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Autore: Marguerite Tyreen    12/08/2012    4 recensioni
"-Eppure sento che non potrò fare altrimenti. Continuerò a cercare quei giorni, quello che abbiamo avuto. A cercare te, in tutti gli altri che canteranno sui miei accordi. A cercarti in una nota d'arpa che si infrangerà contro il nulla del tempo. E non troverò niente. E continuerò a distruggermi.
Robert allungò la mano verso il chitarrista, fino a sfiorargli il ginocchio, con tenerezza: -Tu vuoi sempre punirti, Page."

***
La morte di John Bonham e la fine di un sogno. Il presente che fa da cornice ai flashback sul passato.
Amicizia, illusioni e delusioni. E un po' d'amore.
***
(Una sorta di esperimento, non so quanto riuscito ^^')
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Ai Led e alla loro musica.
Ai vecchi sogni e ai nuovi sogni.
A S.

 


Changes fill my time, baby, that's alright with me
In the midst I think of you, and how it used to be.
(Led Zeppelin, Ten Years Gone)

 

Sommes nous les jouets du destin
Souviens toi des moments divins
Planants, éclatés au matin
Et maintenant nous sommes tout seuls.
(Placebo, Protege-moi)

 


Does anybody remember laughter?


 

Headley Grange (East Hampshire), ottobre 1980

 

Le pareti della stanza erano una prigione di luce dorata e di aria irrespirabile. Gli era impossibile stabilire da quanto tempo fosse lì dentro, abbandonato sulla sedia, con la testa tra le mani e i gomiti piantati sulle ginocchia. Forse un'ora, forse una settimana. Una settimana, da quando lui se n'era andato. Il dolore arrivava e svaniva, a ondate così profonde, a volte, da non lasciargli intravvedere la lucidità, sotto il velo opaco e troppo nero. Combattè contro le lacrime, reprimendole, passandosi le dita tra i capelli, mordendosi il labbro che tremava.
-Domattina dobbiamo essere alla conferenza stampa, Rob. - gli aveva detto Grant, appoggiandogli la mano sulla spalla – Fatti forza.
Fatti forza, un cazzo! Avrebbe voluto ribattergli. Uno strano disgusto gli aveva preso la bocca dello stomaco. Non c'era nemmeno il tempo di piangere che quelle maledette formalità andavano sbrigate. E presto sarebbero stati sommersi di domande, interviste, telefonate di aspiranti batteristi, insulti dei discografici che se ne sarebbero fottuti della disgrazia, smaniando per il nuovo album da sbattere sugli scaffali.
-Andassero a fanculo loro e le loro stronzate!
-Io non le disprezzerei troppo. - la voce alle sue spalle lo fece trasalire – Dopotutto, sono quelle che ci permettono di mantenere l'ultimo contatto con la realtà. Altrimenti finiremmo per impazzire nella nostra sofferenza.
-Jimmy, da quanto tempo sei arrivato?
-Da un po'. - il chitarrista si strinse nelle spalle.
-Non mi aspettavo di vederti.
-Non volevo disturbarti. Ma ero preoccupato per te.
-Come facevi a sapere che ero qui?
-Me l'ha detto Grant. - Page avanzò di qualche passo, quel tanto che bastava per appoggiare la mano alla spalliera della sedia – Maledizione, Percy, non so davvero cosa dirti. È tutto così fottutamente stupido quello che si può esternare in questi casi.
-E che vuoi dire? - gli chiese Robert, abbassando la testa – E' inutile che fingi di stare meglio di me, Pagey. Siamo tutti distrutti. Anche Jonesy. Forse più di noi, perchè non dice mai nulla e si tiene tutto dentro.
Jimmy sospirò, accendendosi una sigaretta: -Devi smettere di farti del male, venire qui, restare da solo. Questo posto risuona ancora di...
-Di quando c'era lui, sì. Di quando c'eravamo noi. È così vuoto adesso. Ed è strano che sia proprio tu a dirmi certe cose, Pagey.
-Sì, lo so. - tentò di carezzargli i capelli con la mano libera, titubante, finendo poi per sfiorargli soltanto la fine delle ciocche che gli ricadevano sulle spalle – Ma non vorrei che facessi qualche cazzata come ho fatto io. È una vita che mi distruggo con le mie mani. Vorrei che tu lo evitassi. Ma, in fondo, non lo farai. Sei sempre stato tu quello forte.
-Forte... sono così stanco di essere forte, Page! - si coprì di nuovo il volto, non riuscendo, questa volta, a trattenere un singhiozzo violento, che lo scosse completamente.
Page rimase a guardarlo, impotente, tormentandosi le mani. Era straziante vedere quella creatura così splendente, quella divinità nordica solitamente sospesa tra la terra e l'assoluto, piegata, spezzata. Rendeva la sua modesta natura ancora più debole e le sue mani ancora più tremanti. Vincendo il pudore, gli circondò le spalle con un braccio, tirandolo a sé, stringendolo, finchè il cantante non gli posò la testa contro il fianco, con rassegnazione. I suoi capelli, sotto le proprie dita erano tiepidi, morbidi e dorati, come le spighe di grano, quando si attraversa un campo a palmi aperti.
-Piangi, Robert. - sospirò, cercando di tenere ferma la voce -Ti proteggo io.
-Ma come fai, Page? Come cazzo fai a essere sempre così controllato? - scrollò il capo con forza – Non hai mai paura? Paura di non farcela?
Jimmy guardò lontano, continuando a carezzarlo: -No. Se non hai nulla da perdere, non hai nemmeno paura di smarrire qualcosa. Anzi, a volte ti smarrisci di proposito, pur di tentare disperatamente di trovarti.
Plant sciolse un altro groppo di pianto tra le mani, cercando il corpo dell'altro con una necessità dolorosamente diversa da quella che aveva ostentato sul palco. Quando Page lo lasciò libero dall'abbraccio, ebbe l'impressione che l'aria gli fosse venuta a mancare, calmandosi solo quando lo sentì inginocchiarsi davanti a sé in modo da avere i suoi occhi alla stessa altezza dei propri.
Il chitarrista gli prese i polsi per scoprirgli il volto: - Guardami, Percy. Guardami!
Il suo sguardo aveva un'ombra amara e lontana che gli intorbidiva quell'azzurro limpido che troppe volte aveva affascinato Jimmy, incantato e tenuto sospeso con la sua mutevolezza marina.
-Eppure, almeno una volta devi aver avuto paura. Qualcosa devi aver temuto di perdere.
Jimmy lasciò la presa, tornando a posare le mani sulle sue spalle, facendole scivolare fino al suo collo, poi alle sue gote.
-Una volta, sì. Quando pensavo che non ti avrei più rivisto. Che quella maledetta macchina ti avesse portato via. - rispose, con un filo di voce.
-L'incidente... eppoi il mio Karac. E adesso Bonzo. È troppo. Perchè, Pagey?
-Non lo so, Percy. Non lo so. E nemmeno interrogare le carte, gli astri avrebbe senso, adesso.
-Mi chiedo se quello che chiamiamo Disegno, Destino non sia solo un modo per trovare un senso a tutto questo. Pagey! - allargò le gambe e lo tirò a sé, per stringerlo convulsamente -Pagey, quando ho chiamato Grant per dirgli di John, pensava che fossi stato tu... - esitò – ad andartene. Sei sempre stato il più delicato, il più fragile.
-Invece sono qui. - gli sussurrò all'orecchio – Sono qui, con te.
-Non mi lasci anche tu, non è vero? Non perderò anche te?
-Non ti lascio, Percy. - si sporse per baciargli la tempia, circondandogli il collo con un braccio– Non ti lascio. Non l'ho mai fatto, da allora.

 

Birmingham. 1968

-“So I look around for someone new, someone who is very, very, very lonely too, then I won't sing our song”
Uno scroscio di applausi distratti lo sommerse. Lo accolse con un sorriso, tra le luci: dopotutto quella gente aveva posato sui tavolini i bicchieri e i calici dei cocktail per dimostrare quella sua svogliata ammirazione. Stava facendo quello che desiderava, erano lì per ascoltarlo, per quanto quelle quattro mura, diverse ogni sera, di squallidi locali di periferia gli andassero strette.
-Ehi, Rob, c'è quel tizio che chiede di te. Dice se puoi sederti un momento con lui.
-Quale tizio?
-Quello là in ultima fila, in ombra.
Si fece largo tra le sedie, ravviandosi i capelli, prima di prendere posto davanti allo sconosciuto, con una certa sfrontatezza.
-Robert Plant? - gli chiese l'altro. C'era un che di strano in quel tale, nei suoi lineamenti inusuali, nella fuggevolezza dello sguardo, nelle mani intrecciate a coprire le labbra, in un misto di meditazione e inquieto mistero.
-Sì. Ma se stai cercando di agganciarmi, amico, temo proprio che tu abbia sbagliato persona. - si interruppe, vedendolo arrossire. O meglio, avrebbe giurato di averlo visto arrossire, nella penombra.
-Solo nel senso più... professionale del termine. - si era ripreso e gli aveva teso la mano – James Page. Jimmy. - si corresse dopo un attimo.
-Jimmy Page... quel Jimmy Page? Degli Yardbirds?
-Degli ex Yardbirds. - sorrise, con un po' di amarezza – E' per questo che sono qui: sto cercando di rimettere in piedi un gruppo e mi avevano parlato bene di te.
-Spero di non aver deluso le aspettative.
-E' un po' presto per dirlo. - rispose con un tono che faceva presagire il contrario – Quanti anni hai?
-Ne farò venti tra qualche mese.
-Certo, ti immaginavo un po' diverso. Non che questo conti, in verità. Non mi aspettavo una sorta di Amleto con il broncetto e le sembianze di una creatura celtica. Di sicuro, con la presenza sul palco ci sai fare.
-Almeno quanto tu con la chitarra.
Page disegnò uno svolazzo in aria, a dire che non meritava il complimento: -Senti, io sto in una casetta galleggiante sul Tamigi. - sorrise appena, dietro il fumo della sigaretta, per l'insolita proposta che stava per fargli – Che ne diresti di prenderti un paio di giorni di vacanza, venire da me e discutere di questa cosa? Sentiamo un po' di dischi, ci facciamo una mezza idea, sistemiamo le faccende contrattuali...
-”Sentiamo un po' di dischi”? Suona come la vecchia storia della collezione di farfalle. Non sei un ottimo oratore.
-Lo so. - si strinse nelle spalle – Allora? È un sì?
-Per quella cosa dei dischi, certo che è un sì. Cominciamo domani? Per le faccende contrattuali, di' un po': non ce l'hai un manager? Io ho una specie di agente: ci penserà lui, a me non hanno mai interessato granchè.
-E cosa ti interessa?
-La musica. E le buone intuizioni.
-Sento che andremo d'accordo. - commentò Page, ma Robert era già sparito tra le luci e i tavolini.

 

Lentamente, Page scese con le labbra fino ai suoi occhi, sfiorandogli appena le ciglia, asciugando con una rete fitta di baci lievi le lacrime che gli avevano rigato gli zigomi e le guance.
Robert rimase in silenzio, immobile, col fiato sospeso, cercando di rilassarsi a quel contatto, sperando che il calore della bocca di Page fosse sufficiente a sciogliere e a cancellare il dolore. Lasciò che continuasse a carezzargli i capelli con una tenerezza che s'illudeva di aver conosciuto solo lui. Il suo corpo stretto al proprio, sottile come un cristallo, sembrava quanto di più caldo e sicuro potesse chiedere. C'era qualcosa di famigliare in quel suo profumo penetrante, una coltellata piacevole di spezie, di nicotina e di alcol. A volte, odorava più di casa Page che le stanze in cui abitava. Forse perchè gli era stato concesso di conoscerlo molto più a fondo di quanto non fosse accaduto a nessun altro. Forse perchè entrambi, a conti fatti, non possedevano nulla e vagavano a bordo di un dirigibile alla ricerca di una chimera, di un po' di calore, di amore, ma non nella forma in cui l'avevano conosciuto.

 

Seattle. 1977

L'aria si era fatta irrespirabile, tra il fumo delle sigarette e l'odore acre dell'alcol. O forse era il profumo dolciastro di Jenny, Penny... Molly - o come diavolo si chiamava la bionda che stava stringendo – ad avergli invaso le narici e i pensieri. Ammesso che riuscisse ancora a pensare, con tutto il whisky che aveva in corpo.
Mai quanto doveva averne cacciato giù Bonzo, svaccato su una poltroncina che faceva apparire la sua mole doppia rispetto al solito. Una bottiglia di vodka e una di Jack Daniel's giacevano vuote sul tavolino davanti a lui, accanto alla coscia alabastrina della rossa in minigonna di pelle, semisdraiata sulle sue gambe, col seno schiacciato contro le sue ginocchia.
-Lo sai che sei proprio una bambola. - commentò con la voce impastata, piazzandole una mano sulla natica – Ma te la sei vista, Jonesy?
Il bassista, seduto a terra, in un angolo, strimpellava lo strumento, senza riuscire a sovrastare le note di
Heartbreaker che una delle groupie, non riuscendo ad ottenere altra attenzione se non quella del giradischi, continuava a proporre a ripetizione.
Non che volesse davvero sovrastarle: non aveva mai sovrastato nessuno in vita sua.
-Ehi, Jonesy, hai visto che culo che ha? Oh, non mi dire che non ti sei mai fatto un'altra che non sia tua moglie?
John alzò appena lo sguardo, scrollando la testa, dicendo che non aveva sentito. Poi tornò a tormentare col plettro le corde del suo basso.
Al centro della sala, Page non dava tregua ad una ninfa dal colore indefinibile di capelli e dalle labbra rosse di elfo. L'aveva agguantata ai fianchi sottili e le sussurrava all'orecchio qualcosa di incomprensibile, che riusciva a farla ridere e a farle adombrare gli occhi di inquietudine allo stesso tempo.
-Oh, Percy, ma che le starà dicendo? - gli chiese Bonzo, tirandogli una gomitata sulla coscia.
Robert si staccò dalle braccia di Polly, Molly, Jenny o chi per lei, con un'occhiata di disinteresse, senza smettere di stuzzicarle la pelle da sotto la camicia.
-Ma che cazzo vuoi che ne sappia?
-Secondo me le sta proponendo certe cose che, scommetto, saranno illegali in qualche paese nel mondo.
Robert diede una scrollata di spalle e tornò a tormentare le labbra della ragazza.

Page non sta bene: constatò, con la testa altrove. Non era stato bene nemmeno sul palco, quella sera. Era già tanto che si reggesse in piedi per suonare.
-Percy, vuoi unirti a noi? - gli gridò Jimmy rotolando sul divano con la groupie -Lei ci sta, a fare una cosa a tre.
Robert respinse l'offerta con un cenno della mano, tornando ad occuparsi della bionda. Forse si stavano già accordando di lasciare la festa, infilare le scale e rinchiudersi nella camera da letto di lui, quando Plant notò che il chitarrista era sparito, senza portare con sé la dolce compagnia.
Jones aveva raccolto le sue cose e faceva per andarsene. Plant staccò la schiena dal muro e il petto da quello della ragazza: -Jonesy, la vuoi? Te la regalo. Ci sa fare, ed è un gentiluomo - gliela spinse tra le braccia.
-No, Plant, senti... - il bassista si liberò dell'impiccio, infilando l'uscio e scrollando la testa con disappunto. Che schifo di odore doveva avere sempre addosso, anche mentre era a Londra: non si meravigliava che Mo se ne lamentasse, quando tornava a casa.
-Ehi, ma mi lasciate tutti da sola? Percy!
Plant ignorò le proteste, schivando nel corridoio l'arrivo del manager. Attese che Cole fosse entrato e avesse cominciato a stordirsi anche lui tra il fumo e l'alcol, prima di salire le scale. La camera di Page era al secondo piano e dopo due rampe si sentiva già girare la testa. Si fermò e si riscosse. Aveva davanti agli occhi lo sguardo di disapprovazione di Jonesy e cominciava a pensare che avesse ragione, in un certo senso.
Ogni mattina, per quanto ci fosse sempre qualcuna a scaldargli l'altra metà del letto, quella sensazione di freddo tornava a fargli compagnia. Sempre la stessa. E anche quel senso di vuoto, che era diventato talmente grande da risultare impossibile da riempire con i libri e con una ricerca spirituale che era tutta un alibi.
Bussò alla porta dell'amico: da dentro non proveniva nessun rumore. Non rispondeva. Spinse l'uscio ed entrò. Ci impiegò poco a trovarlo nel bagno, seduto a terra, con la fronte gelata e imperlata di sudore, sull'orlo del collasso.

The best years of my life gone by,
Here I am alone and blue.
Some people cry and some people die”

Le parole gli rimbombavano ancora nelle orecchie.
-Pagey! - si inginocchiò per aiutarlo – Pagey, cos'hai?
Il chitarrista si limitò a guardarlo, con aria smarrita.
-Ti stai ammazzando, Pagey. - gli prese il viso tra le mani – Quanto pensi di poter continuare così? Cazzo, Jimmy, finirai per uccidere anche me.
Page abbassò gli occhi.
-Vieni. Vieni qui. - gli passò le braccia dietro il proprio collo, per farlo alzare. Non gli fu difficile: si era assottigliato fin quasi a scomparire. Forse avrebbe davvero voluto sparire, sottrarsi a quella girandola che era la loro vita. A quel riflettore che aveva perennemente puntato contro da quando era un ragazzo, mentre avrebbe voluto soltanto restarsene un poco nell'ombra.
Avrebbe potuto sollevarlo di peso, pensò, posandolo delicatamente sul letto. Non mangiava, non dormiva, era dimagrito troppo. E avrebbe potuto vedere attraverso quel suo corpo esile e bianco, quando la luce fredda del neon lo aveva colpito. Solo gli occhi si erano fatti più opachi di quando l'aveva conosciuto. Talmente opachi da non riuscire più a penetrarli se non di rado: e capire cosa attraversava la sua testa, contro quali fantasmi stesse combattendo, si era fatta un'impresa impossibile e sfiancante.
-Percy! Dove sei?
-Qui. Sono qui. - tornò con un asciugamano bagnato d'acqua da passargli sul volto -Devi smetterla, Pagey, con quello schifo. E anche con tutto quel whisky. Non reggerai per molto.- si sedette sul bordo del letto.
-Spegni quella cazzo di luce. - si schermò gli occhi con la mano.
Plant fece per alzarsi, quando Jimmy gli afferrò il polso con quelle sue dita scarne -Dove vai?
-A spegnere la luce.
-No, lascia perdere, lasciala accesa. Non andar via. - strinse la presa con una forza insospettabile -Non lasciarmi solo.
-Sarai tu il primo a lasciarmi solo, se continui così.- voltò la testa, era doloroso persino guardarlo. Era l'ombra di se stesso e, sempre più spesso, nemmeno la Les Paul sembrava riuscire a riportarglielo indietro.
-Lasciami fare, Percy. Ho bisogno di toccare l'abisso, prima di risalire.
-Perchè?
-Non lo so. Forse ci sono persone nate per distruggersi. Ma cosa vuoi saperne tu, che sei abituato al sole? Sai, forse faresti meglio ad andartene, a lasciarmi crepare in pace, prima che faccia soffrire anche te.
-Non dire puttanate, Jimmy Page. Non ti lascio finchè non ti togli dalla testa questa cazzo di follia. Finchè non torni a suonare come una volta. Finchè non torniamo come una volta. - lo afferrò dal collo della camicia, quasi con violenza, con rabbia – Promettimelo! Cos'è che ti ha ridotto così, Page? Il successo? Questa cazzo di vita?
-Lasciami. - protestò debolmente – Mi stai facendo male.
-Scusami. - prese a coprirlo di carezze – Scusami. Lo so. Lo so che Jones non si immischia, che io mi faccio scivolare addosso le cose, che Bonzo ha trovato la sua dimensione in questo mondo. Ma tu sei troppo sensibile, troppo vulnerabile. Se è questo che ti fa male, molliamo tutto. Chi se ne fotte: ci sarà pure un altro modo per fare musica! Ti porto via, Pagey. Ti porto via con me, da qualche parte.
Il chitarrista sorrise: - Ci mancherebbe! E dove vorresti andare? Quel poco di vita che trovo, lo trovo nella mia chitarra. E in te. Lasciami qui. Io ne uscirò, te lo prometto. Lo credi anche tu che ne uscirò, Percy?
-Ne sono sicuro. - lo baciò sulla fronte – Ne sono sicuro. Tu... tu devi suonare ancora. E ancora. Devi suonare per me. Dove vado, io, senza le tue note? Pagey, io ti... Pagey, tu sei il migliore.
-Percy, stai tremando.
-No, non è vero.
-Dammi la mia chitarra, per favore.
-Non c'è qui, la tua chitarra. Eppoi adesso devi riposare.
-Voglio soltanto farti un paio di accordi.
-Avremo tanto tempo. - sorrise – Ora riposa.

 

-Abbiamo sondato misteri che non avremmo dovuto nemmeno sfiorare, Page.- gli disse all'improvviso, come se fino a quel momento avesse seguito una riflessione nascosta – Abbiamo risvegliato forze che non ci erano destinate. La nostra Opera doveva davvero trovare la sua conclusione, prima che fosse troppo tardi.
-Plant, ti prego... - Page lo zittì dolcemente, posandogli la punta delle dita sulle labbra – Taci, non farti del male.
Poi lo strinse più forte, massaggiandogli la schiena, cullandolo appena.
-Sto pagando, Pagey...
-Cosa? Cosa dovresti pagare? Proprio tu, Percy, cosa avresti da scontare?
Il cantante si sciolse dall'abbraccio, prima di alzarsi. Le fiamme del camino si erano abbassate, scomparendo quasi completamente. Le attizzò distrattamente con l'alare, perdendosi nelle piccole scintille che arrossavano la sua pelle e i suoi capelli con la loro luce.
-Abbiamo tutti qualcosa da pagare, hai ragione. - ammise Jimmy – Ma non penserai che sia colpa delle mie ricerche. Sei sconvolto, Plant e non... Oddio, - si passò una mano tra i capelli, con aria stanca – Venderò quella maledetta casa, per quanto sembri assurdo.
-E' assurdo. Avrebbe colpito te.
-Il tuo dolore mi fa star male dieci volte più del mio.
Plant si sedette accanto al fuoco, sul tappeto, per alimentarlo con piccoli ciocchi di legno: -Ho tanto freddo, Jimmy. - non ebbe il coraggio di voltarsi e guardarlo – Ho tanto freddo. È questo il prezzo del nostro successo? Ci arrabattiamo, inseguiamo l'impossibile, ci strappiamo le parole e gli accordi dall'anima per avere cosa, tra le mani? Nulla. Per accorgerci che una volta toccata la vetta si può solo scendere. Che la vita è miseria, finitezza, limite. Che è un cerchio ingrato che ci riporta all'inizio, un ouroboro crudele. Che per un istante in cui crediamo di possedere quella perfezione, scontiamo la nostra pena per il resto del tempo che ci è dato. Che ingiustizia!
Plant si strinse le braccia attorno al petto, nel tentativo di scaldarsi. La sua voce si fece più flebile: - Desiderare ci rende così vulnerabili, così fallibili. Tu, cosa desideri, Jimmy?
-Nulla. Nemmeno il mio bene, non vi riesco. Ritrovarmi, forse, ma ho smesso persino di cercarmi. - rispose, sedendosi accanto all'amico.
-Proteggimi da quello che desidero, Pagey. - gli rivolse uno sguardo smarrito – Proteggimi.
Jimmy lo accompagnò dolcemente a terra, sul tappeto, tra i cuscini dove avevano passato le nottate a provare, solo qualche tempo prima.
-Non so proteggere nemmeno me stesso dai miei fantasmi. - gli soffiò, carezzandogli lo sterno e seguendo il solco tra le costole fino al ventre.
-Forse è un'epidemia che dilaga, allora.
Rimase ad osservare i suoi lineamenti netti, perfetti e brucianti, le palpebre abbassate, la gola distesa e bianca: -No. Quando tutto questo sarà finito, tu tornerai quello di sempre. - gli slacciò i primi bottoni della camicia per baciargli con devozione la base del collo -Tu sei vita, Percy. E nemmeno questo freddo potrà cambiare le cose.
Le labbra di Page erano una brezza lieve contro la sua pelle. Il brivido che ancora riuscivano a dargli combatteva contro la vergogna per l'inadeguatezza del momento.
Quando Jimmy fu sopra di lui, la tentazione di lasciarsi andare alle sue carezze viaggiava tiepida e rassicurante come le sue parole: -Lascia a me tutta la tua sofferenza, Percy. Non pensare. Per un attimo solo, non pensare. - Page gli aveva passato i polpastrelli sul viso, soffermandosi a liberargli la fronte dai riccioli, prima di accostare le labbra alle sue – Cancelliamo tutto, dimentichiamo tutto, per qualche istante.
Plant allontanò il viso, ma senza rudezza: -No, Jimmy. Non possiamo.
-Perchè? Sei la mia luce, devi tenere in piedi quello che rimane. - il bacio non dato gli bruciava ancora sulle labbra, quando si mise a tracciare il percorso delle sue vene sul suo collo. Plant annaspò contro il desiderio e contro i suoi vestiti, finchè smise persino di protestare, ricadendo esausto sul tappeto.
-Perchè quei giorni folli non li riavremo un'altra volta. Non riusciremo a tornare indietro, né io né tu, Pagey. A volte nemmeno i sentimenti bastano.
-Quei giorni folli in cui tu chiamavi il mio nome, sul palco e tra le mie braccia... - sospirò, posando le labbra contro la sua gota e la fronte contro la sua tempia.
-Era tutto così bello.
-Non so: ma era tutto così vivo, sicuramente.

 

Londra. 1973

-Oh, Jimmy! Oh, Jimmy! - lo incitò prima dell'assolo di chitarra, mandando in delirio la platea. La prima volta che lo aveva fatto, l'aveva costretto ad avvampare di imbarazzo. Ormai doveva esserci abituato, pensò Plant, guardando Page piegarsi sullo strumento, le sue dita che si muovevano sicure sulle corde.
Ne approfittò per strusciarsi contro la sua spalla e contro il suo viso: -Oh, Jimmy. - gli sussurrò, questa volta per lui solo, senza sapere se avrebbe potuto sentirlo, nel frastuono della musica. Poi sorrise appena, nel percepire la scossa che attraversava il corpo sottile di Page, ogni volta che lo sfiorava.

La porta si aprì e si richiuse subito, con due giri di chiave. La luce del lampadario a soffitto si spense, lasciando la stanza nella penombra dell'unico faretto sopra lo specchio.
-Che ca... Jimmy, che stai facendo?
Page gli chiuse le labbra con il palmo della mano, spingendolo contro il muro. Poi, con la mano libera si insinuò tra i suoi capelli.
-Mi farai morire, un giorno o l'altro, Robert Plant. - gli sussurrò all'orecchio, sorridendo, prima di afferrargli i fianchi e cominciare a tormentargli il lobo con le labbra.
-Sei pazzo, Pagey? Se ci beccano così, siamo fottuti.
-Sei più pazzo tu, a fare quelle cose sul palco. - gli cacciò le mani sotto la blusa, cercando il fremito della sua pelle.
-Tanto pensano che sia tutto finto. - replicò, trattenendo il capo di Jimmy contro il proprio, affinchè non smettesse.
-Ma io so che è vero, invece. - gli inflisse una piccola tortura all'orecchio con i denti – Dovrei fartela pagare, per questo.
Gli fu impossibile prenderlo sul serio. Plant rise, carezzandogli i capelli, per poi tramutare quasi immediatamente la risata in un gemito di soddisfazione, quando Jimmy prese a lambirgli il collo, appena sotto il lobo, e ad esplorare il suo ventre con le dita.
-Dai, smettila: se entra qualcuno?
-Non entra nessuno: la porta è chiusa a chiave. Eppoi Jonesy è tornato subito in albergo, sai com'è fatto. E Bonzo si sarà infilato in qualche festino. Siamo solo noi, puoi rilassarti. - lo strinse a sé, incrociando le braccia dietro la sua schiena -Eri bellissimo là sopra. - gli confessò, alternando le parole ai baci – La mia bionda, luminosa divinità.
Quando sussurrava a quel modo, Robert si sentiva girare la testa. Si liberò della stretta e gli sfilò la giacca, gettandola di malagrazia sul pavimento. La camicia seguì presto la stessa via. Si chinò per baciargli le spalle, ripetutamente, freneticamente. L'urgenza e la precarietà della loro privacy li facevano tremare entrambi. Tremavano anche le mani di Jimmy, mentre si spogliava.
Page lo agguantò di nuovo ai fianchi, per baciarlo più profondamente, fino a fargli mancare il respiro. Il desiderio annebbiava la mente e i sensi. In un attimo, Robert si ritrovò voltato verso il muro. Il momento in cui Page l'aveva preso e quelli in cui si muoveva dentro di lui erano fusi e confusi in un unico, lungo istante di piacere, un fumo opaco e caldo in cui si era abbandonato.
Robert non riuscì a negarsi un gemito: -Finirà che ci sentono.
-Il rischio rende le cose più eccitanti. - rise appena, contro la sua schiena -Di' il mio nome, Percy. – gli ordinò, spingendosi più forte in lui – Dillo, come quando sei sul palco.
-Jimmy.
Page gli strofinò la guancia contro i capelli -Dillo solo per me, adesso. Solo per me.
-Oh, Jimmy!

-Scusami. - fu l'ultima cosa che gli disse, con la voce che gli tremava, prima di allontanarsi da lui e raccogliere i vestiti. Ogni volta che facevano l'amore, Robert riusciva a vedere la sua anima messa a nudo e il timore che questa sua vulnerabilità gli provocava.
-Scusami, ma ti volevo così tanto, e subito. Percy, a volte ho talmente bisogno di te, che... - non riuscì a proseguire, abbassando lo sguardo.
-Va bene così. - gli disse Plant, aggiustandogli le ciocche che erano rimaste intrappolate tra la camicia e il bavero della giacca – Va bene così.

 

Jimmy lo baciò, sfiorandolo appena. Ne ebbe indietro un timido movimento di labbra, la pallida immagine sbiadita di quello che avevano posseduto allora.

and now a thousand years between”

Poteva essere passato un giorno e potevano essere passati secoli. Ma il sapore di quei baci rubati durante il backstage, forse non l'avrebbero più sentito.
Page sospirò, con rassegnazione, scivolando a fianco del cantante. Continuava ad accarezzargli il volto, togliendo anche le ultime tracce del pianto.
-Sai, Percy, a volte avrei voluto tenerti vicino a me e dirti: non sai il bene che mi ha fatto incontrarti. Ma non ne ho mai avuto il coraggio.
-Me lo stai dicendo adesso. - gli rispose, ad occhi chiusi, i lineamenti tesi dal pensiero che stava rincorrendo.
-Sono i momenti che danno il valore alle parole.
-Lo so. Anch'io avrei voluto. Come ti sto chiedendo adesso di proteggermi.
-Come lo vorrei, Percy. Ma ci si salva soltanto da soli. E' finito tutto, vero? - gli domandò piano.
-I Led? Non lo so se sia tutto finito. Di sicuro io non voglio più farne parte. Non così. - la voce s'incrinò sotto le lacrime come la crepa di un cristallo sotto il minimo peso.
-Non solo. Voglio dire: ha avuto senso finchè eravamo insieme, finchè potevamo creare e mescolare vita e musica.
-Sì. - ammise – E adesso?
-Non ha nemmeno tanto senso chiederselo.- si alzò, per raccogliere una coperta abbandonata sul divano, che usò per avvolgere Robert -Dovresti cercare di dormire, almeno un po'.
-E tu?
-Sai che io non dormo quasi mai. Magari vado di sopra a telefonare a Jonesy. Lo diamo sempre così per scontato. E io dovrei farmi perdonare di troppe cose con lui. Ce ne si accorge sempre tardi.
Robert lo trattenne per il polso, allentando subito la presa. Non era certo l'unico a star soffrendo, doveva lasciarlo allontanare.
-Pagey, - aggiunse in tono di scusa per averlo respinto, poco prima – non c'è proprio più nulla da salvare.
Si strinse nella coperta, osservando le fiamme e raggomitolandosi come avesse voluto rientrare in se stesso. Chiuse gli occhi: si sentiva così terribilmente stanco. Terribilmente stanco.

 

Il ruscello scorreva, accanto alla fattoria, avvolgendo i massi in un abbraccio azzurrastro.
-Karac, non giocare vicino al torrente. - gli gridò Maureen, sporgendosi dalla finestra, per poi tornare a intrecciare i capelli alla figlia.
Uno scoppio di pianto la richiamò di nuovo: -Eccolo! - commentò scrollando la testa, nel vedere il figlio completamente fradicio – Stasera avrà il raffreddore. Robert! Rob, ci pensi tu?
Lui chiuse il libro che stava leggendo e lo abbandonò pigramente sul prato. Corse verso il torrente e raccolse il bambino, bagnandosi completamente i vestiti. Se lo tenne tra le braccia, sorridendo pazientemente.
-Piccolo, adorabile disastro. - gli sussurrò all'orecchio, riempiendolo di baci, impigliandosi le dita tra quei riccioli biondi così simili ai suoi – Su, su, stellina, non è successo niente.
Ruotò su se stesso, con Karac tra le braccia, strappandogli qualche gridolino felice. Gli depose un bacio sulla punta del naso, prima di metterlo a terra.
-Andiamo ad asciugarci, vieni. - lo guardò correre verso la casa, allegramente.
Poi non seppe dire come successe. Successe e basta: la terra si aprì, inghiottendolo. Senza dargli il tempo di afferrare la sua manina. Senza che riuscisse a sottrarlo al vuoto, alle tenebre, all'oblio.

Should I fall out of love, my fire in the light
To chase a feather in the wind”

Una piuma. Una piuma fu tutto quello che gli restituì il baratro. Una piuma che fluttuò un attimo nell'aria, eppoi si posò ai suoi piedi, lasciandolo a piangere nella sera.

 

Si svegliò di soprassalto, con un grido.
Page non se n'era andato. Era rimasto con lui, seduto accanto al camino. C'era una vecchia chitarra acustica, forse parte dell'arredamento, forse dimenticata da qualcuno prima di loro che non era mai tornato a riprendersela. Era scordata, ma Jimmy se la teneva ugualmente sulle ginocchia, pizzicandone le corde e traendone un suono lugubre, infernale.
-Robert.- posò a terra lo strumento, guardandolo con apprensione -Robert!
-Ancora quell'incubo, sempre lo stesso.
-Quale incubo?
-Niente, non importa.
Page riprese la chitarra, accennando gli accordi iniziali di
Stairway to Heaven, riuscendo a strappare un sorriso malinconico all'altro.
-Lo sai, Jimmy, quei tempi non torneranno più e tentare di aggrapparvisi sarà soltanto patetico.
-Eppure sento che non potrò fare altrimenti. Continuerò a cercare quei giorni, quello che abbiamo avuto. A cercare te, in tutti gli altri che canteranno sui miei accordi. A cercarti in una nota d'arpa che si infrangerà contro il nulla del tempo. E non troverò niente. E continuerò a distruggermi.
-Tu vuoi sempre punirti, Page. - allungò la mano verso il chitarrista, fino a sfiorargli il ginocchio, con tenerezza.
Jimmy abbassò lo sguardo: - E' che diventeremo vecchi, ci toglieremo questi vestiti e cosa rimarrà di noi?
-La nostra parte più vera?
-Lo spero. Sempre che siamo riusciti a trovarla, a costruirla, sotto i lustrini. A volte, ho l'impressione di essere diventato l'immagine che
loro vedevano in me.
Tacquero entrambi per un lungo istante.
-Ti ricordi? - continuò Page, continuando a tormentare l'inizio di
Stairway, senza mai procedere, tanto da farla apparire un madrigale antico e sinistro – Ti ricordi quando Bonzo volle inserire quel rullo di batteria? Suonava come il boato di un tuono scagliato da una divinità impietosa.
-Sì, mi ricordo. - Plant si tormentò le mani – Ci sono troppe cose che non potrò dimenticare di John.

 

Usa. Inverno 1969. Primo tour americano

Robert gli si era piazzato sul letto, senza nemmeno togliersi le scarpe.
-Ehi, che diavolo stai facendo, Rob?
-E' anche la mia stanza, questa. - aveva replicato, impassibile, ma si vedeva dallo sguardo che era troppo eccitato per stare fermo a lungo. Infatti si era alzato e aveva preso a camminare per la camera.
-Ma che hai? - Bonzo tirò una lunga sorsata dalla bottiglia, con aria perplessa.
-Che ho? Ma, cazzo, John, hai visto quanta gente c'era? L'avresti mai detto? - tacque un lungo istante, come se avesse voluto gustarsi la parola sulle labbra – L'America!
-L'America. Beh, sì, certo. - rispose, continuando a meditare sul fatto che quel whisky doveva essere proprio di un'ottima annata – A ripensare dove abbiamo suonato l'ultima volta che ci siamo visti, non l'avrei proprio detto. Che bettola, che era!
-Già. Qui è tutto così diverso: le case, le automobili, i... - si diede un contegno, aggiustandosi la giacca davanti allo specchio – Basta! Devo proprio sembrare un qualunque ragazzino di campagna.
Bonzo aveva scosso la testa, mettendosi a letto: -Uh, cerca di rimanere quel ragazzo di Birmingham, Plant. Non montarti la testa: ti tornerà utile. E adesso dormi.
-Un momento. - si era affacciato alla finestra e guardava il cielo, attraverso le persiane semi aperte – Anche la luna sembra più bella, vista da qui.
-Guarda che io non ero bravo in astronomia, ma mi risulta che la luna sia la stessa dell'Inghilterra.
Robert scoppiò a ridere.
-Sei proprio un inguaribile sentimentale, Plant. - si voltò contro il muro – Buonanotte.

 

and the forests will echo with laughter”
“Does anybody remember laughter?”

-Chissà se ci ricorderemo ancora di come si ride. - sospirò Robert, alzandosi e piegando la coperta, prima di posarla sul divano.
-Ce ne ricorderemo eccome. E rideremo ancora. - il cantante si sorprese di quel bagliore di ottimismo che di solito in Page mancava. E si aspettò la smentita, che arrivò puntuale – E sai perchè, Percy?
-Perchè la vita alla fine ha la meglio sulla morte? Per una sorta di sopravvivenza istintiva?
Page scosse la testa, con amarezza: - No. Perchè la vita vuole la sua ricompensa. Noi rideremo e penseremo a chi non lo può più fare, a chi abbiamo perduto. E allora la nostra felicità sarà velata per sempre dal senso di colpa. Non poteva esserci data punizione peggiore. Ma per te sarà diverso: tu sei luce, Percy.
-Eppure... - sospirò senza riuscire a finire la frase - Page, tu credi che le cose possano assumere un'altra forma? Un altro modo per essere amate?
-Io credo che tutto rotoli verso l'abisso, Plant.
-Possibile che non esista un modo per salvarle?
-Si sta facendo sera, Percy. È meglio se torniamo a Londra. I ragazzi... - si morse il labbro inferiore, maledicendo l'abitudine – Jonesy ci sta aspettando. Vieni.
Scesero i gradini sottobraccio, come fossero stati due convalescenti.
Plant si tirò dietro la porta, rivolgendo un'occhiata affettuosa e amara a quella casa.
-Sai cosa penso, invece, Pagey. - si mise le chiavi in tasca – Che quello che abbiamo avuto non ce lo toglierà nessuno. I nostri ricordi, i nostri sogni, ciò che siamo stati... Quei momenti sono nostri. Ci appartengono. Almeno li abbiamo avuti. Avremmo potuto vivere una vita opaca, senza nemmeno quegli attimi a rischiararla. Dovrebbero bastarci.
-Basteranno?
-Ce li faremo bastare, Pagey. Dobbiamo farceli bastare. - l'ultima lacrima si perse nel vento freddo della sera.

 

 

Fine

 

***


Angolo della scribacchina matta:

Non so davvero cosa sia questa cosa... probabilmente un altro parto delirante della mia povera mente ^^' Doveva essere una specie di omaggio per il compleanno di Plant, ma è troppo triste ^^' In ogni caso: auguri in anticipo, Percy! Che le Muse ti conservino per molto, moltissimo tempo ancora!
Vi ringrazio tanto tanto tanto per essere arrivati fino a qui :)
Un bacione,
Marguerite.

 

Credits:
“Protege-moi” appartiene ai Placebo. Le altre canzoni citate ("Ten years gone", “Heartbreaker”, “Tangerine”, “All my love” e “Stairway to heaven”) appartengono ai Led Zeppelin: nessuno scopo di lucro.
E Jimmy Page e Robert Plant appartengono... beh, a loro stessi e non a me, con mio grande dispiacere! =P
Fanfiction scritta con mero intento intrattentivo: non intendo dare rappresentazione veritiera né offendere in alcun modo le persone esistenti in essa citate. u.u

   
 
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