CAPITOLO 1
«Isabel…
Isabel, aspetta!» urlò
ancora una volta il conte disperato, in preda ad una crisi di pianto.
«Per
l’amor di Dio, ti scongiuro non te ne
andare! Non lasciarmi!». Non aveva più fiato per
correre e cadde a terra.
«Isabel! Se sali su
quella nave non sarai più
mia figlia!».
Quelle parole furono davvero troppo.
La ragazza accelerò
il passo, seguì sua sorella Jane e
sparì senza mai voltarsi oltre le scalette
all’ingresso dell’imbarcazione.
Jane sbuffò sdegnata non appena
furono a bordo. «Ma guardalo, come si preoccupa! Ora che la
sua prediletta lo
ha abbandonato» affermò ironica, senza
preoccuparsi di nascondere la sua lingua
tagliente.
Isabel sbirciò dall’oblò ma si
pentì subito, la figura del loro padre inginocchiato e con
l’espressione cosi
sofferente le fece troppo male. Lanciò
un’occhiataccia alla sorella che stava
ancora ridendo finché i loro occhi non si incontrarono.
«Beh che hai? Non dirmi
che vuoi tornare da papino! Sei ancora in tempo»
sghignazzò Jane, Isabel invece
era serissima «Smettila, non dovresti parlare cosi di nostro
padre!» sentenziò
e si allontanò da lei.
Più tardi bussarono alla porta
della cabina.
Isabel si alzò dal letto con gli
occhi lucidi mentre Jane avanzava senza neanche aver aspettato il
permesso di
entrare.
«Lo sai che tu sei sempre stata
la sua preferita», fissò Isabel per un istante di
silenzio poi tornò a parlare
«Non devi piangere, questo viaggio è il mio unico
modo di salvarti» le si
avvicinò con fare amichevole, «Tu sei solo
gelosa!» gridò Isabel allontanandosi
da Jane, poi si arrese e continuò a piangere tra le braccia
di sua sorella
maggiore.
Erano salpate su un mercantile già
da cinque ore dal porto di Liverpool, le attendevano molti giorni di
navigazione. Il Nuovo Mondo, aveva detto Jane, sarebbe stata la loro
unica
salvezza. Si sarebbero rifatte una nuova vita e non erano sole,
c’era la zia
Meredith ad aspettarle.
Isabel sentiva di avere molto
meno dei suoi 16 anni, la purezza del suo animo e
l’ingenuità conservavano in
lei quella parte bambina che non avrebbe mai voluto perdere, mentre
Jane
ventiduenne, era la pecora nera della famiglia, il
“maschiaccio”. Ma Isabel
sapeva che era il suo unico punto di riferimento, soprattutto ora che i
loro
genitori si odiavano e vivere tutti sotto lo stesso tetto era diventato
impossibile.
Il secondo giorno di viaggio, le
due sorelle si svegliarono che il sole era sorto già da un
po’, Jane fu la
prima a vestirsi e uscì dalla cabina. Quando Isabel
aprì gli occhi dapprima
sentì un leggero vociare poi si accorse che un senso di
nausea stava diventando
sempre più forte, provò ad alzarsi ma
rotolò giù dal letto e per poco non si
fece male sul serio.
La risata di sua sorella la
irritò maggiormente e alzò gli occhi indignata ma
trasalì; Jane era in compagnia
di quello che doveva essere il capitano. Erano beatamente seduti a
tavolino,
lei intenta a mangiare da un vassoio stracolmo e il giovane che
sorrideva. «Finalmente
ti sei alzata pigrona» ridacchiò lei, Isabel si
trattenne dalla collera e si
avvolse nel lenzuolo strappandolo dal letto.
«Mi
dispiace, spero non vi siate fatta male» disse il capitano
alzandosi, si
avvicinò alla ragazza a terra e la guardò nei
grandi occhi blu. «Lasciate che
mi presenti, io sono il Capitano Sean Smith, vi trovate a bordo della
mia
nave…» le tese la mano destra e si
inchinò.
Isabel pensò a quanto fosse
insolito quel tizio, o semplicemente troppo gentile. Allungò
la mano e lui
gliela baciò delicatamente, poi la aiutò ad
alzarsi. Jane tossì e il capitano
si ricordò improvvisamente che aveva da fare, cosi si
congedò.«Arrivederci
Isabel» sussurrò prima di andarsene.
«Su coraggio, vieni a mangiare»
sentenziò Jane, aveva cambiato stranamente umore
all’improvviso. Isabel si
sedette affianco a lei «Come mai era qui?».
Silenzio.
«Jane, voglio sapere perché ti
permetti di far entrare estranei nella nostra cabina» .
Sua sorella smise di mangiare «E’
un mio amico, stai tranquilla» disse senza guardarla, Isabel
si alzò di scatto «Smettila
di decidere tutto tu della vita degli altri!».
Aprì il baule ed estrasse un
corpetto e delle sottogonne «Guarda addirittura i vestiti! Io
non sono più un
bambina perché non lo capisci?», li
gettò a terra.
Jane rise «Ma perché ti
scaldi tanto? Prima Sean, ora i vestiti… Ieri piangevi
perché già ti mancava papà,
non dirmi che vorresti tornare a casa! Scommetto che ci hai
già ripensato ad
andare da nostra zia» .
Isabel
le si accostò e fu tentata di prenderla a schiaffi
«Dovresti prendermi più in
considerazione da oggi in poi!». Jane restò senza
parole poi si alzò furiosa «La
mia pazienza ha un limite sorellina, stai attenta». Isabel la
guardò negli
occhi dello stesso blu che aveva lei «Non ho paura di
te» disse a denti stretti
e sparì oltre la porta. Jane diede un calcio alla sedia che
andò a schiantarsi
contro la parete.
Sua
sorella minore si era diretta
sul pontile e aveva indossato il suo abito preferito, quello celeste
col pizzo
bianco senza il bustino che tanto la soffocava. Non le importava
più di tanto,
dato che era un caldo pomeriggio estivo. In quel momento Isabel
sentì salirle
la rabbia per suo padre, per sua sorella e perché non sapeva
se quel viaggio
fosse stata la cosa più giusta da fare.
Si appoggiò al parapetto e scrutò
l’orizzonte, i lunghi capelli biondi e ondulati al vento. Non
si era mai sentita
cosi debole e cosi sola al mondo. Il capitano Smith diede
l’ordine si spiegare
le vele per aumentare velocità mentre i mozzi pulivano per
terra imprecando di
tanto in tanto. Il sole calava lentamente data la stagione e il cielo,
privo di
nuvole, assumeva delle sfumature di colore cade e accese. Isabel non si
accorse
della presenza di qualcuno vicino a lei, qualcuno che le
posò una mano su una
spalla e mormorò timidamente qualcosa.
La ragazza sobbalzò a quel tocco.«Non
volevo spaventarvi» sussurrò il capitano
sorridendo.
«Oh, siete
voi…» mormorò lei guardandolo.
«Chiamatemi Sean per favore» disse il capitano,
Isabel annui e volse lo sguardo
altrove ignorando gli occhi puntati su di lei. Rimasero a lungo in
silenzio poi
Sean parlò «So come vi sentite, non dovreste
essere in collera con vostra
sorella, vi vuole molto bene».
La
ragazza sbuffò «Vuole proteggermi dal mondo
intero! E’ ora che anche io inizio
a vivere» lo interruppe, Sean annuì
«Avete ragione ma cercate di non litigare,
voi siete una famiglia». Isabel non seppe cosa rispondere, si
chiedeva solo
perché chiunque ci teneva a dirle cosa doveva e cosa non
doveva fare.
Parlarono
a lungo del rapporto delle due ragazze e Sean cercava di dare consigli
e di
spiegare alla più piccola quanto fosse importante la sua
vita per la sorella
maggiore. «Jane vi adora, il vostro legame è
più forte di quello che credete».
Isabel abbassò lo sguardo, era decisa a dirgli che doveva
pensare agli affari
suoi e che sapeva badare a se stessa ma rimase in silenzio e si
trattenne dalla
voglia di piangere.
La
vedetta improvvisamente lanciò un urlo «Nave in
vista!» e tutti quanti sul
ponte trattennero il fiato. L’espressione
del capitano mutò all’istante, alzò gli
occhi sulla vedetta poi guardò nella
direzione in cui egli puntava il dito. «Che bandiera
battono?» chiese
mantenendo la calma, «Sono ancora troppo lontani per
dirlo» fu la risposta. Gli
altri uomini smisero di occuparsi delle loro faccende e si lanciarono
degli
sguardi di terrore. Il secondo si affrettò a dare
l’allarme «Pirati capitano!».
Sean lo raggiunse e lo afferrò per il bavero «Cosa
diavolo stai farneticando?!
Vuoi farci prendere un colpo a tutti? Torna al timone e chiudi quella
bocca»,
l’uomo lo guardò stralunato ma ubbidì.
Sean
tornò da Isabel la quale si precipitò a chiedere
cosa stesse accadendo, «Non
dovete preoccuparvi di nulla Milady, adesso vi riaccompagno in
cabina» rispose
rapido lui.
Una
volta tornato sul ponte corse al parapetto opposto e sfoderò
il cannocchiale,
avevano di fronte un galeone spagnolo gigantesco.
«Signore!» urlò la vedetta «Ci
attaccheranno, vengono verso di noi ad una velocità
impressionante, Henry aveva
ragione!».
“Maledizione”
imprecò Sean fra se e sé «Tutti ai
propri posti, caricate i cannoni, portate
qui tutte le armi che sono nella stiva! Prepararsi
all’attacco». Henry fu
subito da lui «Ma capitano non abbiamo polvere da sparo a
sufficienza, i
cannoni sono pochi…», Sean lo zittì
bruscamente «Cosa proponi? Hai forse
un’idea migliore? Non possiamo scappare, ormai ci siamo
dentro fino al collo!
Adesso va e preparati a combattere!».
Fu
il caos totale, gli uomini si agitarono e corsero avanti e indietro,
alla prima
bordata l’albero maestro fu disarcionato in mare, Jane e
Isabel erano chiuse in
cabina e stavolta perfino la sorella maggiore sembrava essere
spaventata.
«Io
devo fare qualcosa, non posso restare qui»- sbottò
Isabel, Jane la trattenne «Vuoi
farti ammazzare come un agnellino?», la ragazza rispose un no
secco pieno di
rabbia, si sentiva cosi impotente e la cosa non faceva che renderla
nervosa. Il
galeone abbordò il mercantile e la ciurma nemica in un
attimo lo invase. Le
altre bordate che seguirono fecero oscillare la nave cosi bruscamente
che
Isabel pensò che si rivoltassero, abbracciò la
sorella e le disse che le voleva
bene.
Di
sopra la battaglia si consumava fra il cozzare delle lame insanguinate
e gli
spari, i nemici stavano decisamente avendo la meglio. Il capitano Smith
stava
duellando da un pezzo con un mercenario e aveva abbattuto si e no un
paio di
spagnoli, Henry giaceva senza vita vicino al timone, quando Sean se ne
accorse
gli occhi gli divennero lucidi, doveva uccidere quei bastardi che
avevano
abbordato la sua nave con tanta facilità. Ma da solo quante
possibilità aveva
di vittoria?
In
un attimo di distrazione un colpo di spada gli ferì la
spalla, imprecò e cadde
in avanti; quando alzò lo sguardo sussultò,
Isabel era salita sul pontile e
osservava la scena con occhi sgranati.
Il
mercenario gli puntò la spada alla gola «Arrenditi
inglese» disse con sdegno,
Sean si rialzò di scatto e quello lo trafisse
all’addome senza pietà. Isabel si
portò le mani alla bocca trattenendo un urlo.
«Scappa!»
intimò il capitano prima di cadere a terra. La sua vista era
ormai offuscata,
osservava inerme la distruzione della sua nave, i suoi compagni
cadevano sotto
i colpi di sciabola uno ad uno. Il suo udito divenne sordo, si
accasciò al
suolo e chiuse gli occhi, ma respirava ancora.
Isabel
prese a correre e raggiunse la sorella «Dobbiamo andarcene da
qui o nasconderci!»
la avvisò, Jane la trascinò fuori dalla cabina
poco convinta «Va bene andiamo
nella stiva».
Giunsero
all’entrata, ma la porta era socchiusa. Scesero in silenzio
le scalette e una
torcia illuminata passò davanti a loro, poi un grido. I
pirati le avevano
precedute, non avevano scampo. Indietreggiarono e si misero a correre,
nel
corridoio tre uomini bloccavano
la
strada, Jane urlò e si scaraventò su due di loro
cercando di colpirli a suon di
calci, a uno sputò in un occhio.
Isabel
non era capace di pensare, le sue gambe sembravano incollate al legno
del
pavimento. Poi uno di loro afferrò Jane per la gola, Isabel
si fiondò nella
cabina affianco, prese una sedia e una volta fuori la
scaraventò contro lo
spagnolo colpendolo alla testa.
«Occhio
alla ragazzina!» gridò quello più
basso, Jane si liberò dalla presa e gli tirò
in calcio fra le gambe facendolo urlare di dolore. Ne rimaneva solo uno
in
piedi, entrambe si fiondarono su di lui e miracolosamente riuscirono a
sfuggirgli.
Quando furono sul ponte lo
spettacolo non era
dei migliori: la
superficie del legno
era ricoperta di sangue, le vele a terra strappate, i barili sparsi qua
e là,
l’equipaggio della nave era stato sterminato, alcuni corpi
buttati a mare e i
nemici che esultavano.
Jane
riconobbe Sean e corse da lui, gridò che non doveva morire e
iniziò a piangere.
Isabel si chiese da quanto non vedesse sua sorella piangere e si
trattenne dal
farlo anche lei, poi una voce squillante si mise a strillare
«Il capitano è
ancora vivo!». Due uomini armati di sciabola e pugnali
scostarono Jane che urlò
di non toccarla e legarono Sean con una fune, era in un lago di sangue
ma era
ancora vivo.
«Tu
resta qui e sta ferma» disse uno spagnolo afferrando Jane per
le spalle e
puntandole un coltello alla gola, «No!»
urlò Isabel ma ben presto si ritrovò
legata anche lei.
Gli
uomini parlarono nella loro lingua che le sorelle non conoscevano poi
il tizio
che tratteneva Jane annui ridendo, la trascinò
pericolosamente vicino al
parapetto e la spinse in mare come fosse un oggetto di cui non aveva
più
bisogno, ignorando le sue urla.
Ad
Isabel crollò il mondo addosso in un
istante. La ragazza gridò con quanto fiato aveva in corpo
tutta la sua
disperazione «No! No! Perché avete salvato me?
Perché?» e pianse tutte le sue lacrime
fino a prosciugare gli occhi quando la sorella sparì dalla
sua vista. Lei e il
capitano Sean, agonizzante, furono fatti prigionieri.