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Autore: BaschVR    06/08/2012    2 recensioni
“E’ così strano?” domandò Cissnei, fissandolo a suo volta nei luminosi occhi azzurri. “Difficilmente rivivrò un’esperienza del genere. Me lo sento. Però… non so, ma il sole, il mare, la gente che ride… qui si respira un’altra atmosfera rispetto a quella che c’è alla ShinRa. E poi, il poter stendersi qui, senza preoccupazioni, a guardare il cielo attraversato dalle nuvole, o le stelle, la notte… è tutto diverso. A Midgar non si riescono a vedere nemmeno le stelle. O almeno, non dall’interno della città. Troppe luci, credo”.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli scuri, sorridendo. “Non è strano per niente. Anzi, sai che ti dico? Questo è il luogo dove ritorneremo, insieme, quando le cose alla ShinRa si saranno sistemate!”

[Remake di After Crisis]
Genere: Dark, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cissnei, Cloud Strife, Scarlet, Tseng
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Crisis Core
Capitoli:
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Dov’eravamo rimasti, ovvero riassunto veloce per tutti coloro che in quest’anno hanno dimenticato cos’era successo:

Cloud e Cissnei, entrambi in fuga da Midgar, si scontrano nella foresta e sono sorpresi da Reno, inviato a recuperare entrambi per conto della ShinRa e in particolare della nuova direttrice del reparto Turk, Scarlet. Dopo una colluttazione in cui Reno ha la meglio su entrambi, essendo venuto a conoscenza delle nuove direttive della ShinRa (freddare entrambi nella foresta eliminando ogni traccia di cattiva condotta), decide di inscenare la fuga dei due ricercati e di ferirsi utilizzando lo Shuriken di Cissnei.
Contemporaneamente, Scarlet e Michael concorrono per il potere in una Midgar sempre più martoriata dalla tempesta. Entrambi sanno che l’unico modo per spodestare il presidente ShinRa e mettere a tacere l’avversario è recuperare l’antica, ma solo Scarlet ha il potere di ordinare ai Turks di farlo, mentre Michael deve trovare un altro modo. E’ per questo che, nel momento in cui la donna ordina a Tseng di recuperare Aerith, Michael decide di entrare in azione alleandosi con Tseng e promettendogli un posto sicuro dove nascondere la ragazza, nonostante egli agisca in realtà per conto di Hojo e del reparto scientifico della ShinRa, a cui aveva promesso l’antica in cambio dell’appoggio nella sua imminente presa di potere ai danni del presidente.
Durante la notte si svolgono, parallele, le storie di Tseng e di Michael: il primo va a recuperare Aerith, che si sente minacciata dalle sue parole e, dopo uno scontro con il Turk, viene ferita gravemente da un colpo di pistola; il secondo, inquieto, passa le ore notturne ripercorrendo con la mente il suo piano, cercando di convincersi che nulla può andare storto. Dopo una visita silenziosa in una casa di cura, Michael, attraversando la tempesta di Midgar, torna alla ShinRa: ma è qui che lo coglie la consapevolezza che tutto è andato storto, e mentre Scarlet attua il suo piano per la conquista del potere, egli viene colpito e messo fuori gioco, perdendo definitivamente la lotta per il potere.

 

Capitolo 6

 

Era sottile, la linea chiara che timorosamente lambiva l’orizzonte. Accarezzava quasi negligentemente le valli, con noncuranza, incapace di sbiadire il cielo cupo che si estendeva sopra le fronde nodose delle querce della foresta: e l’oscurità della nottata trascorsa si insinuava a forza tra le radici degli arbusti, accarezzando gli angoli più sinuosi del sottobosco che si snodava attraverso la vegetazione agitata da una brezza sottile.
Presto sarebbe stata l’alba. Il sole non si vedeva ancora, ma il cielo assumeva già una leggera venatura perlacea che entro pochi minuti sarebbe stata screziata di cremisi, e gli uccelli rintanati sulle alte querce avevano già cominciato a cantare. Deboli gocce di rugiada lambivano le punte dei fili d’erba e gli steli sottili dei fiori selvatici che si estendevano per le radure, mentre il vento – carezzevole, ma al tempo stesso anche  florido – li curvava dolcemente sotto il suo soffio tenue.
La sua mano cercò sostegno sulla corteccia nodosa di un albero nei paraggi, spostandosi all’improvviso fino a tastare la superficie irregolare dell’arbusto. Si muoveva lentamente, in maniera irregolare, faticando terribilmente anche nel compiere i più piccoli e semplici gesti: annaspò, il respiro spezzato, muovendo un ulteriore passo verso la radura e oltrepassando una radice che si estendeva, articolata, lungo il selciato roccioso e quasi impercorribile. Respirò a fondo per diversi secondi, gli occhi chiusi, cercando di ritrovare l’equilibrio e la concentrazione adatta per muoversi in quell’intricato labirinto di sterpi che si estendeva davanti a lui: ascoltando il rumore  dei passi della ragazza che lo precedeva, cercava di coglierne i movimenti, la direzione, l’intensità dell’andatura. Cissnei andava veloce ed era svelta, si muoveva con innata naturalezza tra gli sterpi e li evitava con appena un delicato movimento: il suo shuriken brillava alla luce della luna, ancora macchiato del sangue del Turk dai capelli rossi incontrato qualche ora prima. L’avevano recuperato accanto al suo corpo esanime e, indecisi sul da farsi, avevano semplicemente deciso di fuggire, nella speranza che, nel momento in cui si fosse svegliato, egli non avrebbe avuto l’ostinazione di inseguirli nuovamente e di attaccarli ancora. D’altro canto, Cissnei sembrava conoscere bene il Turk ed era rimasta turbata dall’esito del loro scontro: ma aveva preferito – come lo stesso Cloud, del resto – chiudersi in un silenzio inquieto piuttosto che esternare ad alta voce i propri timori. Dopotutto, in quel momento era necessario allontanarsi il più possibile dal ragazzo svenuto: ben presto avrebbe ripreso conoscenza e avrebbe indubbiamente provato a seguirli di nuovo.
Camminavano sulle rocce per evitare di lasciare impronte, ma le ferite al petto e alla gamba lo impacciavano parecchio e spesso si ritrovava semplicemente senza fiato per il dolore, all’oscurità ancora pressante del giorno che si era appena dischiuso. L’orizzonte si infuocava al nascere dell’aurora, ma all’interno della foresta erano pochi i raggi luminosi di sole che bagnavano il sottobosco: procedeva quasi a tentoni nella penombra delle fronde degli alberi, ancora in difficoltà, quasi inseguendo l’ombra sfuggevole di Cissnei che – spaventata, forse – si muoveva agilmente tra le frasche esangui degli arbusti più bassi.
Avanzò ancora di qualche passo, ma una fitta all’altezza dello sterno lo stremò e fu costretto a lasciarsi cadere sulle ginocchia, il volto schiuso in una smorfia di dolore.
“E’ tutto a posto?” chiese la ragazza, fermandosi e voltandosi a fissarlo con una nota di apprensione nella voce.
“Sì…” biascicò lui in risposta, smorzando con le parole il senso di nausea che gli impediva di risollevarsi in posizione eretta.
“Avremmo dovuto medicare con più attenzione quelle ferite. Sembrano gravi” osservò la ragazza, tornando sui suoi passi e fissandolo con attenzione.
“Hanno solo bisogno di tempo. Ne abbiamo bisogno entrambi, direi” fece l’altro in risposta, dando un’occhiata alla gamba ferita di Cissnei e alla pelle del polpaccio macchiata di denso sangue vermiglio.
“Abbiamo bisogno di allontanarci da qui, innanzitutto.”
“Sapevo che l’avresti detto.”
“Se Reno o qualcuno degli altri dovesse trovarci in queste condizioni, finiremmo direttamente nelle mani di Scarlet, ed è l’ultima cosa che desidero in questo momento” rispose Cissnei, contrariata.
“Quindi credi che il rosso stia dicendo la verità?”
“Conosco Reno da abbastanza tempo per sapere quando mente o quando è davvero preoccupato per qualcosa. Se ha nominato Scarlet, allora vuol dire che a Midgar sta accadendo davvero qualcosa.”
“Non ho molti ricordi di lei, in realtà.”
Cissnei incurvò leggermente gli angoli della bocca in un sorriso aspro.  “Sfido, non è che fosse particolarmente legata a SOLDIER, né del resto ai Turks.”
“E adesso perché li comanda, allora?”
“E’ quello che vorrei capire anch’io, ma non sono certa che la notizia sia esattamente delle migliori. Sta tramando qualcosa.”
Il cielo si era ormai del tutto rischiarato, e i raggi di sole screziavano di luce la superficie irregolare del sottobosco. Procedevano più velocemente, adesso, ed anche se l’inquietudine di Cissnei, al ricordo delle parole di Reno, si destava e riprendeva vigore, un’ulteriore sensazione, forse di sollievo, si faceva strada all’interno di lei con la stessa intensità del chiarore che si insinuava tra le fronde degli alberi. Era finalmente giorno, aveva trovato un alleato, e persino le radure circondate da secolari arbusti che l’avevano tanto spaventata la notte prima adesso apparivano più serene e luminose, prive di quell’aria inquietante e tormentata che le contraddistingueva.
“Comunque, volevo solo dirti… grazie.”
Cloud alzò lo sguardo verso di lei, sorpreso. “Uh?”
“Beh, lo sai, per aver cercato di proteggermi di fronte a Reno. L’ho apprezzato tanto.”
Il ragazzo continuò ad avanzare, senza trovare le parole adatte per rispondere. Per la verità, avvertiva una strana sensazione, quasi si sentisse imbarazzato a causa sua. Alla fine decise di borbottare a bassa voce un “Non è che sia servito poi a molto”, evitando accuratamente di rivolgere lo sguardo verso di lei.
“Ho capito che posso fidarmi di te, non è poco” rispose lei. “Ed è stato davvero un bellissimo gesto.”
“Abbiamo lavorato insieme.”
“Beh, allora siamo un’ottima squadra.”
Le sue labbra si schiusero in un sorriso. Era da parecchio che non le succedeva, in effetti. Non ci avrebbe giurato, ma le parve che persino il volto di Cloud si fosse fatto meno duro, quasi come se gli angoli della sua bocca si fossero leggermente increspati sotto la spinta di quelle parole. Ed ora che il suo viso appariva così rilassato, era facile scorgere in lui quelle espressioni e quei gesti che lo rendevano simile a Zack, e un nuovo velo di tristezza le oscurò il volto improvvisamente.
In breve, gli alberi si erano già fatti più radi. Interi fazzoletti di terra venivano adesso irradiati dalle luce del sole che, ormai sorto del tutto, rischiarava le radure e le valli circostanti. Si erano ormai lasciati alle spalle le gelide ombre della foresta oscura, ed entrambi, leggermente rincuorati, decisero presto di sostare all’ombra di un nodoso faggio che svettava tra l’erba alta.
“Fa’ vedere le ferite”
Cloud mugugnò riluttante, borbottando che stava bene e di farsi gli affari propri.
“Pff, certo che sei cocciuto.”
“Ho detto che sto bene.”
“Non sembrerebbe, dato il tuo aspetto. Hai qualche materia curativa con te?”
Il ragazzo fece no con la testa.
“Mmmh.”
“Che c’è?”
“Dovremmo trovare un altro modo per curare quelle ferite, allora.”
“Guariranno da sole” rispose Cloud stizzito.
“Non abbastanza in fretta, però.”
“Va bene, va bene, fa’ come ti pare, allora!”
Trascorsero alcuni istanti di silenzio in cui ognuno evitò lo sguardo dell’altro.
“Beh, dovremmo essere molto vicini a Kalm Town, da qui” decretò Cissnei alla fine, scrutando l’orizzonte verso ovest aldilà delle montagne.
Cloud la guardò un po’ confuso. “E allora?”
“Allora hai bisogno di cure e Kalm Town è il posto più vicino per procurarcele. Da lì possiamo decidere come muoverci per attuare la nostra prossima mossa” rispose la ragazza risoluta.
“Kalm Town” le fece eco Cloud, mentre un sorriso sardonico gli macchiava il viso. “Quindi hai deciso di tornare a Midgar, non è così?”

 

 

 

 

Mideel, alcuni anni prima.

C’è qualcosa di insolito e particolare nella disarmante impazienza con cui la notte avvolge Mideel. Il cielo si tinge di vermiglio quasi inaspettatamente, cogliendo di sorpresa lo spettatore più svagato e disattento: e mentre questi, riscossosi appena dai suoi pensieri, osserva ammirato il profilo del sole oltre la rigogliosa vegetazione, l’aria si è già fatta più frizzante, e le stelle, luminose come nelle notti d’estate, si espandono per la grande volta celeste. Le torce e i falò crepitano serenamente, mentre le ombre – delle case, degli alberi, della gente del luogo – si allungano sull’arido selciato, fino al limitare del bosco. Il sentiero che conduce alla selva è in terra battuta, breve, definito da un esile steccato di legno rugoso.
Mentre ritorna al villaggio, la sua mano lambisce quasi di sfuggita la superficie coriacea della staccionata. Il legno è mal lavorato e risulta ruvido e discontinuo al tatto, ma ritira la mano solamente quando una scheggia gli si conficca nel dito, facendolo imprecare sonoramente nella tranquilla serenità della notte ormai matura. Il suo cuore accelera i battiti, colto di sorpresa dalla fitta improvvisa: ma poi, con un respiro profondo, i suoi sensi si quietano, rabboniti dalla brezza che fa ondeggiare pacificamente l’erba che separa il villaggio dal bosco.
D’un tratto, alle sue spalle, le risate sature d’allegria di Zack Fair e di Reno riempiono la notte, costringendolo ad assumere nuovamente una sottile espressione contrariata. Accelera il passo, lievemente stizzito dalle inutili chiacchiere dei due uomini alle spalle, e si concentra sul tiepido canto delle cicale estive, cercando di allontanare dalla mente la mole di scempiaggini che gli altri – chissà, magari anche consapevolmente – non smettono di elucubrare; ma è tutto inutile, e le loro frivole parole – così inadatte ad un incarico oneroso come quello – s’insinuano nella sua mente, vanificando ogni suo sforzo di mantenere inalterata la concentrazione.
“Da’ retta a me, quella roba è palesemente truccata!” osserva con noncuranza Reno, mentre muove distrattamente il taser fendendo l’aria. “D’altronde si sa che il Gold Saucer è una gigantesca trappola per turisti idioti.”
Zack, accanto a lui, incrocia le braccia con un’espressione corrucciata sul volto. “Non dev’essere molto semplice pilotare le corse dei chocobo, però. C’è sempre un possibile margine d’errore che non può essere calcolato in anticipo…”
“Che c’è, stai pensando a come fare soldi imbrogliando?” lo stuzzica beffardamente Reno, dandogli una leggera gomitata sul fianco. “Il tuo misero stipendio da Soldier di prima classe non è abbastanza?”
“Via, non è questo il punto.” La voce di Zack si fa più seria, mentre lui e i due Turk mettono piede nel centro abitato quasi deserto. “E comunque,” aggiunge subito dopo, mentre un sorriso gli si dipinge sul volto, “non credere che io abbocchi ad ogni tua storiella idiota.”
“Peggio per te, questa qui è una storia vera” afferma l’altro con noncuranza, mentre indirizza lo sguardo verso un vicolo avvolto nell’oscurità. “Me ne ha parlato lo Zio Al l’ultima volta che sono andato a trovarlo.”
“Quello che spala le cacche dalle piste del Gold Saucer?”
“Esatto, proprio lui” afferma Reno, distogliendo lo sguardo dal vicolo e procedendo alle spalle di Tseng. “Un giorno è andato ad appartarsi con la sua nuova compagna Polly – che, tra parentesi, è davvero una gran bella…”
“Reno!”
“Scusa tanto, capo, ma per come la vedo io un complimento a una bella donna è sempre dovuto.”
“Non è questo il punto.” Tseng accelera il passo all’improvviso, lasciandosi alle spalle i due straniti dal suo brusco e inatteso comportamento. Si porta una mano alla tempia pulsante, maledicendo i toni squillanti e sfacciatamente allegri dei suoi compagni di missione: poi fa un respiro profondo, cercando di non perdere la calma. “Abbiamo un compito da portare a termine.”
“A me sembra una notte piuttosto tranquilla, in realtà” s’intromette Zack, alzando le spalle in direzione della quieta foresta. “Non credo che si nasconda davvero qualcuno in questo luog…”
“Sssh!” gli fa Reno sottovoce mollandogli una gomitata sugli stinchi. “Mai contraddire il capo quando siamo in missione.”
“Ma tu l’hai fatto giusto qualche minuto fa!”
Sul volto del Turk si dipinge un lieve ghigno canzonatorio; poi, senza rispondere, l’uomo accelera il passo fino a raggiungere Tseng, che si è già infiltrato in una delle vie secondarie del villaggio.
“A quanto pare qui è tutto regolare” decreta quest’ultimo alcuni minuti dopo, quando, poco dopo aver ispezionato l’ultimo vicolo della città, i tre uomini si incontrano nuovamente al centro di Mideel. “Credo sia meglio rientrare, per stanotte. Farò rapporto al Quartier Generale e vi comunicherò le direttive per domani.”
Reno ha sul viso un sorriso un po’ storto, malizioso come quello di un bambino che in segreto affonda le mani in un barattolo di marmellata: si allontana senza dire una parola, mentre la coda vermiglia, alle sue spalle, ondeggia leggermente nella brezza della sera. Zack, d’altro canto, incrocia le braccia, incerto sul da farsi, mentre lancia uno sguardo distratto al limpido cielo notturno; poi, quasi senza che se ne accorga, le sua mani scorrono sulla tastiera del cellulare.
“Non credo sia sveglia a quest’ora” osserva Tseng con noncuranza, poggiando le lunghe dita sul mento. “Va sempre a dormire presto, la sera.”
Zack ricambia il suo sguardo, stupito. “Pagano i Turk per spiare le ragazzine, adesso?”
“A mio parere è un po’ da pedofili!” aggiunge Reno dall’oscurità, facendoli trasalire. “Strani ordini, quelli del capo…”
“Reno!” lo ammonisce Tseng, con voce ferma.
“Sto solo scherzando!” risponde l’altro con un tono giovale, allontanandosi nella notte.
Infine, sono tornati presso la locanda nella quale alloggiano. La loro camera è al piano superiore, illuminata da alcune torce alle pareti che gettano lunghe ombre sul resto della stanza. Reno si getta sul letto, sollevato, con le mani incrociate dietro la nuca; sul volto di Tseng, d’altro canto, traspare una sottile inquietudine, un leggero fastidio che non riesce a dissimulare e che s’insinua tra le pieghe del suo viso. Ha le braccia incrociate, la schiena ben dritta, il passo svelto: il rumore degli stivali neri, sulle assi di legno del pavimento, è rapido e scandito. Il suo sguardo s’insinua oltre la finestra annebbiata, fino a perdersi nella fitta e varia vegetazione di Mideel: la luce della luna illumina tutta la campagna circostante.
Interrompe il ritmo cadenzato dei suoi passi e posa, immerso nei suoi pensieri, le lunghe dita sul vetro annebbiato. E’ rientrato da pochi minuti, ma probabilmente ha già nostalgia della fresca brezza delle notti estive di Mideel, e sa già che i suoi sensi – ancora in allerta, nonostante la fine della missione – forse potrebbero trovare un po’ di pace, nel ritiro solitario della foresta che circonda il villaggio.
Sta uscendo nuovamente, a pochi minuti dal rientro, ma Reno non gli fa alcuna domanda, mentre sente la porta scivolare cigolando sui cardini: rimane con gli occhi chiusi, disteso sul letto, tra le candide lenzuola di lino su cui il suo corpo ha disegnato una sottile e quasi invisibile ragnatela di pieghe.
L’aria è ancora più dolce di come la ricorda, nonostante abbia trascorso appena qualche minuto all’interno della locanda: muovendosi per le vie fiocamente illuminate dalla luce della luna, da solo, ha l’impressione che la brezza si sia fatta più fresca e sottile, e che la luce della luna – già così intensa, in quella tiepida notte priva di nuvole – si sia fatta più viva, e pulsante, e argentea, sulle chiome vibranti degli alberi e sugli steli d’erba che si piegano sotto il vento leggero.
Probabilmente anche Zack sta vagando per le vie fiocamente illuminate di Mideel, da solo, immerso nei suoi pensieri, lontano da casa e da Aerith. Non che abbia particolarmente voglia di incontrarlo, comunque. Sospira lievemente, mentre lascia il sentiero principale e si adagia leggermente sull’erba, ad un paio di metri dallo steccato che delimita i confini del villaggio.
Tramite rattoppate e disoneste associazioni di idee, i suoi pensieri si soffermano nuovamente sulla ragazza. Non ricorda precisamente quand’è andato a farle visita per l’ultima volta: negli ultimi tempi è stato sempre impegnato con ogni genere di incarico differente. Forse è passato addirittura un mese, dal loro ultimo incontro, nella chiesa abbandonata dei bassifondi di Midgar, tra un’occhiata distratta e l’altra in un pomeriggio tranquillo trascorso in città.
“Ti credevo già addormentata da un pezzo” afferma Tseng d’un tratto, il microfono del cellulare accostato all’orecchio, mentre una leggera smorfia si disegna sul suo volto.
“E allora per quale motivo hai chiamato?” chiede Aerith in risposta, non riuscendo a reprimere una leggera risatina di scherno.
Tseng è infastidito dal tono canzonatorio della ragazza: a volte, quando parla con lei, ha l’impressione di essere preso bonariamente in giro. Non risponde alla domanda, preferendo sbuffare sull’erba carica di rugiada.
“Eddai, dovresti sostenere la conversazione, dopotutto hai chiamato tu!” esclama Aerith dopo un po’, reprimendo a fatica l’irritazione dalla voce.
“Non ho niente da dire.”
“Okay, ma non è molto educato.”
“Sei in camera tua?”
La domanda di Tseng la coglie di sorpresa, ma quando risponde il suo tono è tranquillo e carico dell’ironia che la contraddistingue.
“Sono nella chiesa a fare da babysitter alla mia guardia del corpo” afferma, trattenendo a stento una risata, mentre dal cellulare si avvertono delle lamentele in lontananza. “E sta’ un po’ zitto!” esclama di nuovo lei, alzando la voce. “A quest’ora i marmocchi dovrebbero dormire, anche se sono Turks della ShinRa.”
Un breve sospiro di Tseng si perde nella rarefatta aria notturna di Mideel. Ha imparato a conoscere quella ragazza e sa bene quanto possa essere cocciuta, a volte. La ascolta redarguire il giovane Turk incaricato di sorvegliarla, in silenzio, cercando di immaginarne il viso che si infervora, animato da un guizzo a metà tra il divertito e l’irritato. Sì, riesce quasi a vederla, nella penombra della chiesa fiocamente illuminata dalla pallida luce della luna: e i suoi pensieri si fanno sempre più vivi e complessi, mentre una mite fantasia – giostrata dal suo sguardo – s’insinua sempre più a fondo tra le pieghe nascoste della sua mente.
“Non hai ancora risposto alla mia domanda” afferma lei all’improvviso, con semplicità, nuovamente rivolta a lui.
“Come?”
“Ti avevo chiesto perché mi hai chiamata.”
Tseng esita per qualche istante, prima di rispondere. “Agisco in difesa degli interessi della ShinRa, lo sai. La tua incolumità è qualcosa che la compagnia deve costantemente tenere sotto controllo.”
“Ah-ah” annuisce Aerith, con un tono a metà tra il sorpreso e il divertito. “Ma c’è già qualcuno, con me.”
“Volevo accertarmi che andasse tutto bene.”
La ragazza sorride. “Capisco. Un po’ come ha fatto Zack poco fa.”
Tseng impiega qualche secondo per rispondere. “Io e Zack siamo molto diversi” afferma poi, quasi sovrappensiero, più a se stesso che alla ragazza.
“Mmmh. Forse” esita Aerith, anche lei pensierosa. “Ma in un modo o nell’altro, tenete entrambi a me. E’ una bella cosa.”
Sul volto di Tseng si dipinge un tiepido abbozzo di sorriso.
E’ stata una lunga telefonata, ma quando infine ripone il cellulare, sospirando, si accorge di sentirsi ancor più inaridito di prima. Rimane ancora un po’ ad assaporare la brezza che si espande per la radura, poggiando una mano sull’erba dietro di sé: tiene gli occhi sul cielo limpido, immerso nei suoi pensieri, mentre qualcosa – in quel luogo, o magari soltanto nella sua testa – gli fa desiderare di andar via, mettersi in viaggio, lasciare tutto alle proprie spalle e ricominciare, lontano, una nuova vita.
S’alza in piedi, infine, con un vago senso di disgusto sul volto grave che fatica persino a nascondere. I suoi passi sono l’unico suono artificiale che disturba la quiete della foresta, mentre ascolta il canto dei grilli levarsi dai campi intorno al villaggio. Riprende il percorso principale, in silenzio, senza pensare a nulla in particolare – d’altronde, gli è sempre piaciuto lasciar vagare la mente, senza essere obbligato a focalizzarsi su qualcosa di definito. E lasciandosi trainare dal flusso incostante dei suoi pensieri, ma non riuscendo a coglierne nemmeno uno, si accorge di come la nottata trascorra con la rapidità di un sospiro, e, prima ancora che se ne renda conto, è già iniziato un altro giorno, tra le coperte bianche come la neve di un letto che non è il suo, e tra le braccia di una donna che non è lei.

 

 

 

 

 

Ascoltava il rumore dei suoi passi infrangersi contro le luride pozzanghere dei bassifondi, mentre il vento, quasi all’improvviso, gli sferzava il viso sporco e macchiato di sangue. Metteva un piede dopo l’altro, incerto, cambiando spesso direzione ed osservando la sagoma sbiadita delle sue orme che si perdeva tra gli schizzi di fango sollevati dalla pioggia. Si voltava spesso indietro, lo sguardo serio e denso di preoccupazione, cercando di individuare la figura di un possibile inseguitore tra la pioggia battente della tempesta di Midgar. Gli abiti zuppi lo rallentavano e lo rendevano impacciato, confuso, incapace di procedere con la sua solita andatura fiera e sicura: si infilava nei vicoli più bui dei bassifondi allagati senza davvero sapere dove stesse andando, con il solo obiettivo di allontanarsi il più possibile dalla chiesa. Era caduto in una trappola, aveva sbagliato ogni cosa, tutto era stato rovinato dall’imprudenza del suo gesto, e dal livore rabbioso che l’aveva fatto suo.
L’aveva ferita. E nel momento stesso in cui aveva premuto il grilletto, il vibrante frastuono del colpo s’era amplificato attraverso le volte in pietra e le guglie dell’edificio diroccato, così come il suo senso di colpa. Poi, appena pochi secondi dopo lo sparo, l’aria era vibrata ancora una volta quando le porte di quercia della chiesa si erano spalancate dietro la spinta di alcuni agenti della ShinRa, pronti a recuperare Aerith e a scortarlo davanti al nuovo presidente della compagnia.
“Sono cambiate molte cose” aveva detto Rude con un tono di voce grave, ma piuttosto che seguirlo aveva preferito colpirlo e provare a fuggire. Probabilmente, finire davanti a Scarlet equivaleva a firmare volontariamente la propria condanna a morte, e non era ancora tempo.
Mentre da lontano, sul piatto, s’udiva il sordo boato di una grande esplosione, s’infilo in un vicolo giusto in tempo perché una squadra di fanti in ricognizione non lo notasse nella penombra delle strade dei bassifondi. Era lui che stavano cercando? Erano questi i nuovi piani di Scarlet? Probabilmente era troppo rischioso per il momento tornare all’Edificio ShinRa.
Eppure, nello stesso momento, mentre un fulmine si abbatteva su un reattore scatenando il fuoco sulla città, una nuova preoccupazione s’era insinuata nella sua mente, non richiesta ma allo stesso tempo indelebile tra i suoi pensieri; e se dapprima ne aveva solo un vago e al tempo stesso terribile sospetto, la squadra di ricognizione mandata a prelevare lui e Aerith ne era una conferma: la compagnia voleva rispolverare la documentazione sperimentale sugli antichi e per farlo voleva utilizzare il corpo della ragazza.

Della ragazza che adesso – realizzò, quasi per la prima volta – era in mano loro.
Deglutì profondamente, sospirando forte. L’immagine pacata e controllata che aveva di se stesso gli era scivolata addosso, in appena una notte, quasi portata via dalle spire di vento che avevano circondato Midgar: la calma che l’aveva sempre contraddistinto aveva lasciato il posto all’ansia e alla preoccupazione per il destino di Aerith alla ShinRa.
Doveva fare qualcosa. Sospirò profondamente ancora una volta, lasciando che la mente razionale riprendesse nuovamente il dominio sul suo corpo. Mentre la tranquillità ritrovata dei bassifondi veniva sconquassata da un ulteriore fulmine che recideva di netto la fornitura elettrica di un intero quartiere, in un boato luminoso e fiammeggiante, capì, negli occhi il guizzo luminoso che era il riflesso del lampo, che cosa doveva fare. Bisognava prenderla adesso, quand’era ancora possibile farlo, nel letto d’infermeria in cui sarebbe stata medicata, e fuggire. Insieme, entrambi, lontani da Midgar e dalla ragnatela di morte e distruzione che gli intrighi portano sempre con sé. Bisognava stare lontani da Scarlet.

 

 

 

 

 

Era stato il fragore inconsueto della tempesta a ridestare i suoi sensi, quasi all’improvviso, quasi inaspettatamente, nella penombra scura di una stanza che non conosceva. Il pavimento era scuro, vermiglio, soffice al tatto dei suoi piedi nudi, inaspettatamente caldo.
Fuori, il rumore della pioggia era scrosciante, continuo, inaspettatamente clamoroso e massiccio, e diverse gocce di pioggia si infrangevano a velocità pulsante sulle vetrate appannate della stanza, scivolando poi leggere sulle superficie esterna in un rivolo incerto d’acqua gelata. Il tepore della stanza e il sordo scroscio della pioggia battente lo cullavano e gli conciliavano il sonno, ma c’era qualcosa, nella fosca penombra di quella stanza che brillava alla luce pulsante della tempesta, che lo aveva svegliato e che lo rendeva inquieto, ansioso ed incapace di placare il proprio animo turbato. D’un tratto avvertì una fitta all’altezza dello sterno e provò di scatto l’impulso di piegarsi in due dal dolore, ma con sempre crescente inquietudine si rese conto di avere entrambe le mani legate al di sopra della testa, tenute insieme da una spessa catena di ferro che gli univa i polsi e che pendeva macabramente dal soffitto. Provò a dare uno strattone alla catena ma un’ulteriore fitta lo costrinse a desistere, piegando la sua volontà in una patetica smorfia di dolore e in un sussurro – un gemito, forse – appena udibile a causa dell’immane fragore del vento che scuoteva ritmicamente le vetrate.
Quasi con timidezza, gli occhi di Michael si schiusero in uno sguardo interrogativo e saettarono con precisione ai lati opposti della stanza, cercando di comprendere, in uno sguardo d’insieme, dove si trovasse. Aveva il fiatone a causa delle fitte che gli provenivano dal torace, ma continuava a scuotere le catene che aveva i polsi con forza e con una rabbia greve e continua che lo fomentava e lo incitava ad agire nonostante il dolore.
Poi, d’un tratto, al suono della sua voce il sangue gli si gelò nelle vene.
“Credevo fossi abbastanza saggio per intuire quando una guerra è persa fin dall’inizio.”
Lentamente, i suoi occhi riconobbero la figura di Scarlet che emergeva dalla penombra della stanza, il sorriso tronfio e superbo marchiato sul volto. Un risolino sofferto gli attraversò il volto, mentre raccoglieva le forze per rispondere a tono all’insolenza della donna.
“Potrei dire lo stesso della tua battaglia contro il tempo” sussurrò, quasi in un soffio, mentre il corpo veniva scosso da diversi brividi e la testa si faceva più pesante. Aveva la febbre…? Probabile. “Sul serio, donna, riesci a capire quand’è il momento di piantarla con i lifting?”
Scarlet non sembrò sorpresa dal suo sarcasmo: dopotutto, conosceva Michael abbastanza da sapere che non si sarebbe fermato facilmente, pur di ostacolare i suoi piani. O semplicemente, pur di ostacolare lei.
“Come pensavo” sussurrò la donna in risposta, guardandolo dimenarsi senza risultato tra le catene. “Sai, non ho mai capito il motivo per cui ti diverte tanto metterti contro di me. Sapendo poi come ogni volta tu ne esca irrimediabilmente sconfitto!”
“Lo dico da sempre che non sei particolarmente sveglia, ovvio che non capisci le cose.”
“Ma davvero?” fece lei in risposta, socchiudendo gli occhi e allargando il sorriso perfido che le sfregiava il volto. “Riesci a spiegarti allora come hai fatto a cadere nella più insulsa delle trappole?”
“Semplice galanteria. Mi hanno insegnato che bisogna sempre assecondare i capricci di una donna, specie se la natura non l’ha benedetta con molti doni.”
“Non la pianti mai di scherzare, non è vero?” fece lei, mentre il sorriso scivolava via dal suo volto come cera. “Cosa devo fare per far sì che tu ammetta la tua sconfitta?”
“Levarti di torno non sarebbe male.”
“Hai mai provato a prendere una donna sul serio?”
Michael sorrise sornione. “Le donne certamente, gli ammalianti transessuali che battono nei bassifondi un po’ meno. Ti suggerirei di tornare da dove sei venuta e di abbassare un po’ i prezzi, magari qualche disperato ciccione peloso riuscirà a trovare il modo di trapanare quelle chiappone da vacca che ti ritrov…”
Le sue parole vennero ingoiate da uno schiaffo poderoso della donna, livida di rabbia e incapace di trattenere la sua apparente tranquillità per ancora un secondo di più. Per tutta risposta Michael, un rivolo di sangue che gli colava giù dalla bocca, le sputò con disprezzo sul viso, facendola imprecare sonoramente e scatenando ulteriormente la sua rabbia.
“Pff” esclamò Michael contrariato, il volto impegnato a mascherare il dolore che gli attraversava tutto il corpo. “Finché non ti libererai di quest’atteggiamento sarà tutto inutile. Prova a picchiare ogni singolo uomo della ShinRa perché non obbedirà ad un tuo ordine! Sei soltanto una stupida se credi di poter mandare avanti così l’intera Midgar. E’ impossibile, sei troppo irrimediabilmente tonta e tronfia per avere la meglio sugli avversari. Tutto questo finirà presto, ti suggerisco di goderti un po’ il calore che quella poltrona può dare al tuo sedere grasso e cellulitico. La gente non permetterà che tu governi su questa città!”
Michael riprese fiato, sospirando, un mezzo sorriso sul volto che contrastava con l’espressione incredula che la donna aveva sul viso. Sapeva che le sue parole avevano sortito l’effetto in lei, e, nonostante avesse voglia di urlare e di sbattere la testa contro un muro, si costrinse a mantenere l’apparenza tranquilla e imperturbabile che lei – da sempre, perché era da sempre che si conoscevano – gli ricordava addosso.
Scarlet, al contrario, era in preda alla rabbia, incapace di trattenersi, pronta a farla pagare a Michael Kreuger per le sue parole sfacciate e piene di disprezzo. Fece scivolare tra le mani uno stiletto sottile che teneva solitamente in vita, facendo ondeggiare una scintilla di luce, proveniente da una saetta improvvisa che aveva squarciato il cielo, sulla lama affilata.
“Scommetto che riesci a capire quale sia il problema che abbiamo sempre avuto entrambi, Michael.” Gli occhi di Scarlet mandavano bagliori, mentre rigirava la lama sottile del pugnale tra le lunghe dita. Improvvisamente, con un movimento secco, Scarlet gli lacerò la carne e gli abiti, procurandogli una profonda ferita pulsante lungo il petto insozzato di rosso.
Michael annaspò, colto di sorpresa, lasciandosi andare all’improvviso e cedendo sulle ginocchia. Sentiva il calore del sangue che gli colava giù, oltre l’ombelico, fino a insozzargli i pantaloni che si tingevano di nero. Il sorriso sul volto di Scarlet si allargava sempre di più.
“P-puttana bastarda…”
“Ecco, era esattamente di questo che parlavo. Non sceglieresti di salvare te stesso neppure se ti tagliassi le palle.” 
“Che c’è, te ne serve un paio per caso?”
Per tutta risposta, Scarlet gli conficcò il pugnale nel ventre, con forza, ridendo sguaiatamente. “Pff, eccolo qui, Michael Kreuger in tutto il suo splendore! Basta qualche ferita per metterti fuori gioco?”
“Ggh…”
“Sai credevo fossi più resistente, ragazzo.”
Michael la guardò con disprezzo, sollevando a fatica la testa verso di lei. Poi, trattenendo il fiato, le sputò di nuovo in pieno volto, sorridendo subdolamente all’espressione contrariata della donna.
“Brutto…!”
“Ci riesco ancora, Scarlet. Ci riuscivo dieci anni fa, e ci riesco ancora oggi. Tu sai di che cosa parlo.”
Scarlet tremava dalla rabbia. Lentamente, si rigirò il coltello tra le mani e fece scivolare le mani lungo il corpo dell’uomo, soffermandosi sul cavallo dei pantaloni. Un sorriso malvagio le permeava il volto, mentre, lasciando scivolare la lama sui pantaloni, lacerava profondamente e irrimediabilmente la carne sottostante, ed una macchia di sangue – sempre più denso – si allargava lungo il corpo seviziato di Michael.  

 

 

 

 

Partendo dal presupposto che Michael e Scarlet a mio parere si amano follemente, devo ammettere che mi sono divertito un mondo a scrivere la scena finale. Questa parte avrebbe dovuto essere nel prossimo capitolo, ma quello che avevo scritto mi sembrava troppo serio e vuoto, e chi mi conosce sa bene come io VIVA per inserire nelle mie fan fiction momenti trash o WTF a cavolo. Così, for the lulz. Perdonatemi o accettatemi così come sono, ma vi prego, evitate di compatirmi. X°°
Sì, lo so, sono mortalmente in ritardo perfino per i miei standard. Dovevo aggiornare il 28 Luglio ma tra una trasferta random al Giffoni Film Festival e la conseguente febbrona da cavallo durata 6 giorni ho perso un mucchio di tempo e mi sono ritrovato al 28 con solo metà capitolo e una discreta propensione al suicidio. Poi mi sono reso conto che via, non cadeva di certo il mondo per qualche giorno di ritardo (o per 9 giorni, ma who cares!), e che avrei potuto finire quando ne avevo voglia o semplicemente quando ero più in forma, e così ho fatto. Sebbene il risultato non mi convinca pienamente. Oltretutto, dopo lo scorso capitolo, tutto incentrato sulle vicende di Michael e Scarlet, ho preferito scrivere un capitolo più corale, concentrandomi su tutti i protagonisti della fan fiction, anche se ho deciso di approfondire maggiormente Tseng e il suo rapporto con Aerith e Zack: il flashback l’avevo scritto diverso tempo fa, così come altri flashback in cui compare Zack e che non ho ancora utilizzato, ed ho pensato di inserirlo in questo capitolo, che è prevalentemente riflessivo, per rendere più profondi i legami che intercorrono tra i vari personaggi e per spiegare in maniera marcata come gli ultimi avvenimenti li abbiano resi diversi da com’erano un tempo.
Comunque, 6 capitoli pubblicati, 6 ancora da scrivere prima della fine della fan fiction. Questo era un po’ un capitolo di raccordo tra la prima parte, terminata con la scalata al potere di Scarlet, e la seconda, leggermente più caotica e in cui si cercherà di far coincidere la trama della fic con l’inizio di Final Fantasy VII. Se mantengo questo ritmo di scrittura, quindi, la storia finirà nel 2018. CAVOLI, DEVO DARMI UNA MOSSA, avevo 14-15 anni quando l’ho cominciata e adesso ne ho 18 e mezzo, sono TROPPO lento. Ma tanto so già che passerà un altro anno. Pazienza.
Vabbé, comunque, grazie a tutti coloro che hanno letto il capitolo scorso e in particolare a coloro che hanno recensito, ovvero shining leviathan, Lirith, the one winged angel e Zackneifan. Spero nessuno di voi sia morto di vecchiaia nell’attesa di questo capitolo. X°°D
Ci si sente presto, spero, con il settimo capitolo. Ciao!

   
 
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