Crossover
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Autore: Kimmy_90    10/07/2012    1 recensioni
[Questa storia è, di fatto, un enorme *Crossover*. I personaggi presenti, in larga parte, sono altrui, salvo pochi originali - e provengono dalle più svariate fonti; posso garantirvi che sono quasi tutti abbastanza “mainstream” da essere noti a chiunque legga. Citarli tutti all'inizio costituirebbe Spoiler, quindi ho preso le mie misure per evitare questo fastidioso inconveniente ed anche dare a Cesare quel che è di Cesare. Look Inside.]
Loro si svegliano, e non sono più loro. Non sono, ma furono, e furono molto, e tanto, e assai di più di quanto mai potranno essere. Loro si svegliano soli, camminano soli, crescono soli – insieme. Loro hanno una storia. Una grande storia, una piccola storia. Sanno che è falsa. Ma sanno anche che è vera.
Essi cadono, e basta.

Lo chiami futuro, lo leggi più presente di quanto possa sembrare, lo scopri più lontano di quanto non ti sia dato pensare. Vi sono due terre, due città, due mondi che si conoscono sì bene e sì male: un pianeta diviso in due, le ali per volare, lo spazio da colonizzare. Da qualche tempo, a turbare le due grandi nazioni, sono giunti i Caduti: coloro che – per diletto, forse – sono stati ribattezzati "Stelle Cadenti", o meglio, gli Infetti.
Un virus che serpeggia fra la gente, la sottrae alla propria vita, la restituisce con altri ricordi, altre convinzioni, un altro passato, sì falso e sì vero – e nuovi dubbi, e nuove idee, e vecchie idee, e vaghe intenzioni.
Nel marasma c'è chi non sa più distinguere il falso dal vero. Nel marasma, il vero ed i falso palleggiano le menti dei Caduti, dei non caduti, finché il dubbio supremo non si fa palese: è vero il vero, o forse è vero il falso? E se fosse vero il falso, dimmi, perché tu menti?
Genere: Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Film, Fumetti, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[WARNING]

Questa storia è, di fatto, un
enorme *Crossover*.


I personaggi presenti, in larga parte, sono altrui, salvo pochi originali. Citarli tutti all'inizio costituirebbe Spoiler, quindi ho preso le mie misure per evitare questo fastidioso inconveniente ed anche dare a Cesare quel che è di Cesare. I.e., vedi sotto.

Per quanto riguarda i personaggi, nello specifico, “prestati”, posso garantirvi che sono quasi tutti abbastanza “mainstream” da essere noti a chiunque legga. Sicchè, se siete interessati a questa storia, in ogni caso non dovreste aver problemi.

Per ulteriori note, vi mando alle NdA in fondo al capitolo.

Enjoy.



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DISCLAIMER

Questa è una fan fiction: molti dei personaggi coinvolti non mi appartengono, ma sono proprietà dei rispettivi autori; per una lista dettagliata (verrà via via aggiornata), cliccate qui.

Ne approfitto per ringraziare ogni singolo autore/sceneggiatore/regista/scrittore/fumettista o affine per aver scritto la sua opera ed i rispettivi editori/affini per averla portata al grande pubblico.

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Anamnesi






Schiuse gli occhi in un singulto, strabuzzandoli, l'aria ch'entrava nei suoi polmoni lacerante e dilaniante per l'impeto con cui inspirò.
Da quel movimento, così repentino, la sua gola emise un fischio rantolato, roco, un rumore che gli fece vibrare il collo – sino a poi tossire. Fu così che si accorse di poter sentire.
Della luce che investiva le sue pupille capiva poco o niente: c'era un qualcosa, vivido, forte e potente, che gli feriva gli occhi per l'intensità con cui lo colpiva – così si accorse che poteva anche provare dolore.
La sua mente, immobile, pareva muta ed arrendevole di fronte alla moltitudine di informazioni che riceveva, senza comprendere né da dove, né come tradurle.
Poi la luce sparì. Fu un attimo, come di connessione persa, in cui il flusso di dati che gli investivano il cervello si arrestò: ma fece presto a riaprire le palpebre, dopo averle sbattute di riflesso. Accadde ancora, ed ancora, senza che lui potesse comprendere cosa, come.
A stento andava definendo un quando, riconoscendo uno scorrimento, un flusso che separava eventi, definendo gli eventi stessi. Il concetto del “di nuovo” si insinuò nella sua testa, facendogli lentamente apprezzare l'esistenza del prima e del dopo. Luce, buio, luce, buio, luce, buio. Ma all'inizio – c'era dunque un inizio – era stata solo luce. Solo poi il buio.
Prima e poi: scoprì il tempo.
Ma prima ancora?
Non lo sapeva.
Lentamente venne il freddo. Si accorse di provarlo piano piano, un rumore di fondo intento ad aumentare, senza tregua, diventando sempre più fastidioso: gli si infilava dentro, in quel qualcosa, quel qualcosa che lui aveva e che gli faceva sentire l'aria, la temperatura, quel qualcosa che iniziò a tremare, che non sapeva dove iniziava, dove finiva, e l'unica cosa che pareva sapergli dire era “soffro”.
Ebbe dunque un movimento, uno spasmo involontario, che gli fece grattare il gomito sul cemento: in quel momento fu un tripudio di scoperte illuminanti: c'era dell'altro, che si estendeva oltre, c'era, forse per davvero, un corpo, e c'era qualcosa che non era corpo, e c'era qualcosa che controllava e non controllava, qualcosa che provava dolore e che non le provava. C'era divisione, c'era lui e c'era altro, e lui era: di colpo, dal susseguirsi di logiche, scoprì di esistere, e questo lo fece stare male.
Non c'era solo il freddo, non c'era il dolore della luce, non solo il dolore dell'io che si scontra con l'altro: c'era di più.
Forse era anche di peggio.
Brancolando nel buio, nella nebbia di una mente confusa, scorse le idee, e le pensò. Pensare faceva male, scoprì, e questo si unì alla schiera delle cose spiacevoli.
I suoi occhi ancora non interpretavano la luce che lo accecava, non avrebbero potuto, di norma, interpretare qualcosa che non conoscevano.
Eppure, dopo aver sbattuto un'infinità di volte le palpebre, scorse le immagini.
Le immagini lo affascinarono: complesse, apparentemente prive di significato – il significato, questo apparve nella sua mente: le cose tendevano ad avere un significato.
Sentì qualcos'altro muoversi.
Poi smise.
I concetti iniziarono a cadergli addosso come pioggia, e la luce, lei per prima, era quella che continuava a far piovere, con le sue immagini, con le sue distinzioni, forme e colori, vicino e lontano – i suoi occhi ricordarono, finalmente, ricordarono come si faceva a vedere.
E lui, che aveva capito che era lui, non un altro, ma lui, e che era una cosa, e che le cose avevano un significato, e che le cose avevano le idee – o almeno alcune, quelle come lui –, ebbe un'idea – no, anzi, ebbe dell'altro: egli volle.
Volle non chiudere le palpebre, per poter continuare a vedere le immagini.
E, con suo immenso stupore, ci riuscì.
Lo stupore gli piacque, la volontà ancor di più.
Provò allora a fare il contrario, e chiuse gli occhi, forzatamente. Gli riuscì talmente bene che li strizzò sino a farsi del male: di colpo, terrorizzato, smise, riaprendoli. Il dolore non svanì immediatamente, ci mise un po'.
Scoprì la paura.
E scoprì di potersi fare del male da solo: bastava volerlo.
Non seppe come, né, in seguito, perché: ma la reazione a tutto ciò fu di nuovo quel movimento, di non sapeva cosa, involontario in parte, ma non del tutto.
Si rese conto che lo faceva stare bene.
Allora lo fece ancora.
E nonostante gli facesse male, strizzò nuovamente gli occhi. E si ricordò del gomito. E allora venne una cosa incredibile: realizzò di potersi muovere.
Rotolò su un fianco – scoprì così di avere un fianco – e le immagini cambiarono.
Divennero nuove, e nuovamente strepitose, da guardare ed osservare a oltranza.
Si rese conto di quanti miliardi di immagini esistevano al mondo. Ebbe il concetto del mondo.
C'erano lui e il mondo.
E il mondo era infinito.
E lui era infinito.

La sua mente, spossata, collassò.







Capitolo 1: Una storia.

Tutti, qui, hanno una storia.”



Quando riaprì nuovamente gli occhi, la cosa avvenne in modo decisamente differente.
Dopo un primo accecamento dovuto all'organo intorpidito, riuscì a distinguere un soffitto bianco ed una serie di lampade appese ad esso. Respirava lentamente, spossato, mentre faceva scorrere lo sguardo su quella che aveva tutta l'aria di essere una camera d'ospedale.
Era talmente stanco che non fece troppa attenzione ad un'infinità di dettagli circa la sua mente ed i suoi ricordi: lapidò, rapido, quanto aveva vissuto prima – quanto prima? Non lo sapeva – e, per il momento, decise anche di non crucciarsi di sapere di essere in un ospedale, né di indagare sulla fonte da cui proveniva tale conoscenza: chi mai, in fondo, risvegliandosi in un letto d'ospedale si porrebbe una domanda del genere?
I concetti nella nostra testa sono le poche sicurezze su cui possiamo costruire la nostra inutile vita, pensò lui, farò bene a tenermeli stretti.
Eppure, continuò a pensare, queste non sono cose su cui dovrei elucubrare, nemmeno di riflesso. A meno che, continuò, io non sia ubriaco.
Levò le sopracciglia, illuminato, nell'unico gesto che le poche forze rimastegli in corpo parevano volergli concedere. Anzi, tanto bastò a spossarlo.
Richiuse lentamente le palpebre, respirando lento, assaporando la morbidezza delle lenzuola in cui dormiva.
No, si disse. Non posso essere ubriaco.
Sto troppo bene, in questo istante.
E si riaddormentò.

“Mi hanno detto che ti sei svegliato.”
La voce gli si insinuò nelle orecchie, fastidiosa, costringendolo ad un primo risveglio: solo l'udito e parte della mente si destarono, in realtà – il resto del corpo, e, soprattutto, del cervello, continuavano a dormire.
Svegliati.”
Il rumore di sottofondo si tramutò in un ordine, scocciato e ben scandito, che gli fece riaprire definitivamente gli occhi.
La figura di un uomo gli incombeva addosso: due occhi azzurri lo fissavano fra l'apatico e l'interessato – curiosa combinazione –, sotto una fronte lontanamente corrugata e sovrastata da corti capelli brizzolati. Il volto trapezoidale aveva un'idea di barbume scuro, come muschio adagiato su di una collina irregolare.
“Bravo.” continuò l'uomo, senza mutare tono.
Lo vide, con la coda dell'occhio, sedersi sbuffando, le gambe forse accavallate, ben spalmato sulla sedia.
Lui cercò di mettersi a sedere, ma la cosa pareva ancora al di fuori della sua portata.
“Lascia stare, non ne sei ancora capace. Questione di qualche ora.” tagliò rapido quello. “Allora.” fece poi, quasi allegro, o forse meglio sullo schernitore andante “Sentiamo la tua storia.”
“La mia storia?”
L'uomo storse le labbra, senza nemmeno guardare l'altro negli occhi: si allungò, come per stiracchiarsi, sbadigliando in modo platealmente falso.
“Va bene” continuò dunque, annoiato. Poggiò il gomito sul ginocchio, ed il mento sulla rispettiva mano: tutto flesso in avanti, tornò al contatto visivo con l'altro.
“Io sono un medico. Sai cos'è un medico?”
Quello flesse le sopracciglia, perplesso.
“Certo che so cos'è un medico.” rispose, offeso.
“Tutti lo sanno” ribatté l'altro, seccato. “Ora, sai perché hai bisogno di un medico?” continuò, quasi retorico.
Lui provò a pensarci su, e se ne uscì con la più banale delle risposte: “Immagino di stare male.”
“Sei sagace, ragazzo.” fece il medico, più che sarcastico.
E non aggiunse altro.
Rimasero a guardarsi per qualche istante, muti.
Alla fine il medico sbuffò, alzandosi in piedi e prendendo a camminare per la stanza.
“Di solito, a quest'ora, se ne escono tutti con la loro storia. Se non lo fai da te, mi tocca chiedertelo esplicitamente:” tornò a cercare gli occhi del ragazzo, l'espressione da professore intento ad interrogare uno scolaro la cui preparazione si prospetta alquanto insufficente. “Qual'è la tua storia?”
“La mia storia?”
“Sì, la tua storia.” rimarcò, spazientito.
Il ragazzo non rispose, ma parve pensarci sopra. A lungo. Alla fine si strinse nelle spalle, arricciando le labbra.
“A dire il vero credo di avere un'amnesia.” rispose, placido. “A ben pensarci, non ricordo nemmeno il mio nome.” La cosa non lo sconvolgeva affatto: eppure sapeva, decisamente sapeva di dover essere preoccupato in merito.
Il medico gli si avvicinò di qualche passo, insistendo: “No, questo è normale.” fece, roteando gli occhi “La tua storia di qua è andata, intendo – i tuoi veri ricordi sono persi, rinuncia –, ma la storia rimane.” Attese, invano, continuando a fissare il ragazzo. “Muoviti.” Insistette, autoritario.
Ma il ragazzo rimase in silenzio, senza un singolo gesto, senza mutare espressione: era il volto dell'ignoranza, che, ingenua, tenta di capire un discorso fondato su basi che non possiede.
“Perché dovrei muovermi?” chiese infine.
“Me la vuoi raccontare o no?” ribatté il medico, seccato, adirato in più dal dover costringere l'altro a far qualcosa di cui, in fondo, a lui interessava ben poco. Ascoltare le storie degli infetti – una rottura di scatole inenarrabile. Ci mancava solo che dovesse pregarli per farsela raccontare: sfiorava l'apice del ridicolo.
”Perché fra un po' inizierà a farsi sfocata, non avrai più le idee chiare in merito – il che complicherà particolarmente il lavoro mio, già di per sé noioso, e degli altri.”
“Gli altri chi?”
“Gli altri. Non ti interessa chi.
“Ma..”
Il ragazzo si arrestò, vedendo il medico serrare le labbra, quasi fosse intento a trattenere un urlo: l'uomo guardò il soffitto, poi guardò il pavimento, ed infine tacque, congiungendo le mani davanti al bacino e rimanendo immobile, in piedi, in attesa.
Il tempo trascorse. Silenzio.
Il ragazzo non pareva intenzionato a dir niente.
Il ragazzo, molto semplicemente, non aveva niente da dire: sperò, per qualche minuto, che il medico si decidesse a dire qualcosa, a spiegargli qualcosa, a magari ricominciare il discorso da un punto più coerente. Forse, nella sua amnesia, si era perso qualche dettaglio che l'altro dava per scontato.
“Mi scusi, ma io non capisco.” fece infine, iniziando a sentirsi colpevole di tal ignoranza.
Lo sguardo del medico, allora, si fece vigile. Tornò, sbuffando, ad accasciarsi sulla sedia accanto al letto, per poi rimanere a fissare l'altro, meditabondo.
Fu, nuovamente, silenzio: ma questa volta al ragazzo parve non fosse un silenzio da poter rompere, ma una pausa, coerente, nello spartito del medico.
“Ti hanno trovato tre giorni fa.” iniziò, difatti, a narrare. “Nudo come mamma t'ha fatto, disteso sul cemento ed amorevolmente incosciente. No, non eri ubriaco. No, non eri fatto. E no, non eri il primo che trovavano in queste condizioni: ce ne sono parecchi. Un giorno li trovano, sistematicamente ignudi, intenti a camminare per strade che palesemente non conoscono, o, come te, dormienti felici e beati. Li portano qui, e, da anni, sempre la solita tiritera: non ricordano chi sono, hanno solo vaghe idee sul come funzioni la loro civiltà, presentano una mente poderosamente confusa – ma tutti, tutti, hanno una storia. Sono convinti di essere qualcun altro, che faceva qualche altra cosa, in qualche altro mondo decisamente diverso dal nostro, ma per altri aspetti molto simile: alcune storie sono più improbabili di altre, ma nessuna è veramente troppo strana – voglio dire, non ho ancora incontrato persone, chessò, nelle cui storie le leggi fondamentali della fisica sono completamente ribaltate. Ci sono quelli convinti di poter fare magie o idiozie simili, ma nessuno ha ancora avuto da pontificare sull'attrazione gravitazionale. Quindi, sono storie. Sono ovviamente fondate su basi coerenti con questo mondo – e tutti, come ti dicevo, tutti hanno una storia.” Altra pausa nello spartito: gli occhi azzurri, contornati da piccole rughe, rimanevano incollati sul ragazzo, in attesa di una qualche reazione.
“Qual'è la tua storia?” ridomandò, infine.
Silenzio.
Il silenzio assistette ad un lento mutare: nel silenzio, il medico passò da vigile a scocciato, da scocciato a interessato, da interessato a incuriosito, da incuriosito ad entusiasta: uno due, tre minuti, ed il suo volto, infine, si illuminò gaudente, gli occhi fissi sul ragazzo.
Ma fu solo un istante, l'illuminazione sparì, ne rimase l'ombra sull'espressione ora lontanamente divertita e concentrata.
“Tu non hai veramente una storia.”
“Non so di cosa stia parlando, signore...”
“Non era una domanda, stupido.” lo lapidò, alzandosi. “Torna a dormire. E prega che non ti venga in mente nessuna storia, nel mentre, o ti potrei ammazzare.”
Il medico uscì rapido, passo lungo, dalla sua stanza.
Il ragazzo rimase solo.


Non aveva un nome, un passato, un ricordo. Sapeva benissimo di avere un'amnesia, e soprattutto sapeva che tutte le amnesie facevano sì che si sapessero un sacco di cose, ma non si ricordasse nulla o nessuno.
Ed ora, da quel che aveva capito, non aveva nemmeno una storia.
La cosa della storia, però, non la sapeva.
Sia per l'una che per l'altra cosa, sapeva per certo di dover essere preoccupato. Era solo, in un mondo che non conosceva, con un medico che concionava di un ipotetico qua, il che implicava anche un ipotetico : avrebbe dovuto sentirsi spaurito e terrorizzato – anzi, forse avrebbe addirittura dovuto avere un attacco di panico.
Forse avrebbe dovuto iniziare a dare di matto, urlando e chiedendo aiuto, supplicando e piangendo finché non fosse passato qualcuno ad immobilizzarlo e sparargli una dose palesemente eccessiva di morfina nella flebo.
Ma lui non si sentiva affatto così. Provava una gran tranquillità, e trovava il letto estremamente comodo. L'unica cosa che lo turbava era il sonno: ma, per risolvere, sarebbe bastato dormire.
E quindi si riaddormentò.








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[Nda]
Qualche rapido appunto, senza dilungarmi troppo
  • Crossover: come già detto, è legittimo domandarsi, “con chi”? Risposta: TUTTI. No, davvero, troppo complicato farsi un elenco. Sebbene, in realtà, esista il problema dell'
  • Attribuzione: n alcuni casi scrivere chi è chi (non è detto che il pg sia palese), ovvero scrivere in fondo al capitolo “tiziocaio appartiene a gigiopirulo”, potrebbe essere uno spoiler epocale... farò un file a lato che linkerò, in fondo alla pagina, con le specificazioni di appartenenza, ed ognuno scelga se leggerlo o meno.
  • Circa la notorierà dei personaggi coinvolti: ribadisco che non dovreste avere problemi e penso che li conosciate quasi tutti. Ad ogni modo, se avete fra i 14 e i 28 anni, possedete un televisore/usufruite di servizi online, siete moderatamente mainstream, siete stati al cinema negli ultimi 10 anni, avete mai visto un tg, possedete una vaga conoscenza della cultura italiana ed americana, specialmente del popolo urbano, se avete avuto un'infanzia relativamente felice, se avete letto almeno venti libri in tutta la vostra vita... insomma, se siete un normale frequentatore di efp o, con una possibilità d'errore parecchio grande, se siete un “quasinormale” italiano/svizzero, garantisco che conoscerete più che bene almeno il 60% dei personaggi, del 20%, come minimo, ne avrete sentito parlare, ed il restante 10%, tendenzialmente, non è importante. Ma la cosa carina è che, almeno per i personaggi centrali, sarò costretta a parlare abbastanza della loro “storia”, nei termini necessari per far proseguire la trama, quindi alla fin fine – a parte il giochino dell “indovina chi ho usato per fare la parte da due righe del vigile urbano” – non dovrebbero esistere reali problemi di comprensione.
  • Durata/lunghezza/promesse di portarla a conclusione: boh. La sto scrivendo per diletto, perchè non scrivo da troppo tempo, perchè è una storia il cui scheletro avevo pronto da anni e che mi è venuta voglia di scrivere. Spero, al solito, di concluderla, ma non posso neanche lontanamente garantire. Né, tanto meno, ho idea di qualti capitoli potranno uscirne né quanto tempo possa prendere. Di base, è Long. Conoscendomi, è Very Long. Il che, per voi, “xè mal”, dato che per una very long story abbisogno di ulissici tempi. Avvisati.








   
 
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