Il suo corpo rimbombava a quel rumore silenzioso.
L’aveva sentito solo lui.
Più andava avanti più era forte.
Era in quello stato perché l’eco dell’ultimo non si era ancora spento.
L’ultima speranza crollava. L’ultima di tante.
Il cuore aveva rallentato i suoi battiti, colpito da quella lacrima, frantumato.
Stava stringendo quel pezzo di carta convulsamente, lo stava stracciando stordito da quel rumore, non capiva… Non capiva più nulla.
Non distingueva più le lettere, prima stavano tutte e 26 nella sua testa e adesso vedeva solo un foglio bianco…
Buummmm…
Un’altra lacrima lo scosse…
L’aveva vista.
L’aveva vista sul serio.
La ventisettesima lettera.
Così accecante da fargli lacrimare gli occhi, così bella da commuoverlo.
Era rimasto incantato dalla bellezza di quello che aveva letto.
I suoi occhi l’avevano vista.
Ora era cieco. Le 26 lettere che avevano accompagnato i suoi pensieri, che stavano sui fogli così scure, a dare forma alle immagini della sua mente erano sparite.
Buummmm…
A metà racconto si erano dimezzate: ormai non era neanche sicuro di averle usate tutte, quelle lettere.
Mirava, mirava alla capacità di usare la ventisettesima lettera, l’unica capace di commuovere. L’unica che togliesse ogni dubbio.
L’unico che rendeva una storia un capolavoro…
Buummmm…
Aveva scritto, si, qualcosa. Ma non era più convinto di avere usato così tante lettere.
I suoi racconti sembravano ora senza vocali, ora senza consonanti.
La ventisettesima lettera.
Aveva capito che lui non aveva quel dono, quello di saper usare l’ultima lettera.
Quella del sentimento.
Copie lontane della prime 26 lettere, niente di più.
Lui non aveva quel dono.
Buummmm…
Si esprimeva a gesti nella sua scrittura. Ecco.
Non aveva quel dono…