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Autore: Saralandra    25/07/2012    1 recensioni
Eccoci di nuovo qui! Questa storia non è nuova, l'avevamo iniziata a pubblicare qualche tempo fa, ma a causa di alcuni cambiamenti che abbiamo deciso di apportare l'abbiamo voluta cancellare e ripubblicare.
La trama è sempre la stessa, più o meno, quindi buona lettura! :D
Ale e Sara
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fisso lo specchio insistentemente, osservando quegli occhi neri come la pece rispondere al mio sguardo. Cerco di trovarvi una luce, uno spiraglio di un qualche sentimento. Niente. Sono vuoti, come la mia anima. Ma è giusto che sia così.

Mi alzo dal letto studiando il mio corpo cereo, fin troppo poco anonimo per i miei gusti. Sarei più felice non avendo niente che le persone possano ricordare. Partendo dalla carnagione chiara, per arrivare sino ai capelli rosso bordeaux, tutto il me sembra fatto apposta per non essere dimenticato facilmente.

Mi vesto lentamente, indossando i soliti jeans scuri con sopra una maglia nera a collo alto. Me la prendo comoda, anche se so di non avere molto tempo.

Ho appena completato l'ultimo incarico, quindi potrei essere richiamata in qualsiasi momento. E ho sentito delle voci. Qualcuno dice che questa volta sia una missione difficile ed importante. Non ho idea di cosa possa trattarsi, ma non ha importanza. Uno vale l'altro. Una vita in meno è sempre una vita in meno. Se è difficile, tanto meglio. Mi piacciono le sfide.

 

Sento aprirsi la porta. È Denise, la donna che mi ha cresciuta. Ha provato a trasmettermi un po' di amore quando ne avevo più bisogno, ma non è bastato ad annullare l'effetto dei miei pesanti addestramenti. Quando ad una persona viene sempre detto, fin da piccola, che il suo destino è di uccidere, finisce per convincersene e non trovare spazio per altro.

Le sorrido. Il solito sorriso finto per farle sembrare che sia tutto apposto. Si avvicina a me timorosa, scuotendo la testa. Come al solito. Ha paura che possa accadermi qualcosa.

“Signorina, il signor Maximillian la vuole nel suo ufficio” mi dice con voce tremante.

“Capisco, gli dica pure che sto arrivando.” le rispondo. La mia voce è fredda, distaccata. Non odio quella donna. Ma allo stesso tempo non provo nulla nei suoi confronti. A volte mi chiedo cosa significhi avvertire qualcosa che non sia odio. Perché io odio tutti. Odio e miei genitori che mi hanno mollata al lato di una strada quando ero poco più che una neonata. Odio Maximillian, che mi ha tirata su in questo modo, facendomi diventare un'assassina. Odio le mie vittime, che non si accorgono di avere i giorni contati e che, se notano qualcosa, mi implorano di risparmiarle, credendo che ciò possa avvenire davvero. Probabilmente non capiscono che se non muoiono loro muoio io. Odio quello che faccio, perché mi porta via tutto, lasciando di me solo un involucro. Odio quello che faccio perché mi fa sentire invisibile, mi fa mancare qualcosa. E per finire, odio me stessa. Perché continuo a permettere che un uomo che nonostante tutto rimane un estraneo mi obblighi a fare qualcosa che odio. Mi odio perché non ho la forza di impedire che gli eventi seguano il proprio corso.

“Signorina, si sente bene? Secondo me non dovrebbe sforzarsi troppo. È tornata da soli due giorni, e partire di nuovo potrebbe stancarla troppo.”

“Non si preoccupi. Tanto la prima fase del lavoro non è mai faticosa. Non ho bisogno di riposo.”

“Ne è sicura?”

“Certamente.”

Era vero. La prima parte consisteva nello spiare, nel documentarsi, nell'escogitare una strategia e pensare al modo migliore di metterla in atto.

“Capisco, allora tolgo il disturbo.”

“Grazie.”

Mi giro di spalle guardando la finestra mentre la porta si chiude con uno scatto.

Pensandoci bene, oltre a lei c'è una persona che non odio. Peccato che per lei non sia lo stesso.

Mia sorella. Identica a me in tutto, tranne che per il colore degli occhi e dei capelli. Lei ha due occhi di ghiaccio. Occhi che scrutandoti ti mettono a nudo. Occhi che ti possono uccidere anche solo puntandosi nei tuoi. Ciò è devastante, perché lei, con quegli occhi, mi ha già uccisa, o meglio, annullata, troppe volte. Non sono certa del motivo, ma credo che infondo lei tema che io possa 'rubarle il posto'. Teme che io possa diventare più brava, più bella, la preferita di Max. non ha capito che a me non interessa minimamente nulla di tutto ciò. Io svolgo semplicemente i compiti. Le ricompense, i regalini finali sono solo futilità. Infondo, perché gioire per la morte di un essere umano? Non dovrebbe essere una bella cosa a cui pensare. Negare a qualcuno dei bei momenti, delle sofferenze, della rabbia, della serenità... della vita. Basta. Perché mi metto a pensare a ciò? Sono solo baggianate a cui mi sono convinta di non dover credere.

 

Esco dalla stanza guardandomi intorno circospetta. Mi danno fastidio le occhiate del personale che lavora in questa casa. Mi guardano sempre con gli occhi sbarrati. Dovrebbero rendersi conto che ciò non va a loro favore. Che ad infastidire me non guadagnano niente.

Mi dirigo verso l'ufficio di Max che si trova al piano terra. Mentre scendo le scale incrocio Violet, mia sorella. C'è qualcosa nei suoi occhi. Sembra delusa. Non voglio sapere cos'è accaduto. Non è affar mio e lei non farebbe altro che utilizzare quella scusa per rinfacciarmi qualcosa, ormai la conosco.

Arrivo davanti alla grande porta di mogano intagliato finemente, e mi fermo ad osservarla per qualche istante. Quando ero ancora una bambina passavo il mio tempo davanti a quella porta, cercando di coglierne minuziosamente i dettagli. Mi inquietava perché mi faceva sentire piccolissima, e la cosa negli anni non era affatto cambiata. Provo ancora quella sensazione di insicurezza anche se forse adesso è data più da ciò che so per certo aspettarmi una volta varcata quella soglia. Altra sofferenza, altro dolore, altro sangue, altra morte.

Beh, meglio non farsi troppi problemi ed entrare.

 

“Buongiorno Eloise, ci hai messo molto ad arrivare.” il suo sguardo. Io sono solo un oggetto che gli appartiene. Una macchina di morte da sfruttare al meglio.

“Dovevo finire di prepararmi.” gli rispondo freddamente. È meglio che non pensi che io sia come Violet. Io non lo idolatro perché ci ha salvate da morte certa. Perché nonostante io sia attaccata alla mia vita, se questa mi fosse stata tolta da principio non mi sarebbe andato male. Avrei preferito morire piuttosto che vedere le mie mani sporche di sangue il giorno che uccisi la prima volta.

“Capisco. Beh, basta con i convenevoli, passiamo al dunque. Hai portato a termine la tua ultima missione magnificamente. Dovresti esserne felice e fiera.”

“Lo sono.” non è vero.

“Bene, quindi io ho deciso di darti la mia fiducia per farti affrontare un compito arduo. La settimana scorsa è venuto un uomo a parlarmi. Vuole la morte di un ragazzo. Fin qui nulla di complicato. Ma il ragazzo in questione è un musicista, e di questi tempi sta conquistando una certa notorietà. Potrebbe essere molto difficile trovare il modo di avvicinarlo e finirlo senza farti intercettare e scoprire.”
“Capisco.” una celebrità? Beh, mi piacciono le sfide...

“Pensi di essere in grado?” mi guarda col suo solito ghigno di sfida.

“Certamente.”

“Bene, sappi che avrai una grossa ricompensa se dovessi riuscire.”

“Non ha importanza. Ci riuscirò, ricompensa o meno.”

“Perfetto. Non ti resta che sapere chi è il ragazzo.”

“E dove vive, direi.”
“Abita a Los Angeles al momento. Si chiama William Bailey, ma tutti lo conoscono come Axl Rose.”

Axl Rose? E questo sarebbe un nome?

“Eccoti una sua foto, giusto per permetterti di identificarlo.”

La foto raffigura un ragazzo sui 25 anni, con dei bei lineamenti eleganti e delicati. Aveva dei lunghi e lisci capelli rossi e degli occhi profondo. Chissà cosa avrà fatto per meritare la morte.

“Perfetto, ora puoi andare. Partirai per Los Angeles domani mattina, quindi preparati.”

“Arrivederci.”

 

Esco dalla stanza respirando l'aria pulita proveniente da una finestra aperta nel corridoio. Là dentro mi stava venendo l'asfissia. Con quell'odore di legno e libri vecchi. Mi ha sempre dato fastidio.

Mentre cammino verso la stanza continuo ad esaminare i dettagli della foto.

“E così William Bailey, Axl Rose saresti tu? Beh, a presto allora, caro Axl.”

  
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