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Autore: Quintessence    25/07/2012    4 recensioni
Sono qui, ordinate per data, scritte a mano, copiate e ricopiate e mai imbustate, sporche di lacrime e di speranza, piene di ditate, stropicciate, confuse, innamorate, arrabbiate e, alla fine, imprigionate.
Tutte le cose che non ti ho detto, Mamoru.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Rei/Rea | Coppie: Mamoru/Rei
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima serie
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Questa fic è una raccolta di cose. Immaginate di trovarvi a spiare dentro una scatola di ricordi, di foto, e di lettere non spedite di una storia cominciata e che non decolla. Io ne ho una, di scatola così. Non l'apro mai, se non quando il cuore mi scoppia, e comunque non riesco a leggere ciò che ho scritto. Mi vergogno. Allora esorcizzo tutto, metto in mano a Rei la mia scatola, a Mamoru l'ingrato ruolo. E d'altra parte ingrato è stato, a non dire nemmeno una parola d'addio. Un addio se lo meritano tutti, come dirà anche Rei più avanti. Volevo sottolineare l'impossibilità di chiudere una storia, quando l'altro non la chiude davvero ma lascia solo frasi a metà e magari appuntamenti o frasi carine. Il punto di domanda resterà per sempre, e per questo ho chiuso anche questa storia con un punto di domanda che potrebbe esistere uno, due, o dieci anni dopo; per quanto mi riguarda, l'ultima domanda Rei se la porrà per sempre. Anche se è forte e andrà avanti. Non vi spoilerate, resistete alla tentazione di leggere l'ultima riga. Leggete dall'inizio, e prometto che varrà la pena. LoveLove.


Non riesco a dormire e basta, stanotte. Con le mani dietro la nuca guardo il buio e mi lascio abbracciare; c'è stato un tempo in cui ho immaginato che queste mani fossero tue. Quando il tuo ricordo invade l'oscurità, una lacrima scivola dall'occhio destro fin sul cuscino. Non riesco a dormire e basta, è inutile provarci ancora. Mi sollevo su un gomito, con la mano sinistra asciugo la scia di pianto rimasta sulla guancia e mi metto seduta, senza accendere la luce. So bene cosa voglio fare, perché quando non riesco a dormire c'è solo un modo per passare le ore. Per combattere l'assenza di luce dentro di me, e fuori dalla porta. Sono silenziosa come la notte, mentre scivolo in corridoio e arrivo nella parte di tempio dove passo le giornate. Le orecchie tese mi comunicano velocemente che tutti dormono profondamente. Come potrebbe essere altrimenti? Chiudo la porta scorrevole e accendo la luce, finalmente. Per un attimo devo stringere gli occhi per assuefarmici, quando mi colpisce. L'elemento di Usagi è proprio uguale a lei; dopo tanto tempo al buio, devi proprio abituartici alla luce. La verità è che un po' sei forzato, ad abituarti alle lame negli occhi, quando il buio ti rilassava così tanto. La luce ti addomestica. Percorro tutta la stanza in due passi, mi getto in ginocchi per terra, sotto il tavolo, e apro l'ultimo cassetto, quello chiuso con un lucchetto a combinazione. Zero, Tre, Uno, Zero. Non ha un significato specifico, so che Yuu prova sempre a trovare i quattro numeri giusti... Perciò meglio che non sia una data o un numero importante. Un suono scattante e il cassetto mi scorre sotto le dita. Sorrido leggermente mentre estraggo una scatola alta dieci dita, rossa e scorticata ai lati, aperta e chiusa troppe volte. Resto seduta sul pavimento, senza muovermi. Alzo il coperchio, piano, senza fretta. Ecco.
Qui, ordinate per data, scritte a mano, copiate e ricopiate e mai imbustate, sporche di lacrime e di speranza, piene di ditate, stropicciate, confuse, innamorate, arrabbiate e, alla fine, imprigionate, ci sono...

TUTTE LE COSE CHE NON TI HO DETTO

 

3 Aprile

Di te ho in mente un callo sul pollice, che è uguale al mio. Il mio se ne sta lì perché io sono sempre sola, o quasi. Mi piacciono le tue mani, sembrano forti, sembrano in grado di intrappolare. Provo a pensare di fermarti, se domani passerai di nuovo davanti al tempio. Lascio perdere. Magari provo a scriverti una lettera.

 

5 Aprile

Una volta un ragazzo mi ha detto che per scrivere una lettera servono la carta e la penna. Forse è vero, non ho bisogno di molto altro. Un po' di bella calligrafia per non farla sembrare scialba o scritta in fretta, oppure farina di buoni sentimenti per strappare da qualche parte uno sbuffo divertito, una lacrima di dolore, un sospiro di sollievo. Fanno contorno. Quello che serve per scrivere una lettera, una buona, una che funzioni, sono due cose. La carta e la penna.
Io aggiungerei caramelle zuccherine, come quelle che sto mangiando adesso per addolcirmi, o rischio di non concludere molto di buono e di trovare parole sbagliate per dire che mi piacerebbe solo che tu, qualche volta, uscissi con me.
Che ne pensi?

 

Prima foto: Rei

Naso a patata e gli occhi viola, anche se qualcuno dice che tendono al nero. Uno dei due è chiuso in un ipotetico segno d'intesa con qualcuno che nella foto non si vede, ma che di sicuro c'è. Ride. Non è una smorfia da cheese, è un riso vero. Le sue labbra sono al lampone, i capelli corrono liberi un po' dappertutto sul suo viso. Sullo sfondo c'è il mare. Il mare grande.

 

Seconda foto: Mamoru

Senza dubbio non è un tipo comune. Forse è semplicemente l'espressione un po' truce, o il suo essere perfettamente normale a far capire come in realtà non lo sia. Ha i capelli neri, corti, e gli occhi chiari. Blu. Ma nessuno gli ha dato un colore preciso. Non sorride. Sembra seccato, chiuso in un mondo che non è suo. Un uccello in gabbia senza la gabbia. Loro due sono simili, e Lei lo ha visto. Lui è troppo preso dalla voglia di liberarsi dalla sua gabbia per notarlo.

 

10 Aprile

Credo di essermi presa una cotta per te. Non so come spiegarlo con precisione, davvero, ma ogni tanto ti spio quando vieni al tempio. Da quando siamo stati in barca, da quando abbiamo respirato insieme quell'aria, perfino nei momenti in cui mi hai sfiorata per proteggermi, tutto mi ricorda di te. Appendo desideri a un filo, canticchio in giro per il tempio. Il fatto che ci piacciano le stesse cose, gli stessi libri, che non mettiamo lo zucchero nel caffè, che non pieghiamo pagine di libri per non rovinarle e che adoriamo l'odore della carta stampata delle riviste, anche se non ci conosciamo bene, mi dà l'assoluta certezza che potremmo volerci bene, un giorno. Io non sarò come le altre, non andrò via per vedere se mi cercherai, e non me ne andrò se prima o poi mi accorgerò di dipendere da te, o che tu dipenderai da me; non me ne andrò quando sarà tutto a posto, solo per movimentare la situazione. Non me ne andrò per farti vedere che sono indipendente, o per farti capire qualcosa.
Resterò con te, se vuoi.

 

Terza foto: Mamoru e Rei

Non è particolarmente ben conservata. Ha tutti i segni di una foto vecchia e cara a chi l'ha posseduta. È stata per tanto tempo in un diario, la foto dei due ragazzi sulla vetta di una montagna. Adesso, finalmente qualcuno la tira fuori per guardarla ogni tanto. Lei è felice, glielo si legge in faccia, felice di felicità nuove, come un messaggio d'amore o una frase gentile. Lui è indecifrabile. Chissà cosa pensa. Sta di nuovo cercando di uscire dalla gabbia.

 

15 Maggio

Forse non vuoi. Mi fai credere che sono io ad amarti troppo e invece sei tu, che non mi ami abbastanza. Vacillo. Sono una ragazza e, per quanto possa essere forte e indipendente, ho bisogno di essere corteggiata, desiderata, sorpresa, anche sconvolta. Non posso accontentarmi perché ti amo, anzi! Proprio perché sono innamorata di te, mi aspetto qualcosa di più. Che smetti di guardare altro mentre ti guardo. Che non leggi fra le righe quando ti parlo. Che mi ami almeno un po'. Oppure vattene, no?
Io ti aspetto, comunque.
Lo capisco che hai bisogno di tempo, lo capisco. Anche io ho bisogno di tempo per certe cose e il tempo arriverà. Ti aspetto comunque perché non riesco a immaginare altro, perché non avrebbe senso baciare altri ragazzi, cercare altre persone, vivere altre vite. Ti aspetto, sono sicura che il tempo potrà curare ogni cosa.

 

18 Giugno

Ma vaffanculo, và.

 

Quarta foto: Rei di nuovo

Strappata. Anzi, stracciata in un momento di rabbia. Giusto nel mezzo, un taglio netto fatto con le mani. Anzi, con le unghie e con i denti. Lei piange, in quella foto. Nitida, e perfetta nella risoluzione. Grida con tutte le forze il suo disprezzo, la sua rabbia, l'illusione. Però a lui non importa. O forse gli importa, ma prima deve uscire dalla gabbia. Non c'è nella foto, ma la sua presenza è ancora più forte così. Si sente quasi che sorride di compassione. Divertente, sì.

 

20 Giugno

IO TI HO DATO TUTTA ME STESSA. E adesso forse è tutto qua, il problema. Ti ho dato quello che avevo, tutto di me. E mi manco. Non sono più io.
E almeno, volevo rimanere una di quelle che le chiami a Natale. Di quelle che ci andiamo a prendere un caffè insieme, ogni tanto, di quelle che il nome te lo ricordi, una di quelle che è stato bello conoscere, che il nome te lo ricorderai sempre con dolcezza. Che conserverai qualche cosa di me dentro il tuo cuore. Invece no, ho buttato tutto.
Non mi hai detto una parola, una sola. Mi hai ammazzato con il silenzio. Non sono nemmeno sulla tua rubrica, maledetta me e il mio modo di pensare di essere importante. Deleghi alla ragazza che ami l'ingrato compito di dirmi che è finita senza nemmeno prenderti la briga di tirare su il telefono. Và a morire, dico sul serio.
Maledetta me e il mio volere un addio pacato, gentile, di quelli che lasciano una via per ritornare. Tu nemmeno me ne hai dato uno definitivo. Tutti se lo meriterebbero, almeno un addio.

 

25 Giugno

Ti aspetto ancora.
Dimmi, ti prego, che pensi ogni tanto ai miei capelli, che hai uno dei libri che ti ho regalato sul comodino, che se lo guardi ricordi. Perché io non ci penso, ai miei capelli, non ho libri sul comodino, e se lo smalto si scheggia non lo metto più. Ho dimenticato le mie amiche, penso ancora a quel sogno di cui tu, in realtà, non hai mai fatto parte. Se sono sola in un'ora qualsiasi, voglio morire. Se Yu mi abbraccia, lo mando via a grida brucianti, come se fosse solo colpa sua.
E tu dimmi che quando te ne vai in giro per la strada e vedi qualcosa di rosso ricordi che io volevo sempre fermarmi a comprarlo, dimmi che non pensi sempre come me che le rose appassiranno. Non è quello il loro lato migliore.
Io comincio a convincermi che un ti amo sia solo sinonimo di tristezza, non riesco a guardare chiunque si stringa la mano senza odiarli. Non mi hanno fatto niente, ma non è importante. Su tutti i visi c'è il tuo viso, su tutte le mani c'è il tuo callo, su tutte le trecce ci sono gli odango. Dimmi che hai ancora voglia da qualche parte di guardare con me un film sul divano, dimmi che lo sai qual è il mio gelato preferito, che qualcosa di me ti è rimasto, che non credi che il tempo passato con me sia stato sbagliato.
Mi hai cambiata del tutto, non riesco a prendere coscienza della mia esistenza fuori da te.
Vorrei saperlo da sola, ma dimmi che valgo qualcosa anche se tu non ci sei.

 

Quinta foto: Usagi e Mamoru

La foto sembra buia, scattata con un telefono, senza flash, in un luogo chiuso. Ci sono due volti; uno è quello di Mamoru, si riconosce bene. L'altro è un viso che non si vede perfettamente, ma ha il volto incorniciato da capelli oro, e odango. Due codini stretti stretti, e gli occhi rossi per la mancata cura della foto. Sembra carina, ma è perplessa. Colta di sorpresa. Stanno studiando insieme. Dietro c'è un tavolo tutto in disordine, pieno di libri di matematica e carta di caramelle.

 

3 Luglio

Mentre tu ti fai amare da lei, io vado a dormire pregando qualche dio di non sognarti, perché quando ti sogno è doloroso. Fa male veramente, svegliarsi, non riesco a respirare, non riesco nemmeno a pensare, cerco solo di sprofondare ancora in quell'oblio antico. Una volta ho pensato di sbattere la testa sul muro, così sarei svenuta. E la realtà sarebbe diventata il sogno, e il sogno la realtà, e non ci sarebbe stata più la tremenda sensazione di emergere dalle sabbie mobili di un sogno così piacevole... Lasciamo stare, tiro una riga su questa roba.

 

Sesta foto: Rei e la folla

C'è tanta gente. Pare un teatro, quello sullo sfondo; e c'è un capannello di persone radunate intorno a lei. Lei si fa scudo, quasi, cerca qualcuno fra la folla. Non è a suo agio, controlla mille volte il telefono alla ricerca di un messaggio mai arrivato. Ha gli occhi chiusi, ma non si capisce se è per un errore di scatto della macchina o perché li stesse stringendo nello sforzo di non piangere.

 

23 Ottobre

Troppo cerebrale. Dico sul serio, non c'è bisogno di complicarsi la vita. Non così tanto, almeno. Non tanto da cercare di farmi male, non tanto da piangere fino ad avere la gola secca, non tanto da prendere una pillola per dormire e dimenticare i miei problemi per qualche ora, non tanto da arrabbiarmi così a morte con la mia migliore amica per quello che ha fatto e detto, non tanto da passare intere notti in bianco.
Troppo cerebrale. Dico sul serio, non ce n'è bisogno. È vero, succede. Succede di avere un brutto periodo, succede di sentirsi persi in un mare di gente che non ti apprezza minimamente, succede di trovarsi in un cunicolo di neve con Usagi che ti vomita addosso le sue smancerie mentre vorresti solo seppellirla, succede di non trovare i tuoi biscotti preferiti a colazione, succede di prendere 40 avendo studiato da 100, succede di scivolare e prendere una storta tre giorni prima di una partita importante, succede di non fare per mesi quello che vorresti davvero perché si vuole bene ad una persona.
Ma succede.
Succede di essere violentati nel cuore, succede di essere picchiati nell'animo, succede di essere tormentati dai ricordi.
E allora, adesso? Bisogna morire per un rimpianto?
No, non ci sto più. Che mi importa se tu, Mamoru sei uno stronzo?! Che mi importa se Usagi è insopportabile?! E se anche tutti pensassero che sono una debole, che non valgo la metà di lei, che faccio schifo? Smetterei davvero di vivere?
Allora, e dico sul serio, qua si riduce tutto ad una semplice e lineare domanda. Che cosa importa? Importa quello che voi, che loro pensano di me? Loro la pensano così, e lo so. Perché l'hanno sempre pensata così da quando ricordo, e dico sul serio.
Naturalmente non ho un carattere facile, naturalmente sono di natura una rompiscatole. Stressante, mai un attimo ferma, sempre da lavorare, e sempre qualcosa da dire. E per quanto ricordi, sono sempre stata così. Dicevo cose sensate, forse anche intelligenti, imponendomi sugli altri. E ne usciva un casino. O meglio, ne usciva un isolamento. Ma non mi pesava. Non finché sei arrivato tu, Mamoru, non finché sono arrivate le ragazze. Dipende da questo.
Troppo cerebrale. Dovevo capirlo molto prima.
A me, sul serio, importa poco di quello che Usagi dice; che sono una sfigata, che parlo fino a farle una testa così, che voglio sempre avere la ragione. Altrimenti non sarei io, e non mi va di diventare un'altra persona, dico davvero, la cosa mi infastidisce non poco. Non sono scema, poco ma sicuro; non sono una capa, ma qualcosa in zucca ce l'ho.
Dai, parliamoci chiaro.
Che importa se Usagi mi dice che sono insopportabile? Che importa se Minako dice che sono uno stress? Che importa se Makoto ha detto che sono un po' esagerata? Che importa se tutti mi reputano una da evitare? Che importa se sto da sola?
Non conta nulla, nulla.
Conta che sono viva, e che sono qui, e che scrivo, e che ne ho voglia, e che mi sento rinata perché ho capito che sono quello che sono e che non c'è niente di meglio. Non mi faccio schifo. E chi se ne frega del resto del mondo! Dico sul serio.
Basta che in fondo le persone che amo mi restino vicine, che mi appoggino, che mi aiutino, che anche se mi buttano addosso i miei difetti poi me li facciano correggere, e che se succedesse un periodo in cui non vedo la luce ci sarebbero. Perché tutto sommato sono speciale anche io, come Usagi.
E se gli altri non sanno vederlo, se tu non sai vederlo, ma che me ne importa? L'importante è che quel qualcosa di speciale ci sia, che sia aperto, che non faccia soffrire gli altri e me stessa. Perché non soffrirò mai più per loro. Per me stessa, forse; perché non ho superato un traguardo che avevo stabilito. Ma per gente che nemmeno mi guarda e mi considera da scartare... No. Mai. Sono viva, e respiro, e anche se è successo non è il caso di farne una tragedia. Perché nessuno come me è mai esistito e mai esisterà. Nessuno scriverà mai più questi pensieri su questa scrivania.
Troppo cerebrale. Qua chi ci ha perso sei solo tu.
Posso sopravvivere calpestando certe cose, sul serio. Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza calpestare i cuori.
E soprattutto senza andare a cercare di farseli calpestare.

 

Settima foto: il buio

Nera. Non si capisce cosa ci si nasconda dietro. Fa da sipario a cose troppo brutte per essere viste, o dette, o fotografate. Nessuno scatta foto di momenti che vuole dimenticare. Semplicemente, perciò, il coperchio è rimasto lì. Non per caso, per volontà. Il nero copre le illusioni, le orribili scenate e le lettere sbagliate, le parole non dette, e le bugie. I baci dati per errore. Sì, è finita, dice Rei, ma nel suo cuore lo sa. In cuore suo sa che c'è ancora qualcosa. Perché il buio non esiste, il buio non è buio davvero. Nasconde solo le cose finché qualcuno non accende la luce.

 

XX XXX, molto dopo.

Una volta, io possedevo 10 Yen. Non erano 10 Yen qualunque, erano speciali. Però non erano speciali perché erano incisi da qualcuno, o perché c'erano le mie iniziali sopra. Non erano speciali perché qualcuno me li aveva dati in pegno d'amore, o perché provenivano da luoghi sperduti di paesi remoti.
Una volta, io possedevo 10 Yen. Ma non 10 Yen qualunque, 10 Yen speciali. 10 Yen che hai perso un pomeriggio piovoso, correndo via dal tempio, poco dopo che ci eravamo salutati. Ti sono scivolati in qualche modo, come scivola il tempo, come scivola la mia penna sopra questo foglio, come scivola il silenzio o come scivola la vita dalle mani precipitose delle persone.
Li ho raccolti, come si raccoglie un fiore o un'emozione, o un'occasione o una possibilità. Ci sono momenti in cui sono sicura che ci è data l'occasione di cambiare il destino.
Mi sono sporta e ho gridato il tuo nome, per restituirteli, ma quando mi hai guardata non ne ho avuto la forza. Mi sono chiesta cosa ci facesse uno come te di fronte ad una come me.
E i 10 Yen mi sono scivolati naturalmente in tasca, insieme alla promessa che quando fossi riuscita a restituirteli sarei anche riuscita a dirti quello che provavo per te.
Da quel pomeriggio sono passate un paio di settimane. È passato un mese. Sono passati cinque mesi, poi l'anno. E i 10 Yen erano ancora lì, nella giacca rossa, in una tasca dimenticata.
Poi è successa Usagi. Non so cosa è cambiato con Usagi, so solo che mi sentivo inferiore e non volevo sentirmi così, mi chiedevo cosa avesse lei che io non avevo. Forse la voglia di vita?
Ma da quando è successo tutto quello che è successo con mio padre, penso che sia impossibile per me sorridere con lo stesso sorriso di Usagi. E quando pensavo di aver gettato tutto nel dimenticatoio, tu.
Non ricordo di aver mai gridato tanto forte.
E i 10 Yen, invece, se ne stavano in silenzio nella mia tasca rossa, a sonnecchiare mentre rimuginavo queste cose.
Ieri li ho tirati fuori, e mi sono chiesta cosa ci facessero 10 Yen nella tasca del vecchio giubbotto rosso. Così, siccome per il gelato mancavano poco più di 10 Yen qualsiasi, li ho poggiati sul bancone.
Sì, una volta possedevo 10 Yen. Non erano 10 Yen qualunque, erano speciali.
Qualche volta penso ancora a come potrebbe essere la mia vita adesso, se quel giorno ti avessi restituito quella monetina con tutto quello che dovevo dirti. Qualche volta, penso ancora a come sarebbe se te li rendessi ora. Qualche volta penso ancora a quando, troppo tardi, mi sono resa conto che quei 10 Yen erano speciali quanto te. E piangendo nel mio letto mi chiedo cosa sarebbero potuti essere, se solo fossi stata più brava, migliore; se solo mi fossi accorta prima che avevo una moneta in tasca. E che era speciale.
Una volta possedevo 10 Yen. Erano 10 Yen speciali, perché erano tuoi.
Adesso sono chissà dove, sperduti in una tasca diversa, o in un cassetto, o peggio ancora, sotto ad un mobile per un errore. Non sono più tuoi; forse, non lo sono mai stati. Mi piace pensare che forse sono nel tuo portafogli, e tu non lo sai, o che il gelataio me li ha dati oggi di resto e che io non li conserverò.
Mi dispiace di non essere stata capace di restituirteli.
Un giorno ti accontenterai di 10 Yen qualunque, forse, recuperati da una tasca antica, con tutto un percorso e una storia diversa, speciali per qualcun altro. Ti accontenterai di averli insieme a tutte le cose che non ti ho detto mai, forse...

Ma potrà mai essere la stessa cosa?

   
 
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