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Autore: Eos BiancaLuna    20/07/2012    2 recensioni
Isabel è una ragazza nobile d'animo e coraggiosa che intraprende un viaggio con la sorella più grande per lasciare i loro furiosi genitori. Sullo sfondo dell'oceano atlantico nel 1700 i pirati incrociano la sua strada provocandole sofferenza e non solo, Isabel è costretta a crescere, a cavarsela da sola ed affrontare la sua nuova vita.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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CAPITOLO 1

                                                                         

«Isabel… Isabel, aspetta!» urlò ancora una volta il conte disperato, in preda ad una crisi di pianto.
«Per l’amor di Dio, ti scongiuro non te ne andare! Non lasciarmi!». Non aveva più fiato per correre e cadde a terra.
«Isabel! Se sali su quella nave non sarai più mia figlia!». 
Quelle parole furono davvero troppo.
La ragazza  accelerò il passo, seguì sua sorella Jane e sparì senza mai voltarsi oltre le scalette all’ingresso dell’imbarcazione.
Jane sbuffò sdegnata non appena furono a bordo. «Ma guardalo, come si preoccupa! Ora che la sua prediletta lo ha abbandonato» affermò ironica, senza preoccuparsi di nascondere la sua lingua tagliente.
Isabel sbirciò dall’oblò ma si pentì subito, la figura del loro padre inginocchiato e con l’espressione cosi sofferente le fece troppo male. Lanciò un’occhiataccia alla sorella che stava ancora ridendo finché i loro occhi non si incontrarono. «Beh che hai? Non dirmi che vuoi tornare da papino! Sei ancora in tempo» sghignazzò Jane, Isabel invece era serissima «Smettila, non dovresti parlare cosi di nostro padre!» sentenziò e si allontanò da lei.
Più tardi bussarono alla porta della cabina.
Isabel si alzò dal letto con gli occhi lucidi mentre Jane avanzava senza neanche aver aspettato il permesso di entrare.
«Lo sai che tu sei sempre stata la sua preferita», fissò Isabel per un istante di silenzio poi tornò a parlare «Non devi piangere, questo viaggio è il mio unico modo di salvarti» le si avvicinò con fare amichevole, «Tu sei solo gelosa!» gridò Isabel allontanandosi da Jane, poi si arrese e continuò a piangere tra le braccia di sua sorella maggiore.
Erano salpate su un mercantile già da cinque ore dal porto di Liverpool, le attendevano molti giorni di navigazione. Il Nuovo Mondo, aveva detto Jane, sarebbe stata la loro unica salvezza. Si sarebbero rifatte una nuova vita e non erano sole, c’era la zia Meredith ad aspettarle.
Isabel sentiva di avere molto meno dei suoi 16 anni, la purezza del suo animo e l’ingenuità conservavano in lei quella parte bambina che non avrebbe mai voluto perdere, mentre Jane ventiduenne, era la pecora nera della famiglia, il “maschiaccio”. Ma Isabel sapeva che era il suo unico punto di riferimento, soprattutto ora che i loro genitori si odiavano e vivere tutti sotto lo stesso tetto era diventato impossibile.

 
Il secondo giorno di viaggio, le due sorelle si svegliarono che il sole era sorto già da un po’, Jane fu la prima a vestirsi e uscì dalla cabina. Quando Isabel aprì gli occhi dapprima sentì un leggero vociare poi si accorse che un senso di nausea stava diventando sempre più forte, provò ad alzarsi ma rotolò giù dal letto e per poco non si fece male sul serio.
La risata di sua sorella la irritò maggiormente e alzò gli occhi indignata ma trasalì; Jane era in compagnia di quello che doveva essere il capitano. Erano beatamente seduti a tavolino, lei intenta a mangiare da un vassoio stracolmo e il giovane che sorrideva. «Finalmente ti sei alzata pigrona» ridacchiò lei, Isabel si trattenne dalla collera e si avvolse nel lenzuolo strappandolo dal letto.
«Mi dispiace, spero non vi siate fatta male» disse il capitano alzandosi, si avvicinò alla ragazza a terra e la guardò nei grandi occhi blu. «Lasciate che mi presenti, io sono il Capitano Sean Smith, vi trovate a bordo della mia nave…» le tese la mano destra e si inchinò.
Isabel pensò a quanto fosse insolito quel tizio, o semplicemente troppo gentile. Allungò la mano e lui gliela baciò delicatamente, poi la aiutò ad alzarsi. Jane tossì e il capitano si ricordò improvvisamente che aveva da fare, cosi si congedò.«Arrivederci Isabel» sussurrò prima di andarsene.
«Su coraggio, vieni a mangiare» sentenziò Jane, aveva cambiato stranamente umore all’improvviso. Isabel si sedette affianco a lei «Come mai era qui?». Silenzio.
«Jane, voglio sapere perché ti permetti di far entrare estranei nella nostra cabina» .
Sua sorella smise di mangiare «E’ un mio amico, stai tranquilla» disse senza guardarla, Isabel si alzò di scatto «Smettila di decidere tutto tu della vita degli altri!». Aprì il baule ed estrasse un corpetto e delle sottogonne «Guarda addirittura i vestiti! Io non sono più un bambina perché non lo capisci?», li gettò a terra. 
Jane rise «Ma perché ti scaldi tanto? Prima Sean, ora i vestiti… Ieri piangevi perché già ti mancava papà, non dirmi che vorresti tornare a casa! Scommetto che ci hai già ripensato ad andare da nostra zia» .
Isabel le si accostò e fu tentata di prenderla a schiaffi «Dovresti prendermi più in considerazione da oggi in poi!». Jane restò senza parole poi si alzò furiosa «La mia pazienza ha un limite sorellina, stai attenta». Isabel la guardò negli occhi dello stesso blu che aveva lei «Non ho paura di te» disse a denti stretti e sparì oltre la porta. Jane diede un calcio alla sedia che andò a schiantarsi contro la parete.

Sua sorella minore si era diretta sul pontile e aveva indossato il suo abito preferito, quello celeste col pizzo bianco senza il bustino che tanto la soffocava. Non le importava più di tanto, dato che era un caldo pomeriggio estivo. In quel momento Isabel sentì salirle la rabbia per suo padre, per sua sorella e perché non sapeva se quel viaggio fosse stata la cosa più giusta da fare. 
Si appoggiò al parapetto e scrutò l’orizzonte, i lunghi capelli biondi e ondulati al vento. Non si era mai sentita cosi debole e cosi sola al mondo. Il capitano Smith diede l’ordine si spiegare le vele per aumentare velocità mentre i mozzi pulivano per terra imprecando di tanto in tanto. Il sole calava lentamente data la stagione e il cielo, privo di nuvole, assumeva delle sfumature di colore cade e accese. Isabel non si accorse della presenza di qualcuno vicino a lei, qualcuno che le posò una mano su una spalla e mormorò timidamente qualcosa. 
La ragazza sobbalzò a quel tocco.«Non volevo spaventarvi» sussurrò il capitano sorridendo.
«Oh, siete voi…» mormorò lei guardandolo. «Chiamatemi Sean per favore» disse il capitano, Isabel annui e volse lo sguardo altrove ignorando gli occhi puntati su di lei. Rimasero a lungo in silenzio poi Sean parlò «So come vi sentite, non dovreste essere in collera con vostra sorella, vi vuole molto bene».

La ragazza sbuffò «Vuole proteggermi dal mondo intero! E’ ora che anche io inizio a vivere» lo interruppe, Sean annuì «Avete ragione ma cercate di non litigare, voi siete una famiglia». Isabel non seppe cosa rispondere, si chiedeva solo perché chiunque ci teneva a dirle cosa doveva e cosa non doveva fare.

Parlarono a lungo del rapporto delle due ragazze e Sean cercava di dare consigli e di spiegare alla più piccola quanto fosse importante la sua vita per la sorella maggiore. «Jane vi adora, il vostro legame è più forte di quello che credete». Isabel abbassò lo sguardo, era decisa a dirgli che doveva pensare agli affari suoi e che sapeva badare a se stessa ma rimase in silenzio e si trattenne dalla voglia di piangere.

La vedetta improvvisamente lanciò un urlo «Nave in vista!» e tutti quanti sul ponte trattennero il fiato.  L’espressione del capitano mutò all’istante, alzò gli occhi sulla vedetta poi guardò nella direzione in cui egli puntava il dito. «Che bandiera battono?» chiese mantenendo la calma, «Sono ancora troppo lontani per dirlo» fu la risposta. Gli altri uomini smisero di occuparsi delle loro faccende e si lanciarono degli sguardi di terrore. Il secondo si affrettò a dare l’allarme «Pirati capitano!». Sean lo raggiunse e lo afferrò per il bavero «Cosa diavolo stai farneticando?! Vuoi farci prendere un colpo a tutti? Torna al timone e chiudi quella bocca», l’uomo lo guardò stralunato ma ubbidì.
Sean tornò da Isabel la quale si precipitò a chiedere cosa stesse accadendo, «Non dovete preoccuparvi di nulla Milady, adesso vi riaccompagno in cabina» rispose rapido lui.

Una volta tornato sul ponte corse al parapetto opposto e sfoderò il cannocchiale, avevano di fronte un galeone spagnolo gigantesco. «Signore!» urlò la vedetta «Ci attaccheranno, vengono verso di noi ad una velocità impressionante, Henry aveva ragione!».
“Maledizione” imprecò Sean fra se e sé «Tutti ai propri posti, caricate i cannoni, portate qui tutte le armi che sono nella stiva! Prepararsi all’attacco». Henry fu subito da lui «Ma capitano non abbiamo polvere da sparo a sufficienza, i cannoni sono pochi…», Sean lo zittì bruscamente «Cosa proponi? Hai forse un’idea migliore? Non possiamo scappare, ormai ci siamo dentro fino al collo! Adesso va e preparati a combattere!».

Fu il caos totale, gli uomini si agitarono e corsero avanti e indietro, alla prima bordata l’albero maestro fu disarcionato in mare, Jane e Isabel erano chiuse in cabina e stavolta perfino la sorella maggiore sembrava essere spaventata.
«Io devo fare qualcosa, non posso restare qui»- sbottò Isabel, Jane la trattenne «Vuoi farti ammazzare come un agnellino?», la ragazza rispose un no secco pieno di rabbia, si sentiva cosi impotente e la cosa non faceva che renderla nervosa. Il galeone abbordò il mercantile e la ciurma nemica in un attimo lo invase. Le altre bordate che seguirono fecero oscillare la nave cosi bruscamente che Isabel pensò che si rivoltassero, abbracciò la sorella e le disse che le voleva bene.

Di sopra la battaglia si consumava fra il cozzare delle lame insanguinate e gli spari, i nemici stavano decisamente avendo la meglio. Il capitano Smith stava duellando da un pezzo con un mercenario e aveva abbattuto si e no un paio di spagnoli, Henry giaceva senza vita vicino al timone, quando Sean se ne accorse gli occhi gli divennero lucidi, doveva uccidere quei bastardi che avevano abbordato la sua nave con tanta facilità. Ma da solo quante possibilità aveva di vittoria?
In un attimo di distrazione un colpo di spada gli ferì la spalla, imprecò e cadde in avanti; quando alzò lo sguardo sussultò, Isabel era salita sul pontile e osservava la scena con occhi sgranati.
Il mercenario gli puntò la spada alla gola «Arrenditi inglese» disse con sdegno, Sean si rialzò di scatto e quello lo trafisse all’addome senza pietà. Isabel si portò le mani alla bocca trattenendo un urlo.
«Scappa!» intimò il capitano prima di cadere a terra. La sua vista era ormai offuscata, osservava inerme la distruzione della sua nave, i suoi compagni cadevano sotto i colpi di sciabola uno ad uno. Il suo udito divenne sordo, si accasciò al suolo e chiuse gli occhi, ma respirava ancora.

Isabel prese a correre e raggiunse la sorella «Dobbiamo andarcene da qui o nasconderci!» la avvisò, Jane la trascinò fuori dalla cabina poco convinta «Va bene andiamo nella stiva».
Giunsero all’entrata, ma la porta era socchiusa. Scesero in silenzio le scalette e una torcia illuminata passò davanti a loro, poi un grido. I pirati le avevano precedute, non avevano scampo. Indietreggiarono e si misero a correre, nel corridoio tre uomini  bloccavano la strada, Jane urlò e si scaraventò su due di loro cercando di colpirli a suon di calci, a uno sputò in un occhio.
Isabel non era capace di pensare, le sue gambe sembravano incollate al legno del pavimento. Poi uno di loro afferrò Jane per la gola, Isabel si fiondò nella cabina affianco, prese una sedia e una volta fuori la scaraventò contro lo spagnolo colpendolo alla testa.
«Occhio alla ragazzina!» gridò quello più basso, Jane si liberò dalla presa e gli tirò in calcio fra le gambe facendolo urlare di dolore. Ne rimaneva solo uno in piedi, entrambe si fiondarono su di lui e miracolosamente riuscirono a sfuggirgli.
Quando furono sul ponte lo spettacolo non era dei migliori:  la superficie del legno era ricoperta di sangue, le vele a terra strappate, i barili sparsi qua e là, l’equipaggio della nave era stato sterminato, alcuni corpi buttati a mare e i nemici che esultavano.
Jane riconobbe Sean e corse da lui, gridò che non doveva morire e iniziò a piangere. Isabel si chiese da quanto non vedesse sua sorella piangere e si trattenne dal farlo anche lei, poi una voce squillante si mise a strillare «Il capitano è ancora vivo!». Due uomini armati di sciabola e pugnali scostarono Jane che urlò di non toccarla e legarono Sean con una fune, era in un lago di sangue ma era ancora vivo.
«Tu resta qui e sta ferma» disse uno spagnolo afferrando Jane per le spalle e puntandole un coltello alla gola, «No!» urlò Isabel ma ben presto si ritrovò legata anche lei.
Gli uomini parlarono nella loro lingua che le sorelle non conoscevano poi il tizio che tratteneva Jane annui ridendo, la trascinò pericolosamente vicino al parapetto e la spinse in mare come fosse un oggetto di cui non aveva più bisogno, ignorando le sue urla.

Ad Isabel crollò il mondo addosso in un istante. La ragazza gridò con quanto fiato aveva in corpo tutta la sua disperazione «No! No! Perché avete salvato me? Perché?» e pianse tutte le sue lacrime fino a prosciugare gli occhi quando la sorella sparì dalla sua vista. Lei e il capitano Sean, agonizzante, furono fatti prigionieri.

   
 
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