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Autore: taisa    30/06/2012    5 recensioni
Questo è l’evento che cambierà la vita di Crilin per sempre.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: 18, Crilin | Coppie: 18/Crilin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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THE ONLY REASON
 

La calura estiva in una giornata di fine agosto sembrava non voler lasciare scapo a chiunque si trovasse a doverne affrontare l’afa.
Crilin non faceva eccezione, ma i suoi pensieri erano altrove, legati a qualcosa che andava al di là della temperatura. Erano passati già tre mesi, dal fatidico Cell Game, e il piccoletto sembrava essere scivolato in uno strano coma. Poteva muoversi, respirare e, si presumeva, pensare. Tuttavia non sembrava intenzionato a fare nulla di queste cose. Si era lasciato scivolare sul proprio futon, al centro della grande sala al pian terreno della Kame House e guai ad alzarsi da lì. Fissava il soffitto con aria sbigottita e un po’ stupida. Normalmente si poteva attribuire la sua mancanza di reazione al caldo, ma la cosa non pareva fattibile.
Tartaruga aveva, inizialmente, supposto che si trattava del suo strano modo di manifestare il proprio lutto. Aveva perso quello che era il suo migliore amico, mesi prima. Normale, pensò l’animale quando per la prima volta vide l’amico stravaccarsi in una posizione a stella sul futon senza impensierirsi di farlo sparire in uno degli armadi nella piccola casetta situata in mezzo al nulla.
Il tempo era trascorso e Tartaruga si era spesso fermato ad osservare quella strana mancanza di vitalità senza riuscire ad individuarne la causa. Crilin era una persona molto attiva, soprattutto se paragonata all’altro padrone di casa. Fino all’inizio, circa, di maggio si era sempre alzato di buon mattino, spendeva le prime ore per qualche esercizio fisico per poi sparire dentro la doccia. Alla sua ricomparsa si metteva ai fornelli per preparare una colazione decente a lui e al suo maestro, che al contrario scendeva dalla sua stanza, al piano di sopra, a metà mattina per poi dedicarsi ai suoi hobby. Da un po’ di tempo non faceva nulla di tutto ciò. Si limitava ad aprire gli occhi, fissare il soffitto e restarsene lì, come in quel momento, come un sacco di patate. Tartaruga si domandò quando fosse stata l’ultima volta che aveva liberato il parquet dal suo letto.
Col passare dei giorni, delle settimane e dei mesi, la teoria della tristezza dovuta alla definitiva dipartita di Goku era andata affievolendosi. Ok, erano grandi amici, avevano un ottimo rapporto, ma non tanto da rendere il piccoletto una specie di vegetale. Goku era già morto una volta e anche Crilin aveva già affrontato l’aldilà in un paio d’occasioni. A parte una mera mancanza psicologica non poteva essere nulla di più. In fondo non c’era l’ignoto ad aspettare il Saiyan, ma amici che anche dall’altra parte lo stavano aspettando a braccia aperte.
No, aveva infine concluso la testuggine, c’era qualcosa di diverso a turbare il guerriero dalla bassa statura. Cosa fosse rimaneva un mistero, sebbene la voglia di sapere stava facendo impazzire l’animale marino.
Quel che Tartaruga non sapeva era che presto lo avrebbe scoperto.
 
Il giorno in cui la verità venne a galla era un’uggiosa giornata dei primi di settembre. La pioggia batteva con decisione sui vetri con insistente regolarità. La casetta sembrava tremare ad ogni fulmine che illuminava con violenza il cielo, mentre il mare minacciava seriamente di sommergere quella minuscola costruzione.
Non era un’intimidazione casuale o priva di fondamento. Era già captato di dover difendere la casupola dalle onde troppo alte e dall’eccessiva forza con la quale l’acqua che li circondava s’infrangeva sull’isolotto.
Nonostante questo nessuno degli abitanti sembrò realmente preoccuparsene, infondo era anche vero che si trattava di eventi piuttosto rari.
Crilin, che di solito era il primo a porsi la domanda “Reggerà?” preoccupandosi di far in modo che ciò non accadesse, era ancora una volta riverso sul pavimento come un piccolo cetaceo arenato sulla spiaggia. Quel giorno era rovesciato su un fianco, le mani congiunte e infilate sotto la testa pelata che per la prima volta da anni presentava qualche capello che aveva avuto la forza, e l’opportunità, di crescergli in testa. Anche alla barba era toccata la stessa sorte, ma lui parve non notarlo. Lo sguardo era rivolto verso la finestra, senza che la vedesse realmente.
Muten, al contrario del suo allievo, sedeva a pochi passi dalla televisione, intento a seguire il suo programma preferito. Inutile dire che si trattava di una lezione d’aerobica tenuta da una ragazza dai lunghi capelli ricci e castani in un attillato vestito giallo limone che poco lasciava all’immaginazione e, indubbiamente, l’inventiva dall’eremita delle tartarughe di mare aveva colmato tutte le eventuali mancanze.
In mezzo tra i due, Tartaruga sembrava essere l’unico ad avere un interesse qualsiasi per gli eventi del tempo. La sua testa dondolò verso la porta, poi si scostò su Crilin, infine andò alla ricerca di Muten. In quel frangente si domandò se il maestro del ragazzo si fosse mai accorto del malumore che aveva afflitto il giovane. Necessitò di appena un paio di secondi per ricordarsi che tale eventualità era da escludere. Scrollò il capo con disappunto, la testuggine, per poi sbuffare rassegnato. Era sul punto di dire qualcosa, di dare finalmente sfogo a tutte le domande che gli frullavano nella testa, quando venne interrotto dal lieve bussare alla porta.
Uno sguardo rapido da ambo le parti per comprende che nessuno dei due si sarebbe mai mosso. Roteò gli occhi in un esagerato gesto teatrale, prima di trascinarsi con forza verso l’uscio. Le sue zampe anteriori lo aiutarono a portarsi a destinazione, sollevando una di esse appoggiandola sul pomello della porta. Il gesto non era certo senza sforzo e Tartaruga ringraziò di esserne abituato.
Quando la soglia si aprì si trovò al cospetto con una figura nera, completamente coperta da una specie di impermeabile. Gli fu impossibile identificare l’identità del visitatore. Se era qualcuno di conosciuto o sconosciuto. Il cappuccio che indossava la figura ne copriva il volto. Il cielo nero non era certo d’aiuto, né tantomeno il lampo che toccò terra da qualche parte alle spalle del misterioso individuo, rendendolo solo una sagoma nera per poco più di un secondo.
Tartaruga ne ebbe un certo timore reverenziale. Come se il suo istinto animale gli suggerisse di chiudere la porta al più presto possibile e fingere di non essere in casa. Ma non fece nulla del genere. Fissò la persona davanti a sé ancora per un momento, prima di chiedere timidamente “Sì?”, sperando inconsciamente di non ottenere risposta.
E così fu, almeno per un tempo indeterminabile che sembrò durare in eterno. La persona al suo cospetto, evidentemente, sembrava avere dei dubbi o un qualsiasi ripensamento. Un orologio immaginario ticchettava in sottofondo, scandendo lo scorrere dei secondi. Poi, all’improvviso quello parlò “Crilin”. Era una donna.
Come se fosse appena stato colpito da una saetta in piena testa, il diretto interessato scattò sull’attenti, mettendosi a sedere sul posto. I suoi neuroni avevano appena ricominciato a funzionare e Tartaruga non ebbe nemmeno il tempo di vederlo mentre si alzava per avvicinarsi alla porta. Il povero animale fu scalzato dal suo posto, slittando sulle gambette scivolose per qualche metro sul pavimento.
Crilin osservò la donna incappucciata che si era presentata alla sua abitazione come se stesse guardando una specie di miraggio. La bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite. Dovette convincersi che non era un sogno, che lei era lì davvero e che non stava diventando pazzo.
Un altro folgore scosse il cielo alle spalle della visitatrice e lui si accorse, forse per la prima volta, che stava piovendo. “Ah, ma tu sei tutta fradicia!” esclamò mortificato, forse per non averla fatta entrare prima all’interno della casupola. Si scostò di lato e le fece cenno di entrare, aprendo anche la zanzariera esterna. Lei esitò ancora per un secondo, lo fissò in silenzio come se stesse rivedendo la sua decisione di volare fino a lì. Entrò.
“Se vuoi farti una doccia calda ti do dei vestiti puliti da mettere” si affrettò a dire l’ospitante additando vagamente le scale che portavano al piano superiore. “Così, mentre ti lavi, posso prepararti una zuppa calda, ti va?” Crilin stava parlando tutto d’un fiato. Ogni frase sembrava non avere un inizio e una fine, solo qualcosa di molto intenso al centro. Era sempre così quando era nervoso, e mai come in quel momento lo era stato.
Si precipitò verso gli scalini e ne salì i primi due. Poi si fermò per guardarsi alle spalle. “Torno subito, tu mettiti comoda. Ti preparo la doccia e vado a cercarti degli abiti” senza attendere alcuna risposta, senza sapere se l’invito era stato colto o meno, il ragazzo si precipitò al piano superiore con una velocità che era fuori dal comune, persino tra i super guerrieri.
Lei rimase all’ingresso, fissando il punto in cui lui si trovava un secondo prima, suscitando, tra le altre cose, la curiosità di Tartaruga. Muten, invece, continuava a fissare la televisione dimenticandosi del mondo.
 
Crilin entrò velocemente in bagno e con lo sguardo ne constatò lo stato. Era davvero un disastro!
Esasperato e in preda al panico si mise le mani tra i capelli, scoprendo di averli lasciati crescere solo in quel momento… oh no! Si era fatto vedere da lei così?
Sentì l’imbarazzo impadronirsi di tutto il corpo. Sentì il proprio viso farsi rosso, poi porpora. Sentì lo stomaco contorcersi come se fosse un nido di serpenti.
Si precipitò davanti allo specchio e ciò che vide gli fece gelare il sangue. Barba e baffi incolti, capelli che avevano iniziato a spuntarli sul capo solitamente pelato. Boxer con un pessimo tema di disegni e una canottiera vecchia e logora che indossava solo quando si rintanava in casa e non aveva intenzione di farsi vedere da nessuno!
“Argh! Che vergogna!” esclamò parlando con la propria immagine riflessa. Che cosa gli era successo? Perché la casa era così disordinata? Perché non si era premurato di pulirla come faceva di solito? Ma soprattutto, perché si era fatto vedere così da lei?!
“Maledizione, maledizione, maledizione!” mormorò a denti stretti cercando con lo sguardo il rasoio.
A tempo di record era pulito, rasato e con indosso abiti presentabili. Si era impedito di infilarsi uno smoking solo per non apparire esagerato… o disperato. Aveva rimediato con una camicia abbastanza bella da indossare in una serata con gli amici, ma inadatta per un presunto colloquio di lavoro. Sullo stesso stile si era cercato un paio di jeans che seguivano il principio.
Usando la supervelocità, una volta ripulito se stesso, fece splendere il bagno e il corridoio, sperando che nessuno entrasse nella camera del maestro Muten perché quella non voleva toccarla. Poi si precipitò in uno dei grossi armadi in corridoio alla ricerca di qualcosa da regalare alla sua ospite. Rovistò per un tempo che parve infinito, persino alla velocità con la quale si muoveva lui. Dopo poco cominciò a perdere le speranze di trovare qualche abito femminile. Possibilmente dimenticato da Lunch, o lasciato lì da Bulma quelle volte che era passata a trovarli per brevi periodi. Quasi si augurò che Chichi avesse abbandonato qualche abito dopo la veglia del marito malato.
Infine li scorse. Un po’ nascosti nel fondo del grosso guardaroba c’era una scelta relativamente vasta di vestiti da donna. Non si ricordava a chi appartenessero, ma ringraziò che il maestro non li aveva individuati. Forse per quello erano ancora lì, intonsi. Tirò un profondo sospiro afferrandone quanti riuscì a caricarne e li portò in bagno. Li piegò con quanta cura era capace e li abbandonò lì. Avrebbe scelto lei quali indossare.
Tornò da basso, ma prima di scendere le scale si fermò. Respirò profondamente, cercando di non mostrare di essere agitato come un ragazzino alla sua prima partita di baseball ufficiale. Chiuse gli occhi, li riaprì, infine scese le scale ostentando tutta la nonchalance che non aveva.
La ritrovò dove l’aveva lasciata, come se non avesse nemmeno respirato dal momento che lui era sparito. Inutile dire che quella fu solo un’impressione, infondo a lei cosa importava se Crilin era o no presente in una stanza?
“Vieni, da questa parte” le disse, sentendo il proprio cuore battere nel petto. E lui sperò vivamente che non gli schizzasse via, non finché c’era lei lì.
Ancora una volta la sua ospite sembrò rifletterci. Non disse una sola parola e parve valutare se poteva fidarsi o meno di quel piccoletto dal sorriso nervoso e dalla parlantina svelta e impacciata. In quel momento scoprì che quel modo un po’ irrequieto di fare le suscitava una qualche simpatia. Era abituata a persone che potevano e volevano tutto allo schiocco di dita. O, al contrario, persone che tremavano per paura. Ma lui non era nessuna delle due cose. Aveva abbastanza modestia per non pretendere e abbastanza coraggio da alzare la testa. Se tremava, in quel momento, non era per panico, ma per qualcosa che non riuscì ad identificare. Decise di seguirlo.
La condusse nel bagno, la istruì sul funzionamento della doccia, sempre con quella parlantina svelta che stava cominciando ad apprezzare. Le promise di impedire a chiunque di avvicinarsi, ma se voleva bloccare la porta… Quella frase le parve un po’ strana, ma non ci fece troppo caso. Poi sparì, lasciandola nuovamente sola.
 
Quando si guardò attorno, dopo averla accompagnata e accomodata, Crilin scese, accorgendosi del disastro in cui versava il piano inferiore. Se non li avesse appena rasati, probabilmente si sarebbe nuovamente messo le mani tra i capelli. L’aveva lasciata lì, per cinque minuti, in quel casino, mentre lui ripuliva il piano superiore.
Ahhhh! Perché non era stato più solerte negli ultimi mesi? Maledizione!
Come aveva fatto in precedenza ripulì l’intera casa e ringraziò che il programma che stava guardando Muten sarebbe durato ancora per un po’. Almeno non si sarebbe avvicinato al bagno…
Finì di riordinare sotto gli occhi sempre vigili di Tartaruga, che nel frattempo cominciava a comprendere la natura della sua precedente apatia. Successivamente si precipitò ai fornelli. Non era un ottimo cuoco, ma se la cavava. Questo voleva dire che, in genere, i piatti che cucinava erano commestibili, ma avevano sempre qualche magagna. Bruciati, scotti, mal bilanciati, mal amalgamati, troppo amari, troppo dolci, eccetera. Poteva andare avanti per molto tempo ad elencare tutte quelle piccole cose che non lo rendevano lo chef dell’anno. In quel momento avrebbe voluto telefonare a Chichi per avere qualche dritta. Lei sì che in cucina era un vero genio. Dovette però rinunciare, per motivi di tempo e perché, si ricordò, la vedova del suo amico aveva altre cose per la testa in quei mesi. Tuttavia si ripromise, un giorno, di chiederle qualche ricetta.
Nonostante le premesse, Crilin ci mise tutto l’impegno di cui era capace. Ci mise l’anima per far in modo che, ciò che stava cucinando, non avesse pecche.
Il tempismo di C18, tra l’altro, non poteva essere più perfetto. Lei scese proprio mentre la zuppa calda era stata decretata pronta. Come se non bastasse, in quel preciso momento Crilin sentì l’eremita spegnere il televisore. Per evitare che la incrociasse con lo sguardo, non volendo rovinare forse l’unica occasione della sua vita per poter anche solo rimanere nella stessa stanza con lei, si affrettò ad accompagnarlo al piano di sopra. Sorprendentemente fu aiutato da Tartaruga che insieme a lui fece di tutto pur di preservare l’immagine del ragazzo. Muten sembrava sospettoso e molto incuriosito, ma non riuscì a scorgere la bella cyborg che era improvvisamente apparsa in casa sua. Inoltre fu sedotto da alcune riviste di dubbio gusto che gli furono sventolate davanti al naso come si fa con una carota e un asino che non ha alcuna intenzione di muoversi.
Crilin tirò un sospiro di sollievo quando udì la porta chiudersi con un tonfo. Solo allora si girò a guardare la bionda, che nel frattempo aveva preso posto attorno al tavolino accanto alla finestra, dove lui le aveva apparecchiato un posto. Le sorrise.
La trovava bellissima con quegli abiti, ma immaginò che lei potesse somigliare ad una specie di miracolo anche con un paio di orridi stracci. Sospirò il più silenziosamente possibile, lei lo stava fissando.
“P… perché non mangi? Non hai fame?” le chiese travolto da una pessima sensazione. I cyborg mangiavano? Aveva forse commesso una delle sue stupide gaffe? Si sentì goffo e impacciato, per non dire profondamente stupido. Avrebbe voluto sprofondare nelle onde che fuori continuavano ad imperversare. E mentre pensava a un modo per fare ammenda, si ricordò di Bulma e di ciò che scoprì il giorno in cui le portò i progetti del cyborg 17 direttamente dal laboratorio del creatore. Umani per la maggior parte, macchine per tutto il resto. In teoria erano in grado di fare qualsiasi cosa poteva fare una persona “normale”. E allora?
C18 scostò lo sguardo sul tavolo, sul piatto colmo fino all’orlo, poi in un punto non meglio definito sul pavimento. “Mangia con me” quelle furono le prime parole che disse da quando era entrata in quella casa e le pronunciò con notevole disagio. Crilin giurò che in quel momento l’aveva vista arrossire.
Tuttavia, se il piccolo ometto poteva avere fame fino a un secondo prima, ora lo stomaco si bloccò con un nodo talmente stretto da fargli dubitare che sarebbe mai riuscito a scioglierlo. Non sarebbe riuscito a convincerlo ad accettare una sola briciola, né in quel momento né in un qualsiasi altro nel futuro.
Nonostante ciò si precipitò verso la cucina, si riempì un piatto e aggiunse un posto a tavola proprio di fronte a lei. La guardò negli occhi e, con un sorriso, le disse “Buon appetito” aspettando che s’interessasse lei per prima al proprio pasto.
C18 esitò ancora per un secondo. Osservò il cucchiaio accanto alla ciotola e, dopo qualche reticenza, decise di afferrarlo. Per la prima volta da quando si ricordava si porse il problema del cibo. Da che rammentava era sempre stata un cyborg e da quando era una specie di robot non aveva mai avuto bisogno di mangiare. Quel pazzo di uno scienziato aveva creato lei e suo fratello a batteria illimitata e, essendo cibo fonte di energia, non era affatto necessario. Della sua vita precedente non aveva reminiscenze. Cosa mangiava? Cosa le piaceva? Cosa non la deliziava? Aveva mai assaggiato una zuppa calda? L’aveva gradita? Tutte queste domande, presumibilmente, non avrebbero mai avuto una risposta. Scoprì, però, che potevano essere riscoperte.
Con un po’ di timidezza portò il cucchiaio alla bocca, assaporando la zuppa forse per la prima volta nella sua vita e in quel momento le sembrò la cosa più buona del mondo.
Alla prima boccata, Crilin, si accorse subito della pecca celata in quella pietanza… il sale! Dannazione, quanto ne aveva messo! Era terribilmente salato e quasi impediva di assaporare il vero piatto. Ne fu nauseato. Stava quasi per alzarsi e urlare, implorando perdono per la sua inadeguatezza, per aver rovinato tutto. Per non essere all’altezza delle sue aspettative.
“È buono” sussurrò appena percettibilmente lei, costringendo il ragazzo a congelare i suoi pensieri. C18 non lo stava nemmeno guardando, restando china sul piatto e lui riuscì perfettamente ad immaginarsela. Le gotte leggermente imporporiate da un certo imbarazzo e gli occhi color del ghiaccio che fissavano altrove per il timore di fissarlo.
“D… davvero?” farfugliò sbigottito l’umano, schiudendo le labbra come mai gli era capitato. “Cioè… ti piace?” volle assicurarsi, sperando di non aver preso un abbaglio. Forse stava impazzendo.
18 annuì appena e sul volto di Crilin si accese un sorriso talmente ampio da arrivare alle orecchie. Si sarebbe messo a saltare per la stanza se, così facendo, non si sarebbe reso orribilmente ridicolo. S’impose di restare seduto, di non muoversi e di portare nuovamente il cucchiaio alla bocca, impedendosi quindi di dire qualcosa che lo avrebbe fatto pentire.
Era al settimo cielo!
 
C18 era rimasta anche per la notte. Non si sa come, Crilin era riuscito a convince Muten a cedere la sua stanza per una sera, trascinando il futon del vecchietto al piano inferiore, situandolo accanto a quello dell’allievo. Più faticoso ancora era stato tenerlo alla larga da lei, soprattutto dopo che riuscì a vedere che genere di bellezza aveva messo piede in casa sua. Il piccolo pelato lo pregò con tutte le sue forse di non avvicinarsi, ma alla fine bastò l’identità della giovane a dissuaderlo. Almeno per ora il pericolo era scampato. Chissà per quanto sarebbe durata quella tregua. Ma Crilin non se ne preoccupò, immaginando che, una volta smesso di piovere, lei sarebbe nuovamente sparita e non l’avrebbe mai più rivista. Certo, gli sarebbe piaciuto che potesse rimanere lì per sempre, ma doveva essere realista. Lei era di una bellezza abbagliante, mentre lui era un nanetto impacciato e senza naso. Senza dubbio C18 aveva una fila di spasimanti tra cui scegliere, perché avrebbe dovuto scegliere lui?
Quel pensiero gli faceva male, ma era la realtà e doveva accettarlo. L’importante, si disse più che convinto, era che lei fosse felice. Chi era il fortunato era irrilevante. Doveva solo essere sicuro che si trattasse di un uomo che non la riverisse come una regina, no. Piuttosto doveva venerarla come una dea, perché era ciò che si meritava. C18, ne era sicuro, aveva sicuramente passato l’inferno dopo essere diventata una mezza macchina, e forse anche prima. Spesso continuava a chiedersi come doveva essere prima, ma alla fine decise che non erano affari suoi, cercando di scacciare quel pensiero.
Chissà come stava dormendo al piano superiore, stesa sul futon di scorta, nella camera silenziosa di Muten. Era sveglia? Stava guardando le stelle? Dormiva? Sognava? Cosa sognava?
Crilin, quella sera, non era stanco e non riusciva assolutamente a prendere sonno. Continuava a rigirarsi come se fosse tarantolato, in preda alle convulsioni. Dopo l’ennesimo giro aprì gli occhi con un profondo sbuffo, fissando per un momento il soffitto. Fu in quel momento che si accorse dell’ombra statica accanto al suo letto. Si voltò velocemente scoprendosi a fissare la ragazza che, immobile, sembrava essere lì da un po’. C18 indossava solo la parte superiore del pigiama che le era stato gentilmente procurato e sembrava aver dormito poco. Da quanto tempo è lì? Si domandò inevitabilmente Crilin, forse un po’ inquieto.
Lei si mosse, solo quando ebbe la certezza che lui si era svegliato e che l’aveva vista. Si chinò accanto al suo viso e, in un orecchio, gli sussurrò “Seguimi”, per poi allontanarsi verso le scale, sparendo dietro il muro senza aspettare alcun responso.
Crilin inarcò un sopracciglio senza nascondere la sua sorpresa. Osservò il piccolo orologio che, giorno per giorno, sistemava accanto al proprio futon. Erano le due e zero sei. Lanciò uno sguardo al maestro, per assicurarsi che dormisse e, la posa contorta accompagnata dal rumoroso russare, gli suggerì che era in coma profondo. Scostò, un po’ titubante, il lenzuolo; decidendo finalmente di raggiungerla.
Il cuore gli palpitava all’impazzata e si chiese davvero se era sveglio o se faceva tutto parte di uno strano sogno. Silenziosamente salì al piano di sopra, percorse i pochi passi che lo separavano dalla porta che dava alla camera da letto, scoprendo che l’uscio era rimasto aperto.
Dimenticandosi di respirare posò la mano sulla manopola, aprendo l’uscio e immergendosi nell’unica stanza della casa dalla quale proveniva un po’ di luce. Si guardò velocemente attorno, notando C18 seduta nell’angolo più lontano. Le lunghe gambe nude erano piegate, permettendole di poggiare il mento sulle ginocchia. Le braccia stringevano i polpacci con tanto vigore da rasentare la timidezza, l’insicurezza. In quel momento Crilin ebbe la certezza che lei aveva qualcosa d’importante da dirgli, ma non sapeva come fare. Così, con tutta calma, l’ometto passeggiò lungo la parete opposta, sedendosi nell’angolo parallelo a quello da lei occupato. Incrociò le gambe e si afferrò le ginocchia. Attese.
Crilin indossava soltanto i boxer, questa volta senza stupidi disegni. Faceva troppo caldo, nonostante la pioggia, per potersi infilare un top o dei pantaloni. Gli occhi ghiacciati di lei lo fissarono con una tale intensità da sembrare di fuoco.
Non ci aveva mai pensato, si ritrovò a constatare. Quel piccoletto era un guerriero, sebbene non fosse all’altezza dei suoi amici. Chissà da che età aveva cominciato ad allenarsi. Sei, sette anni? Forse più giovane, forse più vecchio. Fatto sta che tutti quegli anni che aveva impiegato a fare piegamenti, esercizi base e quelli per intensificare il proprio ki erano visibilmente scolpiti sui suoi muscoli. D’accordo, non poteva fare il modello, a causa di tutti quei piccoli difetti fisici, ma in quanto atleta era indubbiamente dotato. Si scoprì molto imbarazzata da quei pensieri e desiderò non averli mai fatti. Distolse lo sguardo, sentendo gli occhi di lui, dalla gentilezza infinita, fissarla con pazienza e curiosità. Non le stava mettendo fretta come se sapesse già quello che stava per chiedergli, nonostante ciò non era possibile.
“Perché l’hai fatto?” gli chiese infine cercando di non prestargli troppa attenzione, sebbene pendesse dalle sue labbra. Crilin inarcò perplesso un sopracciglio, poi scrollò le spalle. “Perché eri fradicia e ho supposto che avessi fame e che…” “No, non quello” lo interruppe, e lui tacque. “Perché hai espresso quel desiderio?” ora tutto fu più chiaro.
Crilin sentì nuovamente di essere in imbarazzo, ma si scoprì piuttosto a suo agio, benché la risposta che stava per darle era tutt’altro che facile. Si prese un po’ di tempo, passò in rassegna i tatami sul pavimento col solo sguardo, ed infine decide che aveva bisogno di dire ad alta voce anche a lei qual era la vera ragione. “Beh… perché io ti… cioè, tu… insomma…” fece una pausa, riordinò le idee, ricominciò. “Io sono innamorato di te” tornò a fissare il pavimento di pagliuzza, tirando qualche filo sporgente come se fosse il momento perfetto per dare una ripulita al tatami. Non osò guardarla.
“Perché?” chiese nuovamente lei, dopo un po’. Solo allora lui si azzardò a fissare la dea. “Che cosa?” domandò di rimando visibilmente confuso. Quegli occhi di un azzurro così limpido da sembrare vetro restarono su di lui. “Perché ti sei…” “Innamorato di te?” concluse lui, ora più alleggerito da quella dichiarazione. C18 annuì. Crilin si toccò la guancia sinistra con delicatezza, osservando oltre lei, oltre il tempo, risvegliando un ricordo vecchio di qualche mese. “Perché quando mi hai baciato ho capito che non eri cattiva perché volevi esserlo, ma solo perché non ricordavi come non esserlo” si sentì nuovamente un po’ stupido, tuttavia fu contento di aver sputato ciò che era la realtà. Qualcosa che nemmeno lui stesso aveva capito e si domandò se per lei era solo un pazzo delirante o se invece quel qualcosa aveva un senso. Decise di continuare “Senti, non importa il perché. Io voglio solo che tu viva una vita come tutti gli altri. Deve essere orribile sapere che qualunque cosa si faccia c’è una bomba nel proprio corpo. Così ho pensato che tu, e tuo fratello, sarete più felici senza… quella cosa. Ecco tutto”.
C18 non si ricordava che sensazione dava sentire i battiti del cuore propagarsi nel proprio corpo, ma quando le successe, lì in quel momento, per un attimo ebbe paura. Non ne capì la motivazione e sinceramente non le interessava più di tanto. Sapeva solo che, se lui era riuscito a rimettere in moto quell’unico muscolo che non era più in grado di usare, allora aveva appena trovato l’unica buona ragione per restare.
Si alzò, notando l’espressione delusa e forse un po’ preoccupata di lui, probabilmente temendo che intendesse abbandonare l’isolotto. Ma lei, con grandi passi percorse la stanza da un muro all’altro, poggiò le spalle alla parete e si lasciò scivolare al suolo, accanto a Crilin.
Il piccoletto restò a fissarla con la bocca aperta, domandandosi cosa, di preciso, era appena accaduto. La guardò attentamente, fissando ogni particolare della sua figura, dai capelli dorati agli occhi limpidi. Dai seni non esagerati nascosti sotto il largo pigiama. Dalle lunghe gambe nude che tornarono a raggomitolarsi. Alle sue dita, piccole e sottili, ma abbastanza forti da incutere terrore.
Crilin sorrise dolcemente, afferrandole una mano quasi con paura di superare una certa linea di confine, oltrepassando dei paletti che lei aveva silenziosamente messo attorno a sé. Con sua grande sorpresa C18 non lo scacciò. Osservò con la coda dell’occhio le dita di lui per qualche secondo, poi le strinse perché voleva che lui non la mollasse più.
E in quel momento Crilin capì, lei era la sua dea.
 

FINE

 
 
Strano ma vero ho avuto il tempo e l’ispirazione allo stesso momento!
Spero sia di vostro gradimento almeno. ^^
  
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