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Autore: HypnosBT    15/07/2012    6 recensioni
Sono rimasta affascinata dai sigilli degli assassini, quelli che si trovavano nelle cripte in Assassin's Creed 2. Sei nomi e sei storie diverse, trattate con così tanta fretta! Che peccato. Le ho immaginate una ad una e ho deciso di pubblicarvi quelle più riuscita. Si tratta della vittoria di Amunet. 
 
Cleopatra sapeva: Antonio era morto, ora toccava a lei.
 
Amunet è il mio nome. 
Amunet come la dea, 
Amunet significa invisibile, 
Amunet significa aria. 
Solo nell’ombra mi è concesso essere me stessa. 
Alla luce vengo chiamata Amina
Amina significa fedele. 
Eppure Amina è una bugiarda. 
 
Buona lettura.
Genere: Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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La corte dei veleni

 

 

Cleopatra sapeva: Antonio era morto, ora toccava a lei.

 

 

Amunet è il mio nome.

Amunet come la dea,

Amunet significa invisibile,

Amunet significa aria.

Solo nell’ombra mi è concesso essere me stessa.

Alla luce vengo chiamata Amina.

Amina significa fedele.

Eppure Amina è una bugiarda

 

 

 

Alessandria d'Egitto, 30 a.C.

 

 

 

  Le mani pesanti e callose calarono sulla mia schiena scura. La sua pelle bianca riluceva alla luce della luna, mentre la mia passava inosservata grazie alla tonalità color terra. Mi baciò con rovinosa passione, come un assetato che trova l’ambrosia.

  Ripensai all’obbiettivo e non mi feci trascinare da quel contatto così seducente. Probabilmente m’irrigidii, perché mi domandò se andava tutto bene.

  «Certo», risposi con noncuranza, sfoderando un sorriso malizioso. Come poteva non vedere la tempesta che infuriava nei miei occhi? “Sciocco”, pensai amaramente mentre mi spogliavo. Lasciai scivolare delicatamente il velo sottile che copriva il seno e spinsi il mio amante sul triclinio. Rimase a contemplare il mio corpo come se non mi avesse mai visto prima. Mentre mi calavo su di lui feci scivolare lentamente la mano sotto la gonna. Vedevo l’ombra del grande uomo che era stato, nascosta dallo sguardo languido di un debole divorato dal desiderio. Tutta la sua fibra morale era stata annientata dall’amore per una donna che lo ricambiava a fatica. Cleopatra l’aveva sempre usato senza che lui dubitasse dell’affetto della regina anche solo per un istante. La mia mano trovò ciò che stava cercando: nascosto sul fodero che cingeva la coscia tenevo un pugnale argenteo, affilato, pronto a scattare. Lo estrassi velocemente.

  Lessi incredulità nell’ultimo pensiero che gli attraversò lo sguardo.

  Morì fissando lo stiletto che gli affondavo nel petto.

  «Requiescat in pace» alitai prima di andarmene.

 

 

  Batté le mani e noi entrammo.

  “Amina i capelli, voi invece preparatemi la tunica verde”.

Carmiana e Muna si affrettarono a eseguire l’ordine della regina mentre io prendevo il pettine. Lei si accomodò davanti all’enorme specchio dorato e ammirò compiaciuta la sua immagine. Gli anni erano stati clementi con la sua figura, era ancora la donna più affascinante di tutto l’Egitto. Pettinai la chioma corvina con attenzione maniacale: meno di una settimana prima Muna, a causa della sua scarsa concentrazione era stata punita con cinque frustate.

  Si respirava un’aria più che tesa a palazzo. Da quando Antonio era stato assassinato Cleopatra aveva moltiplicato la sorveglianza della reggia. Vagava senza meta per i lunghi corridoi sfarzosi sfregandosi le mani nervosamente, con gli enormi occhi neri fuori dalle orbite.

  La regina sapeva, la sua ora era vicina.

 

 

  Quando fu pronta mi chiese di accompagnarla in carcere. Non aspettavo altro che quel momento. Il suo sfogo in quel periodo nero erano “i suoi esperimenti”, come li definiva. Da qualche mese si dedicava al veleno. Ne era sempre stata affascinata, ma ora aveva deciso che era il momento giusto per abbandonare gli studi teorici per passare alla pratica.

  Elija Harat ci aspettava fuori dal vasto edificio di pietra nera. Come sempre la regina intimò alle guardie che ci seguivano di aspettare fuori e i tre scagnozzi si misero in posizione occupando i lati della vasta porta d’ingresso. Mi fece cenno di seguirla. L’interno era freddo e umido, non vi erano finestre e i lunghi corridoi labirintici erano illuminati da piccole torce che bastavano a malapena a rischiarare la strada ai nostri piedi. Studiai il tragitto che Elija ci fece percorrere, immagazzinando ogni più piccolo dettaglio che scorgevo, dai fondi gradini alle zone completamente buie. Ogni volta il giro era diverso, la regina ci teneva a sembrare imprevedibile. Doveva tenere assolutamente segreti gli orrori che si svolgevano in quella prigione fatiscente. Odorava di chiuso, di morte, era insopportabile. Più scendevamo nell’intimo della terra più mi sentivo mancare. Odiavo gli spazi chiusi, dovetti fare appello al mio sangue freddo per resistere. Andammo sempre più giù, fino ad arrivare in una stanza abbastanza ampia, nascosta nelle viscere del suolo. Al suo interno vi era una poltrona foderata di raso rosso su cui Cleopatra si sedette senza indugio, un tavolo dove erano poggiate delle pergamene e, nascosta su un angolo remoto della stanza vi era una cesta di vimini.

  Capii che nella stanza c’era qualcos’altro soltanto quando sentii lo scroscio delle catene.

  Si trattava di un bambino, dieci anni al massimo.

  All’ombra era quasi invisibile, appariva soltanto un viso deformato dalla disperazione e dalla fame.

  Serrai i pugni.

 

 

  Cleopatra sorrise leziosa e gli chiese gentilmente di avvicinarsi. Il bimbo non la ascoltò e rimase fermo nell’angolo. Anche quando lei tirò fuori del pane fresco lui stoicamente si rifiutò di avvicinarsi.

  Elija intuì il comando che gli veniva imposto dagli occhi ardenti della folle regina. Si avvicinò al residuo di essere umano che marciva nella stanza e lo trascinò per il collo fino ai piedi della donna. Io assistevo a quella scena brutale da un altro angolo della cella, alle spalle della regina, dove continuavo a scrutare la cesta in vimini con apprensione. Strani sibili provenivano dal suo interno, ma smisi di badarci quando il bambino si alzò in piedi fissando Cleopatra. Nulla animava i suoi occhi: non aveva più una causa per cui combattere, la vita era stata prosciugata dalle piccole ossa immature.

  «Elija, prendila» disse imperiosa la regina.

  Quest’ultimo venne verso di me e ammetto che per un attimo mi prese il panico. Sarebbe andato tutto storto. L’uomo fortunatamente mi oltrepassò per prendere la cesta di vimini. Aveva indosso un grande guanto di pelle che gli copriva l’avanbraccio, nell’altra mano teneva un corto bastone uncinato. Mise il contenitore vicino al bimbo e gettò via il coperchio. Prese il serpente e mi intimò di chiudere il grande cesto. Era un aspide.

 

 

  Il lungo serpente si attorcigliò al braccio del crudele carceriere in una stretta morsa. Abbracciò il guanto di cuoio con rabbia, come per avvertire l’uomo della sua potenza. Cleopatra rise sommessamente alla vista di quell’enorme rettile. Sibilava pericolo, i suoi occhi bruciavano d’odio. Sembrava quasi che si fosse reso conto della sua mansione, un compito meschino.

 

 

  «Avanti, dammi il braccino» sussurrò Elija, completamente a suo agio. Lo scheletro rimase immobile, come se non avesse sentito. Il carceriere gli afferrò il polso senza indugio, non si aspettava una collaborazione, e cominciò a soffiare parole incomprensibili. La serpe, udendo quella nenia, si acquietò e iniziò a ciondolare ritmicamente. L’aveva stregata.

  Tutto finì quando lui espresse il comando.

  «Mordi», ordinò deciso, con una forza nuova nella voce. Il netto contrasto con la cantilena gorgheggiata in precedenza fece piombare l’aspide nella realtà. Quest’ultimo fiondò le zanne sul gomito del malcapitato. Non potevo permettermi urla e pianti, era fondamentale che io recitassi la mia parte, almeno per qualche giorno ancora. Il respiro mi si strozzò in gola e cominciai a tossire per mascherare il mio orrore. Da dove veniva tutto quell’odio gratuito?

  Anch’io attendevo con il fiato sospeso.

  Tutti e tre guardavamo il bimbo con ansia, cercando di notare i cambiamenti.

 

 

  Presi la pergamena che mi veniva offerta e intinsi la piuma castana nell’inchiostro. Le mani mi tremavano, eppure riuscii a nasconderlo, come occultavo il mio furore dietro ad uno sguardo vacuo.   

  «Condizioni stabili, leggero aumento di sudorazione» iniziò a dettare con voce pensosa «Il morso ha infettato tutto l’avambraccio», continuò Cleopatra, insensibile alle sue pene.

  Il ragazzino, dopo queste parole, crollò a terra come addormentato.

  «Incredibile» disse Elija.

  «Incredibile» ripeté Cleopatra la bella.

Prima di allora nessuno era morto così rapidamente. E sicuramente tutti avevano sofferto di più.

 

 

 

*

 

Il resto... vi lascio immaginare.

Con la viva speranza di avervi regalato qualcosa, 

Bea

  
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