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Autore: Sweet96    23/07/2012    5 recensioni
«Ehi, Hayama, dimmi un po’, cos’hai fatto quattro giorni fa?», chiese, tentando di apparire disinvolta; è importante che il paziente non sospetti nulla fino all’inizio dei riti, diceva il volume.
[...] «Che ti frega, Kurata? Sono fatti miei!»
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Quando i fidanzati si ammalano, le ragazze si prendono cura di loro. Ma Sana non è una donna qualunque, e se ha tra le mani il libro sbagliato al momento sbagliato... Beh, Akito dovrebbe temere per la sua salute.
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Sweet96
Titolo: Everybody's Nightmare
Fandom: Kodomo No Omocha [con riferimento ad Axis Powers Hetalia]
Personaggi: Sana Kurata, Akito Hayama [più accenno a un personaggio di Axis Powers Hetalia]
Rating: Verde
Genere: Comico, Slice of Life
Avvertimenti: Vago crossover (?), lievemente nonsense
Prompt V Notte Bianca: "Sono i parcheggi! I parcheggi sono l'incubo di tutti"
Contaparole: 1362
Note: E' una cavolata, ma il prompt era la bellezza, e ho subito pensato a Sana. Piccolo cameo di un personaggio di Hetalia, perché lui non può mancare, in stupidaggini di questo tipo. Akito non mi convince del tutto, ma ormai è tardi per i ripensamenti...

 

 




Everybody’s Nightmare
(come guarire il proprio fidanzato)


Akito si è ammalato. Una comune influenza, sembrerebbe. Ma Sana non era convinta; non crede possibile che un semplice malanno possa ridurre così male il suo fidanzato. E non mancava mai di rinfacciarglielo.
«Sei veramente un pappamolla, lo sai? Farti buttar giù così da un po’ d’influenza!», gli ripeteva, «Invece io con un giorno di riposo sarei come nuova! Vergognati, ti ho battuto, Hayama!». Ovviamente Sana non si faceva mai sfuggire l’occasione di vantarsi della sua buona salute, incurante degli sguardi carichi di irritazione che Akito continuava a lanciarle.
Ma dopo tre giorni non era guarito, e la ragazza cominciò a preoccuparsi; “prendere in giro Hayama è molto divertente, ma forse sarebbe il caso di chiamare un dottore”, si disse.
Il medico visitò il ragazzo e disse che si trattava di un po’ di bronchite; sarebbe passata in altri due giorni. Ma Sana fin da piccola aveva sempre preferito fidarsi del suo istinto – erroneamente, avrebbe commentato il suo fidanzato.
Fortunatamente stava leggendo un bellissimo libro che Fuka le aveva prestato sui traumi psicologici e, quella sera, complici quelle pagine avvincenti, capì. Akito aveva subito un trauma, che l’aveva portato ad ammalarsi; l’unico modo per guarirlo era compiere un rito di passaggio per far sì che lo shock in questione se ne andasse. Il libro spiegava anche quello.
Sana tirò un sospiro di sollievo: fortuna che aveva quel tomo, altrimenti non sapeva proprio cosa avrebbe fatto! Per prima cosa, doveva scoprire cos’era successo ad Hayama il giorno prima di ammalarsi. Bene, l’avrebbe interrogato al riguardo!
Andò da lui e si sedette accanto al letto.
«Ehi, Hayama, dimmi un po’, cos’hai fatto quattro giorni fa?», chiese, tentando di apparire disinvolta; è importante che il paziente non sospetti nulla fino all’inizio dei riti, diceva il volume.
Ma Akito era diffidente per natura, e quando c’era di mezzo la sua fidanzata lo era ancora di più. «Che ti frega, Kurata? Sono fatti miei!», rispose, sgarbato.
Una vena pulsante spuntò sulla tempia destra della giovane donna, e per un momento fu molto tentata di spaccargli il suo fedele Piko sulla testa; ma si trattenne, i malati andavano trattati con gentilezza. Sorrise a trentadue denti, nascondendo male la propria irritazione. «Eddai, voglio solo sapere!», tentò di convincerlo.
Akito sbuffò sonoramente e chiuse gli occhi, rassegnato. L’influenza lo rendeva debole, non era in grado di tenere testa a Sana a lungo. «Niente di ché, mentre tu eri al lavoro sono stato tutto il tempo a casa a leggere, tranne verso le quattro, quando sono uscito per andare a fare un po’ di spesa, visto che qualcuno», e sottolineò quel ‘qualcuno’ lanciandole un’occhiata di sbieco, «non se ne occupa mai».
“Bingo!”, pensò lei. Era sicuramente stato in quel momento. «Ed è successo qualcosa, al supermercato? Non so, qualcosa che ti abbia fatto perdere le staffe… Per curiosità», si affrettò ad aggiungere, notando lo sguardo confuso che il ragazzo le stava rivolgendo.
«No, è stato solo un po’ snervante trovare un parcheggio libero, ho perso un quarto d’or-»
«Sono i parcheggi!», urlò Sana, balzando in piedi e interrompendolo, «I parcheggi sono l’incubo di tutti!», gridò, correndo via dalla stanza verso una meta che solo lei conosceva, lasciando un Akito confuso e anche un po’ irritato a tossire nel letto.
 
“Perfetto”, si disse Sana, “ora so quale è stato lo shock; posso cominciare i riti di passaggio.”
Consultò nuovamente il libro; il primo tentativo consigliato, diceva, è la danza della guarigione.
 
Quel pomeriggio Akito fu strappato violentemente dal sonno da una strana musica che aleggiava nell’aria. Credette seriamente di essere morto quando, nel buio, vide una piccola fiamma muoversi avanti e indietro; tentò di accendere la luce sul comodino, ma inspiegabilmente non la trovò. Sperò di essere in paradiso e non all’inferno, anche se non ne era convinto.
«Aaaakiiiitooooo…», disse una voce, che il ragazzo riconobbe come una versione più grave e cupa di quella di Sana; si convinse di essere all’inferno.
Di colpo una luce si accese. La giovane vestiva una gonna di paglia, una canotta lievemente strappata e, cosa più inquietante, aveva sul viso una maschera tribale; continuava a camminare con strani movimenti da contorsionista e a emettere versi poco rassicuranti.
«Kurata, che diavolo di scherzo è?», sbottò lui, «Ma ti sei rincitrullita del tutto?»
Sana non rispose, continuando a seguire le istruzioni del prezioso libro. Ripeté per cinque volte i movimenti precedenti intorno ad Akito, visibilmente sconvolto, e concluse alzando entrambe le braccia in aria e urlando: «Trauma, via, sciò!».
Sorrise soddisfatta: adesso il suo fidanzato avrebbe dovuto essere guarito, e tutto grazie a lei! Magari sarebbe anche diventata famosa, sarebbe stato magnifico!
Quasi a voler smontare la sua tesi e i suoi sogni di gloria, Hayama tossì violentemente e si infilò ancora di più sotto le coperte.
 
Sana era decisa a non darsi per vinta. Avrebbe guarito il suo ragazzo, a tutti costi, e poi lo avrebbe tenuto lontano per sempre dai parcheggi. “Maledetti, attentare così alla salute delle persone!”; non lo tollerava.
Sedette sulla poltrona con il libro in grembo e lo sfogliò, alla ricerca di ciò che le serviva. Se il primo tentativo non funziona, provare con il metodo dell’hamburger.
Il metodo dell’hamburger? Sana si grattò il mento, pensierosa. Dove l’aveva già sentito? Guardò la copertina per leggere il nome dell’autore: Alfred F. Jones. Ma certo! Era uno scrittore americano con la fissa di comportarsi da eroe, ma molto simpatico, che aveva conosciuto durante un viaggio di lavoro. Sana lo ricordava con affetto, andavano molto d’accordo; e rammentava anche che le avesse esposto la sua teoria sugli hamburger e i suoi effetti curativi.
Si alzò in piedi; si fidava di Alfred, se lui diceva che avrebbe funzionato, lei l’avrebbe fatto.
 
Akito si era appena riaddormentato, quando sentì un forte odore di carne e pane attraversargli le narici. A fatica aprì gli occhi, ritrovandosi a due spanne dal volto la sua fidanzata, che lo fissava soddisfatta. E, cosa ancora più strana, sentiva un peso sulla fronte, come se avesse qualcosa poggiato su di essa.
Alzò lo sguardo, per quel che poteva, e scoprì con orrore di avere un hamburger posato sulla frangia. Guardò Sana, gli occhi freddi pronti a sbranare chiunque. «E questo cosa cavolo significa?», ruggì.
La giovane accennò un sorrisetto e rispose, calma. «Sto solo cercando di guarirti, dovresti ringraziarmi, invece di cercare di scuoiarmi con le tue occhiatacce».
Lui sospirò e, con voce incredibilmente debole, disse: «Kurata, anche se tu stessi cercando di aiutarmi, in questo modo non risolvi niente. Lasciami riposare, ho solo bisogno di una bella dormita», le parlò con tranquillità, sperando che il suo tono sofferente bastasse a convincerla. Ma Sana non si mosse.
Akito perse la pazienza. Stava male, voleva dormire, e quella scema della sua ragazza veniva a provare certi metodi strambi probabilmente ideati da qualcuno altrettanto strambo su di lui?! Non ne poteva più!
Raccolse un po’ di forze, e con un braccio scaraventò via l’hamburger che aveva sulla fronte. «Lasciami. Dormire», scandì.
La giovane abbozzò un’espressione indignata e se ne andò. Akito poté tirare un sospiro di sollievo.
 
Sana era arrabbiata con lui. Cercava solo di aiutarlo, e la ringraziava così! Ma in cuor suo l’aveva già perdonato. “È malato, ha poche energie, è normale che sia più irritabile”, pensò.
Comunque per quel giorno aveva fatto abbastanza; avrebbe continuato la mattina dopo, con gli impacchi purificatori.
 
Il giorno dopo stava preparando appunto gli impacchi quando Akito la sorprese ed entrò in cucina. La giovane gli gettò le braccia al collo, e lui si lasciò abbracciare senza dire niente.
Sana stava per dire che avrebbe dovuto ringraziarla, che era merito suo se era guarito, ma Akito la precedette e alzò una mano per fermarla. «So quello che stai per dire, Kurata. Ma non è così. Non pensare che sia guarito grazie a quello stupido hamburger o a quella strana danza; il dottore l’aveva detto, due giorni e tutto sarebbe passato.»
Lei avrebbe voluto aprire la bocca per ribattere, per affermare che in realtà era grazie a lei, ma non poté perché il ragazzo inaspettatamente la abbracciò.
«Però… Grazie», le mormorò tra i capelli.
E a Sana bastò quella singola parola per sentirsi ripagata di tutto.
Affondò il viso nell’incavo del collo del giovane, commossa dall’amore che riusciva a darle.
«Di niente! Però… guai a te se ti avvicini a un parcheggio di nuovo! Quelli sono l’incubo di tutti!». E rise, felice come mai lo era stata.
 








  
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