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Autore: persikka    19/05/2004    0 recensioni
Rolonoa Zoro ha un sogno: diventare lo spadaccino migliore del mondo. Peccato che sulla sua strada ci sia un ostacolo apparentemente insormontabile... Myhawk l'ha già sconfitto una volta, riuscirà Zoro a riscattarsi? forse con l'aiuto di una ragazza, ma sarà costretto, ancora una volta, a superare Occhi di Falco...
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Freedom

Capitolo 2.

«La Gatta»

 

C

i guarda, passa le sue iridi ambrate da me a lui, forse non gli va di vedere che qualcuno possa impedire che io muoia come un cane.

D’improvviso si schioda dalla porta e avanza sprezzante verso il ragazzo, ora gli è di fronte.

“Ti avevo detto di non immischiarti!” gli dice scuotendolo per una spalla.

“E io ti avevo detto che non mi piace come tratti la gente che sconfiggi a duello.” Il suo tono non è più piatto, si è fatto un sibilo carico d’ira.

“Non osare parlarmi così, Ryoko!”

Vederlo così inkazzato mi fa scendere un brivido di soddisfazione lungo la schiena, lui, il grande Occhi di falco arrabbiato perché gli vanno a rompere le uova nel paniere.

Il ragazzo si ostina al silenzio, sostiene il suo sguardo facendo montare la rabbia allo spadaccino.

“Non approfittare troppo del fatto che sei una ragazza!”

La sua affermazione mi colpisce come una scarica elettrica.

Una ragazza?! Ma allora avevo ragione!

La guardo, il suo volto da impassibile che era, si scurisce e le sue iridi feline fulminano Myhawk. Ora è lei ad essere inkazzata.

“Che coraggio, tu che ti approfitti dei più deboli, dici a me certe cose?!” il sibilo che ne esce somiglia ad una voce dell’oltretomba e mi fa rabbrividire.

Non sembra nemmeno più la ragazza che si era presa cura di me, le pupille si sono ridotte ad un filo e i lineamenti sembrano davvero quelli di un gatto dal pelo arruffato che soffia contro il suo nemico.

E come un gatto se ne uscì, scostando Occhi di falco e filò fuori lasciandoci soli.

Lui rimane per un attimo interdetto a fissare la porta, poi scuote il capo e si rivolge a me.

“Ti avverto, non metterle gli occhi addosso perché sei già morto!” mi sibila prima di andarsene.

 

Rimango solo, a pensare a quel che è successo, non me l’aspettavo davvero che una ragazza potesse vivere in un posto simile. Ma che mostro è Myhawk a tenerla con sé, in mezzo alla feccia dei mari?

Chiudo gli occhi e non posso fare a meno di ripensare a quegli occhi da gatta, quelle iridi color del miele, così fredde, così fiammeggianti.

Una ragazza.

Non ho mai pensato molto alle donne, ma non riesco a togliermi dalla mente le sue attenzioni, la gentilezza che mi ha riservato. Mi ha sfamato, dato una coperta, portato dell’acqua e curato la ferita.

E nessuno gliel’aveva chiesto.

Allora non sono tutti feccia qui. No, è solo lei che è diversa.

Chiudo di nuovo le palpebre, e me la vedo di nuovo davanti, d’istinto spalanco gli occhi e scuoto la testa cercando di togliermela dai pensieri. Ma perché continuo a pensarci? Cos’è che m’impedisce di dimenticarla? In fondo non l’ho nemmeno vista bene in viso, solo quegli occhi.

Quegli occhi, sono loro che mi tormentano. Non mi danno pace. Mi bruciano dentro e non solo, sento la ferita in fiamme al ricordo del contatto con le sue dita gelide.

Non ce la faccio più, ma perché continuo a tormentarmi per una che ho solo intravisto? Una che probabilmente non vedrò mai più.

Solo il pensiero mi fa star male, voglio almeno ringraziarla per non avermi lasciato morire.

Spero che si rifaccia viva.

E mentre lo spero mi riaddormento, al caldo della coperta della mia gattina.

 

Non ho sognato nemmeno oggi, non ho sognato nemmeno lei.

Mi alzo a fatica, la ferita brucia da matti, era un’impressione che il dolore fosse scomparso. Anche oggi sono svegliato dal rancio.

Silenziosamente spero che sia lei a comparire all’uscio con un bel piatto di riso, o anche senza. Ma le mie preghiere vanno a vuoto, perché mi tocca il solito ammasso indecente portatomi dal solito idiota, che me lo appoggia di fronte.

“Ho sentito che la piccola Ryoko si è impietosita di te…” mi dice tanto per prendermi per il culo, con un sorrisino stampato in viso.

“E scommetto che speri di rivederla, che povero illuso!” scoppia a ridere.

La cosa a me non fa ridere.

“Toglitela dalla testa, una merda come te non le può interessare!” e mi sputa addosso.

Neanche ho voglia di prendermela, chino la testa e aspetto che se ne vada. Devo avere l’aspetto di un cane bastonato, ma per quel che me ne importa della sua opinione… E infatti dopo poco esce.

Guardo il piatto e mi vengono i conati di vomito solo a vederlo. Ripenso a quel che mi è successo ieri, sembra un sogno.

Già, forse ho davvero sognato.

Il riso, la coperta, la gatta…

Chissenefrega del riso e della coperta! Che vadano al diavolo! Voglio solo rivederla. Almeno una volta.

Chiedo tanto? Non mi sembra.

Solo ringraziarla.

Farla innamorare.

Baciarla.

Portarmela a letto.

Stare con lei per tutta la vita.

Dio, che stronzate che dico! Devo essere impazzito…  Non l’ho neanche vista in faccia e già sono cotto.

Sento la ferita sotto la maglia che mi brucia ed io mi sento bruciare dentro ripensando a quando lei mi toccava. Mi sento davvero morire a pensarci…

Mi chiedo perché, perché mi sento così? Forse perché ho scambiato le sue attenzioni per qualcosa di più profondo? Di sicuro. Ma voglio continuare a credere che lei non l’abbia fatto solo per sfidare Myhawk.

Sospiro.

Meglio dormire, magari tornerà.

Ma dentro di me so che non è così.

 

Quando mi risveglio mi pare sia passata un’eternità, apro gli occhi e scorgo nel buio una figura che sta uscendo dalla porta.

Un brivido mi attraversa. Sarà lei?

Apro gli occhi più che posso e cerco di cancellare i rimasugli di sonno, mi guardo attorno e noto una brocchetta d’acqua accanto a me.

Il cuore mi va a mille. È lei.

“Ryoko…” la mia voce è ancora impastata dal sonno, ma lei mi sente. Si gira. Mi osserva coi suoi occhi da gatta. Ecco che torna suoi passi.

Mi tiro meglio a sedere sollevato nel vedere che non se ne và.

Lei mi si siede di fronte, come l’altra volta, a gambe incrociate e il viso appoggiato alla mano.

Ora però mi sorride.

La guardo meglio, voglio imprimermela a fuoco nella mente, non voglio rischiare di dimenticarla.

Oggi indossa una maglia larga e un paio di pantaloni da ginnastica, è davvero bella.

“Perché ti chiami Ryoko, vero?” riprendo.

Voglio che mi parli, che la smetta di considerarmi solo un animale in gabbia.

“Sì.” La sua risposta è secca, senza espressione.

“Perché ti sei presa tutto questo disturbo?”

“Perché mi andava.” Guarda altrove mentre mi risponde.

“Bhe, grazie.” Le sussurro, quasi vergognandomi.

Io Rolonoa Zoro che mi abbasso a ringraziare qualcuno per avermi risparmiato dalla morte. Devo proprio essere impazzito.

Lei torna a fissarmi, di sicuro sta pensando che sono un vigliacco senza un briciolo di orgoglio.

“Ma figurati, per così poco!” scoppia a ridere, buttando la testa all’indietro, una risata di scherno che mi fa capire quanto sia stato patetico.

“Comunque potresti anche dirmi il tuo nome…”

“Zoro. Rolonoa Zoro. Sono uno spadaccino.”

“Lo immaginavo, dato che sei qui. Zoro…” pronuncia Zoro lentamente, come volesse imprimerselo in mente.

Mi piace la sua voce. A dire il vero mi piace tutto di quella gatta.

Nella penombra non vede che arrossisco, che mi vergogno come un cane al ricordo della sconfitta che mi ha inflitto Myhawk.

Battuto da un pugnale.

Io, Rolonoa Zoro, battuto e umiliato.

Assorto come sono nei miei pensieri non mi accorgo che si è alzata e quando torno alla realtà mi ritrovo il suo viso a due dita dal mio. Il mio cuore fa un tuffo e la bocca dello stomaco mi si chiude facendomi provare un senso di vertigine. Respiro il suo profumo, sa di pulito, di sapone. Un odore che non sentivo da tanto in mezzo a questo squallore.

“Che stai facendo?!” divento isterico senza volerlo, ma me ne pento subito.

La guardo, ha chiuso gli occhi e ha appoggiato la sua guancia alla mia. Sento la sua pelle morbida e liscia sopra la mia e rabbrividisco. Respiro il suo profumo e maledico quelle catene che mi imprigionano le mani. Vorrei abbracciarla e baciarla tutta.

Dopo un po’ si stacca ponendo fine a quella dolce tortura, mi guarda negli occhi e mi sussurra, ad un passo dalle mie labbra “Zoro… Tornerò da te…” suona come una minaccia. Quasi fosse un demonio che torna da me di tanto in tanto e si diverte nel vedermi struggere d’amore per lei.

Ha davvero tutto del demonio, quello sguardo penetrante e tagliente. Di ghiaccio e fuoco assieme. È una specie di incantesimo, non riesco a smettere di guardarla, rapito dal suo sguardo.

Senza aggiungere altro se ne va, fermandosi sulla porta per lanciarmi un’ultima occhiata felina.

Se n’è andata. E già mi manca da morire.

Respiro a fondo il suo profumo che mi è rimasto addosso e rifiuta di andarsene. Sento ancora quel senso di vertigine ripensando a quel contatto fuggente con quella sua pelle meravigliosa.

Reclino la testa e volgo gli occhi al soffitto. Non lo vedo e non so quanto sia alta questa stanza: è come un cielo nero e infinito sopra la mia testa. Cerco di non pensarla più, ma spero che torni presto.

Senza accorgermi mi addormento.

 

Come al solito, da quando l’ho conosciuta, mi sembra sia passata un’eternità, ma potrebbero essere minuti come giorni. La nozione del tempo l’ho persa tempo fa ed ora la mia giornata è scandita dal ritmo dei pasti.

Quanti ne sono passati senza vederla? Non me lo ricordo.

Quanti ne ho mangiati? Spero nessuno.

Ma anche se il pensiero di mandar giù quella cosa che somiglia tanto a vomito mi disgusta ho cercato di non morire di fame per resistere fino ad una sua nuova visita. Ma quanto resisterò? Lei è la mia unica ragione di vita, se non la vedo sono certo di morire.

È strano, non mi sono mai sentito così. Troppo preso dai miei allenamenti ho trascurato cose come gli affetti ed è naturale che ora non sappia come comportarmi.

Perso nel dolce ricordo del suo viso la vista mi si annebbia e dopo un po’ non vedo più nulla.

Sto già morendo?

 

 

  
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