Capitolo 2.
«La Gatta»
C |
i guarda,
passa le sue iridi ambrate da me a lui, forse non gli va di vedere che qualcuno
possa impedire che io muoia come un cane.
D’improvviso
si schioda dalla porta e avanza sprezzante verso il ragazzo, ora gli è di
fronte.
“Ti
avevo detto di non immischiarti!” gli dice scuotendolo per una spalla.
“E io
ti avevo detto che non mi piace come tratti la gente che sconfiggi a duello.”
Il suo tono non è più piatto, si è fatto un sibilo carico d’ira.
“Non
osare parlarmi così, Ryoko!”
Vederlo
così inkazzato mi fa scendere un brivido di soddisfazione lungo la schiena,
lui, il grande Occhi di falco arrabbiato perché gli vanno a rompere le uova nel
paniere.
Il
ragazzo si ostina al silenzio, sostiene il suo sguardo facendo montare la
rabbia allo spadaccino.
“Non
approfittare troppo del fatto che sei una ragazza!”
La sua
affermazione mi colpisce come una scarica elettrica.
Una
ragazza?! Ma allora avevo ragione!
La
guardo, il suo volto da impassibile che era, si scurisce e le sue iridi feline
fulminano Myhawk. Ora è lei ad essere inkazzata.
“Che
coraggio, tu che ti approfitti dei più deboli, dici a me certe cose?!” il
sibilo che ne esce somiglia ad una voce dell’oltretomba e mi fa rabbrividire.
Non
sembra nemmeno più la ragazza che si era presa cura di me, le pupille si sono
ridotte ad un filo e i lineamenti sembrano davvero quelli di un gatto dal pelo
arruffato che soffia contro il suo nemico.
E come
un gatto se ne uscì, scostando Occhi di falco e filò fuori lasciandoci soli.
Lui
rimane per un attimo interdetto a fissare la porta, poi scuote il capo e si
rivolge a me.
“Ti avverto,
non metterle gli occhi addosso perché sei già morto!” mi sibila prima di
andarsene.
Rimango
solo, a pensare a quel che è successo, non me l’aspettavo davvero che una
ragazza potesse vivere in un posto simile. Ma che mostro è Myhawk a tenerla con
sé, in mezzo alla feccia dei mari?
Chiudo
gli occhi e non posso fare a meno di ripensare a quegli occhi da gatta, quelle
iridi color del miele, così fredde, così fiammeggianti.
Una
ragazza.
Non ho
mai pensato molto alle donne, ma non riesco a togliermi dalla mente le sue
attenzioni, la gentilezza che mi ha riservato. Mi ha sfamato, dato una coperta,
portato dell’acqua e curato la ferita.
E
nessuno gliel’aveva chiesto.
Allora
non sono tutti feccia qui. No, è solo lei che è diversa.
Chiudo
di nuovo le palpebre, e me la vedo di nuovo davanti, d’istinto spalanco gli
occhi e scuoto la testa cercando di togliermela dai pensieri. Ma perché
continuo a pensarci? Cos’è che m’impedisce di dimenticarla? In fondo non l’ho
nemmeno vista bene in viso, solo quegli occhi.
Quegli
occhi, sono loro che mi tormentano. Non mi danno pace. Mi bruciano dentro e non
solo, sento la ferita in fiamme al ricordo del contatto con le sue dita gelide.
Non ce
la faccio più, ma perché continuo a tormentarmi per una che ho solo intravisto?
Una che probabilmente non vedrò mai più.
Solo il
pensiero mi fa star male, voglio almeno ringraziarla per non avermi lasciato
morire.
Spero
che si rifaccia viva.
E
mentre lo spero mi riaddormento, al caldo della coperta della mia gattina.
Non ho
sognato nemmeno oggi, non ho sognato nemmeno lei.
Mi alzo
a fatica, la ferita brucia da matti, era un’impressione che il dolore fosse
scomparso. Anche oggi sono svegliato dal rancio.
Silenziosamente
spero che sia lei a comparire all’uscio con un bel piatto di riso, o anche
senza. Ma le mie preghiere vanno a vuoto, perché mi tocca il solito ammasso
indecente portatomi dal solito idiota, che me lo appoggia di fronte.
“Ho
sentito che la piccola Ryoko si è impietosita di te…” mi dice tanto per
prendermi per il culo, con un sorrisino stampato in viso.
“E
scommetto che speri di rivederla, che povero illuso!” scoppia a ridere.
La cosa
a me non fa ridere.
“Toglitela
dalla testa, una merda come te non le può interessare!” e mi sputa addosso.
Neanche
ho voglia di prendermela, chino la testa e aspetto che se ne vada. Devo avere
l’aspetto di un cane bastonato, ma per quel che me ne importa della sua
opinione… E infatti dopo poco esce.
Guardo
il piatto e mi vengono i conati di vomito solo a vederlo. Ripenso a quel che mi
è successo ieri, sembra un sogno.
Già,
forse ho davvero sognato.
Il
riso, la coperta, la gatta…
Chissenefrega
del riso e della coperta! Che vadano al diavolo! Voglio solo rivederla. Almeno
una volta.
Chiedo
tanto? Non mi sembra.
Solo
ringraziarla.
Farla
innamorare.
Baciarla.
Portarmela
a letto.
Stare
con lei per tutta la vita.
Dio,
che stronzate che dico! Devo essere impazzito…
Non l’ho neanche vista in faccia e già sono cotto.
Sento
la ferita sotto la maglia che mi brucia ed io mi sento bruciare dentro
ripensando a quando lei mi toccava. Mi sento davvero morire a pensarci…
Mi
chiedo perché, perché mi sento così? Forse perché ho scambiato le sue
attenzioni per qualcosa di più profondo? Di sicuro. Ma voglio continuare a
credere che lei non l’abbia fatto solo per sfidare Myhawk.
Sospiro.
Meglio
dormire, magari tornerà.
Ma
dentro di me so che non è così.
Quando
mi risveglio mi pare sia passata un’eternità, apro gli occhi e scorgo nel buio
una figura che sta uscendo dalla porta.
Un
brivido mi attraversa. Sarà lei?
Apro
gli occhi più che posso e cerco di cancellare i rimasugli di sonno, mi guardo
attorno e noto una brocchetta d’acqua accanto a me.
Il
cuore mi va a mille. È lei.
“Ryoko…”
la mia voce è ancora impastata dal sonno, ma lei mi sente. Si gira. Mi osserva
coi suoi occhi da gatta. Ecco che torna suoi passi.
Mi tiro
meglio a sedere sollevato nel vedere che non se ne và.
Lei mi
si siede di fronte, come l’altra volta, a gambe incrociate e il viso appoggiato
alla mano.
Ora
però mi sorride.
La
guardo meglio, voglio imprimermela a fuoco nella mente, non voglio rischiare di
dimenticarla.
Oggi
indossa una maglia larga e un paio di pantaloni da ginnastica, è davvero bella.
“Perché
ti chiami Ryoko, vero?” riprendo.
Voglio
che mi parli, che la smetta di considerarmi solo un animale in gabbia.
“Sì.”
La sua risposta è secca, senza espressione.
“Perché
ti sei presa tutto questo disturbo?”
“Perché
mi andava.” Guarda altrove mentre mi risponde.
“Bhe,
grazie.” Le sussurro, quasi vergognandomi.
Io
Rolonoa Zoro che mi abbasso a ringraziare qualcuno per avermi risparmiato dalla
morte. Devo proprio essere impazzito.
Lei
torna a fissarmi, di sicuro sta pensando che sono un vigliacco senza un
briciolo di orgoglio.
“Ma
figurati, per così poco!” scoppia a ridere, buttando la testa all’indietro, una
risata di scherno che mi fa capire quanto sia stato patetico.
“Comunque
potresti anche dirmi il tuo nome…”
“Zoro.
Rolonoa Zoro. Sono uno spadaccino.”
“Lo
immaginavo, dato che sei qui. Zoro…” pronuncia Zoro lentamente, come volesse
imprimerselo in mente.
Mi
piace la sua voce. A dire il vero mi piace tutto di quella gatta.
Nella
penombra non vede che arrossisco, che mi vergogno come un cane al ricordo della
sconfitta che mi ha inflitto Myhawk.
Battuto
da un pugnale.
Io,
Rolonoa Zoro, battuto e umiliato.
Assorto
come sono nei miei pensieri non mi accorgo che si è alzata e quando torno alla
realtà mi ritrovo il suo viso a due dita dal mio. Il mio cuore fa un tuffo e la
bocca dello stomaco mi si chiude facendomi provare un senso di vertigine.
Respiro il suo profumo, sa di pulito, di sapone. Un odore che non sentivo da
tanto in mezzo a questo squallore.
“Che
stai facendo?!” divento isterico senza volerlo, ma me ne pento subito.
La
guardo, ha chiuso gli occhi e ha appoggiato la sua guancia alla mia. Sento la
sua pelle morbida e liscia sopra la mia e rabbrividisco. Respiro il suo profumo
e maledico quelle catene che mi imprigionano le mani. Vorrei abbracciarla e
baciarla tutta.
Dopo un
po’ si stacca ponendo fine a quella dolce tortura, mi guarda negli occhi e mi
sussurra, ad un passo dalle mie labbra “Zoro… Tornerò da te…” suona come una
minaccia. Quasi fosse un demonio che torna da me di tanto in tanto e si diverte
nel vedermi struggere d’amore per lei.
Ha
davvero tutto del demonio, quello sguardo penetrante e tagliente. Di ghiaccio e
fuoco assieme. È una specie di incantesimo, non riesco a smettere di guardarla,
rapito dal suo sguardo.
Senza
aggiungere altro se ne va, fermandosi sulla porta per lanciarmi un’ultima
occhiata felina.
Se n’è
andata. E già mi manca da morire.
Respiro
a fondo il suo profumo che mi è rimasto addosso e rifiuta di andarsene. Sento
ancora quel senso di vertigine ripensando a quel contatto fuggente con quella
sua pelle meravigliosa.
Reclino
la testa e volgo gli occhi al soffitto. Non lo vedo e non so quanto sia alta
questa stanza: è come un cielo nero e infinito sopra la mia testa. Cerco di non
pensarla più, ma spero che torni presto.
Senza
accorgermi mi addormento.
Come al
solito, da quando l’ho conosciuta, mi sembra sia passata un’eternità, ma
potrebbero essere minuti come giorni. La nozione del tempo l’ho persa tempo fa
ed ora la mia giornata è scandita dal ritmo dei pasti.
Quanti
ne sono passati senza vederla? Non me lo ricordo.
Quanti
ne ho mangiati? Spero nessuno.
Ma
anche se il pensiero di mandar giù quella cosa che somiglia tanto a vomito mi
disgusta ho cercato di non morire di fame per resistere fino ad una sua nuova
visita. Ma quanto resisterò? Lei è la mia unica ragione di vita, se non la vedo
sono certo di morire.
È
strano, non mi sono mai sentito così. Troppo preso dai miei allenamenti ho
trascurato cose come gli affetti ed è naturale che ora non sappia come
comportarmi.
Perso
nel dolce ricordo del suo viso la vista mi si annebbia e dopo un po’ non vedo
più nulla.
Sto già
morendo?