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Autore: Lady Of The Flowers    05/07/2012    3 recensioni
Non aveva voglia di parlare, preferiva farsi gli affari suoi; in fondo, lui aveva sempre odiato il caos.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                              Colori vividi e sussurri



                                                                                                                                               It’s the best thing that you ever had,

                                                                                                                                   The best thing you have had has gone away.


Dominic stava male, interiormente e psicologicamente, seduto su quel divanetto di pelle nera, la musica a rimbombargli nel cervello, nelle arterie e nelle vene insieme ai litri di alcool ingurgitati come fossero semplice acqua fresca.
Il dolore poteva diventare sempre più pungente di quello, così chiuse gli occhi e cercò di pensare alla cosa più bella che gli fosse mai capitata. E tra tutte le cose, tra tutti i sogni realizzati, gli occhi incontrati, i corpi abbracciati e le labbra sfiorate, gli apparve Matt, tanto vero e perfetto che gli venne quasi voglia di alzare una mano per toccarlo di fronte a sé. Immaginare Matthew, però, era tanto facile quanto doloroso, essendo lui il motivo di tutto quel malessere.
Era stato di sicuro la cosa più bella che gli fosse mai capitata, la migliore in assoluto, ma era anche quella che gli era sfuggita, così, da un momento all’altro, era quella che desiderava con tutto sé stesso, ma che non poteva avere.
Ma alla fine è sempre così, ciò che si desidera con tutto il cuore è ciò che di più inarrivabile possa esistere.
Mandò giù un groppo di quelle che sembravano essere lacrime pronte ad uscire e, dopo essere barcollato malamente fuori da quel locale, si accese una sigaretta.
Il fumo, in quell’ultimo periodo, sembrava essere diventato la sua unica ragione di vita, un qualcosa a cui attaccarsi per non cadere giù.
                                                                                                                                            


                                                                                                                                            Don’t leave me high, don’t leave me dry.



«Mi stai innervosendo, smettila.» brontolò Chris, seduto affianco a Dom nei posti dietro, sulla macchina che avrebbe dovuto accompagnarli all’hotel.
«Di fare che?» rispose il biondo, continuando imperterrito a tamburellare sul vetro del finestrino, alternando in sequenza ritmica mignolo, anulare, medio, medio, indice, indice, medio, medio, anulare, mignolo.
Il bassista, dopo aver emesso un ringhio di rabbia, si allungò e lo fermò lui stesso.
«Di fare questo.» disse. «Di fare l’isterico. Stai fermo, cazzo.»
Dom incrociò le braccia al petto, mettendo il muso. «Non mi fate più fumare, ho il nervoso addosso e non so come scaricarlo.»
«Ultimamente sei sempre nervoso.» constatò Chris.
«Appunto. Quindi datemi le mie dannate sigarette e vedrete che mi calmo.»
Una risatina si fece strada dai posti anteriori. Matt estrasse dalla tasca del giubbotto il pacchetto di Marlboro del batterista e lo lanciò all’indietro. «Tieni, drogati.» disse, divertito.
Il biondo sbuffò indispettito, ma, finalmente, dopo giorni di agonia, si accese la sua prima sigaretta, trattenne il fumo all’interno della gola per un attimo – per assaporarlo – e poi lo buttò fuori. Chris subito si lamentò, iniziando a tossicchiare in modo spasmodico.
«Io ho smesso e dovresti farlo anche tu. E se per piacere mi facessi il favore di aprire quel cazzo di finestrino e buttarlo fuori, il fumo, invece che in faccia a me, lo gradirei… Ecco.» Sibilò il bassista.
Dom sospirò – sopportare il suo amico e collega, quel giorno, gli veniva quasi impossibile - e abbassò il finestrino: una folata di vento lo colpì in pieno viso come un schiaffo.
Adorava la sensazione del vento contro il corpo, gli dava l’impressione di essere libero, di non dover essere legato a nulla, a nessuno.
Appena finita la sigaretta e buttato il mozzicone, tornò a guardare davanti a sé. La nuca di Matt si intravedeva dal sedile, i capelli neri e scompigliati – quei capelli che gli piaceva tanto stringere, annusare e accarezzare, ma soprattutto stringere tra le dita, quando si coccolavano, quando si baciavano, quando facevano l’amore -, il collo lungo e bianco. Strinse forte i pugni, ma poi distolse lo sguardo e abbandonò la testa all’indietro, per far credere che da lì a poco si sarebbe addormentato, intanto che i due amici avevano iniziato una conversazione piuttosto animata su chissà quale argomento: non aveva voglia di parlare, preferiva farsi gli affari suoi; in fondo, lui aveva sempre odiato il caos; ma da quando conosceva Matt, quel piccolo idiota con manie di protagonismo, la sua mente e la sua vita erano il caos totale, un dolore continuo, i colori più brillanti e poi il buio, il silenzio e poi le urla. Forse lui che gli gridava di smetterla di mentire, di fingere che ogni cosa andasse bene, che non era giusto che Kate vivesse all’oscuro di tutto, all’oscuro del loro amore. Poi i sussurri, di quando, dopo aver passato la notte insieme, si dicevano d’amarsi, tra un bacio e una carezza, tra le lenzuola che sapevano di sesso e di loro. Tra quei pensieri, di sicuro, avrebbe trovato anche la prima volta che aveva osato posare le labbra sulle sue, quel loro primo bacio, così strano e così vero. Lui, cazzo, era arrivato prima di Kate, era arrivato prima di tutti e di tutto, lui era stato tutto e non si meritava di venir messo da parte, di essere stato messo da parte.
Presto, giusto un attimo prima di essere inghiottito in buco nero di pensieri autodistruttivi, sentì la macchina arrestarsi e Chris ululargli nell’orecchio: «Siamo arrivati, bella addormentata mestruata.»
Dom aprì gli occhi quando ormai gli altri erano già scesi e, piano, lo fece anche a lui. Chiuse la portiera e trovò l’autista che gli porgeva il suo trolley. Lo afferrò, ringraziò e gli lasciò anche qualche sterlina di mancia.
Sicuramente Chris e Matt erano già nelle loro camere, così si prese un attimo per fumarsi un’altra sigaretta. Londra, cara vecchia Londra, si ritrovò a pensare, guardandosi in giro.
Una volta finito salì in camera, ma proprio davanti alla sua porta vide il moro che lo attendeva.
«Ehi.» Fece quello, accennando un sorriso.
Non se l’aspettava di trovarlo lì, e tutto quello che fece fu alzare una mano in cenno di saluto, mentre inseriva la tesserina per aprire la porta.
«Che dici, mi fai entrare?» Chiese Matt, mostrando ancora il suo dente storto.
Il batterista diede un’alzata di spalle e gli fece segno di seguirlo. Una volta dentro e chiusa la porta, sistemò il trolley e si mise comodo: via la giacca, via le scarpe e gli skinny.
«Tutto bene?» Domandò Matthew, intanto che Dom si infilava un paio di pantaloncini corti – sopra teneva ancora la camicia.
«Sì e tu? Sei contento di essere tornato?» Evitò di aggiungere “da Kate”, lo diceva già con lo sguardo e con il tono di voce.
Matt fece spallucce, non dandogli così troppa soddisfazione.
«Per qualche giorno sarà ancora a Los Angeles da Goldie.» Rispose il moro. «Tu non avrai molto da fare, vero?» Aggiunse.
«Immagino di no.» Disse Dom, sedendosi sul bordo del letto.
«Capisco.» Matt non stava dicendo tutto quello per cui era voluto venire nella sua camera, glielo si leggeva negli occhi.
«Si può sapere cosa diavolo vuoi, Matt?» Sbottò innervosito il biondo, d’un tratto.
Il cantante si avvicinò leggermente a lui.«Voglio stare con te per un po’, per una notte, forse due. Come una volta.» Ammise, sentendo una stretta allo stomaco, la stessa che sentì Dominic.
Il batterista vacillò. Erano mesi che non gli chiedeva una cosa del genere, mesi che lui viveva come se non fosse mai successo nulla, e proprio adesso che sembrava star imparando ad accettare quella situazione, veniva a chiedergli di passare una notte tra le sue braccia. Non sapeva cosa pensare, se esserne felice o se essere semplicemente incazzato nero.
Tutto quello che gli mancava per essere completo era lì, davanti a lui, che gli chiedeva di poter essere suo.
Decise di mettere le mani avanti.
«E Kate?» Domandò.
«Le ho parlato l’altra sera, per telefono, siamo un po’ in crisi.» Chiarì il moro, sostenendo lo sguardo indagatore di Dom.
«E cosa vuoi da me?»
«Voglio te. Voglio sapere se sei disposto a passare sopra a tutto quello che ti ho fatto, a quello che hai sofferto, se sei disposto a perdonarmi, voglio sapere ne vale davvero la pena di rinunciare a tutto per te.»
«Sì.» Sussurrò Dominic.
Sì, era disposto a perdonarlo, a farsi leccare via le ferite, e sì, ne valeva la pena. Per riaverlo con sé e per sé era disposto a tutto, anche a soffrire di nuovo.
Matt sorrise. «Come fai?»
«A fare cosa?»
«A dire di sì.»
«Semplicemente perché sei l’unico che dopo avermi mandato a fondo può farmi riemergere e riprendere a camminare. Ho aspettato mesi, come potrei dire di no? Tu sei dentro di me, Matt.» Mormorò Dominic, tendendo una mano verso quella del moro, che ci si aggrappò tirandolo verso di sé per stringerlo in un abbraccio disperato, un abbraccio che era mancato ad entrambi.
Era tornato.
Erano tornati, i colori vividi e i sussurri.



Dopo mesi e mesi ho finalmente ripubblicato una piccola BellDom.
A qualcuno farà piacere, spero, ad altri magari no.
Comunque, tutta questa cosetta qui è ambientata prima della nascita di quel cicciotto di Bing e finisce bene, perlomeno sembra, ma è un finale un po' aperto, si sa che Matt tornerà da Kate.
Bon, vi ho rubato abbastanza tempo, se vi va di lasciarvene rubare ancora un po' ditemi cosa ne pensate, fa sempre piacere, che siano critiche o meno.
Grazie di  aver letto, baci e abbracci.
   
 
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