fermarmi, il tuo adorabile cagnolino non avrà nemmeno una tomba sulla quale fare la cuccia ripensando al padrone. Intesi?” e sorridendogli gli battè due volte sul braccio.
La Rocheaveva un’espressione imbambolata, stette immobile qualche secondo poi si girò e tornò nel suo ufficio.
Castle era a bocca aperta, non era sicuro di quello che aveva appena visto. Si voltò verso Beckett che era non meno sorpresa. Jane li colse e disse “Alle volte bisogna agire in maniera creativa”.
Cho, Rigsby e Van Pelt invece non avevano dubbi su quello che aveva appena fatto il loro amico: in meno di 100 parole aveva ipnotizzato La Roche. Il tocco che gli aveva dato era il segnale di risveglio. Glielo avevano visto usare altre volte.
Jane si rivolse verso di loro “Se almeno voi mi credete e non avete altro da chiedermi possiamo metterci a lavoro”
Cho rispose per gli altri “Idee?”.
 
Ore 1:45 p.m.
Van Pelt, Beckett e Castle si dirigevano alla sala interrogatori 2 dove era arrivato Anthony Sabini che li stava attendendo con il suo avvocato.
Il resto della squadra si sarebbe dedicata alla ricerca di Lisbon.
I tre entrarono assieme, Castle aveva dichiarato che non si sarebbe allontanato da Kate per nessun motivo.
Fu Beckett quella che parlò “Avvocato, è un piacere rivederla” fece sedendosi di fronte ai due “Ci dispiace aver dovuto interrompere la sua vacanza signor Sabini, spero non ce ne vorrà, ho saputo che era in compagnia, a pagamento..magari è rimborsabile”.
“Che cosa volete?” ringhiò il tenore che in quel momento aveva una vaga rassomiglianza con il personaggio di Faust, come prontamente notò Castle.
“Ha tralasciato di dirci alcune cose l’ultima volta che ci siamo visti, ad esempio che era stato avvisato dello stupro di Cindy da suo zio e che gli aveva detto di insabbiare la cosa.”
“Non rispondere” gli consigliò l’avvocato.
“Certo può fare come crede, ma noi saremo obbligati a trattenerla con l’accusa di complicità in lesioni personali gravi, stupro e omicidio”
“Cosa? Io non c’entro” gridò Sabini.
“Zitto Anthony! L’interrogatorio finisce qua” fece l’avvocato alzandosi.
Sabini invece non si mosse, lo sguardo cupo, sul tavolo.
“Forza!”
“Levati di torno” disse il cantante con un tono che non ammetteva repliche.
“Non ho alcuna intenzione di pagare per colpe di altri” disse greve. L’avvocato stizzito uscì dalla porta per non farvi più ritorno.
“Siamo qui per ascoltarla signor Sabini, come sempre” fece Kate accomodandosi sulla sedia a braccia conserte.
Castle vide l’uomo sollevare gli occhi senza muovere la testa e fissarli con un’immane ira su Beckett. Il suo istinto lo portava a predere in prestito la pistola di Van Pelt, che era al suo fianco, e puntargliela addosso per proteggere la sua musa, ma non si mosse.
“Io me ne sono andato con la puttana dalla festa esattamente all’ora che ho detto. Poi nel mezzo della notte mi chiama Albert e mi dice che una ragazza era finita nei guai, non sapeva chi era stato ma era conciata male. Gli ho detto di tenere tutto sotto controllo e di ‘fare le pulizie’ perché né io né qualcuno dei miei amici doveva essere implicato: il nostro patto, se qualcosa va storto, è di proteggerci a vicenda”.
“Chi sono i suoi amici Anthony?” chiese Kate sporgendosi verso di lui.
Scosse la testa “Tu gli piaceresti molto, saresti prelibata” rispose con un sogghigno.
“Sporco bastardo!” fece Rick pronto per colpirlo, ma per fortuna Grace lo trattenne.
Sabini gli scoppiò a ridere in faccia dondolandosi all’indietro sulla sedia “Ma guardalo come è coraggioso il tuo cagnolino da guardia!”
Kate diede un colpo secco in avanti al tavolo che colpì il tenore al torace facendogli perdere l’equilibrio e cadere all’indietro.
La detective si alzò, fece il giro del tavolo, e gli posò uno dei suoi tacchi sullo sterno “Hai 5 secondi per dirmi quel che voglio sapere o lo slego” facendo cenno alle sue spalle.
“Tesoro guarda che siamo sadici, non masochisti: sono io quello che domina”
Beckett si irrigidì.
“Vuoi dire che la tua festa era un ritrovo per pervertiti?”
“E’ solo sesso tra adulti consenzienti di cui non conosco i veri nomi” rispose sempre con aria più beffarda.
“Cindy non la pensava certo così” disse aumentando la pressione del piede. Il tacco iniziava a conficcarsi.
“Ok” disse cercando aria “Alcuni ogni tanto si lasciano prendere la mano, quindi Albert fa le pulizie, ma io non so chi è stato e non so chi l’ha uccisa, io ero sul palco quella sera, ricordate?” disse con voce rotta.
“Perché proprio Albert doveva occuparsi di queste cose? Delle pulizie” si chiese a voce alta Castle. La sua compagna si girò un attimo per poi tornare al sospettato che restava in silenzio.
“Perché anche lui c’entrava, anche lui faceva parte del gruppo” continuò lo scrittore illuminandosi.
“Aveva più esperienza degli altri, anzi, era stato lui a farla entrare, ad iniziarla, non è vero?” finì Beckett.
Sabini sorrise.                                                                          
Kate tornò a sedersi ed il cantante si sollevò ritrovando posto di fronte a lei.
“Mi dica cosa sa della sera in cui Cindy è morta, e voglio la verità” disse seria la detective.
“Non so veramente cosa sia successo. Ho solo visto Cindy parlare con Albert mentre andavo in camerino tra il primo ed il secondo tempo. Dopo gli ho chiesto cosa volesse e perché si fosse presentata e lui mi ha risposto di non preoccuparmi e che se ne era già occupato. Ho pensato fosse meglio non chiedere”.
“Sempre un vero eroe” commentò Castle.
“Dov’è la sua fusciacca?” chiese Grace che fino ad allora era stata in silenzio.
“Cosa?” fece Sabini non capendo.
“La fusciacca bianca del suo abito nero nello spettacolo. Dov’è?” ripetè la rossa.
“Non lo so. Strano. Adesso che ci penso non l’ho più vista proprio da quella sera. Me la sono tolta alla fine del primo tempo e quando dovevo rimetterla non l’ho più trovata, così da quella sera faccio senza”
Kate si girò verso i suoi compagni cercando intesa: purtroppo tutti pensarono che stesse dicendo la verità. Stavano per fare cenno alla guardia per farlo portare via quando Castle fece un’ultima domanda.
“Quando ha visto per l’ultima volta l’agente Lisbon?”
Lui li guardò stupito “Due giorni fa, perché?”
Castle scosse la testa.
Grace chiamò l’agente che fece alzare Sabini che parve voler protestare “Lei può non aver ucciso Cindy ma è complice di chi l’ha aggredita a New York. Sarà trasferito lì, rischia vent’ anni, ci pensi, e se si ricorda qualche nome di un suo amico mi chiami.”
Anthony Sabini venne trascinato fuori dalla stanza.
 
Ore 3:00 p.m.
Jane si fece raccontare l’esito dell’interrogatorio e li aggiornò a sua volta su quanto emerso.
A quanto avevano scoperto Lisbon aveva lasciato il CBI verso le 11 la sera precedente, ed era tornata a casa. Dopo la telefonata ricevuta da Beckett aveva chiamato i membri della squadra e poi una vicina l’aveva vista uscire poco dopo mezzanotte. Da quel momento se ne erano perse le tracce. Si stava cercando di rintracciare la macchina a mezzo del segnale GPS di Lisbon, ma ultimamente le aveva dato dei problemi quindi il risultato non sarebbe stato immediato.
“Pensate che il caso di Cindy Cape sia collegato con il rapimento di Lisbon? Lei aveva molti altri nemici” chiese Jane a Castle e Beckett.
Rispose lui “Secondo me è stato Magnus a rapirla. Lei deve avere trovato prima di noi il collegamento con lo stupro e l’omicidio di Cindy, lui l’ha scoperta e l’ha presa. Dobbiamo trovarla, e alla svelta!”
Jane non riusciva a pensare lucidamente, non si immaginava altro che Teresa nelle mani di quel sadico.
Cho arrivò tutto trafelato.
“Abbiamo rintracciato l’auto di Lisbon finalmente. E’ davanti al teatro Major. Una pattuglia è sul posto e ha bloccato le uscite. Beckett, ci vuoi dare una mano?”
La donna annuì.
“Allora comanderai una delle due squadre durante l’irruzione, io sarò a capo dell’altra ok?”
Beckett annuì e Rick fece per seguirla ma fu fermato da Cho “Mi dispiace Castle ma tu e Jane dovete restare qui, non posso rispondere di voi. Tu sei un civile e lui è in pratica sospeso. Mi spiace”
Castle voleva protestare.
“Non preoccuparti, starò attenta” gli disse  Kate a voce bassa accarezzandogli la mano.
“Torna presto” le rispose lui.
Lei lo fissò ancora un attimo negli occhi, gli sorrise, si voltò e seguì Cho lungo il corridoio.
“Non preoccuparti” disse Jane “Non corre alcun pericolo, non troveranno nessuno”
“Cosa?” Rick non capiva.
“A quest’ora chissa dov’è finita”.
“Ma allora perché..” non finì la frase.
Jane si risedette e schiacciò il triangolo sul video di fronte a lui. Nell’aria cominciarono a vibrare i suoni dello spettacolo della sera dell’omicidio.
Castle non capiva perché si ostinasse a guardare quella registrazione.
 Ogni tanto fermava, tornava indietro, e poi ricominciava da capo ad ascoltare.
Dopo una quantità di tempo che sembrò infinito a Castle erano solo al secondo atto, circa alla metà.
Jane riusciva a distinguere i sedici violini, le otto viole, l’arpa, i due flauti ed il distinto singolo suono dell’oboe.
Jane riavvolse e chiuse gli occhi poi li riaprì.
Mandò avanti, al terzo atto e si sentì il suono dell’orchestra al completo.
Castle lo stava chiamando ma lui non fece cenno di essersi distratto. “Jane!”
Questi alzò la mano chiedendogli ancora quanche momento.
Castle era impaziente.
Jane riavvolse ancora una volta e fece ripartire. Dopo un minuto si voltò verso lo scrittore e gli chiese: “Sei disposto ad aiutarmi?”
“Certo, cosa dobbiamo fare?” finalmente pronto all’azione.
“Andiamo a prendere l’assassino di Cindy e a liberare Teresa. Penso di sapere dove si trovi.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAP.13
Ore 5:20 p.m.
Cho e Van Pelt avevano  avanzato con la loro squadra dall’ingresso principale mentre Beckett con Rigsby  si erano occupavati dell’ingresso secondario. Sincronizzarono l’irruzione ed entrarono distendosi mentre avanzavano. Il piano era di perlustrare l’intero edificio, dal basso verso l’alto, per non lasciarsi sfuggire nulla. L’intera operazione era durata parecchio e non aveva portato a nulla. Il teatro era deserto.
Cho aveva ordinato ai suoi uomini di ricominciare da capo la perlustrazione, dovevano sapere se effettivamente Lisbon era entrata nell’edificio o se era sparita prima di poterlo fare.
Beckett era perplessa. Le sembrava troppo strano che lì non ci fosse nessuno, nemmeno una guardia od un custode. Si girava su sé stessa guardandosi attorno. Il teatro vuoto dava una strana sensazione di oppressione. Si trovava vicino alla fossa dell’orchestra. Decise di scendere. Camminava percorrendo lo spazio libero tra le file di sedie dei musicisti, cercando di non far cadere i leggii passando sinuosa tra gli spazi. I suoi tacchi risuonavano sul legno mentre lei si guardava intorno in cerca di qualcosa. Anche la parete della fossa era dello stesso legno lucido e profumava di cedro. Beckett vi passò sopra la mano, sempre avanzando, fino a quando sui polpastrelli sentì un’interruzione nel legno. Ci tornò di nuovo ed iniziò ad ispezionarlo battendoci sopra con le nocche.  Rigsby la vide e scese al suo fianco. “Che succede?”
“Qui dietro è vuoto” gli rispose. Fu allora che iniziarono a controllare. Era logico che fosse vuoto, sopra c’era il palco, ma bisognava sapere  se quello spazio fosse accessibile.
Percorrendo la parete fin verso il fondo dove trovarono un pannello più leggero degli altri, ma non vi erano maniglie. Provarono a spingere, quella era sicuramente l’apertura che cercavano,  ma era sicuramente bloccata dall’altra parte.
“Dobbiamo trovare l’altro ingresso, deve essercene sicuramente uno” disse la detective.
“Potrebbero volerci ore e Lisbon è in pericolo.” Commentò lui “ Spostati” disse Rigsby facendo un passo indietro.
Beckett fece quanto richiesto e lo vide estrarre la pistola prima di lanciarsi con un calcio sul pannello che, sotto la spinta decisa, cedette subito.
Prese la sua torcia e fece cenno alla detective di seguirlo. Rigsby voleva cercare se vi fosse una luce e per questo guardò per primo il perimetro del vano che si rivelò, come aveva ipotizzato Kate, grande come il palco.
Vedeva anche delle strutture mobili per le scene. Evidentemente serviva per il ricovero delle scenografie che dovevano salire dal basso sul palco.
 Avanzavano con cautela, puntando le torce per farsi luce,  fin quando, dietro alcune casse,  videro un piede. Un’apprensione si fece strada nel cuore dell’agente che avanzò ancora finchè non scorse la sagoma della guardia notturna. Era morta. Due colpi di arma da fuooco al torace segnavano la sua inequivocabile fine. Sembravano sparati da una Glock.
Tornarono sui loro passi e trovarono Cho ed altri cinque uomini ad aspettarli. Decisero di rientrare e, al successivo esame, in attesa che giungesse il medico legale,  percorsero tutto il tratto che conduceva fin dietro al palco. Si sbucava il un corridoio pieno di attrezzi e di casse, usato quasi come un ripostiglio, e, da qui, alle quinte vere e proprie.
Trovate le luci si rivelarono anche indizi molto importanti.
Un agente notò che una delle casse del corridoio era sporca di sangue, non molto a dire il vero, poche gocce,  ma  non era fresco, anzi era rappreso da alcuni giorni. La cassa era grande, abbastanza da contenere una persona, ed il sangue era anche al suo interno .
Poco lontano dal corpo della guardia notturna invece vi erano tracce di sangue fresco, ma che non potevano appartenere al morto. Le gocce erano cadute da circa un metro e mezzo sul terreno, perpendicolarmente, e si allontanavano dal punto verso le quinte con gocce sempre più rade.
Beckett aveva un’idea di come potevano essere andate le cose, e pensò che se ci fosse stato lì con lei Rick sarebbe stato tutto più semplice. Prese il cellulare per chiamarlo e dirgli le novità ma vide che non c’era campo. Forse lì sotto era troppo chiuso e le mura facevano schermo.
“Beckett!” la stava chiamando Cho. Lei mise via il telefono e andò verso il collega per sentire gli aggiornamenti. Avrebbe chiamato il suo scrittore in un secondo tempo.
 
Ore 5:30 p.m.
Castle stava provando a chiamare Beckett da mezz’ora ma rispondeva sempre la segreteria telefonica. Non era proprio preoccupato ma avrebbe preferito parlarle.
Jane si stava agitando tra i fascicoli alla ricerca di non so cosa. Finalmente sorrise, scrisse qualcosa su un pezzo di carta e corse verso di lui.
“Kate non mi risponde. Dobbiamo aspettare il loro ritorno”
“Non abbiamo tempo e qui non è rimasto nessuno di cui mi possa fidare: dobbiamo pensarci noi due”
“Jane non mi sembra una grande idea e poi non mi hai ancora detto cosa hai scoperto” commentò poco convinto Castle.
“Sbaglio o mi hai detto tu che l’unica maniera per essere certo che a Lisbon non accada nulla è tenerla sempre vicina a me? Allora mi vuoi aiutare si o no?”
Lo scrittore si accorse che aveva perso un’altra buona occasione per tacere.
“Cosa hai in mente?”
“Immagino sia carica la pistola che porti dietro la schiena, la sai usare bene?”
Castle rimase un’altra volta bocca aperta, come faceva a sapere della sua Glock 17 P?
“Dai era ovvio che la notassi” gli rispose Jane leggendogli nel cervello.
Era irritante questo suo modo di fare. “Da quando Kate ha rischiato di morire ho deciso di girare sempre con la pistola. E per la cronaca sì, la so usare quanto basta”.
“Bene allora vieni con me” gli disse Jane andando verso le scale. Entrarono in soffitta e si raccomandò di avvisarlo se qualcuno fosse arrivato a curiosare. Castle era in mezzo alla porta e vide Jane accucciarsi sotto il letto ed estrarre una scatola molto elegante in legno marrone rettangolare. Si alzò a sedere e e la posò con grande accuratezza sul letto.
Jane fissò il cofanetto. Non aveva mai pensato di doverla usare, e comunque non per quel motivo.
Quando Sean Meyers gliela aveva regalata lui in un primo momento aveva avuto il rifiuto anche solo di toccarla. Poi però, tenendola in mano, avava ripensato alle parole che si era detto con l’uomo “Ne è valsa la pena?” E lui “Si”.
Lui non era andato come Meyers ad allenarsi al poligono, sapeva che, a momento opportuno, sarebbe stato abbastanza vicino per fare ciò che doveva.
Adesso però doveva scegliere. Inspirò e fece saltare le due chiusure aprendo il cofanetto.
Castle lo vide mentre estraeva una colt 45, splendida e lucente, Jane la guardò stretta nella sua destra, prese il caricatore con l’altra mano e l’infilò con un gesto secco. Poi la armò. Rimase ancora un attimo a guardarla tra le sue mani, si alzò e se la mise dietro la schiena. Recuperò la giacca e, mentre se la infilava si diresse verso Castle per uscire.
Lui lo fermò. “Cosa significa?”
“Che farò qualunque cosa per salvarla”
Si guardarono un attimo. Jane voleva sapere se il suo amico era solo preoccupato o lo stava disapprovando.
Castle  si spostò dalla porta “Ok, andiamo, ma vedi di puntarla lontano da me”
“Ci proverò” gli rispose incamminandosi giù dalle scale per uscire dal CBI.
 
Ore 5:45 p.m.
Lisbon sentiva la testa scoppiare. Non sapeva quante ore avesse dormito, o meglio fosse stata svenuta, ma le sembravano un’eternità. Aveva la bocca impastata ed era intontita. Doveva essere stata sedata. Probabilmente  aveva un bel bernoccolo dietro la nuca perché lo sentiva pulsare, ma anche il naso le faceva un male cane.
Doveva aver perso del sangue perché lo sentiva rappreso nei canali.
 Si guardò attorno: quello era una scantinato o qualcosa del genere. Aveva le mani legate dietro la schiena, con una corda abbastanza solida; provò a sciogliere i nodi ma nulla.
Doveva essere pomeriggio inoltrato dalla luce che proveniva dalle finestrelle. Non era imbavagliata quindi era improbabile che qualcuno potesse sentirla urlare, ma di certo avrebbe attirato l’attenzione di chi l’aveva rapita.
Pian piano quel che era accaduto la notte precedente le tornò alla mente.
Beckett l’aveva chiamata tardi mettendola al corrente su quanto avevano scoperto lei e Castle.
Aveva chiamato Cho e Van Pelt per aggiornarli e poi si era quasi decisa ad andare a letto quando come un lampo la investì un’idea: se Cindy  era stata trattenuta contro la sua volontà in teatro, dov’era stata nascosta? Perché la scientifica non aveva rilevato nulla? Doveva andare a controllare di persona.
Prese la macchina e guidò fino al Major, parcheggiando nella via laterale. Trovò la guardia notturna e la convinse a farla entrare anche a quell’ora tarda.
Aveva iniziato ad aggirarsi per le quinte fino a quando aveva scorto un deposito, anzi no era un corridoio. Lo aveva percorso fino ad arrivare ad un ampio locale quando qualcuno l’aveva colpita in  pieno volto. Era caduta in avanti, aveva cercato di rialzarsi e poi…un nuovo colpo alla nuca.. ed il buio.
Era stata una stupida ad andare lì da sola ma era troppo tardi. Rigsby aveva il turno di notte, gli altri li aveva già svegliati una volta.
Normalmente si sarebbe fatta accompagnare da Jane che avrebbe sicuramente notato quello che lei non aveva visto.
Jane.. Chissà se lo avevano avvertito della sua scomparsa.
In quel momento non provava più rabbia nei suoi confronti, avrebbe tanto voluto vederlo.
“Chissà perché hai così tanta voglia di vedere quello stronzo” pensò tra sé, negando la risposta più ovvia.
Sentì la serratura aprirsi e vide entrare un uomo che si fermò a pochi passi da lei, immerso nella penombra.
In una mano aveva una bottiglietta e nell’altra una frusta, ma non come quelle dei cavalli, era una di quelle usate per le belve nei circo.
“Ben ritrovata agente Lisbon. Pronta per me?”
 
CAP. 14
Ore 6:05 p.m.
Beckett era sulle scale del teatro Major, era uscita per cercare campo per il suo telefono. 
Lo stava alzando leggermente verso l’alto nella speranza di veder comparire al più presto l’indicazione del segnale.
Voleva chiamare Rick ed avvisarlo degli sviluppi del caso.
Percorse solo qualche passo e sentì cinque bip sul cellulare, uno dietro l'altro, segno di cinque diversi messaggi in arrivo. Kate vide che erano del suo scrittore e non potè non sorridere mentalmente: “Non ce la fai proprio..”.
Quattro erano di chiamate che le aveva fatto, senza risposta, il quinto indicava un messaggio in segreteria. Compose il numero e rimase in ascolto, dopo pochi secondi sentì la sua voce calda che diceva preoccupata:"Sono Rick, ho provato a chiamarti ma non sei raggiungibile. Esco con Jane. Dice di aver capito chi ha ucciso Cindy e che sa dove si trovi Lisbon. Ti dico qualcosa quando ne saprò di più.".
Kate chiuse la telefonata ed inviò la chiamata al numero rapido 2 del suo cellulare, tre squilli e poi "Sono Rick Castle, se volete lasciate un messaggio. Bip!"
Beckett chiuse anche questa chiamata e corse a chiamare Cho. Lo vide di fianco a Rigsby e Van Pelt vicino alla macchina, mentre stava terminando una chiamata.
"Ehi, abbiamo un problema" disse per richiamare la loro attenzione, raccontando velocemente quanto le aveva detto Castle in segreteria.
 "Cosa si è messo in testa Jane?" Grace lo disse scuotendo il capo "è pericoloso e sconsiderato".
"E' Jane" le rispose Waine sarcastico.
"Non ti ha detto nient'altro? Qualcosa per rintracciarli?"
"No, ma forse posso trovarlo lo stesso".
Beckett si mise ad aprire le icone del suo i-phone e lanciò un programma.
"Qualche tempo fa Castle aveva scaricato questo programma per controllare dove la figlia andasse, dopo varie discussioni sono riuscita a fargli disattivare il controllo sul telefono di Alexis, ma Rick non sa che l'ho attivato sul suo".
Grace sorrise e lei le rispose di rimando.
Il programma era in ricerca e, alzando lo sguardo Beckett continuò "Se tu lo conoscessi vorresti sapere dov'è per tenerlo d'occhio, fidati" .
Dopo qualche secondo il segnale si attivò.
"Eccolo! Guardate" fece la detective "si stanno allontanando da Sacramento, stanno andando..”
“Verso la statale 46!" fece Rigsby.
"Non è dove hanno visto Magnus la notte dell'omicidio?" fece la rossa.
"Andiamo" disse Cho invitandoli a salire tutti sulla sua auto prima di partire a razzo per uscire dalla città.
Kate era visibilmente preoccupata, aveva paura per Castle e Jane, che potesse succedere loro qualcosa e che si cacciassero in guai che non avrebbero saputo gestire.
Cho la guardò dallo specchietto retrovisore intuendo i suoi pensieri.
"Ho avuto anche un'altra novità; ero al telefono con la scientifica che ha finito la comparazione del dna con i campioni che gli abbiamo fornito: il padre del bambino di Cindy è Michael Sabini”.
 
Jane e Castle stavano percorrendo ad alta velocità la statale che univa Sacramento con valle. Patrick era concentrato e non aveva detto una parola da quando erano saliti sulla sua auto, si vedeva che stava riflettendo mentre guidava, ma aveva uno sguardo così intenso che Rick ne fu quasi preoccupato. Ciònonostante gli chiese spiegazioni.
"Allora mi vuoi dire che succede? Hai detto di sapere chi ha ucciso Cindy".
“E’ così, e secondo me è la stessa persona che ha preso Lisbon”.
Castle restò in attesa, poi allargò le braccia per incitarlo a parlare.
“Sei stato tu a farmi venire l’idea, mi hai fatto pensare che per trovarlo dovevo cercare quello che non c’era, un negativo al posto di un positivo.”
Jane fece una pausa, svoltò per una deviazione a destra, e proseguì accelerando.
“Vedi di solito non mi concentro mai sulle prove negative ma solo sulle positive. Cercare conferma di un alibi ad esempio per me è una perdita di tempo perché sono ricerche lunghe che non portano quasi mai a qualcosa. Se invece ho in mano una prova positiva forte, contraddetta da un alibi, allora smonto l’alibi”.
“Rex Stout. Nero Wolfe. E’ su di lui che si basano i tuoi studi di criminologia?”
“Nero Wolfe è sensato e logico, quindi, perché no?”.
“E’ anche un fobico” rispose Castle.
Jane scalò una marcia affrontando una curva della strada.
“Comunque c’era qualcosa nel video che non mi convinceva, così come non mi convincevano gli alibi dei due fratelli, e avevo ragione: è stato Michael ad uccidere Cindy, per coprire la violenza che le aveva inferto a New York, ed è sempre stato lui a rapire Lisbon, ne sono convinto."
"Non è possibile, lui era davanti a tutti gli spettatori quando è successo!"
"No, non c'era te lo assicuro, le prove sono nel video. Si sente chiaramente ad un punto del secondo atto che solo uno dei due oboi dell’orchesta stava suonando, l’altro ha ripreso solo in un secondo momento. Sono convinto che Michael è riuscito ad allontanarsi dalla fossa senza essere notato da qualche passaggio di servizio, ha colpito la ragazza, l'ha nascosta, ha finito il concerto e poi, quando è tornato per divertirsi, l’ha trovata morta, e si è fatto aiutare da suo zio per il corpo".
“Secondo te l’ha colpita perché voleva rivelare quanto era successo?”.
“Probabilmente anche per quello, ma non solo: secondo me lui voleva approfittarsi ancora di lei. Lo hai visto, quell’uomo è un sadico represso, sono sicuro che anche lui sia stato iniziato dallo zio al passatempo di famiglia, ma, essendo da sempre succube del fratello, nella vita comune ha sviluppato una forma molto più violenta di sadismo. E’ anche un autolesionista, lo avevi notato?”
“Sì. Ma come fai a dire che ha preso lui Lisbon?”
“Perché la voleva, glielo si leggeva negli occhi. La guardava come se fosse una preda. Quando mi hai detto che non si avevano notizie di lei ho subito pensato che ci fosse lui dietro”.
Jane sfrecciava a tutta velocità e Rick dovette reggersi alla maniglia.
“Dove stiamo andando?”
“Alla casa che Sabini ha fuori Sacramento, ricordi? E’ il posto ideale per tenere un prigioniero. Secondo me avrebbe voluto portare qui anche Cindy, e probabilmente lo ha fatto, ma si è accorto dopo che la ragazza era morta e quindi doveva disfarsi del corpo. Tornare in città era troppo pericoloso, quindi ha preferito inscenare la storia dell’incidente all’albergo. Probabilmente aveva visto i lavori in corso quando Cindy ha ricevuto i biglietti”.
“Ma non li aveva mandati la segretaria?”
“Dietro richiesta di Michael ovviamente. Ma sono sicuro che lui non si sarebbe perso la scena di vederla impallidere aprendo la busta. Voleva che lei sapesse che lui l’aveva vista”.
“Quindi era lui il fantasma che Cindy ha visto fuori dal teatro mentre era con Tool?”.
“Già, ma questa volta si era ripromessa di affrontarlo, doveva difendere il suo bambino”.
“Non capisco, poteva chiamare la polizia, o almeno dirlo a me e Beckett”
“Rick, i fantasmi si combattono in un solo modo: affrontandoli. E nello specifico lei voleva stenderlo con la sua mazza!”
“Almeno gli avrebbe restituito il favore!”
“Già”.
Gli uomini rimasero un paio di minuti in silenzio e si fermarono quando videro ad una cinquantina di metri da loro una casa, abbastanza anonima, ad un piano fuori terra. Le pareti bianche erano state ridipinte da poco. Si vedevano delle finestrelle nella parte bassa del muro, a bocca di lupo, protette da delle sbarre.
“Lisbon potrebbe essere tenuta là sotto” fece Jane.
“Dobbiamo chiamare Kate e chiedere rinforzi”
“Non possiamo aspettare. Potrebbe essere tardi” ed uscì dall’auto.
Castle sospirò; sapeva che stava facendo una cosa veramente stupida ma non poteva lasciarlo solo nei guai.
Prese il telefono ed inviò un messaggio a Kate per indicarle la loro posizione e chiedendole di correre da loro, si rimise il telefono in tasca e seguì Jane verso la casa.
 
Lisbon aveva riconosciuto l’uomo che aveva di fronte non appena era uscito dalla penombra: Michael Sabini.
Le si era avvicinato con circospezione e le si era messo accucciato di fianco.
Il cuore le batteva così forte che poteva sentirlo in gola. L’uomo la guardò un attimo, poi la prese per i capelli e la alzò di peso verso di sé. Aprì la bottiglietta che aveva in mano e l’avvicinò a Lisbon per farle bere il suo contenuto. Lei si rifiutò cercando di divincolarsi ma era bloccata dalle corde. Con uno strattone Sabini l’avvicinò di più e le fece aprire la bocca, quindi le cacciò in gola la bottiglietta e le tappò il naso. Teresa non potè che ingollare l’intruglio sentendo le sue parole “Ogni resistenza è inutile. Vedrai che poi mi ringrazierai”.
Impossibile, pensava Lisbon, che non riusciva a sputare il liquido, o almeno non quanto volesse.
Quando il contenuto della bottiglietta fu esaurito Sabini la fece ricadere a terra in malo modo, si scostò di alcuni passi e si mise a sedere su una sedia pieghevole che era appoggiata alla parete.
“Ora dobbiamo solo aspettare” disse calmo incrociado le braccia sul petto.
“Cosa?” gli chiese lei.
Lui rise “Ovvio, che la droga faccia effetto”.
“Perché?”
“Perché voglio che tu stia sveglia, non voglio continuare a vederti svenire”.
“E’ quello che hai fatto anche con Cindy, non è vero?”.
“Già. Il problema è che quel vecchio imbranato di Albert pensava solo a farsela e contando che è un povero impotente mi ha fatto perdere tempo. Quando è toccato a me era completamente andata. Per farla svegliare ho dovuto usare tutta la mia forza. Quasi non urlava”.
Lisbon iniziava a vedere delle strane luci e le immagini si facevano offuscate. La voce dell’uomo era ovattata, ma lei non voleva cedere. Battè più volte le palpebre, movimento che l’uomo notò.
“Quindi suo zio l’ha aiutata a stuprare Cindy”.
“Ma guarda come è curiosa la nostra bella agente. Facciamo un gioco. Ogni volta che non gridi, io rispondo ad una tua domanda. Ci stai? Ma quando gridi vuol dire che sei pronta per me. Ok?”
Lisbon non capiva ciò che voleva dire con quella frase, la mente si stava facendo lenta, ma ancora colse che, qualsiasi cosa lui facesse, doveva mantenere il silenzio se voleva vivere.
Sabini si era alzato e portato a tre passi da lei. Aveva in mano qualcosa, ma cosa? Lei non riusciva a focalizzare.
Alzò il braccio e Teresa capì con cosa la stava colpendo solo quando sentì dolore al braccio dopo che la tela della camicia si era aperta: era la frusta.
Una lacrima le scese sulla guancia, ma non un solo gemito le uscì dalla bocca.
“Sei una dura. L’avevo capito, sai? Sarà divertente. Ho visto che mi guardavi con quegli occhi: riuscirò a domarti, non ti preoccupare”.
“La risposta” riuscì a sibilare la donna.
“Vuoi stare al gioco? Per me va bene. Albert era con me. L’ho mandato avanti per attirare Cindy e lei c’è cascata. Le avevo dato una tonica con dentro un po’ di ketamina. Quando ha iniziato a fare effetto Albert me l’ha portata. E’ stato fin troppo facile”.
“Tuo fratello sapeva quello che avevi fatto?”
Un altro colpo si vibrò nell’aria e colpì Teresa alle gambe ed ancora una volta nulla uscì dalla sua bocca. Si morse le labbra fino a farle sanguinare ma resistette.
“Ma brava!” camminava per la lunghezza della stanza osservandola “No, o almeno non esattamente. Per lui queste sono solo seccature che deve mettere a posto a suon di quattrini, ma non gli interessa molto il come. Lui pensa solo al quanto.”
“Quindi non era la prima volta..”
Altra frustata, voleva prenderla di sorpresa, ma lei non cedette, anche se per un soffio, per fortuna l’aveva presa di striscio al fianco.
Sorrideva quel bastardo. Si mise a ridere “La mia educazione ha richiesto anni ovviamente, e ogni tanto qualche errore capita”.
Ma quale educazione, pensò Lisbon tenendo la bocca cucita. Doveva riflettere bene e non era semplice con quella droga in corpo.
“Come hai ucciso Cindy?”
“Ma guarda come vuole fare la furba questa gattina! Fai una domanda che ne nasconde due? Bel tentativo, ma per questo ti risponderò solo se resisterai a tre frustate, due per le domande e una per punizione, ma questa volta farà più male”.
Lisbon si sentì percorrere da un brivido di paura alla schiena, lui la voltò faccia a terra e le strappò la camicia sul dorso.
Teresa cercava di non pensare, di estraniarsi e vedeva davanti a sé solo gli occhi di Patrick, il suo sorriso, il modo dolce con cui la guardava, ripensava a come l’aveva guardata la sera in cui erano andati dell’opera, alla sua mano che l’accarezzava mentre erano sulla sua macchina.
Poi niente. Solo il buio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAP.15
Ore 6:35 p.m.
*Teresa era seduta sulla spiaggia su una coperta bianca. La giornata era tersa, non faceva ancora troppo caldo ed il sole le accarezzava il viso. Lo alzò verso il cielo, per respirare l’aria pulita piena di salsedine. La rilassava sempre stare così, senza fare nulla di speciale, solo ad osservare le onde del mare che si infrangevano pigre sulla battigia. La sua attenzione venne destata dalla persona stesa accanto a lei, le aveva preso la mano delicatamente e le passava il pollice sul dorso. Lei si girò e vide il suo sorriso rilassato sul volto, per una volta sereno. Era veramente un bellissimo uomo, osservò, la luce del sole lo faceva assomigliare a uno di quei personaggi della mitologia greca, e lei lo amava infinitamente. Era ad occhi chiusi ad ascoltare il mare con lei. Aprì le palpebre e Teresa vide i suoi occhi limpidi, l’acqua ne aveva rubato il colore e lei si sentiva cullare da quello sguardo come quando si lasciava trasportare dal suono della risacca. Lo vide che schiudeva le labbra per parlare “Teresa..”. Lei gli sorrise, poi sentì come se dal mare fosse arrivata un’onda che le avesse bagnato i piedi, le gambe, i capelli. Abbassò lo sguardo ma vide che la coperta sotto di sè era asciutta...*
“Teresa svegliati! Abbiamo un accordo e tu devi stare sveglia!”
Quella voce non era di Patrick. Teresa aprì gli occhi a fatica, la schiena le faceva male, a dire il vero le faceva il male tutto il corpo. Aveva i vestiti bagnati e la mente offuscata.
“Vediamo se con il secondo funziona”.
Una secchiata d’acqua gelida la investì facendola sobbalzare e, inarcando la schiena, subito una fitta la travolse. Era stato solo un sogno e, suo malgrado, si ricordò dove si trovava e di chi aveva la compagnia.
“Vedi di non farmi arrabbiare e smettila di svenire, ti conviene!”
Fosse stato per lei non sarebbe stata di certo lì, avrebbe di gran lunga preferito star seduta a farsi una bella collana con i suoi denti e si ripromise che, se ne avesse avuto l’occasione, lo avrebbe di certo fatto. Si morsicò la lingua e cercò di dosare le parole in una maniera più saggia e profiqua.
“Allora mantieni la tua parte del patto e rispondimi Sabini” gli disse alzando la testa e cercando di voltarsi per guardarlo. Non fu facile come prevedeva, ma la cosa peggiore fu ciò che vide quando vi riuscì, che non le piacque affatto: Magnus era al fianco di Sabini con un secchio vuoto in mano. Non riuscì a non deglutire. Le cose si stavano complicando e Teresa iniziò a pensare che non se la sarebbe cavata questa volta.
“Certo hai un gran coraggio a voler ancora alzare la testa” le rispose sogghignando l’impresario.
“Ma sì, perché no”.
“Ma sei matto Michael?”
“Zitto Albert, hai fatto fin troppi guai. Aspetta il tuo turno e non fiatare, anzi, fai il favore, sparisci! Ti chiamo io.”
Lisbon pensò che quell’uomo era veramente pazzo. Ciò che mostrava di sè nella vita di tutti i giorni era l’immagine sbiadita di ciò che un tempo era stato, ma quello che aveva di fronte era un sadico, criminale e pericoloso, forse soprusi passati avevano fatto di lui un dominatore, e forte considerando che Magnus obbedì gli e sparì dietro la porta che portava al piano superiore.
“Ok, intanto che mi preparo ti racconto la storia. “ rise pensando fosse divertente paragonare un omicidio ad una favola per bambini. A Lisbon veniva il voltastomaco a guardarlo.
“Di come ci siamo divertiti io e Albert con Cindy a New York ti ho già detto, non credo tu sia il tipo che desidera sapere i particolari più piccanti. Posso solo aggiugere che la parte più divertente è stata quando ci siamo accorti che Cindy non si ricordava davvero nulla di quello che era successo, ma proprio niente di niente. Era vera la storia che Albert ed io siamo andati a tirarla fuori da quella stanza e l’abbiamo messa sul taxi per portarla all’ospedale. Lei aveva chiamato l’editrice e questa aveva rintracciato mio zio, che era con me a farsi un bicchierino. Abbiamo pensato che fosse meglio controllare la situazione di persona e pensa che quella  quasi ci ringraziava per l’aiuto! E’ stato uno spasso. Per questo quando l’ho rivista qui in città quasi non credevo ai miei occhi. Era dall’altra parte della strada davanti al teatro con una racchia al suo fianco, e mi ha fissato. E’ stata una gioia perché  aveva paura. Non potevo certo perdere questa occasione. Ho scritto un biglietto alla segretaria di mio fratello dicendole di preparare i biglietti per lo spettacolo, Albert ha scoperto dove stava e siamo andati personalmente a portarglieli. Ho dato cinquanta dollari ad uno dei fattorini per consegnarglieli facendomi spiare da una finestra. Dovevi vedere la sua faccia quando ha aperto la busta, era di puro terrore.”
Lisbon si immaginò quella povera ragazza, ne aveva pena. La cosa peggiore era che l’uomo di fronte a lei valutava come normale e divertente ogni parola che pronunciava. Dopo tutti gli anni passati alla caccia dei criminali non si era ancora abituata alla logica con cui giustificano i loro crimini, e raramente provava compassione nei loro confronti, la pietà era un privilegio riservato solo alle loro vittime.
Mentre l’uomo stava parlando Lisbon vide che metteva in fila su un tavolinetto diversi attrezzi: la frusta, un tirapugni, delle manette, un bisturi. Poi vide che si stava fasciando le mani con dei teli, un po’ come fanno i pugili prima di mettersi i guantoni.
“Sapevo che sarebbe venuta da me, non poteva farne a meno. Infatti alla sera me la sono ritrovata davanti, la osservavo dalla fossa, stranamente mi fissava e questo mi galvanizzava. Durante l’intervallo Albert l’ha tenuta d’occhio, si stava aggirando vicino alle uscite di sicurezza, ma per fortuna l’ha bloccata e l’ha convinta a seguirlo in un corridoio laterale dietro le quinte, proprio vicino alle scenografie mobili. C’era molto trambusto per questo nessuno badava veramente a cosa accadeva lì dietro. Cindy diceva che voleva parlare con Anthony, che c’era una cosa che lui doveva sapere e che avrebbe cambiato tutto, che i loro accordi saltavano perché non poteva più mantenere il segreto di quello che era successo. Sai cosa si era messa in testa? Era convinta fosse stato mio fratello. Sapeva delle sue preferenze e quindi ha dato per scontato che fosse stato lui. La droga era così forte quella sera che ancora dopo tutto questo tempo non si ricordava cosa era accaduto! Albert mi avvertì di dove erano ed io riuscii a scappare dalla fossa dall’uscita fantasma che porta al sottopalco. Al buio nessuno mi ha notato, tranne gli altri dell’orchestra. Però loro ci sono abituati, ogni tanto me ne vado quando ho di meglio da fare e torno solo nei momenti in cui la mia assenza sarebbe troppo evidente. Daltronte io sono io, sono il fratello del grande tenore a cui tutto è concesso. Comunque Cindy era lì che mi aspettava e mi ha chiesto aiuto con Anthony. Voleva dirgli che era incinta e che il loro accordo doveva essere integrato, altrimenti avrebbe reso pubblica la faccenda. Quando mi aveva visto quel pomeriggio aveva avuto la consapevolezza che anche mio fratello doveva essere nei paraggi e ne era rimasta terrorizzata. Ma dopo aver ricevuto i biglietti mi disse che - si era fatta il coraggio e si era decisa ad affrontare il suo aggressore-. Non sai quanto mi divertiva questa cosa. Ovviamente dovevo farla star zitta, per questo volevo portarla qui dopo lo spettacolo e godermela a lungo prima di sistemarla, ma dovevo catturarla. Lei si distrasse e tentai di bloccarla e di tapparle la bocca, ma quella cagna non ne voleva sapere. Ho dovuto prenderle la testa e sbattergliela contro uno dei pali delle scenografie per farla star zitta. Pensa che mi è svenuta un’altra volta.”
“Ma ti rendi conto che era incinta di tuo figlio?”
Lui alzò le spalle noncurante “Quello che mi importava era renderla inoffensiva per poterla portar via. Magnus mi portò da legarla con la prima cosa che aveva recuperato dal camerino di mio fratello che era lì vicino, e l’abbiamo nascosta in una cassa. Finito lo spettacolo, quando tutti se ne erano già andati, l’abbiamo caricata in macchina e l’abbiamo portata qui. Ma sai cosa? Quando siamo arrivati quella stronza era morta! Quanta fatica sprecata. Allora ad Albert è venuta in mente l’idea di riportarla al suo albergo, che non è distante, ed inscenare il suicidio, purtroppo come al solito è stato inconcludente e ha commesso errori su errori”.
Lui si girò verso di lei, era evidente che non voleva aggiungere altro al suo racconto ed iniziare una diversa attività. Lisbon era consapevole che il suo momento era arrivato ed iniziava seriamente ad avere paura, ma giurò a sé stessa che non avrebbe detto nulla, gridato, pregato o addirittura implorato, non gli avrebbe dato alcuna soddisfazione. Era strano, le era parso che delle nuvole fossero passate perché per qualche minuto la stanza si era rabbuiata.
Sabini era pronto.
“Fortunatamente io non ho preso da lui. Da quando ti ho vista ho pensato che fossi un delizioso bocconcino. Sta tranquilla, non rovinerò quel bel faccino, deve durare ancora per un po’”.
Si stava avvicinando con il bisturi in mano, si inginocchiò accanto a lei e le sciolse i nodi quel tanto da riuscire a farle portare le mani avanti e quindi le braccia sopra la testa. La fece mettere in piedi e l’appese ad un gancio che scendeva dal soffitto. Le gambe di Lisbon ricadevano penzoloni ed i piedi non toccavano più terra. Si sentiva impotente ma sapeva che ogni gesto sarebbe stato interpretato da lui come un’aperta sfida. Sperava solo che potesse finire presto.
Sabini le fece saltare, uno ad uno, i bottoni della camicia. Il loro rumore mentre cadevano a terra sembrava quasi rimbombare nella stanza. L’uomo le accarezzò il corpo scendendo dal collo sul seno e quindi sulla pancia. Poi si allontanò, posò il bisturi e si mise un tirapugni.
“Andiamo con ordine” disse calmo. La sua voce era soffusa, si stava preparando a godere di quel momento.
Ogni suo movimento era posato, studiatamente lento, apposta per farla mettere in crisi.
Il primo pugno partì e la colpì dritta allo stomaco lasciandola senza fiato, si sarebbe piegata in due se avesse potuto farlo. La guardava e gli occhi gli brillavano.
“Sarà strabiliante” disse Sabini pronto a caricare il successivo colpo, quando sentì un tonfo secco alla parete alla sua sinistra: il secchio in ferro che aveva usato prima era a terra.
Sabini si voltò nella direzione da cui era giunto il rumore e  si trovò a fissare l’oggetto ammaccato ai piedi del muro. Poi in direzione della porta sentì  “Fermati subito, non ti conviene darmi una scusa per fare pratica”. Era Castle in piedi con una pistola in mano.
Lisbon non ci avrebbe creduto se non lo avesse visto con i suoi occhi, ma soprattutto si stupì di non aveva notato nulla, soprattutto il diversivo.
Castle era piazzato con le gambe larghe e flesse, il busto ruotato di circa 50° rispetto alla linea di tiro, spalla e piede sinistro leggermente avanzati: posizione weaver da manuale.
A quanto pareva Sabini era molto meno impressionato di Lisbon, infatti non perse l’occasione per schernirlo “Ma guarda il nostro scrittore che cuor di leone! Cosa pensi di fare?” e iniziò ad indietreggiare verso l’ostaggio alzando il bisturi che aveva in mano.
“Fermo Sabini, questa è la tua ultima possibilità o farai una brutta fine, fidati”
“Peccato,  non ti credo” disse ad un passo da Lisbon “se non la metti giù le taglio la gola ed in meno di un minuto sarà morta”.
In quell’istante Sabini sentì la canna di una pistola premere sulla sua nuca “Se non lo butti subito e ti metti in ginocchio tu invece sei morto in tre secondi, e per la cronaca a differenza di lui a me non serve una scusa”.
Era Jane e la sua voce non ammetteva dubbi sulle sue intenzioni.
Sabini gli obbedì, gettò il bisturi lontano da sé e si mise in ginocchio con le mani alzate, mentre Jane continuava a tenergli la colt puntata alla testa.
“Castle, vieni ad aiutarla” facendo cenno in direzione della donna.
Lo scrittore rimise a posto la sua pistola nella fondina dietro la schiena e corse a tirare giù Lisbon dal gancio a cui era appesa.
Appena la sollevò un grido di dolore le uscì dalle labbra e non servì stringere i denti per bloccare le lacrime che le rigarono le guance.
“Va bene, adesso chiamiamo l’ambulanza” le disse Castle per cercare di tranquillizzarla sciogliendole i nodi che le serravano i polsi.
Patrick si voltò a guardarla ‘Dio cosa le hanno fatto’ pensò. Un impeto d’ira lo assalì.
“Rick, puoi prendere le manette su quel tavolo e mettergliele?”
“Certo, sarà un piacere” disse facendo quanto gli era stato richiesto.
“Bene. Qui non c’è campo. Perché non sali per chiamare i soccorsi?”
Rick era un dubbioso. “Ma riesci a cavartela da solo?”
“Certo, ha le manette, dove vuoi che vada? E poi lei ha bisogno di un medico. Vai”
“Faccio in un attimo” disse sparendo su dalle scale di corsa.
Jane guardò Lisbon stesa sul pavimento, la sua pelle livida, le escoriazioni, quei segni lunghi e rossi da cui usciva sangue: lui sapeva da cosa erano stati provocati. Era svenuta per il dolore.
Si portò davanti a Sabini e lo guardò dritto negli occhi, lui lo fissava di rimando, fiero di quanto le aveva fatto.
“Mi hai interrotto quando non era ancora arrivato il bello!” disse sghignazzando ma il sorriso gli morì sulle labbra quando gli vide appoggiargli la pistola tra gli occhi.
“Che fai? Non puoi, sei un poliziotto!”
“Primo: non sono un poliziotto. Secondo: certo che posso. Dirò che eri riuscito a liberarti e che non ho potuto fare a meno di spararti. E sai di chi è la colpa? Solo tua. Io ero venuto qui solo per riprenderla, ma adesso che ho visto quello che le hai fatto voglio ucciderti con un colpo in testa, come si fa con i maiali”.
Iniziò a spingergli la pistola sulla fronte, sempre più forte fino a farlo cadere sdraiato con le spalle a terra. Tremava e iniziava a singhiozzare “No ti prego..”
“Dovrei ascoltare le tue preghiere? Perché, tu lo hai fatto con lei?” la voce di Jane era di pura furia.
“Io non l’ho fatto..”
Quella voce lo destò, era Teresa, a terra in posizione fetale con i capelli scompigliati che lo guardava.
“Non farlo Jane, ti prego” continuò “potrai essere tante cose, ma non sei come lui”.
Jane non si aspettava quelle parole, non si aspettava di sentire quella voce così dolce, per nulla tesa, o sconfortata, o arrabbiata, o delusa, solo preoccupata per lui.
Scosse il capo.
“Patrick, se adesso tu premi il grilletto e lo uccidi non vendicherai quello che mi ha fatto o quello che ha fatto alle altre donne, gli farai solo un favore. Vuoi fare veramente fare qualcosa per me? Metti giù la pistola e lascia che una giuria lo condanni a morte per i suoi crimini. In prigione con quelli come lui non ci vanno molto leggeri, ed il giorno della sua esecuzione io e te saremo in prima fila. Quella è la vendetta migliore.”
Le sue parole lo stavano convincendo. Vide che Sabini ne aveva approfittato per mettersi di nuovo in ginocchio, girò il viso nella sua direzione e lo guardò rivedendo per un attimo quella scintilla nei suoi occhi. Jane alzò senza esitazione la pistola, per poi abbassare il calcio con tutta la forza che aveva sulla sua nuca.
Sabini crollò a terra. Patrick si volse, si mise la pistola nella tasca della giacca, e corse verso Teresa.
La prese tra le braccia e le sollevò la schiena dal pavimento bagnato. Se la mise sulle ginocchia e le spostò alcune ciocche che le coprivano il viso.
“Si può sapere dove hai preso quella pistola?”
“No perché ti arrabbieresti”
“Come fai a sapere che non lo sono già?”
“No! Sei troppo felice che io sia qui” rispose accarezzandole una guancia.
Lei abbozzò un sorriso “Patrick, grazie”.
Lui sussultò quando lei pronunciò il suo nome “Mio dovere”
“Dove lo avete lasciato Magnus?”chiese Lisbon.
“Chi?”.
Si rese conto che per la fretta avevano commesso un’imperdonabile leggerezza.
 
 
CAP.16
Al loro arrivo davanti alla casa di Sabini Castle e Jane, si erano avvicianti all’edificio con cautela cercando di stare, per quanto potevano, coperti non volendo correre il rischio di mettere in allarme il rapitore. Addossati con le spalle al muro ne avevano percorso parte del perimetro ed erano giunti in prossimità delle finestrelle che davano sulla cantina. Le bocche di lupo erano tutte chiuse e protette da inferriate, ma una era stata dimenticata aperta di pochi centimentri e da questa si sentivano provenire delle parole, non ben distinte, ma udibili. Jane si avvicinò carponi allo spiraglio con Castle inginocchiato ad un passo da lui che si voltava per controllare se non ci fosse nessuno in arrivo.
“Stai calmo Castle o ci sentiranno” gli bisbigliò senza girarsi.
Lo scrittore avrebbe voluto rispondergli che sarebbe stato molto più calmo se Beckett e la squadra fossero stati lì con loro ma si morsicò la lingua.
Jane cercò di concentrarsi per dare significato alle parole che gli provenivano flebili; chiuse gli occhi per acuire l’udito e finalmente quei suoni divennero riconoscibili, Michael Sabini stava parlando con Lisbon e le stava raccontando dell’omicidio di Cindy. Una confessione in quel momento poteva significare solo una cosa: il preludio per il successivo atto scellerato. Teresa era in pericolo e dovevano agire subito.
Castle lo stava guardando ed aveva capito la situazione di pericolo che richiedeva un intervento immediato, erano da soli e si dovevano arrangiare. Lo scostò dal vetro prima che qualcuno si accorgesse della loro presenza e gli fece cenno con il capo indicando di provare ad entrare dalla porta sul retro. Ritornarono carponi sui loro passi e si portarono sul lato opposto della casa. Si misero ai due lati della porta e Castle tirò fuori la sua pistola. Inalò un lungo respiro, guardò Jane, che annuì, e quindi mise la mano sul pomello della porta e lo ruotò. Con una mossa secca aprì l’uscio ed entrò con la pistola tesa avanti a sé. Non c’era nessuno per fortuna. Jane entrò subito dopo di lui e si mise alla sua destra. Avanzarono verso il corridoio e videro alla loro sinistra una porta che portava di sotto, subito vicino alle scale. L’uscio era socchiuso  e si sentivano dei rumori  secchi e delle parole scandite sottovoce, ma tra tutto Patrick non sentiva Teresa e ne era terrorizzato. Stava per correre di sotto quando la mano di Castle lo bloccò.
“Niente di avventato, potrebbe farle del male, dobbiamo trovare il modo di bloccarlo”.
Rick pronunciò quelle parole notando la faccia del compagno; era dipinta da molti stati d’animo, probabilmente gli sembrava di ritrovarsi in un incubo già vissuto sette anni prima e si stava domandando cosa avrebbe trovato dietro quella porta. Anche lo scrittore aveva paura, sapeva di non essere all’altezza di fronteggiare situazioni del genere, anche se si era trovato in più di una occasione di fronte a gravi pericoli, ma aveva sempre avuto Beckett al suo fianco che lo guidava. Comunque non si sarebbe tirato indietro; anche se aveva conosciuto Jane da pochi giorni era convinto che, a parti invertite, lui lo avrebbe aiutato fino alla fine e Richard Castle non si sarebbe tirato indietro.
Un altro respiro profondo e si avventurarono per le scale che scendevano alla cantina, Castle per primo, sempre con la pistola in pugno.  Giunsero all’uscio e Jane vi appoggiò sopra l’orecchio per sentire conferma alle loro impressioni. Annuì indicando che erano nel posto giusto e, cercando di non far rumore, aprì di pochi centimetri per poter sbirciare all’interno. Spostò la testa per cercare di avere una visuale migliore e si inginocchiò, Castle si mise alle sue spalle sopra di lui. I quattro occhi cercano nella stanza per individuare Lisbon.
Quando Jane la vide stava per sfuggirgli un grido, fortunatamente Castle gli mise una mano sulla bocca e lo tirò indietro per non farsi scoprire, ma dovette trattenerlo perché voleva lanciarsi nella stanza a fare qualche scicchezza.
Patrick si dimenò solo qualche secondo poi si fermò. Sapeva che aveva ragione ma quello che aveva visto gli avrebbe potuto far perdere il senno, la sua Teresa era stata issata e appesa al soffitto per le braccia ed era inerme, davanti sé aveva Sabini con qualcosa in mano e la stava toccando. Sentì un’ondata d’odio salirgli dalle viscere al petto e stava per esplodergli in gola se Castle non lo avesse fermato.  Gli avrebbe strappato il cuore dal petto, pensò.
Poi guardò Rick che spostò la mano dalla sua bocca facendogli cenno di tacere. Gli indicò un secchio a poca distnza  da loro. Si sollevarono e lo scrittore lo prese. Con la mano gli  spiegò in silenzio il suo piano. Jane acconsentì, avrebbero dovuto agire in fretta ed in silenzio fin tanto che Sabini era concentrato altrove.
Si accucciò un’altra volta accanto alla porta pronto a partire nel momento adatto scrutando all’interno della cantina. Eccolo: Michael aveva appena colpito Lisbon e la poveretta stava lottando per non gridare dal dolore. Jane chiuse un attimo gli occhi. Castle aprì l’uscio e lo spinse dentro per poi riaccostare la porta, doveva prima prendere posizione.
Jane percorse il perimetro della stanza strisciando lungo le pareti e cercando di tenersi nell’ombra, nascosto dalle cinfrusaglie sparse nella stanza.
Doveva trattenere le lacrime che rischiavano di riempirgli gli occhi, lacrime di dolore nel vederla percossa e offesa, lacrime di rabbia per il crimine che stava subendo, lacrime di vendetta per quello che quell’uomo si meritava per averla rapita e per ciò che aveva intenzione di farle.
Castle vide che Jane era in posizione, ora toccava a lui e pregava di avere la forza di farcela. Sentiva i muscoli delle gambe contrarsi pronti a scattare.
‘Meno male che almeno loro lo sono’ pensò.
Contò fino a tre, prese il secchio, aprì la porta, e lo lanciò con tutta la sua forza contro la parete alla sinistra di Sabini.
 
Ore 7:20 p.m.
Jane sentendo le parole di Lisbon si rese conto dell’errore da dilettanti che avevano commesso: non avevano controllato se il resto della casa fosse vuoto.
La donna tra le sue braccia si accorse della sua espressione e lo fissò preoccupata.
“Dobbiamo andarcene Lisbon, ed alla svelta. Ce la fai a camminare?” cercando di aiutarla a rimettersi in piedi. Purtroppo però lei non riusciva a far forza per sollevarsi, le ferite le dolevano ed era malferma.
L’uomo non ci pensò due volte e la sollevò tra le braccia come se fosse un fuscello. Lei si irrigidì a quel gesto. Non era abituata a vedere Patrick Jane così fuori dai suoi canoni. In realtà in quei giorni era successo diverse volte ma ora lui era lì, ed era venuto per tirarla fuori dai guai.
“Jane, no! Dov’è finito Castle?”
“Adesso lo andiamo a cercare e ce ne andiamo da questo posto”.
La strinse un po’ di più nell’abbraccio, oltrepassò Sabini ancora a terra, ed incominciò a salire le scale sperando di non doversene pentire. Lisbon aveva il capo appoggiato alla sua spalla destra e le mani sul suo petto. Sentiva il suo respiro accelerato ed il cuore pulsare ed era certa che non era lei la causa. Avrebbe voluto prendere in mano la situazione ma ogni muscolo le doleva e non riusciva a far nulla, persino la sua testa era ancora un po’ annebbiata dall’effetto della droga che le avevano somministrato. Avevano raggiunto la cima delle scale e Jane sbirciò nel corridoio sperando fosse libero. Non notando nessuna mossa sospetta vi si infilò sperando che Castle fosse fuori ad aspettarli ancora al telefono con i soccorsi.
Si diresse verso la porta principale quando il rumore di un cane che si abbassava lo invitò a fermarsi.
“Non mi dica che ci vuole già lasciare signor Jane?”
Patrick si voltò in direzione delle scale che portavano al piano superiore e vide Magnus in piedi, con un fucile Winchester in mano, che li teneva sotto tiro. Pochi gradini sotto di lui c’era Castle con le mani alzate e con la faccia dispiaciuta per essersi fatto prendere di sorpresa.
“Mi dispiace, mi è arrivato alle spalle mentre stavo cercando di telefonare” e poi strizzò l’occhio.
Cosa intendeva dire? Jane non capiva, ma evidentemente aveva ancora qualche asso nella manica. Decise che serviva del tempo e perciò indietreggiò con Lisbon tra le braccia fino a sentire alle sue spalle la parete che divideva l’ingresso dalla cucina.
Magnus puntò il fucile in mezzo alle scapole a Castle  e gli fece scendere gli ultimi gradini, e questi andò a  posizionarsi esattamente sulla parete opposta a quella di Jane.
“Cosa avete fatto a Michael? Lo avete ucciso?”
Jane capì che era ora per lui di fare la cosa che gli riusciva meglio, ovvero manipolare la mente delle persone, sperando che nel frattempo le idee di Castle si facessero più chiare anche per lui.
 “No, sta solo facendo un riposino. Perché sei preoccupato per tuo nipote o ti dispiace che non abbiamo fatto il lavoro sporco per te?”
“Non so, ci devo ancora pensare” rispose avanzando puntandogli contro il fucile “Quel piccolo stronzo viziato è completamente pazzo, sapete? A lui non basta mai, vuole sempre di più, ma non si sa controllare, per questo mi ha creato così tanti guai.”
“Il bue che dice cornuto all’asino” fece Jane sorridendo.
‘Stupido strafottente’, pensò Teresa, ‘possibile che non può tenere la bocca chiusa?’.
“Eh, no caro signor Jane. Io e mio nipote non siamo uguali. Lui è da un bel po’ di tempo che ha lasciato i miei insegnamenti, è diventato niente di più di un fanatico e sapevo che prima o poi ci sarebbe scappato il morto. Comunque ora è fuori dai giochi e devo ammettere che non mi spiace pensare di avervi tutti e tre a mia disposizione”.
“Tutti e tre?” si lasciò sfuggire Castle.
 Magnus lo guardò e rise. Meno male che doveva essere Michael il pazzo della famiglia.
“Già, non vorrai mica che mi lasci sfuggire questa occasione? Tre vittime, e mi servirete tutti e tre, anche se in maniera diversa. Tu, per primo sig. Castle: sarai l’esempio”.
Magnus era proprio nel mezzo del corridoio, strinse il fucile puntandolo dritto verso di lui: mirava alle gambe.
“Questo farà male” disse Magnus sorridendo.
Jane non sapeva cosa fare,  voleva intervenire ma non sapeva come, guardò negli occhi Lisbon, aveva l’aria spaventata ma si mosse e sciolse il braccio destro dall’abbraccio in cui l’aveva stretta e sentiva che lo stava tirando per la giacca.
In quel momento un rumore sordo dalla cucina e poi uno sparo.
La pallottola colpì Magnus alla spalla ma l’uomo non lasciò andare il fucile, anzi si girò verso la provenienza del colpo trovandosi davanti Kate Beckett che avanzava verso di lui con la pistola in mano “Buttalo!” disse con voce ferma facendosi udire da tutti i presenti. Cho avanzava alla sua destra  e Van Pelt era alla sua sinistra, Rigsby era probabilmente appostato davanti all’altra porta pronto ad entrare. “Getta subito a terra il fucile”.
Magnus per tutta risposta alzò di nuovo l’arma pronto colpire cacciando un urlo. Beckett era in pericolo, solo a questo pensò Rick, e la paura che qualcosa le potesse accadere, di nuovo, lo fece agire d’istinto, un qualcosa che nemmeno lui sapeva d’avere, in un attimo estrasse la pistola che aveva riposto dietro la schiena nella sua fondina speciale e fece fuoco. A due metri di distanza non poteva sbagliare ed infatti colpì Magnus poco sotto la scapola probabilmente perforandogli un polmone perché, dopo alcuni attimi in cui stette immobile, un rivolo di sangue gli uscì dalla bocca, sputò senza nascondere un ghigno. Lanciò il fucile lontano da lui, a destra verso la porta della cantina, si accasciò prima sulle ginocchia e poi cadde con la testa in avanti sul pavimento.
Jane tirò un sospiro appogiandosi al muro per sostenersi. Castle di fonte a lui fece lo stesso abbassando la pistola contro il suo fianco per poi cercare con lo sguardo la sua musa che lo guardava attonita nell’altra stanza. L’unico suo desiderio era di abbracciarla e stringerla forte, e magari di bersi un Lagavulin doppio con ghiaccio.
Trovò i suoi occhi che lo scrutavano condividendo i suoi sentimenti ed i suoi desideri.
Ancora respirando a fondo Jane vide di fronte a sé Michael Sabini che, risalito dalla cantina,  lo fissava.
‘Le chiavi delle manette, maledizione!’ pensò in quell’istante.
Patrick transalì vedendo che cercava di avventarsi sul fucile a due passi da lui  “Crepate bastardi!” sentirono che diceva traendo l’arma a sé.
Accadde tutto in un attimo, uno sguardo a Castle che lo fissava, Beckett e la squadra probabilmente stavano avanzando ma non avevano la visuale libera, e poi un unico  colpo che lo fece spaventare. Lisbon aveva il braccio teso avanti a sé ed in mano la sua 45, non si era nemmeno accorto mentre gliela sfilava dalla tasca della giacca.
Michael Sabini era stato colpito in pieno petto ed era a terra che si rotolava nel suo sangue che usciva copioso dal foro prodotto dalla colt. Aveva le mani giunte a cercare di trattenere quella marea che andava a spandersi sotto di lui e chissà cosa gli avrebbero sentito dire se i rantoli non gli avessero soffocato le parole.
Finalmente era finita.
A Jane cedettero le gambe e si lasciò scivolare a terra, sempre con Lisbon tra le braccia. Grace fu subito loro vicino mentre Cho e Rigsby, che era entrato, andarono a verificare le condizioni di Sabini.
“Tutto bene?”.
“Sì, certo” disse Lisbon nascondendo una nuova smorfia di dolore.
“Ha bisogno di un medico, subito” la corresse Jane.
Grace annuì “Stanno già arrivando, avevamo paura che il capo ti avesse ammazzato per averle disubbidito”.
Jane rise e vide che anche la donna tra le sue braccia stava sorridendo.
Beckett era invece corsa ad abbracciare Castle. Dopo un minuto di silenzio le sentì dire al suo orecchio “Me la paghi per questa, ti rendi conto che mi hai fatto morire di paura?”
“Lo so Kate, mi sei mancata anche tu”.
 
Ore 8:30 p.m.
Jane aveva appena terminato di fare il suo rapporto a Cho su quanto era successo. Molte cose si erano chiarite unendo le indagini di entrambi ma al momento non era questo che gli importava. Per una volta la verità su un caso era priva di interesse, un altro aspetto della vicenda era per lui di primaria importanza.
Il giorno volgeva ormai al termine ed il sole aveva già salutato il mondo dall’orizzonte lasciando solo le ultime ombre rosse a colorare il firmamento che stava già indossando un nuovo abito.
Jane si avvicinò all’ambulanza su cui era stata caricata Lisbon e si rivolse ai paramedici “Posso?”
L’uomo lo guardò severo. Avrebbe dovuto rispondergli di no, ma nello sguardo di Jane vide così tanta speranza che si guardò attorno un attimo e sospirò “Solo due minuti poi dobbiamo portarla all’ospedale per le medicazioni. Vedrà che in pochi giorni sarà come nuova”
Scese dall’ambulanza per lasciare il posto a Jane. “Grazie” gli disse mentre lo vide allontanarsi e si sedette accanto a Lisbon. “Sarà un buon medico, gli manca poco ormai”.
“Ma tu come fai..” la domanda di Lisbon morì lì. Come faceva? Lui era Patrick Jane.
“Allora come ti senti?” le fece spostandole dei ciuffi della frangetta che le cadevano sugli occhi.
“Come se mi avesse investito una mietitrebbia, in più anche la testa mi fa un gran male”.
“Mi  accerterò che ti diano una bella dose di analgesici così potrai dormire un po’”
“Grazie ma per oggi di medicinali forti ne ho già presi abbastanza!”
Rise, o meglio sorrise. Cercava di prenderla con spirito per stemperare la brutta avventura, lo faceva spesso, soprattutto da quando Jane era entrato nella sua vita.
“Mi spiace” disse Jane.
La sua voce era ferma, né rotta o colpevole, semplicemente era sincero.
“Jane, no..”
“Suh!” la tacitò mettendole un dito sulla bocca.
“Devo chiederti scusa per tante cose, per non aver capito prima che il colpevole era Sabini, per aver permesso che ti rapisse, per non avergli impedito di farti male, ma soprattutto devo chiederti perdono per quello che ti ho fatto io.”
Si fermò a guardarla, o meglio ad ammirarne i contorni del viso.
“L’altra sera ho lasciato che la paura prendesse il controllo e che i ricordi dolorosi del mio passato mi condizionassero a tal punto da..”
Non sapeva come fare a spiegarle tutto quel che sentiva. La vide annuire.
“Non voglio che ti succeda niente e ti prometto che non permetterò mai più a nessuno di farti del male. A qualsiasi costo” il suo sguardo si era fatto determinato e risoluto.
“E come pensi di poterlo fare Jane? Ti sei dimenticato che sono un poliziotto? Non devi preoccuparti, dei due sono io quella addestrata e so usare la pistola molto meglio di te”
“Ma se mi trovavi affascinante con la 45!”
Risero entrambi. Poi Jane fissò di nuovo negli occhi accarezzandole la fronte “Non volevo che accadesse così, l’avevo sempre pensato diverso”.
Lisbon transalì perché sapeva a cosa alludeva ed arrossì vistosamente.
“Io ho tante cose da sistemare nella mia vita, lo sai, ho bisogno di tempo” continuò cercando un assenso in lei “ l’unica mia sicurezza sei tu, ma se vuoi che me ne vada lo farò”.
La sua voce le arrivava come distante mentre fissava quegli occhi di quell’azzurro così intenso e pulito, in quel momento non le stava nascondendo nulla,  e per la prima volta da quando lo conosceva era come se fosse lì davanti a lei senza maschera.
“Devi promettermi che non farai mai più una cosa stupida come questa” e alzò gli occhi per dargli un cenno d’intesa.
“Non lascerò che accada mai più una cosa come questa”.
“Jane non è la stessa cosa”.
Patrick vide che il paramedico stava andando di nuovo vero l’ambulanza.
“Adesso devi andare in ospedale, ti raggiungo dopo lì” e si alzò portandosi verso di lei per salutarla.
“Jane non cambiare argomento”.
Si azzittì quando Patrick si sporse per posarle un bacio sulla fronte, durò qualche secondo, si rialzò di una decina di centimetri sempre guardandola. Si riabbassò ancora una volta posando appena le labbra all’angolo della bocca di lei. Ritrandosi gliela sfiorò con un tocco così leggero che le venne il dubbio che non fosse mai successo.
“A dopo” disse scendendo dall’ambulanza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAP.17
Ore 9:45 p.m.
Beckett entrò per prima nella stanza, si tolse la giacca, e la lanciò sul divano. Continuò verso la camera da letto, sganciò la fondina dalla cintura e la posò con la pistola sul cassettone. Stava per togliersi l’orologio ed i bracciali d’argento che portava ai polsi quando si fermò ad osservare la propria immagine nello specchio, posò entrambe le mani sul mobile e sospirò abbassando lo sguardo.
“Kate..”
La donna vide riflessa nello specchio l’immagine del suo compagno che la guardava, appoggiato allo stipite della porta, con l’espressione dispiaciuta.
Castle lanciò le chiavi della stanza sul tavolinetto di fianco a lui “Kate..”.
“Sta zitto Castle! Fammi questo favore” gli rispose mentre sentiva la rabbia crescere in lei salendole dallo stomaco e portandola a voltarsi per fissarlo “Ma come hai potuto anche solo pensare di fare una simile sciocchezza?”.
L’uomo si sollevò dalla parete e camminando verso il letto si tolse la giacca di renna, si avvicinò all’armadio, ne tolse una stampella dove ripose l’indumento e quindi l’appese.
Beckett gli fissava le spalle, grandi e forti, ma lo sguardo si posò su quella strana fondina che lui portava da qualche mese e a cui era agganciata la sua Glock special 17 P. Al posto della tradizionale fondina di cuoio quella di Rick aveva le cinghie sottilissime, in un materiale praticamente trasparente, che passavano sotto ad entrambe le braccia e dietro la pistola cadeva proprio lungo la colonna vertebrale, leggermente inclinata per facilitare l’estrazione dell’arma. Un’altra cinghia si agganciava alla cintura tenendo in tensione la parte inferiore. Serviva per nascondere meglio l’arma, così si era giustificato Rick, e a quanto sembrava aveva avuto ragione. Lo vide che si toglieva l’arma e che, sempre di spalle, iniziava a slacciarsi la camicia.
“E’ andato tutto  bene, è questo che importa” le disse senza voltarsi.
“Eh no, Castle, non è andato affatto tutto bene” fece avvicinandosi alzando ancora la voce “stavate per farvi ammazzare, e lo sai bene. Il portare una pistola con fa di te un marines”.
Lui si voltò, la fissò un attimo, poi togliendosi la camicia se ne andò in bagno. Nemmeno mezzo minuto dopo sentì l’acqua della doccia scorrere. Kate lanciò le scarpe furente in un angolo iniziando a percorrere a grandi passi la stanza; odiava quando si comportava in modo insensato, ma odiava ancora di più quando voleva a tutti costi aver ragione.
Andò in bagno ed iniziò a parlargli da oltre il vetro della doccia “Castle, non permetterti di ignorarmi! E’ stato sconsiderato quello che hai fatto. Né tu né Jane potete andare in giro a giocare ai vendicatori, non siete dei poliziotti, ed è pericoloso sia per voi che per gli altri. Potevate morire e sarebbe potuta morire anche Teresa. Se avessimo tardato anche solo di qualche minuto Magnus ti avrebbe sparato”.
Continuava a sentire solo il silenzio ed a vedere la sua ombra che si muoveva oltre il vetro opaco.
L’acqua della doccia si chiuse e l’uomo aprì le porte, si vedeva salire il calore dell’acqua dalla sua pelle bagnata. I capelli gli ricadevano sul viso e lui con un gesto li portò all’indietro per scoprirsi gli occhi. Allungò il braccio sinistro fino al portasciugamani, ne estrasse uno, e se lo mise in vita, ne prese un secondo se lo passò prima sul viso poi tra i capelli, quindi lo prese con sé dirigendosi di nuovo verso la camera da letto facendo un cenno a Kate.
“Non era mia intenzione farti stare in pensiero, anche se sapevo che sarebbe successo, ma devi aver notato che ho provato più volte a cercarti.”
“Non riceveva il telefono”.
“Già” fece lui voltandosi “Quindi non ho avuto scelta, non potevo fare andare Patrick da solo, così sì che si sarebbe fatto ammazzare insieme a Lisbon. Lo so benissimo di non essere un poliziotto, ma tu mi hai insegnato come devo muovermi in caso di pericolo ed io ero meglio di niente. E poi lo sai che non porto quella pistola per farmi bello, in fondo il motivo è per lo stesso motivo per cui Jane è dovuto correre a liberarla.”
Le si avvicinò e le posò le mani sulle spalle “Ero sicuro che saresti arrivata in tempo, per quello ti ho inviato il messaggio su dove ci trovavamo, perché avevo bisogno del tuo aiuto e sapevo che non mi avresti lasciato solo. Anche Jane non poteva lasciare sola Lisbon: mi ha chiesto aiuto ed io non sono solito tirarmi indietro se un amico è nei guai, e qui ce n’erano addirittura due. Sai che prendo queste cose piuttosto seriamente” la donna abbassò lo sguardo, quello che le diceva era vero “e poi sono sicuro che a parti invertite Jane avrebbe fatto lo stesso.”
Si guardarono “Se avesse rapito te avrei demolito anche una montagna pur di venirti a riprendere”.
La rabbia della donna era scemata fino a scomparire, in fondo per lei aveva parlato più la paura, malgrado il fatto che il suo uomo non sarebbe mai diventato un poliziotto, sotto diversi punti di vista, era molto in gamba, ma quello che aveva provato correndo verso quella casa le aveva fatto perdere vent’anni di vita.
Gli mise a sua volta le mani sulle spalle e le fece salire fino a cingerle dietro al collo. “Dinamite?”.
“L’avrei tirata giù a pugni” rispose sorridendo.
“ A testate avresti fatto più in fretta”.
Rick le fece morire le parole tra le labbra mentre la baciava.
Ore 8:00 a.m
Lisbon aprì gli occhi lentamente e dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima di mettere a fuoco l’immagine.  Capì di trovarsi nella sua stanza d’ospedale, dalle veneziane filtrava la luce del sole ormai brillante, guardò l’orologio sul comodino e si stupì di aver dormito così a lungo.
Accanto al letto c’era una sedia e sulla spalliera c’era la sua giacca.
Si voltò verso la porta cercando di girarsi con il busto, ma il movimento le provocò una fitta alla schiena.
Evidentemente gli antidolorifici che le avevano dato la sera prima, e che l’avevano sedata fino a quell’ora, avevano esaurito il loro effetto. Aveva diverse medicazioni, ma nulla di molto importante. Quello che ancora più le doleva era l’orgoglio.
Due sere prima era entrata da sola nel teatro Major perché voleva ricontrollare dietro le quinte. La guardia l’aveva fatta entrare senza troppe proteste dicendole che non poteva abbandonare la sua postazione e che l’avrebbe raggiunta dopo durante il suo giro. In effetti, da quello che le era stato detto, l’aveva in effetti raggiunta, ma aveva trovato anche Sabini. Era appostato davanti a casa sua e l’aveva seguita fin lì,  era riuscito ad entrare dall’ingresso secondario di cui aveva le chiavi e l’aveva sorpresa alle spalle. Quando era arrivata la guardia l’aveva uccisa usando la sua stessa pistola. Per colpa sua quell’uomo era morto, era quasi morta anche lei e molta gente era stata messa in pericolo. Tutto questo perché era arrabbiata e offesa e non aveva pensato con lucidità.
Sulla porta, con una tazza in una mano ed il cellulare dall’altra vide Jane che la guardava.
 “Si è svegliata, ci sentiamo più tardi”.
Chiuse il telefono con un unico gesto e se lo mise nella tasca del panciotto. Aveva i capelli arruffati ed un velo di barba sul viso ma anche così il suo fascino era inalterato.
“Ciao”
“Ciao” le rispose abbazzando un sorriso ed andando verso di lei. Per la prima volta negli ultimi due giorni la sua espressione si era distesa.
“Il dottore arriverà tra poco, ma ha già detto che, se è tutto ok e se prometti di stare a riposo, ti manderà a casa già oggi”.
“Sei rimasto qui?” fece lei indicando la sedia.
Lui annuì mettendosi a sedere.
“Grazie”.
“Dovevo pur controllare che non facessi impazzire le infermiere” disse guardandola sornione.
“Per questo mi hanno dato  una dose extra di sedativi?”.
“Forse perché avevi bisogno di riposare”.
Lisbon iniziò a tossire insistentemente. “Aspetta, bevi un po’ d’acqua” le fece lui alzandosi a riempirle un bicchiere e avvicinandosi per aiutarla; le sostenne la schiena e le fece bere lentamente quasi tutto il contenuto.
“Molto meglio” disse piano facendola di nuovo distendere ed appoggiando il bicchiere al comodino.
“Ero al telefono con Van Pelt. Magnus è stato operato, gli hanno estratto le due pallottole che i coniugi Castle gli hanno sparato, ma se la caverà e potrà serenamente affrontare il processo e i lunghi anni di carcere per la complicità nello stupro e nell’omicidio di Cindy Cape. Contro Anthony Sabini invece è stata formalizzata l’accusa di favoreggiamento per lo stupro di Cindy e scavando penso salteranno fuori altri episodi simili. Purtroppo l’unico palco che riuscirà a calcare per un po’ sarà quello del penitenziario di Sacramento.”
“Non lo trasferiranno a New York?”.
“Forse. Lui farà certo di tutto per rimanere qua. In quello stato non scherzano con certe accuse. Però a quanto sembra è sul serio estraneo all’omicidio, voleva solo proteggere la sua famiglia. Peccato sprecare in questo modo quella splendida voce”.
“E Michael?” chiese lei a voce più bassa.
Lui scosse la testa. “In fondo era quello che si meritava”.
Si stava srotolando le maniche della camicia ed allacciando i polsini.
“Jane, dobbiamo finire il discorso di ieri”.
“Non c’è fretta, devi solo pensare a rimetterti” disse infilandosi la giacca.
Un’infermiera di colore sulla cinquantina entrò nella stanza sorridente con il vassoio per le medicazioni “Finalmente sveglia agente Lisbon! Dovrebbe stare meglio oggi”.
“In effetti si” ammise.
“Perfetto ora le togliamo queste bende e vediamo come va, fra qualche minuto arriva il dottor Davis per il controllo, ma vedrà che tra qualche giorno sarà come nuova”.
“Ciao Nancy” disse Jane lanciandole un sorriso.
“Buongiorno signor Patrick, è riuscito  a riposare sulla quella sedia? E’ troppo piccola per un uomo come lei”.
“Non si preoccupi Nancy, sono stato benissimo”.
L’infermiera stava cercando di sistemare i cuscini per far sollevare più comodamente Lisbon.
Teresa non sapeva spiegarsi come Jane poteva farsi così ben volere da quella donna quando, se fosse stato lui allettato, si sarebbe comportato in una maniera tremenda. O forse lo sapeva, era il suo sorriso e quel fascino che traspariva in lui ogni volta che ti fissava. Probabilmente se avessero chiesto a quella donna che faccia poteva avere un angelo avrebbe indicato quella di Jane. Non le si poteva dare tutti i torti.
“Io adesso vado,  faccio una scappata a casa a cambiarmi e poi al CBI,  Nancy mi può avvertire se la lasciano uscire oggi?”.
“Ma certo signor Patrick, non si preoccupi, vada pure ci penso io alla sua fidanzata”.
A Lisbon prese un colpo a quelle parole e vide Jane sogghignare sotto i baffi.
 “Ma..”
“Sa signorina Lisbon, avevamo spiegato al suo Patrick che non poteva rimanere con lei stanotte, ma lui ha tanto insistito e ci ha raccontato cosa le era successo. E’ proprio fortunata ad avere vicino un uomo del genere! Ci siamo tanto commosse e non gli abbiamo potuto dire di no. E’ un ragazzo così simpatico e per bene!”
Teresa tornò a fissarlo che cercava di trattenersi “E già, non sa quanto Nancy”.
Che gran racconta frottole! Quando Jane si fissava su una cosa non gli si poteva far cambiar idea.
“Ok allora vado..” disse trattenendo a stento le risate e nascondendole dietro uno dei suoi sorrisi più maliziosi.
“Dobbiamo finire..”
Lisbon si fermò di colpo perché Jane si era chinato di nuovo su di lei per stamparle un altro bacio sulla fronte.
“Avremo tempo di parlare” le disse guardandola per qualche secondo.
Si alzò, prese la porta, e con passo deciso si diresse verso l’uscita.
 
Ore 2:15 p.m.
Jane era nel cucinino del CBI e stava addentando l’ultimo boccone di un meraviglioso panino fatto con pane integrale, petto d’anatra affumicato, insalata amara, zeste d’arancio caramellato all’aceto balsamico. Era andato a casa, si era fatto la doccia e rasato, si era messo il completo grigio chiaro, quello con il tessuto setificato, la camicia azzarro tenue, ed aveva deciso di fermarsi a prendere uno spuntino per pranzo alla sua gastronomia preferita, che si trovava proprio sulla strada per il CBI. In fondo erano più di ventiquattro ore che non metteva nulla nella stomaco, a parte una decina di tazze di the. Forse avrebbe dovuto trattenersi un po’ sul cibo ‘e non mangiare tutta quella carne’, pensò seduto al tavolino, ma in fondo doveva festeggiare e poi con un buon the a scaldargli lo stomaco avrebbe favorito la digestione e concluso come si deve il suo pranzo.
Si alzò, avvicinandosi al ripiano da dove prese la sua tazza azzurra ed il piattino. Dal frigo estrasse il latte e ne versò una spruzzata nella tazza. Poi prese il bollitore, si accertò della temperatura, e versò l’acqua, quindi prese una bustina di Earl Grey e la mise in infusione guardando l’orologio. Passati i soliti quattro minuti tolse il sacchetto e sollevò il piattino per rimettersi seduto a gustarsi il suo the, quando sentì un applauso provenire dal corridoio.
Jane si sporse con la testa fuori dalla porta e vide Lisbon entrare al CBI, scortata da Castle e Beckett. Diversi agenti la stavano fermando per congratularsi con lei e le stringevano la mano contenti per il suo ritorno così repentino, segno di una immediata guarigione.
Rick lo raggiunse sorridente “Sorpresa!”.
“E già” poi distogliendo lo sguardo da Lisbon “Tutto bene?” facendo segno verso Beckett.
“Pensavo peggio. Quella più severa è stata Alexis, mi ha fatto una romanzina per oltre un ora, ma anche lei ha capito. Sai ha superato tutti gli esami, l’anno prossimo verrà a Stentford!”
“Congratulazioni! Ma non ti spiace?”
“Sinceramente un po’ si e poi mi fa sentire quasi vecchio, ma cosa posso farci? Ho sempre saputo di avere una figlia geniale. “ .
Si fermarono a guardare la scena del corridoio, Lisbon era riuscita a sfuggire ai colleghi e si avvicinava loro insieme a Beckett. Jane sorseggiò il suo the un paio di volte prima di parlare ed incamminarsi verso la scrivania di Rigsby.
“Nancy si è dimenticata di avvisarmi a quanto pare”. Si appoggiò al tavolo incrociando le gambe, riportandosi la tazza alle labbra.
Teresa gli si portò ad un  paio di passi prima di rispondergli scherzosamente.
“Ho spiegato io a Nancy che tu dovevi stare accanto al nostro cane che doveva partorire e quando sono arrivati Kate e Rick ne ho approfittato per farmi accompagnare qui da loro.”
“Dovresti essere a casa a riposare” disse cercando di celare le risate.
“Non preoccuparti, devo sbrigare solo un paio di cose e vado”.
“Per curiosità, come si dovrebbe chiamare il nostro cane?”
“Le ho detto che si chiamava J.J.”
Per poco Jane non si strozzò con il the.
“A proposito, dov’è La Roche? Devo fargli rapporto”.
Jane sbiancò un attimo.
“Te lo vado a cercare io, tu resta qui tranquilla” disse appoggiando la tazza al tavolo e lanciandosi lungo il corridoio.
Castle lo seguì dicendo “Vado ad aiutarlo”.
Teresa li guardò incredula per poi voltarsi verso Kate che fece l’aria indifferente.
“Dove stiamo correndo?” fece Castle a Jane.
“Se non sveglio La Roche prima che lo veda Lisbon quella donna mi ucciderà di certo!”.
“Perché?”
“Mi ha categoricamente proibito di farlo con chiunque, figuriamoci con il capo!” disse mettendo la testa dentro la stanza di La Roche, che era però vuota. Pensò potesse essere in una delle sale conferenze e quindi prese il corridoio di destra.
“E come farai a risvegliarlo?”chiese Castle incuriosito.
Jane gli sorrise “Quando ipnotizzi una persona gli dai un segnale, che solo tu conosci, per innescare l’ipnosi, poi sempre con lo stesso segnale lo svegli. Ognuno ha il suo. E’ personale.”
Castle ripensò un attimo alla scena che aveva visto e dopo pochi secondi fece raggiante “I colpi sulla spalla, è quello il segnale, non è vero?”
Jane gli sorrise senza dir nulla, vedendo La Roche seduto ad un lungo tavolo tra due pile di fascicoli. Rick lo guardò stupito.
“Tanto che c’ero gli ho fatto smaltire un po’ di arretrato che aveva Lisbon sulla scrivania” spiegò Jane sogghignando.
“Per favore, lo fai fare a me?” chiese Castle con gli occhi da bambino davanti ad un negozio di giochi.
“Pensi di riuscirci?”.
 “Certo!” e si avvicinò a La Roche che alzò gli occhi dai fogli aspettando che lo scrittore dicesse qualcosa.
“Svegliati!” disse teatrale avvicinandosi e battendogli due volte sulla spalla destra.
Jane non riusciva a trattenersi, era come un mago che avesse battuto sul coniglio con la bacchetta dicendo ‘Alacazam!’.
L’uomo ancora seduto  guardò lo scrittore dal basso verso l’alto dicendogli “Non so cosa fate a New York, ma io sono sveglio da parecchio”.
Castle si girò verso Jane confuso. Questi lo guardava sogghignando poi si avvicinò passandosi una mano nei folti capelli biondi “Non preoccuparti JJ, vieni che Lisbon è tornata” e gli battè due volte sulla spalla.
La Roche sbattè due volte le palpebre, destandosi,  e aggiunse “Sì, ditele che arrivo subito”.
Jane si girò per tornare sui suoi passi mentre Castle si portò al suo fianco confuso “Cosa ho sbagliato?”
“Te l’ho detto, l’innesco è personale”
Rick non era convinto, ma il suo amico proseguì “Non si può correre il rischio che accidentalmente un altro lo risvegli con un gesto comune, non credi?”
“Quindi?”
“Quindi diciamo che ti è mancato il mio tocco personale californiano” rispose passandosi la mano tra i capelli.
Castle lo guardò perplesso “Ma..Quindi, è solo questo?”
Jane non rispose e si avvicinò a Lisbon che stava parlando con Grace e Kate.
“Arriva subito da te”.
“Cosa hai combinato?”
Jane non le rispose e si limitò a sorriderle mentre Castle si rimetteva a fianco della sua musa un po’ imbronciato.
Beckett intervenne “Ragazzi, io Rick dopodomani partiamo. Avevamo pensato ad una cena, con tutti voi, domani, per salutarvi. Tu che ne dici Teresa, te la senti?”
“Ma certo, non preoccuparti” disse sorridendo “Ma adesso scusami, devo andare a vedere cosa mi ha combinato Jane.”
Si allontanò sorridendo andando a cercare il suo capo.
“Vedrai cosa ho fatto preparare da Marina!” disse Castle all’amico “Qualcosa di assolutamente unico!”
“Conoscendoti non mi stupisco”.
“Già, ti conosce anche lui ormai” fece Kate  sarcastica “forza, andiamo, prima della partenza abbiamo ancora una montagna di cose da fare. A domani Jane”.
Castle si limitò a guardarla di spalle  e sospirando “L’adoro quando vuole comandare”.
Fece un cenno di saluto a Patrick ancora divertito dalla scena.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAP.18
The day after - Ore 8:00 p.m.
Tutta la squadra del CBI con l’aggiunta dei loro amici di New York era seduta al tavolo centrale del Marina’s; Castle infatti aveva insistito affinchè tutti partecipassero a quella serata d’addio come suoi ospiti. Aveva anche insistito per mandarli a prendere da una limusine, ma questa volta Lisbon si era caparbiamente opposta, e l’aveva spuntata.
Cho aveva insistito perché prendessero la sua auto, per impedire a Lisbon di dover guidare anche in quell’occasione. Per questo aveva provveduto personalmente ad andare a prendere presso le loro abitazioni tutti i compagni, lasciando per ultima proprio il suo capo.
Scese Jane a suonarle il campanello, scambiando con Grace, affacciata al finestrino, una battuta sulla nuova ‘tendenza’ di Lisbon alle entrate spettacolari. In realtà cercava di mascherare la sua ansia di vederla.
Aveva appositamente indossato il completo blu notte, il suo preferito, perché nella trama del tessuto vi erano delle fibre argento che lo rendevano adatto per una serata speciale. Quella sera aveva abbianto delle scarpe nere molto affusolate, più adatte in quel frangente, una camicia candida e, per una volta, era senza gilet. Un abito del genere non lo prevedeva, sarebbe stato fuori tono. Sempre aspettandola si sistemò il fazzoletto di seta dentro la tasca della giacca, finchè non sentì scattare la porta dietro di lui.
Teresa gli era di fronte in un abito: perfetto. Era intero con la gonna stretta al ginocchio, le mezze maniche e una bella scollatura a cuore di color rosa antico, con intarsi di pizzo del medesimo colore attorno alle maniche e sulla scollatura. Per la gioia dell’uomo si era rimessa i tacchi: delle semplici decoltè chiare aperte in punta non eccessive ma che la slanciavano molto. Aveva i capelli sciolti, morbidi e arricciati che le scendevano sulle spalle e profumavano di mela. Quel vestito nascondeva perfettamente anche le tracce della loro ultima avventura che, per quanto in via di guarigione, erano ancora presenti sulla sua pelle.
“Non vado bene?” gli chiese la donna, dopo quasi mezzo minuto che lui aveva passato a fissarla.
Jane si ridestò un po’ inebetito “No, anzi, ti dona molto”.
Lei si imbarazzò a quel commento, come sempre del resto, ed abbassò lo sguardo sulle sue mani laccate con un tenue smalto, così come i piedi, colore anche richiamato dal lucida labbra che si era messa. Non era abituata a prepararsi con così tanta attenzione, special modo per una serata tra colleghi, ma in fondo sapeva che non era solo questo.
Jane le porse il braccio per aiutarla a scendere i gradini “Meglio che ti appoggi, voglio farti arrivare intera alla pista da ballo!”.
“Scordatelo Jane! Non se ne parla nemmeno”.
“Vedremo” le rispose aprendole la portiera per farla salire.
Tra tutte le cose di cui Castle si era premurato di informali gli era sfuggito di spiegar loro d’aver prenotato per intero il ristorante e che quella sera erano stati invitati tutti coloro che avevano partecipato alla campagna promozionale di Heat Stroke in California.
A quell’idea dello scrittore Beckett si era limitata a scuotere la testa, ma il suo compagno le aveva promesso di mantenere il tutto in termini contenuti; ovviamente aveva forti dubbi in proposito, ma non voleva deluderlo, pertanto si era limitata a raccomandarsi di evitare i fuochi artificiali. Castle ne fu subito un po’ amareggiato, Marina aveva già bocciato l’idea della band dal vivo, “Mi hai scambiato per uno di quei posti dove si fa karaoke?” gli aveva detto, ed alla fine si er accontentato di ingaggiare un d.j. per un po’ di buona musica, niente roba da discoteca ovviamente, solo un intrattenimento di sottofondo. Contando la rigidità della proprietaria aveva già avuto un grosso successo.
Quando la squadra del CBI entrò al ristorante gli ospiti erano per la maggior parte arrivati, tranne Castle ovviamente.
Jane pensò che il suo amico non si sarebbe perso la possibilità di fare un’entrata ad effetto per tutto l’oro del mondo.
Il matre si avvicinò per scortarli al tavolo spiegando “Siete al tavolo del signor Castle, mi ha avvisato che stanno arrivando e di scusarli per il ritardo”.
La compagnia si accomodò al grande tavolo rotondo, i camerieri avevano iniziato a portare l’acqua quando la musica di sottofondo cessò, annunciando l’arrivò degli ospiti d’onore.
Castle era bravissimo a dettare i tempi; si fermò un attimo nella luce della porta che dava sul giardino, aspettò che tutti notassero lui e la sua splendida dama, e che partisse l’applauso di benvenuto prima di scendere i cinque gradini che li separavano dagli altri.
Lo scrittore indossava un completo nero su una camicia di seta blu oltremare e una cravatta gialla: ‘assolutamente affascinante’, così si era definito quando si era guardato allo specchio.
Kate indossava invece un’abito che non le oltrepassava il ginocchio a taglio impero senza spalline color bronzo e al collo non si poteva non notare uno splendido collier le cui pietre erano senza dubbio smeraldi.
Rick le fece un sorriso per assicurarsi che fosse tutto ok, alla sua risposta si mossero andando verso il giardino. Lui la sapava un po’ imbarazzata da quell’accoglienza, gli applausi la mettevano a disagio, per questo le disse “Guarda che è la stessa cosa che ho pensato io quando ti ho visto uscire dal bagno con questo splendido vestito”. Lei gli mandò un’occhiata tagliente.
Rick continuava a guardarla raggiante e la fece accomodare al posto accanto al suo a tavola per godersi quella che si annunciava come una splendida serata.
 
Ore 8:45 p.m.
Jane fu felicemente stupito del menù della serata; Marina era appena tornata dall’Italia dove aveva fatto un giro di degustazioni ed aveva assistito alla presentazione delle nuove annate dei migliori vini, a quanto gli aveva spiegato Castle, ed aveva creato appositamente per loro le tre portate centrali della cena quale esempio dell’ eccezionalità dalla sua terra.
Castle era stato entusiasmato dalle spiegazioni sugli abbinamenti tanto da riservare per il proprio tavolo una cassa del vino d’eccezione che Marina aveva portato al ritorno del proprio viaggio.
Il matre spiegò loro di cosa si trattava mentre faceva avvicinare il somellier al tavolo.
“Ecco a voi signori, sono in tutto sei bottiglie: tre della nuova annata 2008 di barbaresco e tre della nuova annata 2007 di barolo, come programmato verranno serviti a seconda delle portate, ma la degustazione sarà al buio, cosicchè non vi lascerete influenzare nè dal tipo di vino nè dall’etichetta e potrete scoprire il vostro gusto personale.”
Grace a quella frase si sentì in imbarazzo, non era abituata a bere e soprattutto dei vini così pregiati, non ci capiva un gran che ed aveva paura di fare brutta figura.
“Non preoccuparti” la rassicurò Jane “goditi un dito di vino alla volta e, se non ti piace, versalo pure nella brocca, però provali tutti mentre mangi, vedrai!”.
La donna gli sorrise e prese il bicchiere avanti a sè mentre il cameriere arrivò per servire le frivolezze.
Patrick prese il primo boccone e ne gustò appieno tutte le sensazioni, Grace lo imitò e fu stupita dal tripudio di sapori che sentì sulla lingua, forse quella roba non era poi così male.
“Allora Kate” disse Lisbon “tutto pronto per la partenza?”
“Sinceramente? No. Siamo stati tutto il giorno impegnati, e domani abbiamo l’aereo molto presto ma sai cosa ti dico? Non importa. Sai qui è bellissimo, ma mi manca New York”.
“Ti capisco. Non ci sono mai stata ma mi dicono sia straordinaria”.
A quella parola Castle si girò verso la sua musa “Già, puoi dirlo”.
La serata continuò tra semplici chiacchere intanto che Marina faceva uscire le sue creazioni dalla cucina; per primo fu servito un antipasto di funghi porcini scottati, uovo barzotto e spuma di parmigiano con lamelle di tartufo: tutti i commensali non poterono trattenere il loro apprezzamento e Castle era a dir poco gongolante. Di seguito furono portati dei tortelli molto particolari, semplici, ricoperti solo da un velo di olio crudo, i camerieri spiegarono che dovevano essere mangiati solo con il cucchiaio, senza incidere la pasta, e al primo boccone tutti capirono il motivo: il ripieno era completamente liquido, una sorta di crema di asparago, ma più fluida, ed incredibilmente saporita. Questa volta l’applauso avrebbe dovuto essere levato per la cucina.
Cho annuì dopo il primo “Buono”.
“Buono?” disse Castle “Questo non è buono, questo è genio, è chimica, è illuminazione, è..”
“Abbiamo capito Castle!” lo interruppe Beckett. Lui la guardò indispettito, ma un suo sorriso lavò via subito il tutto.
“Quello che non ho capito è il discorso che è stato fatto sul vino” fece Rigsby “non avevate detto che era quello appena uscito?”.
Castle non vedeva l’ora di mettersi in mostra, si aggiustò sulla sedia e prese in mano il bicchiere “E’ così infatti. Vedi il disciplinare di questi vini prevede un numero minimo di anni perché possano essere messi in commercio, di tre e quattro, adesso possono addirittura sembrare troppo giovani, se tu aprissi una di queste bottiglie tra dieci anni avresti delle grandi sorprese. Comunque ho voluto io proprio questi vini perché per me gli ultimi tre anni sono stati i più importanti della mia vita” a quelle parole si voltò verso Kate “tre anni fa sono rinato”.
Alla sua donna si imporporarono le gote e si scoprì visibilmente commossa.
Lisbon li guardava con lo sguardo un po’ sognante.
Jane ragionava sulle parole di Castle: aveva ragione quegli ultimi tre anni avevano cambiato la vita di molti di loro.
Lo scrittore si portò la mano della sua musa alle labbra poi, come se nulla fosse, annunciò “Ora  scusatemi ma è il momento del mio discorso”. Si alzò in piedi e chiese l’attenzione dei commensali.
“Volevo in primo luogo ringraziare tutti i presenti per essere intervenuti stasera. E’ stata una bella avventura, per me e per Kate; essere qui insieme a voi ha avuto una grande importanza, e non solamente per il lancio di Heat Stroke, è stata una sfida alla quale né noi né voi ci siamo tirati indietro e di questo non potrò mai sdebirami abbastanza. Ammetto che alle volte non è facile seguirmi ma voi lo avete fatto con costanza e affetto”.
La voce di Castle si era commossa e fece una piccola pausa.
“In questa serata però non posso dimenticarmi di chi non può essere qui con noi; una tragedia ci ha colpiti tutti, un’amica ci ha lasciato, anche se il suo ricordo ci accompagnerà sempre: Cindy Cape. Come avete saputo e letto dai giornali io e Kate abbiamo collaborato con il CBI ed adoperato le nostre forze per assicurare alla giustizia i responsabili della sua morte e delle gravi ingiustizie che aveva subito. Tutto questo mi ha anche portato a riconsiderare le mie scelte editoriali ma sappiate che avrete sempre la mia stima ed il mio affetto. “.
Rick alzò il calice davanti a sé “Ma questa deve essere una serata d’allegria per questo voglio brindare: a Kate che mi ha seguito fin qui” la donna abbassò lo sguardo abbozzando un sorriso “ai nuovi amici che ho incontrato” Jane gli alzò il bicchiere di rimando “e a Cindy”.
Tutti alzarono il calice e risposero al brindisi, quindi un applauso chiuse il discorso dello scrittore Richard Castle.
 
Ore 10:20 p.m.
Dopo un meraviglioso filetto alla Wellington e diversi assaggi di vino, le donne decisero di fare due passi nel giardino, scortate da Rigsby e Cho.
Jane ne approfittò per sedersi vicino a Rick.
“Bel discorso amico, assolutamente degno della tua fama”.
“Troppo smielato?”
“No! Beh, forse un po’, ma è stato apprezzato”.
Rimasero qualche minuto in silenzio a godersi l’aria della sera.
“Patrick, devo parlarti.” Si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia “Sono molto felice d’averti conosciuto e sai che cercherò, per quanto mi sarà possibile, di rispettare i tuoi desideri.” Jane sapeva che dietro quella premessa c’era qualcosa che preoccuva il suo interlocutore. “Ma devi promettermi che non ti metterai nei guai e non farai qualcosa di tremendamente stupido di cui potresti pentirti”. Castle lo fissò prima di proseguire.
“Ti ho visto in quella cantina, ho visto i tuoi occhi, la tua rabbia, la tua sete di vendetta. Non eri più tu, Teresa mi ha raccontata di averti fermato mentre stavi per superare il limite. Promettimi che non lo farai.”.
Jane lo guardava senza dire una parola, sapeva che si stava riferendo a Red John.
“E’ come se in te convivessero due persone, una è la persona che ho seduta di fronte a me stasera, brillante, solare, affascinante, è l’altra è quella che ho visto laggiù. Jane, cosa ti succede? La vita ti sta dando una seconda occasione, non gettarla al vento per seguire una sciagurata distorsione della giustizia o farai esattamente il suo gioco”.
Castle cercava una risposta che in realtà era molto difficile dare.
“Dopo che la mia famiglia è stata sterminata, ero arrivato sull’orlo della follia. Mi ero costruito faticosamente delle certezze, avevo una casa, delle persone che mi amavano ma ho perso tutto così, da un giorno all’altro. Volevo solo morire e raggiungerle. La mia presunzione aveva causato tutto quel dolore. Poi ho trovato una ragione per la quale vivere: uccidere Red John. “Fece una pausa per trovare la forza di continuare, anche in quel momento il suo volto si era trasfigurato “Tu cosa faresti se  qualcuno riducesse tua figlia in un lago di sangue?”
Castle rabbrividì al pensiero per il terrore “Probabilmente vorrei strappargli il cuore dal petto mentre sta ancora respirando”.
L’altro annuì “Già, un’ottima idea”.
“Poi però penserei anche a Kate e al dolore che le darei. Si deve pensare alla pace dei vivi tanto quanto a quella dei morti”
Jane ripensò alle volte in cui era tornato nella sua villa, in quella stanza con solo un materasso buttato in un angolo, ed il simbolo di Red John alla parete, a tutte le notti passate insonni a rivivere la scena di quel giorno.
“Anche io sono felice di averti incontrato, ma non posso farti nessuna promessa in particolare, comunque cercherò di non deludere nessuno”.
Castle capì che quello era il massimo che poteva ottenere da Jane in quel momento.
“Almeno cerca di chiamarmi, per qualsiasi cosa tu abbia bisogno”.
Lui annuì grato, da tempo non incontrava una persona così autentica, gli porse la mano, l’altro gliela strinse senza riserve.
 
Ore 11:00 p.m.
Teresa e Kate erano sedute vicine al tavolo parlando del prossimo trasferimento della detective a casa del suo scrittore, che nel frattempo stava intrattenendo Cho, Van Pelt e Rigsby con i racconti delle loro avventure con i ragazzi del dodicesimo distretto.
La parte del giardino  vicina al porto era stata liberata ed alcune coppie ballavano sulla musica di  sottofondo. La gente si divertiva, ed il brusio, per quanto non eccessivo, ne era il segnale.
“Kate, hai visto dove si è cacciato Jane?”
“Sì, guardalo, è là in fondo vicino agli alberi. Sta arrivando.”
Jane stava percorrendo la distanza che lo separava dal tavolo con la faccia di chi la sapeva lunga.
“Cos’hai combinato?”.
Lui le fece la faccia offesa “Perchè pensi sempre che ci sia qualcosa sotto?”.
Lisbon gli rispose semplicemente guardandolo di sottecchi.
La loro squadra rise alla scena e Rick commentò “Prima che inizino a scatenarsi i fulmini è meglio che inviti la mia musa ad un ballo”.
“Ti ho già detto mille volte di non chiamarmi così!”.
Castle si limitò a porgerle la mano che la sua donna, dopo aver scosso la testa, prese.
Rigsby e Van Pelt li seguirono a ruota iniziando a loro volta a muoversi a tempo di musica.
Jane notò che Lisbon li stava osservando con lo stesso sguardo sognante di prima e non aspettava altro che scattasse la sorpresa che le aveva preparato. In quel momento si sentì il bip dei messaggi in arrivo del suo cellulare, si era dimenticato di metterlo sul silenzioso.
Lo tirò fuori per controllare ed il suo sguardo si fece torvo, rilesse l’unica parola del messaggio, il nome del mittente, memorizzò il numero che era comparso, poi cancellò il tutto.
“Problemi Jane?” gli chiese Lisbon leggendo l’espressione sul suo viso.
“No, non preoccuparti, solo un messaggio pubblicitario della compagnia telefonica” disse lui spegnendo il telefono e rimettendoselo in tasca con un sorriso.
La canzone era finita e Rigsby tornò con la sua dama al tavolo “Non è vero! Non ti stavo pestando i piedi!”
“Oh, sì, invece. Ci puoi giurare” rise allegra Van Pelt.
“Bene, allora vieni con me” disse Cho alzandosi “ e tu guarda e impara” fece al compagno prima di trascinare di nuovo Grace sulla pista. Gli altri sorrisero alla scena perchè non era solito per Cho lasciarsi andare in quel modo.
Castle e Beckett stavano ballando stretti in silenzio, erano una bella coppia e ogni tanto si scambiavano qualche sorriso. Lui le avvolgeva la vita con il braccio e teneva la mano di Kate stretta nella sua vicino al petto.
“Sono davvero fortunati quei due” osservò Rigsby. Lisbon lo fissò sorpresa.
“Insomma hai sentito come si sono incontrati. Quante possibilità ci sono che succeda?”
“Già” commentò lei con un tono un po’ amaro.
Jane la scrutava, ricacciò la preoccupazione nel profondo dei suoi pensieri dicendosi ‘No, non questa sera’.
Una musica conosciuta iniziò a suonare, facendo affluire ancora più coppie sulla pista . Teresa la riconobbe fin dalle prime note, era “More than words” degli Extreme.
Guardò Jane che alzò con noncuranza le spalle rispondendole “So che ami questa canzone”. Si alzò e allungò la mano verso di lei.
Già in un’altra occasione aveva ballato con lui su quella musica, quasi un anno prima, dopo la chiusura del caso a Rancho Rosa, quando gli aveva confessato che quella era una delle sue canzoni preferite quando era al liceo.
Come in quell’occasione prese la sua mano ed andò con lui al centro delle altre coppie, che l’abbacciò delicatamente, sostenendola, e le fece appoggiare la testa sulla sua spalla.
“Jane, lo sai che dobbiamo parlare”
“Si, ma per stasera voglio solo stare su questa nuvola rosa” le rispose all’orecchio. Il suo respiro era caldo e sentiva il profumo del dopobarba nelle narici. Riusciva addirittura a sentire il calore del suo petto attraverso la camicia ed i suoi respiri calmi.
“Ok” gli rispose spostando leggeremente la testa fino a sfiorare la sua guancia.
Probabilmente Jane non si sarebbe mai comportato in quella maniera su avesse saputo di essere osservato da altri rispetto agli invitati della festa.
Castle si volse e sorrise facendo cenno a Beckett “ Guardalo quel testone!”
“Beh, forse si darà una mossa. Stanno veramente ben insieme”.
“Non lo so, sono preoccupato per lui.”
“Non farlo, in fondo, non può succedergli nulla con Richard Castle che gli guarda le spalle”.
Il suo compagno la guardò alzando il sopracciglio.
“Ok, con noi due che gli guardiamo le spalle”.
“Lo sai che ti amo, vero?”.
“Eh, no mio caro, questo ti costerà molto di più!” disse lei rimettendosi appoggiata al suo petto a ballare.
Castle sussurrò solo “Temo che avrai ragione”.
 
 
 
 
  
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