April
richiuse il
foglio, prima che le lacrime iniziassero a scendere. Aveva trovato
delle
vecchie lettere che il suo vero padre, quello che era morto in Iraq
cinque anni
prima, quando lei aveva dodici anni, aveva mandato a sua madre mentre
era
lontano in guerra. Ora di anni ne aveva diciassette, sua madre si era
trovata un nuovo
compagno e con lui avevano dovuto accogliere nella loro casetta di New
York un
energumeno di quasi vent’anni, Doug. ‘sorellina!’
appunto. Quando Doug la chiamava così, poi, April sapeva che
il suo
fratellastro aveva bisogno di un favore. Rimise tutto al suo posto, nel
vecchio
scatolone, e scese al piano di sotto. ‘Andresti
dagli Sprouse, al dormitorio dell’Uni a consegnare loro questa
chiavetta usb?’ ‘e
tu non lo puoi fare perché..?’
sbuffò la ragazza. ‘oh,
andiamo, non lo vedi questo?’ il biondo
indicò il gesso che gli
avvolgeva la gamba e il piede dal ginocchio in giù, piccolo
ricordo lasciato
dalla caduta in moto. ‘d’accordo,
okay.’
Borbottò la mora. April era l’esatto contrario di
Doug: carnagione scura, occhi
cioccolato e una chioma corvina che era motivo di invidia per gran
parte delle
altre ragazze, al liceo. ‘chiedi di
Cole,
è lui che sta lavorando a questo progetto con me. La stanza
è la 110!’ Fece
in tempo a gridarle dietro mentre April correva in camera a
raccogliersi i
capelli in una crocchia disordinata e ad infilarsi un paio di jeans e
le
scarpe.
In
metro, ogni
singolo secondo, April imprecò contro suo padre che aveva
deciso di morire
lasciandola lì, e si ritrovò il poco trucco che
aveva messo colato lungo le
guance. ‘papà, dovevi
portarmi con te.’
Sussurrò mentre scendeva, sguardo puntato sulle sue Vans
nere, vecchie e piene
di scritte e buchi. La sua nuova vita non le piaceva: April era ostile
ai
cambiamenti, soprattutto quando implicavano meno privacy in casa e la
condivisione del bagno con uno scimmione del college. Si
asciugò le lacrime e
cercò di sistemare quel disastro nero che era diventata la
sua faccia, prima di
addentrarsi nel campus a cercare quel pazzo di Cole Sprouse.
Dopo
mezz’ora, April
non aveva ancora trovato la stanza 110, e nemmeno numeri che ci si
avvicinassero. Guardò la porta che aveva davanti: 860.
‘sono a buon punto, allora.’
Un ragazzo moro, con la carnagione
ambrata come la sua la urtò per sbaglio ‘ehi,
guarda dove vai, coglione!’ ‘scusami, ero
sovrappensiero! Cerchi qualcuno? Di certo
non hai
l’età per essere
dell’università.’
April scrutò il ragazzo davanti a lei, soppesando le
alternative che aveva. La buona
sorte non era dalla sua parte e aveva un disperato bisogno di aiuto.
‘sì, in verità
cerco la stanza numero 110’ ‘mmh,
non è decisamente dalla parte in cui stavo andando ma posso
accompagnarti. Io sono
Nathan, comunque.’ La mora sorrise lievemente.
‘April.’
Fortunatamente Nathan non sembrava in vena di far
conversazione, e la portò in poco tempo a destinazione. ‘beh, grazie allora.’
Il moro le sorrise e la salutò con un
delicato bacio sulla guancia, prima di lasciarla da sola a fissare la
porta. ‘avanti, April, bussa. Non ti
mangerà
nessuno. Non aver paura, anche se gli Sprouse sono stati star di Disney
Channel.’ Finalmente trovò il coraggio
di bussare. ‘arrivo, arrivo!’
quando la porta si aprì, le si parò davanti un
gemello coperto solo da un misero asciugamano attorno ai fianchi.
‘chi cerchi?’
‘ehm, sono la sorellastra di
Doug, devo dare questa a Cole.’ ‘mio fratello non
c’è, io sono Dylan.’ April
esitò, chiedendosi se la stava prendendo in giro. ‘okay, gliela puoi dare tu?’
‘non ci parliamo da sei mesi, quindi no.
Se vuoi puoi entrare, mettergliela sul comodino e lasciargli un
biglietto. Entra,
dai.’ La mora evitò di guardare negli
occhi il ragazzo, mentre entrava,
sentendosi profondamente in imbarazzo. Accidenti a Doug. ‘qui ci sono i fogli, questo è il
comodino di Cole, io vado a vestirmi e
poi se vuoi ti offro qualcosa, okay?’ ‘non ce
n’è bisogno, gli lascio la
chiavetta e tolgo il disturbo.’ April scrisse il
nome del suo fratellastro
su un foglietto giallo fluo e pose con delicatezza la penna usb sul
comodino
che le aveva indicato Dylan. Si schiarì la voce. ‘ehi, senti, io vado..’ ‘okay,
ciao.. come hai detto che ti chiami?’ ‘non
te l’ho detto in realtà-
precisò- comunque
sono April.’ Il ragazzo uscì con addosso
un paio di pantaloni della tuta
grigi e le sorrise. ‘allora ciao,
April.’
Giada's corner
beh, ciao, lol
siccome sono stata fin ora una "lettrice silenziosa" di fan fiction con errori madornali tipo qual'è o mi sedei o hai miei piedi e altre oscenità, mi son chiesta perchè mai io non avessi mai pubblicato nulla.
La veritò è che non riesco a finire le storie, cioè scrivo i primi capitoli e poi li tengo lì, in una cartella del pc, in attesa che mi venga un lampo di genio. Ho pubblicato questa perchè mi sembra originale in quanto nessuno (credo) ha mai scritto sui miei amati gemelli Sprouse, e spero di andare avanti. Vedetelo come un esperimento, lol.
Se state leggendo, vi prego di non fare le lettrici silenziose, ma anzi, di lasciarmi una recensione qui o un commento su twitter -@heysprouse- perchè mi sarebbe d'aiuto.
Un bacione, Giada.