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Autore: LiquidScience    05/08/2012    5 recensioni
[Spin-off della serie A-Team]
Ed ecco, quando tutto sembra andare sempre in peggio, che fa la sua ricomparsa l'A-Team, dopo molti anni di inattività. Ma i membri che lo compongono non sono gli stessi, ma i loro figli, riuniti insieme da uno scherzo del Destino.
La storia inizia con il racconto di Mike Murdock, intervistato da una giornalista.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“La soffitta era buia e polverosa, l’unico fascio di luce strozzata veniva da una piccola finestra quasi completamente coperta da dei scatoloni. La stanza ne era quasi piena.
Una sera, un po’ per ingannare il tempo e un po’ per curiosità, io e mia sorella Maddie ci misero a rovistare tra i vecchi rimasugli di vita passata.
Io presi subito una piccola scatola, ne soffiai via la polvere e, tra un colpo ti tosse e l’altro, iniziai a guardare il contenuto. Ero molto eccitato.
-Ehi sorella! Guarda questa!- dissi, facendo vedere a mia sorella impegnata con un vecchio baule una vecchia foto.


In quello scatto erano raffigurati quattro uomini:  Da sinistra a destra c’erano uno biondo e vestito elegantemente, uno con i capelli bianchi, l’impermeabile e un sigaro, un altro con un giubbotto da aviazione marrone e un cappello blu e l’ultimo aveva la pelle scura, i capelli alla mohicana, strani orecchini e moltissime catene d’oro al collo.
-Hahaha guarda! Quello con il berretto è papà da giovane!- osservò Maddie.
-E’ vero! E quello con “l’armatura d’oro” assomiglia a Spike!- dissi.
-Spike?-
-Sì, è uno che veniva a scuola con me-
-Ah!- disse mia sorella.
-Ma gli altri due?- chiesi.
Già, e gli altri due? Nessuno dei due li conosceva.
Continuammo a rovistare. Oltre a molte foto dei nostri genitori e di noi due da piccoli, trovammo anche una cassetta con diversi giornali ingialliti. Incuriosita, Maddie ne aprì uno e lesse ad alta voce l’articolo in prima pagina.
-Senti questa! “L’A-Team fugge per l’ennesima volta dalla giustizia, i tre reduci del Viet Nam continuano la loro vita da clandestini a Los Angeles.”-
-Leggi ancora!- risposi incuriosito.
-“Il Colonnello Decker della Polizia Militare: L’intervento di un esterno potrebbe giustificare in parte la malriuscita della loro cattura nonostante le precauzioni adottate. C’è qualche probabilità che il loro pilota del Viet Nam, tuttora internato nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Los Angeles, H.M. Murdock…” H.M. Murdock!-
-Papà!?- dissi sorpreso. Nostro padre non ci aveva mai raccontato nulla a riguardo, almeno era quello che credevamo.
-Penso che abbia un sacco di cosa da raccontarci- concluse Maddie.
-Lo credo anch’io. Beh, io vado a dormire ora… domani ho una visita alla clinica- dissi io alzandomi in piedi.  La visita… già, un po’ di tempo fa mi hanno trovato qualche ‘problemino’…
Mia sorella mi seguì a ruota, sbadigliando. Ci augurammo la buona notte e uscimmo dalla soffitta, andando ognuno nella propria camera.

***

La mattina dopo scendemmo  a fare colazione. Papà era già seduto a tavola che leggeva il giornale mentre mamma  stava cucinando la colazione. Un dolce profumino aleggiava nella cucina e ci mise l’acquolina in bocca.
-Buongiorno! Dormito bene?- chiese papà aggiustandosi gli occhiali.
Noi due annuimmo, sorridendo.
-Ah Mike guarda che hai la visita oggi. Dovresti tenere a mente i tuoi impegni da solo, hai 21 anni ormai, non sei più un ragazzino- mi disse mamma mentre preparava le cialde.
-Sì, me lo ricordavo, mamma- risposi, dopodiché lei servì in tavola la colazione.
Iniziarono a mangiare, tutti tranne me che invece tenevo tesi i palmi delle mani verso il piatto… eh eh!
-Papà, ieri abbiamo visto alcune tue foto insieme ad altre tre persone- disse Maddie e mentre parlava papà sorrise.
-E poi abbiamo letto alcuni articoli che parlavano di un gruppo di reduci che scappavano dai militari… com’è che si chiamava?-
- A-Team- risposi prontamente.
Questa volta sia papà che mamma stavano sorridendo.
-Chi sono? Non ce ne hai mai parlato- disse Maddie.
-Invece ve ne ho parlato molte volte, da piccoli- disse papà mettendo in bocca un pezzo della cialda. La ragazza rimase con un aria stupita, cercando di ricordare le storielle che papà ci raccontava prima di dormire, quando avevamo sì o no 5 anni. Io avevo gli occhi chiusi e le braccia tese, concentrato, sembrava che non ponessi alcuna attenzione al discorso ma invece seguivo ogni singola parola.
-Non ti ricordi- disse mamma –dei quattro eroi che aiutavano le persone in difficoltà? Il geniale Colonnello Che Tutte Le Situazioni Sapeva Risolvere, il Matto Urlante che ogni giorno aveva una fissazione diversa, il Bestione che diceva sempre…-
-“Zitto Scemo!”- intervenne papà imitando la voce roca e il tono rabbioso del personaggio, facendo ridere tutti i presenti.
-Ecco, sì… e anche l’elegantone che con la sua faccia da sberle poteva ingannare chiunque- continuò mamma.
-Colazione sei costretta, trasformati in uova e pancetta- dissi io improvvisamente. Aprii gli occhi e constatai a malincuore che le cialde erano… cialde. Maledizione.
-Se volevi uova e pancetta bastava dirlo- mi disse mamma, un po’ seccata.
-Ma così non avrei avuto l’occasione di allenare i miei poteri- risposi io.
-Zitto e mangia- concluse mamma, addentando un altro boccone.
Obbediente, abbandonai i miei esperimenti e addentai un boccone della cialda
Mentre mangiavamo, sia mamma che papà raccontavano del passato.
-Ti ricordi quando mi sono intrufolato nel tuo furgone per scappare da quei cacciatori di taglie?- disse papà.
-Come dimenticarlo! È lì che ci siamo conosciuti- rispose mamma.
I miei genitori stavano parlando animatamente di tutto quello che è successo in passato, quando Billy, il nostro cane, mi si avvicinò e appoggiò le zampe sopra la mia gamba. Lo accarezza in testa e il cane alzò il muso, contento. Billy era un cane di taglia media, il pelo marrone chiaro. Assomigliava a un piccolo setter irlandese, ma è quasi sicuramente un meticcio. Mamma lo aveva trovato qualche giorno fa a vagabondare vicino alla sua clinica veterinaria in cerca di cibo e così lo abbiamo adottato. Non sopporto quei maledetti che abbandonano gli animali per una vacanza. Non li sopporto. Non li sopporto proprio.
Billy ritrasse le zampe, camminò verso mio papà e ci si sedette affianco. Accorgendosi dell’animale, papà si girò e cominciò a coccolarlo con entrambe le mani.
-Assomiglia tantissimo al cane che avevo da giovane- disse.
-Ecco perché hai insistito tanto per chiamarlo Billy!- esclamai.
-Papà, ma tu non avevi un cane!- disse Maddie scettica.
-Certo che no, è tutto nella sua testa- rispose mamma mimando con l’indice una serie di cerchi attorno alla tempia. Papà la fulminò con lo sguardo.
Papà finì per primo la sua colazione e riprese a leggere il suo giornale.
Dopo alcuni minuti Papà ruppe il silenzio.
-“Banda di criminali organizzati devastano l’autofficina Baracus”… Povero vecchio Bestione!- disse.
-Un bel rischio prendere di mira P.E., strano che non li abbia fatti neri- aggiunse mamma.
-Il tempo passa per tutti, Kelly- concluse papà.
Finito di mangiare, mi preparai per andare dal… medico… per fare la visita e accompagnare mia sorella a scuola. Frequentava l’ultimo anno delle superiori.
-Papà posso prendere il tuo giubbotto?- chiesi.
-Ehm ehm- rispose papà simulando un paio di colpi di tosse.
-Per favore- dissi.
-Va bene figliolo, è nell’armadio- concluse infine papà, con un tono lievemente seccato.
Entrai in camera dei miei genitori. Era una stanza non molto grande, al centro c’era un letto matrimoniale in legno di colore chiaro e le coperte, anch’esse bianche con una trama a fiori grigi, erano appena state rimesse a posto. Nella stanza c’erano anche due comodini, un comò e un grande armadio.
Mi avvicinai a quest’ultimo, aprii un’anta e presi il famigerato giubbotto. Sembrava un comune giubbotto da aviazione, marrone chiaro e una stampa sulla schiena raffigurante una tigre con la scritta “Da Nang 1970” sopra, ma era la storia che portava addosso che lo rendeva speciale. Non era nuovo né molto recente (e questo lo si poteva notare benissimo), ma faceva ancora la sua figura.  Lo indossai ed uscii.
 
***

Un giorno Hun Smith si trasferì nel nostro stesso quartiere. Aveva un bel po’ di anni in più di me e di mia sorella, ma era brillante e molto simpatico. Nel giro di poco tempo siamo diventati buoni amici.
Nello stesso periodo ripresi i contatti con Spike Baracus, quell’elemento che veniva a scuola con me eh eh sembra rude e scontroso ma in fondo è una brava persona. Lo dicono anche Hun e mia sorella.
A volte ci ritrovavamo tutti e quattro e andavamo a mangiare fuori alla sera. Eravamo una strana compagnia, ma ci divertivamo un mondo.
Anche se Spike (che fatalità del caso era il figlio di P.E. Baracus, dell’A-Team) ogni tanto se la prende con me per qualcosa che dico e mia sorella o Hun (che poi abbiamo scoperto essere il figlio del colonnell John Hannibal Smith) sono costretti ad intervenire…
Il caso ha voluto che un giorno al bar mia sorella incontrasse un giovane, James Peck. Vestito sempre in modo elegante, è un inguaribile dongiovanni…  ci ha provato persino con mia sorella, ma con lei non attacca, ha la zucca dura! Hi hi hi!”
 
La giornalista riempì il terzo foglio di appunti, non voleva perdersi nemmeno un particolare di questa storia.
Staccò la penna dal blocco note e fu turbata dal fatto che la mano le doleva. Non prendeva appunti in quel modo da molto tempo… ammesso che lo abbia già fatto.
“E come è nato ufficialmente il nuovo A-Team?” chiese Ann Stuart, la giornalista.
“Non lo so” rispose il suo intervistato, Mike Murdock, legato con una camicia di forza e accovacciato su una panchina del parco ospedaliero.
“Ah. Perfetto. Dovevo immaginarlo” disse Ann, più a sé stessa che a qualcuno.
“Beh, grazie comunque della sua storia” disse la giornalista, sospirando. Si era fissata l’obiettivo di scrivere un articolo sulla storia di questo Team, ma i componenti sono piuttosto riservati e non si fanno vedere in pubblico se non per un incarico. Figuriamoci per un intervista. Ann era stata fortunata a trovare Mike e ancor di più nel riuscire a strappare una storia seria dalla bocca di un matto, anche se incompleta.
Lo ringraziò ancora e fece per andarsene, un po’ abbattuta, quando Mike saltò giù dalla panchina e la raggiunse.
“Io non posso aiutarti, sono solo un matto, ma se vuoi veramente sentire il resto della storia vai al 1352 South Grande Vista Avenue ed entra nel negozio di antiquariato. Suona il campanello che c’è sul balcone quattro volte di fila. Arriverà un signore coi baffoni, digli che ti manda il “Matto della Porta Accanto”. Il resto va da sé” disse velocemente Mike, lasciando ad Ann a malapena il tempo di prendere gli ennesimi appunti. Una nuova luce ora illuminava gli occhi della giornalista.
Ringraziò di cuore Mike, che iniziò a farneticare cose senza apparente senso logico al vento. Lasciando il matto ai suoi deliri, uscì dall’area visite dell’ospedale psichiatrico con un’aria trionfante.
  
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