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Autore: Vandel    30/06/2012    4 recensioni
iniziano le avventure di un giovane ragazzo di 19 anni che per forza di cose è stato inserito nel mondo del giallo e dei polizieschi diventando lui stesso, quasi senza accorgersene, un ottimo detective da far invidia persino a quelli più esperti. dal passato oscuro, che verrà svelato man mano, Lucas dovrà affrontare grandi problemi personali insieme a suo cugino Eric e ad un agente di polizia di nome Dwane. siamo solo all'inizio del mito...
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Il paesaggio correva veloce fuori dal finestrino, così tanto che i colori si mischiavano fra loro dando l’impressione, agli occhi di chi guardava, che fossero una grande macchia informe. Un ragazzo, che era seduto su quel treno, guardava fuori dal finestrino. Era abbastanza alto, capelli neri leggermente lunghi e indossava una maglietta sportiva e dei jeans. Il suo nome era Lucas Attinori e aveva sempre odiato i treni, soprattutto i viaggi su di essi che era obbligato a fare. In particolare quello, che avrebbe cambiato la sua vita per sempre, una volta arrivato dove doveva arrivare. Gli eventi che erano successi quel giorno, lo avevano sconvolto. Se ripensava a quello che era successo, ancora stava male. Ed ora avrebbe cambiato vita. A dire la verità, l’ignoto lo spaventava un po’. Decise di scacciare quei pensieri che lo tormentavano, con una passeggiata. Lentamente si alzò e chiedendo permesso al signore seduto di fronte a se, arrivò alla porta. L’aprì e uscì nel corridoio. Si stiracchiò, poi cominciò a camminare per il corridoio del treno. Arrivò alla porta della sala mensa e vi entrò.
Trovò una sedia ad un tavolo libero e si sedette, guardando dal menù, cosa ci sarebbe stato per pranzo. Poi alzò gli occhi. Nella stessa stanza, vi era un po’ di gente. Al tavolo davanti al suo era seduto un uomo a occhio e croce sulla trentina, con capelli neri e un vestito dello stesso colore scuro. Più avanti, una coppia stava consumando il proprio pranzo. La donna indossava un alto cappello di colore blu che lasciava fuoriuscire una cascata di capelli di colore rosso scuro, mentre l’uomo portava un completo elegante con tanto di cravatta. Sul tavolo di destra invece, sedeva un signore anziano, che non smetteva un attimo di fissare la coppia. Lucas si chiese il perché, poi decise che non erano affari suoi e si concentrò sull’ordinare qualcosa.
Chiamò dunque il cameriere e ordinò il pranzo. Aveva fame, era dalla sera prima, quando era partito, che non aveva mangiato niente. Semplicemente non aveva potuto, e ora la pancia si faceva sentire, contrariata.
“Un ragazzo solitario” esclamò il tizio davanti, voltandosi verso Lucas “sei forse scappato di casa?” l’uomo sorrideva con aria provocatoria. Il ragazzo da prima lo ignorò, poi lo fissò con aria seccata al che l’uomo si voltò di nuovo.
“Si faceva tanto per dire!” urlò l’altro alzando le braccia al cielo.
Poco dopo, il cameriere tornò dalle cucine con due piatti in mano. Uno lo sistemò al tavolo della coppia di signori e l’altro lo portò a Lucas.
“Grazie mille” esclamò il ragazzo congedando il cameriere che sorrise prima di sparire di nuovo nelle cucine. Lucas guardò il suo pranzo. Sembrava invitante!
“Papà, ti dispiace aprire il finestrino, grazie” sentì improvvisamente dire alla donna del secondo posto. Senza dire niente, l’uomo anziano si alzò dal posto e sollevò a fatica il vetro della finestrella sopra il suo posto. Ora Lucas capiva! L’anziano signore era il padre di lei, ecco perché fissava la coppia! Bè, mistero risolto, era ora di mangiare. Il ragazzo avvicinò la forchetta alle labbra ma fu interrotto ancora un volta. Stavolta fu l’uomo della coppia ad alzarsi. Prese il piatto che gli aveva portato precedentemente il cameriere e lo porse al vecchio.
“Padre, gradisce qualcosa da mangiare?” sorrise.
“Non chiamarmi così! Non ne hai il diritto!” esclamò burbero il vecchio, afferrando violentemente il piatto e iniziando ad addentare il panino contenuto.
L’uomo tornò con lo sguardo basso al suo posto, deluso e consolato dalla moglie.
“Sai che mio padre è fatto così, non prenderla a male…” gli sussurrò lei.
L’uomo seduto davanti a Lucas si voltò di nuovo e sussurrò: “Strani davvero non trovi?!”. Poi sorrise e si rivoltò. “Mai quanto te…” pensò fra se il ragazzo iniziando a mangiare. Voleva uscire al più presto da quel vagone di matti prima di ritrovarsi in un conflitto familiare. Aveva appena ingoiato il primo boccone che l’uomo anziano urlò, facendolo saltare per la paura.
Era un urlo innaturale, quasi strozzato. Il vecchio si contorceva su se stesso toccandosi il collo con le mani. Subito i presenti in sala passarono sull’attenti: l’uomo non fingeva!
“Papà!” urlò la donna schizzando verso di lui per sorreggerlo. Ma era troppo tardi. Gli occhi vitrei dell’uomo, persi in un punto qualsiasi dell’infinito erano indicatori di una sola cosa: quell’uomo era deceduto! Le urla della donna percorsero tutto il treno. Il marito non riusciva a muoversi dal suo posto, paralizzato. Lucas lasciò la forchetta. Oggi non era proprio giornata per mangiare!

Il gelo era caduto nel vagone. Ormai nessuno osava fiatare. Si sentivano solo i singhiozzi della donna che riempivano l’aria, già elettrica e colma di paura. Un uomo era morto proprio sotto gli occhi dei presenti e nessuno si era accorto di niente. Quello bastava a spaventare chiunque.
Il ragazzo che era seduto davanti a Lucas si alzò, dirigendosi alla porta.
“Nessuno dovrebbe lasciare il luogo del delitto prima dell’arrivo della polizia!” ricordò Lucas quasi come fosse un promemoria. Tutti gli sguardi si concentrarono sull’uomo che voleva lasciare la stanza. Quello si bloccò e poi, tornando indietro esclamò seccato: “Volevo solo andare in bagno!”. Poi si mise seduto al suo posto.
Nel frattempo il cameriere era sopraggiunto, sentendo le urla, ed era rimasto fermo sulla porta della cucina, paralizzato. Le lacrime ininterrotte della donna gli facevano presagire il peggio, che era poi ciò che era successo realmente.
“D-devo f-fermare il treno…” balbettò timidamente il cameriere.
“No” esordì Lucas alzandosi dal posto “il treno deve continuare la sua corsa, o l’assassino fuggirà! Chieda piuttosto se c’è un poliziotto sul treno”.
“Assassino? Ma cosa stai dicendo?” si alzò anche l’uomo seduto davanti a lui, con aria severa. Lucas però non si fece intimorire e continuò: “Nessuno si sarebbe mai suicidato usando del veleno, non trova?”.
“Del…veleno…?!” la donna strabuzzò gli occhi. Lucas allora si avvicinò a lei e le fece segno di scansarsi dal corpo. “Le labbra, sono violacee. Il tipico colore di avvelenamento da cianuro.” Spiegò. Era vero! Le labbra dell’uomo erano viola.
Tutti ora guardavano quel ragazzo che aveva dimostrato grande personalità in un momento tragico come quello.
Poi Lucas si alzò in piedi. “Il mio nome è Lucas Antimori, ho 19 anni e abito a Milano, ma sto per trasferirmi a Roma, per motivi personali” iniziò fissando i presenti. Dopo attimi di silenzio, l’uomo che sedeva davanti a lui, continuò: “Il mio nome è Dwane Edveens, ho 24 anni e viaggio da Milano a Roma per lavoro”.
Chi l’avrebbe mai detto che proprio lui avrebbe capito?! O forse non voleva mostrarsi con qualcosa da nascondere. Seguirono ancora attimi di silenzio, poi la donna ruppe il silenzio: “Perché…perché ci stiamo identificando?!” chiese temendo la peggior risposta. Risposta che invece arrivò fredda come il ghiaccio, da Lucas: “L’assassino è uno di noi e io medito di scoprire chi è prima dell’arrivo!”.
Tutti sgranarono gli occhi.
“Identificatevi, non ho voglia di restare chiuso in una stanza con un assassino!” continuò anche Dwane “a meno che non abbiate qualcosa da nascondere, s’intende”. Poi sorrise debolmente suscitando il nervoso degli altri. Lui che era proprio il primo sospettato, almeno per Lucas.
“Non abbiamo nulla da nascondere!” disse contrariata la donna “il mio nome è Dafne Acroid e lui è mio marito Joahn Acroid…noi…eravamo in…viaggio di nozze”. Le lacrime che sembravano essere cessate, ripresero più copiose di prima mentre la donna si copriva il volto con le mani. Il marito, quel tale Joahn, si avvicinò a lei e l’abbracciò.
“Ora tocca a lei, signore” disse Lucas guardando il cameriere.
“I-io?!” si meravigliò quello.
“Mi sembra ovvio, no?” rispose Dwane mettendo i piedi sul tavolo “lei ha portato il piatto, può aver messo il veleno in ogni momento nella pietanza!”.
Il cameriere assunse un espressione sconvolta per essere tra i sospettati. Lucas si portò una mano a grattarsi il mento, mentre guardava il piatto del pover uomo deceduto. Il panino che stava mangiando era quasi finito. Che il veleno fosse stato messo nel cibo era da escludere! Quel piatto era destinato al signor Joahn Acroid, seduto dalla parte opposta, era impossibile prevedere che l’avrebbe offerto al suocero. Non poteva essere stato il cameriere, ne tantomeno qualche cuoco, sarebbe stato un azzardo. Non avrebbero potuto prevedere chi sarebbe morto.
“Sono Alfred Miller, lavoro sul treno come cameriere ormai da molto tempo e…” “Basta così, grazie” interruppe Lucas, reputando comunque inutile quella presentazione. il ragazzo si avvicinò al corpo a terra dell'uomo e si inginocchiò accanto a lui. Sollevò le braccia dell’uomo e gli guardò le mani. Come sospettava! Sulle dita dell’uomo c’era del veleno. Ecco come si era intossicato.
“Stai inquinando la scena del delitto!”. Lucas saltò spaventato alle parole di Dwane, che gli era arrivato vicino.
“Hai ragione, meglio allontanarsi…” sorrise il ragazzo alzandosi e dirigendosi al tavolo dov’era seduto l’anziano signore.
Controllò dappertutto ma non trovò tracce di veleno da nessuna parte. Dove accidenti poteva averlo preso quel veleno? La cosa sicura era che avesse toccato con le dita sporche di cianuro il panino che poi si era mangiato, avvelenandosi. Ma se il veleno non era sul tavolo…allora…ma certo! la finestra! L’uomo aveva alzato la finestra! Forse è proprio lì che…Lucas superò il corpo e salì sulla sedia dove era seduto l’uomo, poi guardò la finestra alzata. Non c’era la maniglia, qualcuno l’aveva tolta con la forza dati gli evidenti segni di scasso. Forse per costringere chi volesse aprirla a toccare il fondo del vetro. Lucas guardò sotto alla base del vetro. Il veleno era lì, come sapeva!
“Chi ha chiesto al signore di aprire questa finestra?” chiese poi Lucas tornando al suo posto.
“Sono stata io…faceva caldo” rispose la donna “C’è qualche problema?”.
“Nessuno, ora però vi pregherei di sedervi tutti” disse Lucas fermandosi davanti al corpo dell’uomo anziano “vorrei dirvi chi ha ucciso questo poveretto!”.
Un brivido corse per la schiena dei presenti. Poi cadde il gelo per tutto il vagone ristorante.
“Cos’è, hai visto troppi polizieschi?” stuzzicò Dwane serio “vorresti dire che hai capito chi di noi è l’assassino?”.
“Ebbene si” sorrise sicuro il ragazzo.
“Per favore, preferiremmo aspettare la polizia all’arrivo” esclamò il cameriere.
“Si, infatti!” interruppe bruscamente il signor Joahn, spingendo la moglie verso l’uscita “siamo tutti scossi, ora porto mia moglie a riposarsi in camera”.
“Per eliminare anche l’ultima prova, signor Acroid?” quest’ultima frase di Lucas, paralizzò tutti “perché è stato lei, signore, ad uccidere suo suocero!”.
Dafne Acroid strabuzzò gli occhi gonfi di lacrime.
“Stai attento ragazzino!” invenne l’uomo, fermo sulla porta.
“Hai detto che c’è una prova, qual è?” disse pure Dwane, facendo per alzarsi. Lucas aveva attirato l’attenzione su di se. Era il momento giusto!
“Il viaggio è ancora lungo, prima vorrei spiegare come ci sono arrivato, se non vi dispiace!” esordì indicando la finestra “il veleno era lì, e non nel cibo, come qualcuno ha voluto far pensare!”.
“Perché avrei dovuto mettercelo proprio io!? Perché non un qualsiasi altro passeggero?!” urlò ancora di più Joahn, volendo forse intimidire il ragazzo, che però, continuò imperturbabile: “Mi sembra che nessuno di loro lo conosca. Tu e tua moglie siete gli unici a poter avere un movente per ucciderlo”.
“Come poteva prevedere che la finestra fosse aperta proprio da lui? Questo è un vagone ristorante pubblico, può entrare chiunque” suggerì il cameriere, fermo sulla porta della cucina. Lucas scosse la testa. “I sospetti su di lui non fanno che aumentare a questo proposito. Se per esempio chiedo alla signora Dafne chi ha voluto sedersi sul lato sinistro, lasciando volutamente il posto destro al padre cosa risponde? Ha persino scambiato il suo panino con il signore, dato che doveva usare le dita sporche per mangiarlo e avvelenarsi”.
La donna, accanto al marito, sgranò gli occhi. “Sono…sono stata io…a chiedere di aprire la finestra a mio padre…” balbettò timidamente la donna, sconvolta dagli eventi. Lucas aveva una risposta anche a questo: “lo ha fatto a sua insaputa, signora. È stata condizionata da suo marito che probabilmente, ma solo lei potrà confermarlo, era da tempo che si lamentava di avere caldo. Personalmente l’ho visto sventolarsi con la mano e sbottonarsi leggermente la camicia. Sbaglio forse?”.
Joahn Acroid si coprì con una mano la camicia sbottonata.
“Nessuno di noi sentiva caldo, perché non faceva caldo. Non serviva aprire la finestra, però suo padre doveva farlo!” continuò Lucas sorprendendo tutti i presenti.
“Condizionamento psicologico?” si meravigliò Dwane.
“Mi dispiace, signora Acroid…” sussurrò poi, Lucas.
“Sono Dafne Johnson da ora!” disse la poveretta, sconvolta, divincolandosi dalle braccia del marito. “Dafne, aspetta!” provò a urlare l’uomo, sempre più nervoso “non hai prove, ragazzino!”.
“E invece una ne ho, ed è nascosta in camera sua!” non si fermò Lucas “come far toccare il veleno al suocero e a nessun altro? Basta togliere la maniglia subito dopo la colazione, quando qui non c’è nessuno e arrivare per primi a pranzo, a prendere i posti. Senza maniglia bisogna alzare la finestra prendendola da sotto il vetro, lì dove c’è il veleno. La signora…Johnson, può confermare che suo marito è venuto qui solo tra la colazione e il pranzo?”.
Quando Lucas finì di parlare non servì aggiungere altro. Era chiaro che la maniglia era la prova e si trovava nella stanza dell’uomo.
“Mi tormentava! Non accettava che potessi sposare sua figlia e mi tormentava dal giorno in cui ti conobbi. Non ne potevo più…dovevo eliminarlo una volta per tutte! Per noi!” urlò Acroid cercando forse un motivo “Maledetto ragazzino! Maledetto!” fece per gettarsi su di Lucas con l’orgoglio a pezzi, scoperto proprio da un ragazzino, e con gli occhi rossi d’odio. Ormai era una bestia senza ragione alcuna.
A due passi dal ragazzo, l’uomo fu immobilizzato da Dwane, che, con un abile mossa, lo stese a terra.
Lucas si lasciò cadere stremato al suo posto. Era distrutto. Troppe emozioni, troppi pensieri quel giorno. Il campanello che sanciva l’arrivo del treno in stazione, fu una vera liberazione.
 

  
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