CAPITOLO
UNO
Non
è colpa tua.. il problema sono io! è
una delle frasi più
utilizzate da una persona per scaricare il proprio/a partner.
La nostra Sofia non sapeva se usare quella, oppure Ti
mollo perché non fai niente senza il permesso di tua madre.
In una calda giornata di giugno, i gradini della stazione della metro
Porta
Nuova, non era il luogo perfetto per lasciare il “ragazzo
storico”. La gonna le
si appiccicava alle cosce, il sole di mezzogiorno le accecava gli occhi
e tutto
ciò che voleva fare, realmente, era poltrire a casa con il
ventilatore puntato
sulla faccia.
“Giova… non ce la faccio più,
è tutto così stressante. All’inizio
andava bene, però
tua madre non può controllare la nostra storia! Non ho una
relazione con lei,
ma con te! Anche quando siamo da soli, ti metti a pensare a lei o
addirittura a tuo
padre! E’ raccapricciante!” Tutte quelle parole le
uscivano dalla bocca in
fretta.
Vediamo di finirla il prima possibile,
questo sole mi sta scocciando..
“Ma lei non mi controlla te lo giuro…
io..loro!” borbottò Giovanni torturandosi
le mani quasi volesse pulirle maniacalmente. Di
solito con lei non si faceva mettere i
piedi in testa così facilmente, lo faceva solo in presenza
dei suoi genitori.
Non aveva scuse: i suoi lo tenevano al guinzaglio, come anche i suoi
amici
figli di papà con cui passava il tempo.
Quando Sofia voleva stare con lui, non c’era e in quelle
sporadiche volte che
iniziavano a far sesso lui si tirava indietro chiedendosi se i suoi
genitori
avrebbero fatto lo stesso.
Ancora non capisco come siamo riusciti a
farlo la prima volta…
Vive sotto un ambiente molto conservativo, e il momento più
intimo tra i suoi
genitori è stato il concepimento di Giovanni, molto
probabilmente.
All’inizio non era così, si erano conosciuti a
sedici anni, si amavano di
quell’amore a prima vista che colpisce di solito i ragazzi a
quell’età. Tutte
le tappe più importanti di una relazione le aveva passate
con lui.
Ora, però, non poteva andare avanti.. Sofia aveva delle
esigenze, fisiche e mentali.
E sinceramente pensava di meritarsi di meglio.
“Senti” cercò di concludere lei
“forse sarò anche io che non vado
d’accordo con
tua madre, ma anche tu non puoi difenderla per le carognate che mi dice
alle
spalle! Per me è una storia già conclusa da
mesi…”
“AH! Già conclusa dici?!”
sbottò lui.
Ecco il Giova che conosco.. ora spara
qualche stronzata!
“Da questo già
conclusa deduco
che tu abbia subito trovato un sostituto! E sai che ti dico: bene!
Meglio così!
Magari il tizio nuovo riuscirà ad accettare la tua
compulsiva propensione ad
odiare le madri degl’altri solo perché la tua
è crepata prima di allattarti
e..”
Un pugno ben assestato sulla faccia non gli permise di finire la frase.
“Da tutto questo deduco
che dopo tre
anni che stiamo insieme, non sai proprio un cazzo di me e ancora meno
di mia
madre, stronzo!”
Mai aveva percorso così in fretta le scale della
metropolitana, nemmeno quando
era in ritardo per andare a scuola. Dalla rabbia quasi non cadde
addosso ad un ragazzo.
Chiese scusa e corse verso la metro, ma era troppo tardi. Le porte del
vagone
erano già chiuse.
“Cazzo!” sibilò attirando
involontariamente l’attenzione di due vecchiette
sedute sulle panchine.
Se prima aveva qualche dispiacere nel lasciare Giovanni, ora si
malediceva per
non averlo fatto prima. Non si doveva permettere di parlare a quel
modo. Non oggi.
Esattamente dieci anni erano passati, da quando ricevette quella
telefonata. Ma
se lo ricorda come fosse ieri.
Il 18 giugno del 2002 pioveva a catinelle, di quella pioggia estiva che
non
faceva altro che procurare umidità.
Nonostante quello, era felice: era finita la scuola, le vacanze erano
finalmente arrivate. Da tre giorni lei e i suoi genitori si erano
trasferiti
nella casa in campagna, come ogni fine giugno. Passava il tempo a
guardare alla
televisione Bud
Spencer e Terence Hill fare a
gara di chi mangiava più salsicce e birra. Mentre la madre
era uscita per fare
la spesa, suo padre stava in garage a perfezionare l’altra
“bambina” giapponese,
una Yamaha del ’77.
Solo una cosa poteva dividerlo dal suo lavoro: una telefonata.
Suo padre corse dal garage fino al salotto bagnato fradicio a causa
della
pioggia per rispondere.
Da quel momento tutto cambiò.
L’arrivo della metropolitana la riscosse dai suoi pensieri
facendola
sobbalzare.
Mentre stava aspettando che le persone uscissero dal vagone, vide
scendere dalle
scale e dirigersi verso di lei, Giovanni. Incurante di tutto e tutti,
Sofia
entrò nella metro poco prima del chiudersi delle porte per
evitare che la
raggiungesse.
C’è mancato
poco… pensò mentre prese
posto a sedere.
Stava stretta a causa di una signora abbastanza imponente che occupava
quasi
due posti. La mano di Sofia era bloccata tra la sua coscia e il corpo
della “donna
cannone”, rischiando di farle addormentare il braccio e di
procurarle quel
formicolio insopportabile.
Cercando di non attirare l’attenzione, provo a liberarsi da
quella stretta
mortale.
Peggio di un boa maledizione!
Dopo molti tentativi riuscì finalmente a liberarsi,
attirando purtroppo
l’attenzione della signora grassa che cambiò
immediatamente posto.
Una lieve risata proveniente dal posto davanti al suo attirò
la sua attenzione.
Un uomo pelato dall’aria benevola vestito in modo anonimo,
aveva assistito con
divertimento a tutta la scena. Teneva lo sguardo abbassato, cercando di
non
incrociare gli occhi di Sofia.
Bene, picchiare il mio ex in un luogo
pubblico, scansare una vecchia signora grassa e il tutto coronato da un
pelato
che mi ride in faccia! Perfetto!
E il tizio pelato continuava a ridere, sempre più forte, e
ancora e ancora!!
Lo stava guardando ridere a crepapelle da diversi minuti, quando poi si
accorse
che era l’unica a fissarlo. L’unica
che sembrava essere disturbata dalla sua risata rumorosa. Nessuno lo
sentiva,
nessuno si rese conto della sua presenza.
Sconcertata dalla noncuranza della folla, ritornò a guardare
l’uomo pelato. Era
intenzionata a dirgli di smetterla una volta per tutte.
Ma quando lo guardò dritto negl’occhi ebbe paura.
Con un balzo felino, saltò dal suo posto in preda al panico,
salendo sul sedile
con i piedi dallo spavento. Tutto il vagone si girò a
guardarla. Mancava
ancora una fermata prima di scendere e
passò tutta la durata del tragitto stando attaccata al muro
e alla sedia,
fissando l’uomo pelato, impietrita. Quando finalmente si
aprirono le porte,
balzò fuori seguita dallo sguardo dei passeggeri increduli.
Correndo non le ci volle molto ad arrivare a casa dalla stazione della
metro.
Arrivata davanti al portone, la sua mano tremolante cercò
invano le chiavi
nella tracolla. Si arrese quando dopo averle recuperate le caddero di
nuovo
nella borsa.
Provò a suonare al citofono sperando che suo padre non fosse
in officina. Il
signore anziano del terzo piano fu più veloce di lui e le
aprì la porta dall’interno.
Sofia ringraziò e si diresse verso le scale. Non era certo
un comodità un
appartamento all’ultimo piano senza ascensore. Sorprendendo
anche se stessa
fece quelle rampe di scale a tre a tre. Arrivata alla porta
provò di nuovo a
suonare il campanello.
Sono in quel momento suo padre aprì la porta.
“Scusa tesoro! Ero sotto la doccia, non mi ero accorto che tu
avessi suonato finché
non ho visto il gatto graffiare la porta.. Ma non hai le
chiavi?” disse suo
padre con i capelli brizzolati ancora bagnati fradici.
“Le ho dimenticate scusa papà..Hai finito in
bagno? Vorrei farmi anche io una
doccia..” rispose meccanicamente Sofia.
“Sì certo tesoro vai pure..”. Con un
tonfo fece cadere la borsa davanti
all’ingresso e si catapultò in bagno.
Si tolse i vestiti in fretta e si buttò nella doccia facendo
scorrere l’acqua
fredda per togliere dalla mente quella brutta esperienza.
Non me lo sono immaginato ma.. è
veramente possibile?
Dubitando delle sue facoltà mentali, uscì dalla
doccia infagottata nell’asciugamano
ed andò a cambiarsi in camera sua.
Con quel caldo dei pantaloncini e una canotta leggera erano
d’obbligo. Si puntò
il ventilatore sulla faccia, mise un CD dei Prodigy e cercò
di leggere un
libro. “Cercò” perché non ci
riuscì.
Dovrei… dirlo a papà?
No, mi prenderebbe
per pazza! Di certo devo prenotare una visita dall’oculista!
Senza fare complimenti suo padre entrò in camera proprio in
quell’istante.
“E se fossi stata nuda papà? Si bussa
sai?” disse Sofia un po’ sorpresa un po’
sollevata.
Voltando gli occhi al cielo seccato, suo padre fece un passo indietro
chiudendo
la porta, bussò e disse “Comunicazione di
servizio: tuo padre vorrebbe entrare
in camera tua! Sei nuda per caso?”
“Ma che vecchietto diligente!“ rispose la figlia
ridendo.
“Volevo dirti che la cena è pronta. E anche riportarti
questa…” disse posando la
borsa tracolla sul suo letto. “Oh…
grazie!” sussurrò Sofia.
“Ho notato che quando l’hai buttata per terra sono
uscite le chiavi di casa che
avevi dimenticato.”
Si sentì come una bambina sorpresa a mettere le mani dentro
il barattolo della
Nutella.
“Ok, va bene! Non le avevo dimenticate!! Non riuscivo a
prenderle perché ero
scossa e il vecchio del terzo piano mi ha aperto..contento?”
disse seccata.
“Si, e tu hai ancora molto da imparare, novellina. Non solo
non sei riuscita ad
inventare una balla come ‘credevo
di
averle lasciate a casa!’. Mi hai anche detto troppo. Un padre
normale non
c’avrebbe fatto caso, ma io si.”
Per un attimo non capì cosa volesse dire. Poi
ricordò le parole pronunciate un
attimo prima.
Merda.
“Vero. Perché tu non sei un padre
normale.”disse lei guardandolo da sotto il
ciuffo di capelli ricci.
“Già, e proprio per questo non ti
chiederò il perché del tuo scombussolamento
emotivo..” un sorriso benevolo apparve sul suo volto
contagiando anche Sofia.
“Dai muoviti che ho fame!” disse suo padre correndo
in cucina.
Grazie papà..
“Che cosa hai preparato di buono oggi?” gli chiese
prendendo due lattine di
birra dal freezer.
“Pizza d’asporto” rispose noncurante.
“Altro che Master Chef!” ridacchiò Sofia.
Si misero comodi sul divano con i cartoni della pizza bevendo birra a
poco
prezzo. E per Sofia non c’era niente di meglio. Facendo
zapping alla
televisione, apparve un vecchio film di Bud Spencer e Terence Hill.
Sofia cambiò subito canale. Non tanto per lei, ma per suo
padre.
“Se vuoi vederlo, fai pure”disse lui un
po’ titubante.
“Sicuro? Insomma.. è
l’anniversario..”
“E quale miglior modo per onorare la mamma? Lei li
adorava!” replicò
sorridendo.
Dopo aver finito il film si presero il tempo per una
“sigaretta del dopo cena”.
“Non dovresti sai? Hai solo diciotto
anni…”
“Appunto per questo non è più affar
tuo.. piuttosto pensa ai tuoi di polmoni,
fumi da più tempo di me!”.
Si scambiavano queste battute ogni volta, eppure nessuno dei due ha mai
pensato
di smettere con il tabacco.
“Giovanni ed io ci siamo lasciati.”disse Sofia
noncurante, sorprendendo il
padre.
“Beh.. ehm ecco.. mi dispiace tesoro. Lo sospettavo, prima
che tu arrivassi a
casa ha chiamato.. Non volevo domandarti niente per non farmi i fatti
tuoi ma
sono contento che tu me l’abbia detto di tua spontanea
volontà..”
“Papà l’ho lasciato io, non
c’è bisogno di parlare così non
c’è stata nessuna
delusione per me!”rispose lei divertita
dall’evidente farsa del padre.
“Ooh grazie al cielo!! Finalmente, lo sapevo che prima o poi
l’avresti fatto,
era un tale cretino quel figlio di papà!”
Sapeva da tempo che a suo padre non andava a genio Giovanni, ma non si
è mai
lamentato. Attendeva in silenzio l’arrivo di questo giorno.
“E quindi.. era questo che ti ha un po’
scombussolata?” chiese infine.
Sofia doveva stare più attenta alle doti intuitive e alla
memoria del padre.
Ciò che ci si deve aspettare da un investigatore privato
come si deve.
“Si.. diciamo che non sono più abituata a non
essere sessualmente attiva come
prima, se sai cosa intendo.”
“Dimmi che stai scherzando.”rispose di getto il
padre.
“Ovviamente! Ora la tua bambina vergine e pura va a dormire
nel suo lettuccio,
notte pa’!” e dopo un bacio sulla guancia, Sofia di
diresse verso la sua stanza
seguita da un “..buona notte e non dimenticarti la tua
cintura di castità!!”
Dopo aver messo il pigiama, si mise a letto, accese la televisione
lasciando
muto il volume e chiuse gli occhi. Questo l’aiutava ad
addormentarsi, anche se
le sembrava un’impresa difficile dopo una giornata come
quella. Nonostante il
rumoroso ventilatore che non poteva spegnere a causa del caldo,
l’incessante
russare del padre e i vicini che si divertivano
fin troppo, cercò di rilassare ogni muscolo del suo corpo.
Partì dalla punta
delle dita delle mani, fino ad arrivare alle spalle, al busto e alle
gambe.
E proprio in quel momento, qualcosa le arpionò la gamba.
Aprì gli occhi in preda al panico, pronta a picchiare
l’aggressore. Ma quando
vide che Felix, il gatto, si stava facendo posto nel suo letto per
dormire con
lei, capì che aveva bisogno di qualcosa di più
forte dello yoga dormire in pace.
Scocciata si diresse in bagno, aprì lo sportello sopra il
lavandino e prese i
suoi migliori amici. Valium e bicchiere d’acqua.
Due gocce andranno bene..forse tre.
Gliele aveva prescritte il dottore dopo la morte della mamma. A tredici
anni
smise di prenderle, fino a quella sera.
Mise quelle tre gocce di oblio istantaneo nell’acqua e la
bevve tutta d’un
sorso. Mentre posò il bicchiere e la boccetta di Valium ebbe
un ultimo momento
di paranoia.
Ci manca solo che ora chiudo lo sportello
del bagno e mi appare riflesso nello specchio Ghostface.
Sfidando il bagno, chiuse con forza l’armadietto. Ovviamente
non c’era nessuno.
Ridacchiando penso Troppo prevedibile,
aspetterà che il Valium faccia effetto per spuntarmi da
sotto il letto!
Si mise per l’ultima volta sotto le coperte, aspettando che
quel tanto
desiderato nettare faccia effetto.
E prima di cadere nelle braccia del sonno lo rivide.
Quell’uomo. Quegl’occhi: dalla pupilla,
all’estremità del bulbo oculare.
Erano neri.
L’ANGOLO
DI PEX
Dopo
varie vicissitudini e drammi per
scrivere tre righe su Microsoft Word (il computer è morto al
terzo capitolo di
una storia bellissima ç_ç) ECCOMI QUA!
*palla di fieno che rotola*
Sì… Bentornata a me e a voi lettori malcapitati
in questa storia! LOL
Spero vi sia piaciuto questo primo capitolo di
“Dandelion”!!
Vi avverto, non sono ne una persona puntuale, ne una persona che scrive
“a
comando”. Potrei pubblicare il secondo capitolo tra un mese
(spero di no!
>.<) se non trovo l’ispirazione e/o il
risultato non mi soddisfa. Questo
perché non solo scrivere una storia deve essere una cosa
divertente per me. Deve
soprattutto essere piacevole PER VOI leggere il prodotto finito! :D
Come avrete capito la storia è il proseguimento di una
one-shot scritta tempo
fa.
Se non l’avevate capito, prego! LOL
Tornando seri, la sua lettura non è fondamentale per capire
“Dandelion”! Quindi
non siete costretti a leggerla! xD
Non so esattamente quanti capitoli partorirà la mia triste
mente malata, ma
spero che, nonostante la scuola (me essere studentessa prossima al
quinto anno
di liceo ç_ç), lo sport e la vita sociale, questa
storia possa continuare e
concludersi nel modo giusto (non dico “nel migliore dei
modi” perché non si sa
mai! LOL).
Voglio mettercela tutta per portare avanti questo progetto e
condividerlo con
voi!
E vi starete chiedendo “Cosa possiamo fare per portare avanti
questo progetto
insieme a questa stolta?”
E io vi rispondo “Fate domande, datemi dei suggerimenti,
perché il vostro
pensiero è fondamentale per aiutarmi a crescere come
scrittrice e come
lettrice. E spero che questa storia possa farci crescere
insieme!”
*modalità Melevisione attivata! <3*
Se vi è piaciuta la storia, grazie per averla letta e
recensite, se volete! Se
vi sentite proprio in vena di fare una buona azione, aggiungetela ai
preferiti!
xD
Se non vi è piaciuta… vi consiglio di leggere la
storia dell’autrice/autore
sotto di me, perché merita davvero! (che bello fare la
pubblicità agli
sconosciuti! LOL)
Al prossimo capitolo miei piccoli, stolti lettori! <3
Fedepex