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Autore: Annika Mitchell    13/07/2012    0 recensioni
Una storia d'amore, forse. Una storia che parla di chi resta e perde tutto, di un Jimmy che fugge lasciandosi alle spalle la vita di Meredith Adler, un'incauta fotografa che, per qualche strana legge cosmica, crede di essere davvero importante per gli sfuggenti occhi blu di un batterista, che in realtà è un pianista, un cantante, un filosofo, un fratello e una stella in picchiata libera.
La storia di una delle tante, che si è sentita l'unica tra le braccia dell'Imprescindibile.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, The Rev, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Se non scrivi ti stacco i capelli, giuro."
- piuma_rosaEbianca

 



Alla mia migliore amica, 
ai suoi sogni e
al nostro futuro assieme.


Mi resi conto che avevano oltrepassato il limite nel momento in cui Synyster decise di scommettere con Zacky se avrebbe avuto, o meno, le palle di fargli un pompino. Testuali parole, spinte da un carico di alcool impressionante. La cosa ancora più impressionante fu che Zacky accettò la scommessa, assicurando all’amico che sarebbe stato il pompino migliore della sua vita. Testuali parole.
Mi alzai di scatto, perché non volevo saperne né vederne oltre, e mi trascinai dietro Rev, non messo meglio dei suoi compari.
Lo portai fuori, sul terrazzo del locale, che si affacciava sulle meravigliose coste del Pacifico.
«Punto primo: sei ubriaco. Punto secondo: sarò io a guidare, non mi interessano le tue teorie sulla guida femminile e sul fatto che il tuo Jimny è un bene più unico che raro, perché tanto tu, conciato così, faresti più danni di una qualsiasi donna al volante intenta a truccarsi e a guardare un cartellone pubblicitario dell’Abercrombie allo stesso tempo. Punto terzo: ti rendi conto che Zacky in questo momento sta facendo un pompino a Brian e che io sono l’unica sobria, quindi l’unica che si ricorderà di una scena raccapricciante come questa?» gli dissi, sottolineando l’ultima frase con un tono tra lo sconvolto e il divertito.
Lui sollevò un sopracciglio e mi squadrò con l’aria di chi sta per fare la rivelazione del secolo, barcollò leggermente, per poi lasciarsi cadere sulla sedia più vicina, che per poco non mancò, e dichiarò, quasi solenne: «Non usare quest’aria da supponente con me, perché lo sanno tutti, da che mondo è mondo, che le supposizioni non sono altro che dubbi fondati nei pregiudizi.».
Alzai gli occhi al cielo, sospirando, non potendo dargli torto e non volendolo assecondare.
Poi Jimmy, facendo gesti eloquenti con il braccio sinistro, come per chiarire che non avevo diritto di replica, aggiunse: « Comunque sentimi bene, io non sono ubriaco: sono irlandese e si dà il caso che gli irlandesi, per quanto bevano, non sono mai ubriachi, a differenza di voi inglesi con i vostri dannati tè pomeridiani.»
«Devo ricordarti, forse, di tuo cugino Ryan, irlandese purosangue, che, quando è venuto a festeggiare con noi per san Patrizio, ha bevuto tanta di quella birra da finire per convincersi di essere un folletto e di dover proteggere una pentola d’oro dalle grinfie degli avidi?» sorrisi trionfante.
«Ma Ryan è un caso a parte, è talmente deficiente che anche all’anagrafe hanno fatto storie per mettergli la residenza a Drogheda.» sbuffò lui, accendendosi una Marlboro rossa, perché aveva finito i sigari.
Ignorai la sua precisazione, continuando imperterrita a raccontare: «Senza tralasciare il fatto che credeva che il secchiello del ghiaccio fosse la pentola ed io e Zacky gli avidi. Le risate più belle, quando cominciò a tempestare Zacky di ghiaccio, urlandogli contro che non sarebbe riuscito a portargli via il quadrifoglio, perché l’avrebbe protetto a costo della vita, mentre l’altro continuava a dire che gliel’avrebbe fatta vedere, che di secondo nome faceva Vengeance, e che uno squilibrato così non poteva che essere tuo parente.»
Al che Jimmy si mise a ridere, con la sua risata fragorosa e indescrivibilmente contagiosa; non importa quale tema si stesse trattando: se rideva lui, ridevano tutti, a effetto domino.
Decisi così di immortalare il momento. Bastò un clic, un flash, e rubai l’anima di quella risata, con la Canon che portavo sempre con me, appesa al collo, come porterebbe il crocifisso un credente e come portava gli occhiali Shadows: una protezione. La mia, oltre ad essere una protezione dietro cui nascondere lo sguardo e i pensieri, era un’arma attraverso la quale rubare l’immagine delle cose belle, catturarla egoisticamente, perché il ricordo ne rimanesse intatto, incancellabile, eterno.

«Bimba.» mi appellò teneramente, con un sorrisetto machiavellico, conscio del fatto che detestavo con tutto il cuore dei miei peccati quel nomignolo sgraziato. Mi imbronciai, guardandolo truce e maledicendo il giorno in cui il Padreterno, o chi per lui, decise di farmi innamorare di un uomo come Jimmy Sullivan, uno di quegli uomini che sanno trattarti come Hendrix trattava le sue chitarre, ma a cui non ti riesce mai dire di no, anche se lo sai - perché lo sai - che prima o poi ti ritroverai sola, abbandonata, a cullarti nei ricordi di un amore tanto bello quanto impossibile e forse meno amore di quanto tu abbia mai creduto. Il punto è che Jimmy, come tanti prima di lui, si era innamorato solo una volta in vita sua, di un’amante che non avrebbe mai abbandonato, neppure per tutte le donne e la birra del mondo: la musica.

Come suo solito, senza smentirsi mai, Jimmy confuse quel po’ di cervello rimastomi rendendo i miei pensieri un semplice ammasso di nulla, proprio perché il nulla ha quella caratteristica tutta sua di essere troppo complesso da concepire e assolutamente impossibile da esprimere.
Mi cinse i fianchi, impacciato in una tenerezza mai mostrata, frettoloso in un movimento inaspettato, troppo adulto in un bacio innocente - che poi dove diamine abitasse l’innocenza, nessuno sapeva dirlo - serpente ammaliatore, il suo sorriso appena accennato sulle mie labbra, la sua lingua e il mio fiato corto, le sue mani grandi ad accarezzarmi, il mio labbro inferiore tra i suoi denti, le mie mani tra i suoi capelli, un bacio sul collo e i brividi sulla schiena, i suoi occhi blu nei miei incantati e imploranti, e le sue mani,  la sua bocca, il suo respiro sul collo, e di nuovo così, chissà per quante lune e quanti solstizi, io persa completamente in lui, millantatore di verità scomode.

«Bri, sei qui, tesoro?» ci interruppe una voce femminile, fastidiosa quanto il ronzio di una zanzara di notte e inopportuna come lo sarebbe stata la mia vicina di casa se fosse andata in giro con indosso i boxer del suo defunto marito; cosa che, per inciso, aveva fatto, ma bisogna capire che l’età, a ottant’anni e rotti, gioca brutti scherzi.
Se c’era una persona, in tutta Huntington Beach, di cui realmente non mi spiegavo l’esistenza, che sopportavo addirittura meno di Leana McFadden, be’, quella era Michelle DiBenedetto, con i suoi capelli castani mechati ed i suoi mini abiti semi trasparenti.
Non la digerivo, non la tolleravo, mi recava fastidio anche solo condividere la stessa stanza con lei, per motivazioni apparentemente stupide e insensate, ma fondate, in realtà, nelle innumerevoli osservazioni dei comportamenti sempre più irriconoscibili di Brian.
«Scusate!» aggiunse poi, fingendosi imbarazzata per aver, evidentemente, interrotto qualcosa. Ci guardò con occhi timorosi, valutando il da farsi.
«Non è qui.» ruppe il suo silenzio Jimmy, tenendomi ancora stretta tra le sue braccia.
Michelle sorrise un po’ contrariata, avvicinandosi a noi a cavallo dei suoi tacchi da equilibrista.
«Lo vedo, grazie. Ma sai dov’è, Jim caro?» disse, facendomi rabbrividire per il tono stucchevolmente falso che gli aveva rivolto.
Jimmy si irrigidì e la guardò con un’aria di sufficienza che mai gli avevo visto prima, fece per dirle qualcosa, ma lo precedetti repentina: «È da Jason.». Improvvisai, con una voce forse un po’ troppo sicura e con un’espressione che non ammetteva che venisse messo in dubbio ciò che avevo appena detto.
Jimmy non mi tradì e rimase impassibile; l’unico gesto che fece fu un mezzo sorriso di ringraziamento: in fondo stavo salvando il culo del suo migliore amico, che probabilmente era ancora chiuso nel gabinetto del pub a fare chissà che cosa con Zacky.
«Strano» cominciò meditabonda la gemella, con un’espressione da pesce lesso stampata in faccia che avrei dovuto immortalare seduta stante, tant’era esilarante. Aggiunse poi, con un’aria di scettica incredulità: «Mi aveva detto che sarebbe venuto qui con tutti gli altri, non cambia mai programma senza avvertirmi.»
«Questa volta l’ha fatto.» le rispose Rev, con aria di sfida.
Michelle, ancora titubante, si accigliò e scrollò le spalle, ci fece un cenno con la testa, per poi alzare i tacchi e andarsene.

Tirai un sospiro di sollievo non appena varcò la soglia e sorrisi ammiccando a Jimmy.
Lui, tutt’altro che sollevato, tolse le mani dai miei fianchi e disse secco: «Vai a chiamare Syn, quella testa di cazzo.».
Lo guardai come se si fosse appena bevuto il cervello in una bottiglia di vino italiano, strabuzzai gli occhi facendo di no con la testa, boccheggiai per qualche minuto ed infine pronunciai smarrita, se non imbarazzata, senza riuscire a comporre una frase di senso compiuto: «No, no, no, no … Metti che, insomma … Lui e Zacky …! Me li trovo lì, e poi, cioè …?», infine sbottai: «Chiamatelo te!».
Lui alzò gli occhi al cielo, scostandosi distrattamente i capelli dal viso, con un gesto che era solito fare Zacky. Scosse la testa, con la stessa disapprovazione nello sguardo di un insegnante che spiega cose semplici ad un branco di capre, quando in realtà le capre non stanno in branco: «Sono ubriaco, ricordi?!» concluse, quasi spiritato.
Lo guardai, senza vederlo davvero, assorta nel trovare un nesso logico tra la situazione in cui ci trovavamo e la sua scusa campata per aria. Mi ci volle un attimo, su per giù, per accertarmi che non ve ne era nessuno.
«E con ciò?» chiesi, scrutandolo attentamente, le labbra strette tra i denti, curiosa di sapere cosa si sarebbe inventato.
Jimmy sospirò indispettito, appellandosi a chissà quale santo per trovare la pazienza di spiegarmi cose così ovvie e banali. Quando la trovò, mi rispose lentamente, come se fossi rincoglionita quanto la sua povera nonna: «Andare alla ricerca dei propri amici ubriachi, probabilmente nudi, chiusi nel cesso di un pub, solo Gesù Cristo sa in quale stato e posizione, a scommettere chissà che cos’altro, rientra nelle cose vietate per legge a chi ha bevuto, assieme alla guida e all’uccisione per legittima difesa di quegli schifosissimi e orripilanti piccioni.»
«Quindi guido io!» lo guardai, vittoriosa.
Mi fece un occhiolino furbesco: «Alcune leggi sono fatte per essere infrante.»
E aggiunse: «Specie se si parla di piccioni.», rabbrividendo infine, schifato dal Creato.
Gli sorrisi comprensiva, un po’ madre, un po’ figlia com’ero.
Mi strinse la mano sinistra e mi fece segno con il capo di rientrare, in silenzio. Così facemmo, entrambi convinti che sarebbe toccato all’altro compiere l’ingrato gesto, ovvero richiamare quei due alla realtà, una realtà in cui entrambi erano chitarristi famosi, fidanzati e, soprattutto, etero.

«Dove eravate?» ci salutarono Shadows e Val all’unisono, non appena ci videro arrivare mano nella mano.
Valary, mia grande amica dai tempi in cui era l’unica manager dei ragazzi, sorrise, felice di notare che io e Jimmy vivevamo finalmente la nostra storia alla luce del sole, e che non ci nascondevamo più per evitare gossip e malelingue.  
«A fumare.» rispose con un occhiolino Jimmy.
«Dov’è Johnny?» chiesi, notando che il piccoletto non era dove l’avevamo lasciato poco prima.
«Bella domanda.» rispose Valary, portandosi una mano accanto alla bocca, meditabonda.
«Ci starà provando con una bella ragazza, sicuramente troppo alta per lui. Mi piacerebbe sapere che morte pietosa hanno fatto Syn e Zacky, invece.» disse Matt, levandosi gli occhiali a specchio, per tentare di vederci chiaro in quella faccenda.
Io e Jimmy ci guardammo così intensamente che quell’attimo sembrò durare un minuto, poi deglutii e presi un respiro profondo, per spiegare l’accaduto senza rischiare di essere fraintesa.
«Il fatto è che ci troviamo in una situazione di …» cominciai, prendendomi tempo, con una calma innaturale nella voce che, di fatto, non mi apparteneva.
«Merda.» concluse per me Jimmy.
«Esatto.» dissi estasiata dal rapporto di sinergia che si era instaurato.
«No, no. Merda.» ripeté, guardando l’ingresso del locale con occhi sgranati.
Al che voltammo tutti lo sguardo in quella direzione.
Io spalancai la bocca e rimasi tanto immobile che nemmeno un baccalà sarebbe riuscito ad imitarmi; Matt si rimise gli occhiali, proprio perché non ci stava capendo nulla; mentre gli occhi di Val vagavano alla ricerca di risposte, posandosi prima su di me, poi su Jimmy, nuovamente su di me ed infine sulla gemella, che, disgraziatamente, le somigliava solo fisicamente.
Michelle DiBenedetto varcò la soglia del locale, nera di rabbia, gli occhi fuori dalle orbite, i pugni stretti lungo i fianchi, il labbro inferiore tra i denti e le sembianze di un rottweiler impazzito; Gena Paulhus accanto a lei, invece, sembrava non sapere neppure perché si trovasse lì, ignara di tutto, addirittura un po’ impaurita per l’atteggiamento della ragazza che aveva di fianco. A finire il corteo c’era Jason Berry in pigiama, assonnato, adirato per essere stato svegliato alle tre di notte da una schizzata come Michelle e in attesa di una spiegazione valida per non mollare tutto e tutti seduta stante.
Per tutta risposta, alla scenetta da sitcom spicciola, si aggiunse Johnny, che camminava a braccetto con una bionda alta due volte lui, un sorriso che andava da orecchio a orecchio, noncurante di ciò che stava per accadere.
«Merda.» ripetei.




Note a pié pagina:
Chiedo scusa per il ritardo, in caso qualcuno aspettasse di leggere il nuovo capitolo, ma sono andata al mare, poi ho cominciato a lavorare e quindi non ho avuto nemmeno un attimo per sistemarlo. 
No, non sono una slasher, quindi sappiate fin da subito che questa non è una slash, nonostante il capitolo dica l'esatto contrario. 
Sì, sono stronza, perché è finito "sul più bello" (a seconda dei concetti che si hanno del bello, chiaramente).
Nulla, mi piacerebbe avere una vostra opinione, visto che è una settimana che rimango alzata la notte per scriverlo. 
Non mi offendo se mi dite che dovrei fare altro nella vita, anzi! 
Vi saluto, c'è la cena che mi aspetta.
Baci, abbracci e carinerie, alla prossima. 

Ann.
   
 
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