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Autore: IShallWearMidnight    19/01/2007    11 recensioni
La Tokyo di oggi. La città che incarna i sogni e le speranze di molti, giovani o adulti che siano. Che invece, quando ogni faro effimero si è spento, non rimanga che il buio? Che, dietro alle vicende quotidiane che attraversano ogni giorno, un gruppo di adolescenti ben noti nascondano dentro di sé disillusione e disgusto? Ancora una volta, non avere nulla. Ancora una volta, non essere schiavo di nessuno. Ancora una volta, non avere legami. Ma vivere semplicemente per la tua vita è possibile se, quando chiudi gli occhi, qualcosa o qualcuno bisbiglia dal passato, o forse dal presente? O forse non puoi ignorare quei frammenti che ti trapassano il cuore, provenienti da quello specchio rotto che è il passato? La vita, alla fine, è davvero solo un inutile e disperato tentativo di resistenza?
@Iniziata la revisione dei capitoli. Capitoli rivisitati: 1/6, 11/13, 30/39@
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cho Hakkai, Genjo Sanzo Hoshi, Nuovo Personaggio, Sha Gojio, Son Goku
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 49 - Swamped

Capitolo 49 - Swamped

 

“Allora? Sei pronto?”
Shinobu socchiuse leggermente la porta del bagno, sbirciando dentro. In quel momento, una chioma rossa si agitò nell’aria, mentre Gojyo si asciugava il volto con un asciugamano.
“Sì, sì”, mugugnò il rosso facendo scivolare la testa dentro una t-shirt nera.
Che noia!”, si lamentò la ragazza addossandosi all’intelaiatura della porta. “Solitamente non è l’uomo che è tenuto ad aspettare i comodi della ragazza?”
Per tutta risposta, Gojyo spalancò la porta e le spruzzò in faccia del dopobarba. “Fammi un fischio quando inizierai a comportarti come tale, allora, azzurrina!”. Shinobu strepitò, facendosi indietro e strofinandosi gli occhi. “Sei un…”
“Lo so, lo so ♥”, cinguettò il ragazzo caricandosela sulle spalle. “Sono un gran bel figo e tu sei pazza di me. Ora però andiamo, azzurrina, che ghiacciolo al limone lì bestemmierà contro i nostri parenti di settima generazione, se arriviamo in ritardo”
…io stavo per dire ‘testa di cazzo’.
E’ la volta buona che lo faccio fuori.
E smettila di chiamarmi azzurrina!

E, continuando a tenerla in spalla con un braccio e recuperando borse, chiavi e quant’altro con l’altro, aprì la porta fischiettando e la richiuse dietro di sé con un calcio.
Ignorò ancora una volta il fastidioso mal di testa che lo opprimeva ormai da giorni.
 
“Che ti prende? Ti vedo distratto”.
Stranamente, infatti, nel tavolo regnava
la tranquillità più assoluta. Si sarebbe potuto definire un pacifico incontro di un manipolo d’amici al bar, più che una delle loro solite uscite del sabato sera: rissa verbale di biondo e rosso; tentativo di rappacificamento del moro; punzecchiamenti in grado di peggiorare la situazione da parte della castana; altra rissa verbale.
Al contrario, Goku, quasi annoiato, si sorbiva un’aranciata, scambiando di tanto in tanto qualche parola con Shinobu e Hakkai. Aveva l’aria più compassata e adulta rispetto a qualche giorno prima, tanto da far venire i brividi a Gojyo, le cui facoltà intellettive per un istante erano state annullate da visioni poco caste e molto disgustose riguardo a lui e il biondo, visioni che la sua fertile immaginazione non aveva mancato di creare. Un primo accenno di discussione aveva riguardato i commenti sul nuovo look di Shinobu: entusiastici da parte di Goku, che si accorgeva solo in quel momento del cambio di colore dei capelli della ragazza (nonostante si fossero già visti il giorno prima, pensò Shinobu: ormai la dabbenaggine di Goku non era più messa in discussione da nessuno), perplessi da parte di Hakkai e Gojuin, mentre Gojyo, dal canto suo, l’aveva definita ‘eccitante’ già al primo momento in cui si erano incontrati, poi aveva preso a chiamarla ‘azzurrina’. In quel momento, Hakkai chiacchierava tranquillamente con Gojuin, di università probabilmente, rivolgendosi di tanto in tanto a Sanzo o a qualcun altro per inserirlo nella conversazione. Ormai era iniziato il tanto temuto rush finale: la primavera successiva, lui e gli altri tre ‘veterani’ si sarebbero diplomati, e avrebbero intrapreso vie differenti. Per la verità, nessuno avrebbe scommesso contro la loro ammissione all’università prescelta (il discorso non valeva per Gojyo, ovviamente, le cui idee riguardo al suo futuro erano praticamente nulle).
Il biondo, per una volta senza le sue solite sopracciglia corrucciate, sorseggiava in pace il suo primo drink, rispondendo ad Hakkai quando questi gli rivolgeva qualche domanda. Oh, non che naturalmente il suo carattere avesse subito un qualche minimo cambiamento: anzi, aveva apostrofato i due ritardatari con epiteti che avrebbero fatto svenire qualunque brava vecchietta transitante di lì per caso, come d’altronde era stato profetizzato.
Gojyo, dal canto suo, continuava a portarsi il suo bicchiere di vodka lemon alle labbra e, dopo averlo appena piluccato, lo riabbassava, guardandosi intorno con aria distratta. Dopo la prima decina di minuti di totale noncuranza, Shinobu aveva avvertito l’assenza della sua voce, concentrandosi quindi prima sul suo volto, poi nelle immediate vicinanze alla ricerca di eventuali belle ragazze la cui vista avesse avuto il potere di ridurlo al mutismo più totale.
Il rosso era quasi sobbalzato, addirittura, quando l’aveva apostrofato, quindi aveva concentrato la sua attenzione su di lei, aveva sorriso, e aveva risposto: “Nulla. Solo un po’ di mal di testa”.
“Ah”, commentò semplicemente Shinobu, inclinando lievemente la testa di lato con fare indeciso. La sua mano andò a cercare, sotto il tavolo, quella che Gojyo teneva poggiata sul ginocchio. Ma ebbe appena il tempo di sfiorarla, che il rosso la portò al bicchiere senza nemmeno guardarla.
La conversazione continuò più o meno tranquillamente (escluso un pugno di Sanzo ai danni del povero Goku, colpevole di aver ordinato il quinto doppio hamburger), almeno finchè Shinobu, dopo aver chiesto a Gojyo se volesse ordinare qualcos’altro ed essersi sentita rispondere con l’ennesimo mugolio, si era alzata dal tavolo di colpo.

“Vado a prendermi un altro drink”, si giustificò allontanandosi nervosamente.

Pochi minuti dopo, era appoggiata al bancone con un Martini alle labbra. Naturalmente l’aveva ottenuto, così come solitamente tutti gli altri, solo grazie alla conoscenza di Gojyo del barista e di chi lavorava nel locale. In quanto minorenne, non le sarebbe toccato nemmeno un Aperol.
Era dannatamente irritata. Quando avrebbe capito, quell’idiota, che lei risentiva subito del suo nervosismo, per quanto tentasse di dissimularlo? Per quanto ancora doveva ostinarsi a tener tutto dentro quando qualcosa non andava per il verso giusto? E per quanto ancora lei si sarebbe irritata, pur sapendo benissimo che quella era l’indole di Gojyo, che lei lo accettava così, e che non sarebbe mai cambiato?
“Ehi”

Toh, forse si era vagamente accorto che si era alzata dal tavolo. Impressionante, dato che per tutta la sera era stato in un mondo tutto suo.
Il rosso le passò una mano tra i capelli, avvicinandolesi alle spalle. “Scusa, ero un po’ distratto”
Shinobu sbatté le palpebre, pensierosa, mugugnando qualcosa di molto simile a ‘lasciami in pace’, ma non si mosse.
“Mi dispiace non averti dato retta, sul serio. Stasera vieni da me?”
La ragazza scosse appena la testa. Si era allontanata appositamente per lasciar defluire la rabbia. Quando si trovava in una disposizione d’animo alterata, diceva sempre qualcosa di sbagliato. Di dannatamente sbagliato.
Sentì nuovamente la voce di Gojyo, questa volta dall’inflessione ironica. “Dai, lo so che il tuo ego ha bisogno di costanti attenzioni, questa volta vuole sua signoria la principessa perdonarmi per la mia disattenzione?”

Come se fosse quello il punto. Shinobu strinse le labbra, poi si accostò il bicchiere di Martini alla bocca e lo bevve tutto d’un fiato. Sentì che il rosso le appoggiava le labbra alla base del collo, solleticandola, e cingendole le spalle. “Dai, Gojyo, non è serata…”, mormorò lei.

“Dai, principessa azzurra”, le sussurrò lui, con le labbra ancora a sfiorargli il collo. “Un paio di drink ancora e andiamo a casa mia”  
 

Ma dai, almeno fammi entrare a casa!”. Shinobu soffocò una risata divertita, tentando di aprire la porta, mentre il rosso, da dietro, cercava di sfilarle la canotta. I drink successivi non erano stati un paio, ma sette. A testa. E al settimo Shinobu aveva deciso che non le importava più così tanto se Gojyo non voleva metterla al corrente dei suoi pensieri.

“Così risparmiamo tempo!”, esclamò l’altro, con voce rotta dalle risa.

“Aspetta, ho detto!”, protestò l’altra continuando ad armeggiare con le chiavi di casa del rosso. Ma era inutile: quando partiva in quarta, Gojyo non lo fermava più nessuno. Cercando di non far cadere le chiavi, operazione resa difficile anche dalle mani che le tremavano per l’adrenalina, Shinobu riuscì ad aprire la porta e a muovere due passi dentro l’appartamento, prima che Gojyo la chiudesse con un calcio distratto, e la sollevasse quasi di peso per depositarla in camera da letto.

Una fitta peggiore delle altre alla testa, quando le portò le labbra al collo, lo costrinse a rialzarsi quasi di scatto, le mani a massaggiare le tempie.

Shinobu rialzò il busto di scatto. Alcool o no, non era ancora ridotta alla morte della ragione. “E’ la testa?”

Il rosso annuì, allungandosi sul letto, fino a poggiare la testa sul cuscino, attendendo che la fitta si placasse. Se la sentiva pulsare, al pari del cuore, contro la stoffa tesa. Sembrava incredibile, ma la fitta l’aveva colpito…

quando l’ho toccata con le labbra.

“Ehi, dove stai andando?”

“Semplice”, rispose Shinobu alzandosi dal letto. “Mi preparo ad andare a dormire. Mi sembra la cosa più stupida del mondo, far sesso mentre stai male”
“Non dire sciocchezze!”, la derise lui, prendendola per le spalle e ritirandola sul letto.

“Oh, dai, lasciami!”, si divincolò lei. “Seriamente, Gojyo. Non…”

Il rosso la puntellò con i gomiti al letto, baciandola senza darle possibilità di risposta.

 

Gojyo si muoveva con foga, come se stesse cercando di scrollarsi dalle spalle chissà quale peso. Ansimava e sudava più del solito, e la sua fronte era contratta dallo sforzo.

Lo sapevo che c’era qualcosa che non andava, si ritrovò a pensare lucidamente Shinobu, prima di perderla completamente, la lucidità, per un attimo.

Nel momento culminante dell’orgasmo, Gojyo sentì come se la testa gli si spaccasse in due. Gemette più del solito, uscendo quasi immediatamente dal suo corpo, e abbandonandosi sul cuscino, respirando rumorosamente.

Trascorse un minuto prima che Shinobu si decidesse a reagire. Si riavviò i capelli, si portò a sedere sul letto, s’inumidì le labbra.

Rimase a guardarlo ancora per un po’: il rosso le dava le spalle, i capelli scompigliati appiccicati alla schiena imperlata di goccioline di sudore.
Fece quello che qualunque ragazza preoccupata avrebbe fatto: si sporse oltre il suo fianco, portando il viso sopra il suo, e contemporaneamente allungò una mano verso le sue tempie. “Ehi”, mormorò. “Stai…”

Non arrivò nemmeno a sfiorargli la fronte. Gojyo la respinse con un repentino scatto della mano. L’atmosfera divenne improvvisamente gelida, Shinobu con la mano ancora per aria, e lui a guardarla.

Senza una parola, il rosso si alzò dal letto afferrando i boxer, e sparì nell’altra stanza.

 

Il rosso si lasciò cadere sulla poltrona, la testa che ancora pulsava, i battiti accelerati. Il suo era stato un movimento riflesso, senza alcun apparente fondamento logico: eppure, e non sapeva perché, quando Shinobu aveva allungato la mano verso di lui, aveva improvvisamente saputo che avrebbe provato un dolore terribile alla testa.

E’ illogico…è impossibile…è da pazzi soltanto pensarlo!
Però era così. Da alcuni giorni, senza dubbio.

Più il contatto con Shinobu si faceva intimo, più provava dolore.

Come se…

E d’altronde, da quando erano iniziati i sogni, si erano forse verificati fatti logici, possibili, accettabili?

“Gojyo…”

Era Shinobu. Aveva l’aria un po’ spaesata, stranita. Poggiò sul tavolino accanto alla poltrona un bicchiere dal contenuto effervescente.

“Ti ho portato un’aspirina”, mormorò sedendosi sul pavimento, alle spalle della poltrona. Poi, la sua voce incerta risuonò ancora una volta.

“Ho fatto qualcosa di male?”

Gojyo si sporse verso di lei. “No, scema! Te l’ho detto, è solo mal di testa!”

Prese il bicchiere dal tavolino, conscio che comunque non avrebbe sortito alcun effetto, e lo mandò giù tutto d’un fiato.

Shinobu non si voltò a guardarlo, nascondendo le mani in grembo. “Potrebbe essere…correlato alla commozione celebrale di Maggio? In fondo, sono passati solo due mesi…”

“No, è escluso”, la tranquillizzò il rosso. “Ho fatto un controllo di routine nemmeno una settimana fa, ed era tutto a posto…”

Però…”

Dev’essere solo stanchezza, stress…”. Le sorrise, tentando di apparire convincente. Shinobu storse il naso, aggrottando le sopracciglia. I pensieri che l’avevano attanagliata al locale, quella sera, sospinti via dall’alcool, stavano facendo nuovamente capolino. “Dai, tranquilla! Credo che stia anche facendo effetto l’aspirina che mi hai portato”
Shinobu s’inumidì le labbra, annuendo con aria non troppo persuasa.
“Ti dispiace…se dormo qui? Occupa pure tutto il letto”

“Va bene”, rispose semplicemente lei, dopo averlo squadrato con perplessità ancora una volta. Si alzò dal pavimento e s’incamminò verso la camera da letto. Si soffermò sulla soglia.

“Ehi”

Gojyo, che nel frattempo si era acceso una sigaretta, si voltò con unuhm?’ interrogativo.

“Sicuro che non c’entro io?”

“Sure”

Shinobu sospirò. “Va bene. In ogni caso, mi piacerebbe se ogni tanto mi mettessi a parte dei problemi che ti affliggono. Altrimenti, resto solo una con cui scopare”
“Ci penserò, scema”
“E chiamami subito se stai male”, concluse lei sparendo nel buio dietro la porta.


Ci stiamo avviando verso la fine.
Ci reincarneremo. Almeno, è quello che immagino. Nataku è morto, forse l’ha mormorato Tenpou, forse Gojuin, chissà. Uno dei due sicuramente, ma avevo la mente troppo annebbiata per ricordarmi chi dei due.
Eppure…

Sono scampato alla morte o è proprio a morire che sto andando?
Non lo so più.
Non so più niente…
Avverto
un’oppressione al petto.

Fitte incredibilmente dolorose.

L’ignoranza genera speranza, avevo pensato quando l’ho mandata via.

E lei l’ha fatto, mi ha sempre dato retta. Mi ha sempre seguito ciecamente.

Davvero ho sempre pensato al suo bene?

O in fondo, era al mio che pensavo, quando l’ho convinta ad accettare i suoi sentimenti per me?

Persino quando le ho intimato di seguire Konzen?

Vorrei non essere un dio, in questo momento.

Perché se non lo fossi…

…avrei qualcuno da pregare perché sia ancora viva.

 

Che strazio.

Non credo d’aver mai provato un dolore così lancinante.

Non sono le ferite, è il petto…è il cuore.

Shioka è morta.

Ha combattuto contro il Seiten, deve aver sofferto fino a prendere quella decisione. Non avrebbe mai voluto far del male a Goku, diamine! Gli voleva un bene dell’anima…
Konzen…non fatico
ad immaginare cosa dev’essergli passato per la testa. Quello stupido! Quell’idiota, lui e la sua tiritera ‘io esisto soltanto per me stesso’
Scommetto quel poco di vita che mi resta che ha protetto Goku. Non si sarebbe lasciato ammazzare in nessun altro modo.

Ci rincontreremo, vero?

Tenpou, Konzen, Goku, Gojuin…
…e Shioka.
Che testa di cazzo sono...dovrei essere sollevato, tra poche ore la mia agonia fisica e mentale sarà finita...e la mia coscienza si assopirà finchè non sarà il momento del risveglio.

Sono sicuro che ci rincontreremo. Abbiamo fatto quella promessa sotto i ciliegi, io e Goku. Ci rivedremo sotto un albero di ciliegio.
E succederà, ne sono certo.

Perché, allora, ho voglia semplicemente di urlare?

Perché vorrei annullare la mia sporca coscienza e morire qui, senza reincarnarmi, distruggere la mia anima, spaccarla, schiacciarla?

Io ho usato Shioka. L’ho amata, è vero, ma non ho saputo darle nulla, a parte quel senso di felicità effimera che abbiamo provato quei pochi giorni insieme. Oh, e la morte, non dimentichiamocene.

Mi sono aggrappato a lei per dare alla mia esistenza quella cazzo di ragione che cercavo da mezza eternità.

E dannazione, la amo ancora. Ma la verità è che l’ho usata.

Io e anche Tenpou.

Ci siamo fatti trascinare entrambi da ciò che consideravamo uno spiraglio nell’eterna immutabilità in cui abbiamo sempre vissuto.

L’abbiamo usata, abbiamo abusato dei suoi sentimenti. Io per primo…

E l’abbiamo trascinata con noi nel baratro in cui lentamente stavamo scivolando e sul cui fondo saremmo immancabilmente caduti.

 

Non mi sono mai pentito di quello che ho fatto. Mai.

Ma stavolta non posso farne a meno.

E’ una sensazione così forte che non riesco a smettere di pensare a cosa sarebbe accaduto se quel giorno non l’avessi baciata.

Se non le avessi detto che avevo bisogno di lei.

Se il giorno successivo non l’avessi costretta a fare i conti con se stessa, a scegliere tra me e una vita tranquilla.

Se non avessi fatto l’amore con lei.

Io di sicuro non sarei ancora lì a trascinarmi nel niente, io e Tenpou eravamo in una situazione precaria già da prima che arrivasse; ma forse lei non sarebbe stata con noi, a massacrare innocenti e a farsi uccidere da Goku.
Basta, non ho voglia più di pensare a niente.

La mia vita è stata un profondo buco nero, una palude: una palude di angoscia e noia da cui credevo di essere uscito grazie a lei.

Ma la verità è che non la sentivo vicina perché mi aveva tirato fuori da quel buco.

La sentivo vicina perché ci era caduta anche lei, insieme a me.

E’ troppo tardi per tirarla fuori.

Ma almeno un’ultima cosa posso fare.

Sono sicuro che ci rincontreremo.

E in quel caso…le restituirò tutto ciò che le ho strappato senza accorgermene.

Se ci unirà lo stesso sentimento che ci ha unito qui, adesso…

La lascerò libera prima che possa farle ancora del male.

Lo giuro.

  

“Merda!”

Gojyo si svegliò, madido di sudore. Si strofinò più volte il viso umidiccio, sfinito.

Quelli erano i pensieri di Kenren.

Che stronzate!

“Io non sono te, dannazione!”, mormorò a denti stretti. La testa era tornata a dolergli. Si alzò pesantemente dalla poltrona. Poi un dubbio lo colse.

Socchiuse la porta della propria camera. Shinobu era distesa sul suo letto, profondamente addormentata. No, lei non ne sapeva nulla di quella storia. E non doveva saperne nulla, diamine!

Lei non era Shioka, e lui non era Kenren. Stabilito questo, Kenren poteva andare a farsi fottere. Non aveva nessun diritto di intervenire fisicamente nella sua vita, nessun diritto di allontanarlo da Shinobu. Lui l’avrebbe protetta. Se quell’idiota di un dio non c’era riuscito con Shioka, diamine, non significava che lui non ci sarebbe riuscito con Shinobu!

Gojyo entrò nella stanza, il mal di testa che continuava a pulsare. Shinobu dormiva tranquillamente, addosso solo una sua giacca, naturalmente troppo grande per lei, di cui stringeva i lembi, il viso affondato nelle maniche troppo lunghe.

Si piegò sulle ginocchia, appoggiando il mento sul materasso. Il sonno della ragazza era abbastanza profondo, poteva vedere le sue sopracciglia rilassate e ascoltarne il respiro ritmico. Qualunque cosa potesse essere fatta, doveva farla per lei. Per quel qualcosa che andava costruendosi tra loro giorno dopo giorno. Per quel sentimento che a volte chiamavano innamoramento, ma che in realtà non sapevano nemmeno loro come definire. Se mai potesse essere definito.
Quel senso di vuoto quando Shinobu mancava.

Quel calore che avvertiva quando lei gli dormiva accanto, anche senza che si sfiorassero.
Che forse l’amore fosse solo un assuefarsi totalmente l’uno all’altra, provando però un moto di felicità ad ogni sguardo, come se fosse il primo?
Il rosso non riuscì a trattenere un sorriso, mentre allungava una mano per sfiorarle il viso. No, diamine, lei era la sua ragazza, e non c’era motivo per cui dovesse starne alla larga.
Non appena le ebbe posato una mano sulla fronte, il mal di testa si fece sempre più fastidioso. Dal sordo pulsare appena percettibile, diventò un palpitare sgradevole, quasi di onde che vanno però ingrossandosi man mano che raggiungono la riva. Intestarditosi, Gojyo allungò il viso verso di lei, e la baciò sulle labbra.

Un’esplosione di dolore in testa, simile a tanti piccoli spilli, lo costrinse ad allontanarsi.

No.

Non poteva continuare così.

Aveva bisogno di un esorcista, di uno psicologo, di un neurologo, di tutti e tre.

O meglio, aveva bisogno di Hakkai.

Fosse anche stata solo una questione di puntiglio personale, non avrebbe mollato senza lottare. Avrebbe combattuto, non di spada né di pugni, e l’avrebbe avuta ugualmente vinta.
Si recò a grandi passi in cucina, tentando di fare il minor rumore possibile. Ormai non era più tempo per confusione e sbandamento. Aveva trovato qualcosa da proteggere. Un sentimento che non voleva perdere, in special modo per ostacoli immateriali.
Si accostò al tavolo, appoggiandovi le mani. Guardò per un attimo il foglio di carta bianco che vi aveva steso, quindi prese tra i denti il tappo della penna che teneva in mano, sturandola. Rimase pensieroso davanti al foglio per un po’, poi iniziò a scrivere.

 

Esco per un po’.

Non preoccuparti, ci vediamo per pranzo.

Mi raccomando, non cucinare gli okonomiyaki, sai che li bruci sempre!
Se proprio devi, fai del riso.

Senza darmi fuoco alla casa, please ♥ e non dimenticare il sale come l’altra volta.
Chiudi bene la porta appena ti svegli, sai che non è una bella zona.

A più tardi, principessa azzurra.

Non scrisse la sua meta. Non voleva che lei lo seguisse a casa di Hakkai, appena sveglia. Non sapeva perché, ma era un problema che voleva risolvere da solo, forse poiché, paradossalmente, sapeva di non esserne responsabile eppure, contemporaneamente, di esserne l’unico colpevole.



“Tutto questo è surreale, Gojyo”, mormorò Hakkai conciliante, sedendosi sulla poltrona e stringendosi le mani l’un l’altra. Lo disse col tono di chi sta tentando di tranquillizzare qualcuno in stato confusionale, cosa che il rosso notò e non apprezzò di certo.

“Negli ultimi mesi c’è stato qualcosa che non lo fosse?”, ribatté polemico Gojyo. Il ragazzo accavallò le gambe, tirò un respiro profondo e portò il busto in avanti. “Sei l’unico che può darmi una mano, lo sai”

Il moro si portò un dito alle labbra. “Secondo me dovresti farti vedere da un medico. Aspetta un po’ di tempo, e, se il dolore non va via…”. Tacque, ma non perché non sapesse come continuare, né perché Gojyo avesse detto qualcosa. L’altro lo stava semplicemente guardando. Guardando, sì, ma…

“Hakkai”. La voce di Gojyo non era più pronta a scattare, ma morbida e asciutta. “Sei il mio migliore amico. Sei la persona che mi capisce di più. Ci sei dentro fino al collo, in questa storia. Troppo dentro per liquidare il tutto con unvai da un medico’. Mi credi così fuori?”

Hakkai sorrise. “No, Gojyo. Lo so”. L’atmosfera si rilassò. Un sorriso, sia pure più debole, comparve anche sulle labbra di Gojyo. 

“Non intendevo dire che fossi matto. Se sei matto tu, lo siamo tutti. Ma è passato troppo poco tempo dall’incidente per scartare completamente l’ipotesi che i dolori alla testa siano causati dalla commozione celebrale, lo sai”
“Lo so”, concedette il rosso con tono annoiato. “Lo pensava anche Shinobu. E, come ho detto a lei, ho fatto un controllo di routine pochissimo tempo fa. Ed era tutto a posto. Non credere che sia stato così tardo da non pensare per prima alla soluzione più banale”
Hakkai sospirò, un po’ più tranquillo. “Bene. Allora, scartato questo punto…sebbene non possiamo essere sicuri che i problemi non siano insorti dopo il controllo…” 

Gojyo lo squadrò con aria polemica.

“…raccontami di nuovo tutto, con calma e magari senza vagare per la stanza come una tigre in gabbia”. Gli indirizzò un sorrisino sagace.

“Allora”, esordì Gojyo, più calmo. “Ti ho detto poco fa…che ho mal di testa da un paio di giorni”

“Fin qui c’ero arrivato”

E che, sembra uno scherzo di cattivo gusto ma è la dannatissima realtà, il dolore…cresce d’intensità man mano che Shinobu è più vicina a me”
“Questo è il punto controverso”. Hakkai riunì le mani. “Presupponendo che sia davvero così, come potrei aiutarti io?”

Gojyo continuò a parlare per due minuti buoni, spiegando alla meno peggio ciò che ricordava delle ‘seghe mentali’ di Kenren, inframmezzando il tutto con espressioni colorite e imprecazioni furiose.

Quando gli parve che ebbe finito, Hakkai sospirò, rassegnato, lo sguardo fisso su un punto non precisato della stanza. In effetti, dall’esterno, tutta la situazione da mesi a quella parte sarebbe potuta sembrare come una psicosi di gruppo.

Va bene, Hakkai…facciamo i matti fino alla fine.

“Intanto siediti e calmati, altrimenti non arriviamo a nulla”, disse perentoriamente il ragazzo, ormai entrato nell’ottica che qualunque cosa avrebbero o non avrebbero fatto, non avrebbe avuto senso logico.
Gojyo si sedette, un po’ risollevato, ma questa volta fu Hakkai ad alzarsi e a girovagare per la stanza, le mani poggiate sui fianchi.

Dunque. Tu e Kenren condividete l’anima. I residui della sua coscienza si mettono in contatto con il tuo subconscio, e in questo modo ti mostra i suoi ricordi”
“Se vuoi tradurre in paroloni tutto quel che ti ho detto, possiamo dire così”
Hakkai annuì. “Quindi è in sogno e solo in sogno, oltre a sparuti deja-vu, che possiamo comunicare con quei frammenti che rimangono delle nostre vite passate”
“Deliziosamente romantico, sì. Ma come puoi immaginare, non posso trascorrere i giorni dormendo sperando che Kenren si faccia vivo in qualche modo, come Shioka ha fatto con Shinobu”
“Possiamo provare, però”

“Vuoi ibernarmi a tempo indeterminato?”

“Vuoi essere lasciato nel tuo brodo?”. Hakkai sorrise inquietantemente da dietro le sue lenti spesse.
Gojyo incrociò silenziosamente le mani davanti la bocca, per annunciare all’altro che sarebbe stato muto come una tomba da quel momento in poi.
L’altro riprese il discorso da dove l’aveva terminato. “E’ difficile da spiegare a parole, ma messa giù nella maniera più semplicistica possibile, e anche disgustosamente ottimista, se mi concedi, la mia proposta è che tu prenda un sonnifero e che tenti di richiamare a te la coscienza di Kenren”

“Come posso fare una cosa del genere? Kenren è un lume di coscienza nella mia testa, io un uomo in carne ed ossa che ha ben poco potere sul proprio inconscio, o vuoi dirmi che tu hai qualche risorsa nascosta che ti permetta di gestire la tua psiche?”

Hakkai sbuffò, lievemente spazientito. “Non c’è altro da fare. Non sono uno psicologo, né uno psichiatra, né uno psicanalista. Se vuoi rivolgerti ad un medico vero, fa’ pure, ma prova a raccontargli la tua storia e vediamo se non ti ricovera per schizofrenia”

Gojyo aprì le labbra per rispondere, ma non trovò nulla di convincente da dire. Incrociò le braccia, innervosito.
“Cos’ho da perdere?”

“Allora, in teoria tutto il tuo piano sarebbe un pisolino pomeridiano sul tuo divano”, concluse Gojyo accavallando le gambe e incrociando le braccia dietro la testa.
Hakkai gli porse un bicchiere d’acqua e due pillole, che il rosso prese, e si accomodò sulla poltrona. Mesi prima, mentre Shinobu agonizzava seduta al suo tavolo, aveva detto a sé stesso che casa sua, di recente, sembrava uno studio psichiatrico. , in quel momento ne aveva sul serio tutta l’aria. Paziente sul divano e medico sulla poltrona. Medico matto quanto il paziente, nel loro caso.
“Dai, Gojyo, rilassati”, mormorò con voce calma, tentando di non mettersi a ridere
.  

Il rosso chiuse gli occhi, distendendo le gambe e mettendosi più comodo. Aveva tanta voglia di ridere di sé stesso e della situazione paradossalmente ridicola in cui si era andato a cacciare. Una nuova determinazione crebbe dentro di lui al pensiero che quello che stava tentando di proteggere non era poi così ridicolo. 

La voce di Hakkai risuonò al buio.

“Pensa al niente. Svuota la mente da ogni pensiero”

Gojyo si concentrò sul suono del proprio respiro. Sentiva in lontananza, forse in un'altra camera, i rintocchi di un orologio. Ben presto il suono andò facendosi sempre più fioco, finchè ne fu così assuefatto che non lo sentì più.

La voce di Hakkai si faceva sempre più lontana. Sentiva che parlava, diceva qualcosa, ma non afferrava le sue parole, quasi fossero lucciole che sfuggivano al maglio della rete…

 

Ad un certo punto fu certo che i sonniferi avessero fatto effetto, perché non sentì più nulla di nulla.

Si sentiva galleggiare in uno spazio nero, morto: nessun suono, nessun colore, nessuna percezione.

Ebbe voglia di alzarsi in piedi, di dire ad Hakkai che era tutto inutile, ma non riuscì a muoversi. Il corpo non gli rispondeva, poteva solo ‘essere’.
Fu un lasso di tempo estremamente lungo. O estremamente breve, non lo sapeva: aveva perso la concezione del tempo. Ma era ancora vagamente consapevole di ciò che voleva dal profondo del cuore: venire a capo di quella situazione.

Non seppe quanto tempo passò, prima che il quadro della sua coscienza si scomponesse in un mosaico di immagini tra di loro sconnesse, che riusciva a visionare in parte e contro la sua volontà: un ricordo, un odore, una frase, un altro ricordo. I mosaici continuavano ad intrecciarsi in sensazioni sempre nuove, incoerenti, sfuggevoli. Come quando ci si perde tra pensieri incontrollabili nel dormiveglia, Gojyo sperimentò tutte quelle sensazioni, un unico pensiero nitido in testa: Kenren.
E finalmente, scivolò in una sorta di torpore totale.
Quando si riebbe, per un attimo fu sicuro di essersi svegliato davvero, di trovarsi davanti Hakkai seduto sulla sua poltrona.
Invece, si trovò in un luogo indefinito. Si guardava intorno un momento, e sembrava un giardino verde e rigoglioso. Se si concentrava nuovamente, adesso lo vedeva spoglio e secco. L’unica cosa che rimaneva immutabile, era un ciliegio al centro della radura, ora fiorita, ora arida: a differenza dell’ambiente in cui era piantato, le sue foglie, i suoi petali, la sua luminescenza quasi surreale non appassivano.
Gojyo scoprì di riuscire ad alzarsi. Nonostante la natura attorno a lui mutasse repentinamente, il suo corpo, più solido e concreto di qualunque altra cosa vedesse attorno a sé, gli apparteneva. Si avvicinò al ciliegio, la sua unica sicurezza in quel miraggio onirico (ma davvero lo era ancora?).
E lì vide Kenren.  

Continua…



 

Non so che dire…

Se non che mi sto quasi commuovendo.

E’ il penultimo capitolo. Il penultimo, capite?

ç_ç
Con Rebirth se ne va una parte della mia giovinezza.

No, ok, la smetto coi melodrammi XD

L’ho iniziata che ero una tenera sedicenne. L’ho postata che andavo per i 17. Finisco di postarla che ho quasi vent’anni.

Un travaglio, un traguardo, tante soddisfazioni.

Sì, soddisfazioni che mi vengono da tanta gente che l’ha apprezzata, che mi ha sempre fatto sentire la sua presenza, che…

Non so che altro dire.

Grazie a tutte voi.

 

Chibimiao:LO SO non posso che essere io” Eh moglie, tutte credo ci saremmo voltate facendo commenti (e non solo *uh uh uh uh* ) sul bel fondoschiena di Sanzo! Avrebbe avuto un bel daffare con noi…
Per la fine della “grande opera (*rotola con modestia*) non manca tanto…anzi…
cappellaiomatto: Come vedi, il capitolo 49 è uscito relativamente presto rispetto allo stacco 47/48…questo perché mi è tornata alla grande la voglia di scrivere! Shinobu con i capelli strambi vorrei proprio vederla anch’io, ma le mie capacità artistiche sono pressoché inesistenti ç_ò e non me ne vanto.

PoisonApple e Kairi: E in effetti pensavo proprio a voi quando scrivevo la scena di Goku e Sanzo *rotola* …Sapete che siete le mie lettrici più ‘datate’? Non nel senso di vecchie ovviamente ^O^ ma riguardando i commenti mi accorgo che siete state con me fin dai primissimi capitoli…grazie!
Kialinus: Le Marlboro rosse sono le uniche sigarette che fumo, quando capita ^^ proprio perché quando le vedo penso immediatamente a Sanzo! Trovassi le Hi-lite…anzi, no, meno male che non le trovo…altrimenti morirei di tumore ai polmoni…
►Black: Amante cara *_* lieta di aver trovato un tuo commentino…e lieta che il capitolo ti sia piaciuto! La parte 3x9 è quasi finita, purtroppo…e dico quasi perché ci sarà un siparietto alla fine che vedrà coinvolti tutti…
►Francesca
Akira89: Finora non si era mai lamentato nessuno, ma dato che qualcuno l’ha fatto reputo sia il caso, per il rispetto di tutti, di mettere VM18 la fanfiction. C’è una ragione di fondo per cui non l’ho fatto finora: la fanfiction inizialmente era molto ingenua e ‘infantile’, ma dato che sono  

anni che la scrivo lo stile è cambiato radicalmente. Prima EFP permetteva di mettere VM18 i capitoli ‘caldi’, cosa che avevo fatto con quelli incriminati, ma adesso non è più possibile…conto di metterla sotto il rating giusto dopo averla finita e revisionata. Grazie per essere passata ed avermi dato un tuo parere! ^^/

Melchan: Guarda…che dire oltre a quello di cui abbiamo abbondantemente parlato su msn e che ho ribadito sul blog? Grazie mille di tutti i complimenti…auguro una lettrice come te a ogni scrittore di fanfiction

►Sanzina89: Quello che ho detto a Melchan vale anche per te ^^ vi sono davvero grata per l’entusiasmo dimostrato, non credo di meritarmelo appieno (e la mia non è falsa modestia…sono la prima a lodarmi quando credo che sia giusto). Grazie mille!

Duff: Eh sì, la lettrice più vecchiotta di tutte credo sia proprio lei! *rotola e scappa* Grazie mille per i complimenti, amica ottosa!

Lyla: Benvenuta ^^ grazie di aver letto e commentato Rebirth! Spero di avere una tua opinione anche degli ultimi due capitoli…

 

 

Parliamo un attimo del titolo di questo capitolo: Swamped.

Swamped è una canzone dei Lacuna Coil. Una canzone che stavo ascoltando al momento di scrivere il capitolo.

Swamped vuol dire ‘palude’. La palude in cui Kenren crede di aver trascinato Shioka.

Swamped vuol dire ‘inondato’. Gojyo, dai sentimenti di Kenren. Kenren, dal senso di colpa.
Nel prossimo capitolo ringrazierò tutte coloro che hanno letto e che hanno commentato, che mi hanno fatto sentire in qualche modo la loro voce. Se avrò da postare qualche special, divertente o meno, sui personaggi di Rebirth, lo farò nel mio blog: http://kappasakurapage.altervista.org

Se, infine, avete qualche domanda da pormi…qualcosa che ho dimenticato di precisare da qualche parte, qualche curiosità che vi viene in mente…di qualunque tipo…non esitate a chiedere nelle recensioni. Risponderò a tutto in calce al prossimo capitolo o, eventualmente, nel mio blog stesso.
Ancora grazie a tutte voi. Ci vediamo presto nel cinquantesimo e ultimo capitolo di Rebirth.

 

 

   
 
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