Desclaimer:
i
personaggi non sono di mia proprietà, ma appartengono a Sir Doyle
e ai Mofftiss. Non prendo un penny per la traduzione
di questa fic, né dall’autrice originale né da chissà
chi altri XD pura opera di bene.
Note: a
chi bazzica nel fandom inglese, la serie “Two Coffees One
Black One With Sugar Please”
sarà famigliare. Per chi non lo fa –vuoi per carenza linguistica vuoi per
mancanza di voglia – credo sinceramente che sia da leggere almeno una volta.
La serie di Two Coffees è
composta da 4 oneshot che trattano l’evoluzione del rapporto fra Sherlock e
John a partire da un esperimento di “letto condiviso”.
Sono stata indecisa per un
po’ se fare una sola fanfic con 4 capitoli o se
tenere il setting originario e creare una serie, ma
alla fine mi sono convinta che più si avvicina al pensiero originale
dell’autrice e meglio è. Dunque serie sia.
Anche perché il rating
cambia a seconda della shot e penso che riservarne
uno diverso per ognuna sia meglio.
Come traduttrice, mi sono
attenuta il più possibile al testo originale, ma ovviamente alcuni modi di dire
e frasi in inglese non sono traducibili in maniera efficace in italiano; motivo
per cui ho adattato qualcosa. In ogni caso, ho messo delle note alla traduzione
ovunque mi sembrava giusto evidenziare le differenze.
E, in ogni caso, ho fatto
del mio meglio 8D
Questo è il link alla
serie originale, in inglese, con le
quattro shots: Two Coffees One Black One With Sugar Please
Tutte le recensioni che
riceverà saranno tradotte dalla sottoscritta ed inviate a Lipantootie
(mi sembra anche giusto così u.U).
Vi giuro che dalla
prossima le note ad inizio capitolo saranno più corte, e detto questo vi auguro
una buonissima lettura! XD
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Dormire,
Probabilità di Soffocare il tuo Coinquilino con un Cuscino
–
To Sleep, Perchance to Smother
your Flatmate with a Pillow –
«
Non dormirai con me. »
«
Perché no? Trovo perfettamente ragionevole voler avvalorare quest’ipotesi, e
comunque viviamo già insieme. »
«
Non. Dormirai. Con me. »
«
Ma, John... » si lamenta Sherlock, seguendolo in cucina come un infelice
bambino avvolto in una scarlatta vestaglia da casa troppo costosa. John vuole
prenderlo a pugni. Un impulso famigliare, quello. « Ci sono già molte argomentazioni
sul fatto che dormire con qualcun altro aumenti la qualità del sonno.
Sinceramente, non ci vedo niente di male nel dividere per un po’ il letto con
me per intraprendere uno studio sul sonno. Potrei ottenere dati molto utili per
questo caso ».
Il
caso a cui si riferiva andava oltre il ridicolo e non forniva a John nessuna
ragione per permettere a Sherlock di infilarsi a letto con lui.
Una
donna di Brentford aveva trovato il marito morto
nella stanza degli ospiti. Dormivano separati a causa del suo terribile russare
e, a sentire lei, stare in stanze diverse si era rivelato talmente nocivo per
la sua salute che il marito poteva essere semplicemente morto e basta.
Era
stato fin troppo facile per Sherlock dedurre, in meno di due ore, che era stato
in realtà assassinato dal vicino, arrabbiato con lui perché parcheggiava
perennemente l’auto davanti al suo vialetto, e che era entrato dalla finestra
per soffocarlo con un cuscino. Tuttavia, la bizzarra teoria della donna
sembrava aver risvegliato la curiosità di Sherlock, e nonostante fosse stato
provato che lei avesse fatto molto più che un piccolo sbaglio, Sherlock si era
gettato nella lettura di diversi articoli e di un paio di libri riguardanti gli
schemi del sonno e ora stava, probabilmente, cercando di crearsi da solo le
prove empiriche.
«
Solo il fatto che non ci vedi niente di male è una ragione sufficiente per dire
no. Se sono già stati fatti degli studi in proposito non puoi semplicemente
prenderli per buoni? » .
Sherlock
sembra talmente inorridito da quelle parole, che John poteva anche aver
suggerito la macellazione ritualistica di un cesto di coniglietti. John suppone
che per un uomo di scienza come Sherlock, prendere per buoni i risultati di
qualcun altro potrebbe, effettivamente, essere più o meno la stessa cosa. Ha
però anche l’assillante sospetto che Sherlock non avrebbe la stessa espressione
scandalizzata, davanti all’effettiva mattanza di un cesto di coniglietti.
«
Perché sei così contrariato al pensiero di dividere il letto per un po’? Sei
preoccupato che la gente possa parlare? I muri della mia camera non sono fatti
di vetro, John, Londra non sarà in grado di vederci, nessuno lo verrà a sapere
».
«
La gente parla già, non è quello il problema » dice burbero John, strofinando
con forza il ripiano della cucina con uno strofinaccio. È raro che sia
abbastanza sgombro per permettergli di pulirlo, dunque decide di approfittarne
ora che può.
« Sei preoccupato che possa succedere
qualcosa? Affascinante ».
« Io non sono– Sherlock. No. Credo
semplicemente di aver rinunciato a buona parte della mia privacy vivendo con te
come già stiamo facendo; potrei, per cortesia, tenere un paio d’ore per me la notte?
».
Il
volto di Sherlock si deforma di disappunto e si volta stizzito, la vestaglia da
camera che gli svolazza attorno drammaticamente. John è abbastanza convinto che
quello sia l’unico motivo per cui la indossa. Aggiunge qualcosa di teatrale
all’atmosfera.
« Sarà solo per una settimana o due » dice Sherlock un paio d’ore più tardi,
mentre sono seduti in un taxi diretti verso una scena del crimine sulla quale
Lestrade li aveva convocati. « Quattordici giorni al massimo ».
« No » dice John.
« Potremmo puntare ad un certo numero di
ore di sonno per notte, magari le canoniche otto, e vedere se c’è differenza
dalle nostre abitudini di sonno normali, quando c’è un partner presente » dice Sherlock mentre sono entrambi
chinati sul corpo decapitato di quello che, a giudicare dagli abiti inusuali,
sembra essere un vecchio clown da circo.
« No » dice John.
« Sono sicuro che abbia a che fare con
l’istinto naturale. Dopotutto, dormire con un’altra persona fa in modo che ci
siano due individui in grado di percepire potenziali predatori e, a livello
inconscio, uno potrebbe sentirsi più sicuro e quindi dormire in modo più
profondo »
dice Sherlock mentre si aggirano fra le tende di un circo semi-abbandonato,
l’odore di segatura e zucchero filato che stuzzica le narici di John.
« No » dice John.
« Suppongo che andare a letto tutti i
giorni a mezzanotte e dormire fino alle otto potrebbe andar bene, e non
dovrebbe essere difficile far concordare i tuoi turni alla clinica » dice Sherlock mentre sono accucciati
dietro ad un cassonetto di un’allarmante tonalità di giallo mentre, dietro di
loro, un vecchio acrobata molto arrabbiato punta una pistola in direzione di
Lestrade.
« Per l’amor di Dio... » dice John.
« Se l’ipotesi sarà comprovata potrebbe
avere dei benefici anche per te » prova infine Sherlock quella sera,
mentre John è impegnato a staccare della vernice rossa dalle sue scarpe sopra
ad un vecchio giornale. «
Sarai più rilassato. Migliorerà la concentrazione ».
« Oh, non provare nemmeno a far finta di
farlo per il mio bene, come se fossi un benefattore di buon cuore » dice John fra i denti, passando un
cacciavite fra le scanalature della suola e sentendo cadere la sua risolutezza
come i pezzi di vernice dalla gomma rovinata. Gli da fastidio che Sherlock
possa averla vinta su di lui anche solo essendo un cazzone
piagnucolante ed insistente.(1)
« È per la scienza, John » dice Sherlock, come se fosse l’unica giustificazione utile
a tutti. John appoggia a terra la scarpa, appoggia anche il cacciavite, e si
sente un idiota credulone.
« Va bene. Camera tua, non la mia,
quattordici notti, e se succede qualcosa di strano io mi tiro fuori ».
« Strano come? ».
« Solo... strano, Sherlock ».
Sherlock
non insiste oltre, sta solamente seduto sulla sua poltrona con l’espressione di
chi è incredibilmente compiaciuto di se stesso. John spera di riuscire a
trattenersi dal soffocarlo con un cuscino prima che l’esperimento sia concluso.
Notte 1
La
prima notte è così priva di eventi che John si sente un idiota per aver protestato
così veementemente. Non è esattamente sicuro di cosa doveva aspettarsi, ad
essere onesti.
Esausto
per essere sfuggito da un acrobata omicida nel pomeriggio, ha dormito come un
ghiro e suppone che Sherlock abbia fatto lo stesso – di sicuro stava dormendo
in un modo inquietantemente pacifico quando si era svegliato, con una
rispettosa distanza fatta di lenzuola e materasso fra loro.
Uscendo
dal bagno dopo essersi rasato lo trova sveglio e seduto, le lenzuola arrotolate
intorno ai suoi piedi magri, a scarabocchiare sul suo Moleskine(2);
ma decide di non chiedere se i risultati della prima notte sono soddisfacenti.
Notte 2
Durante
la seconda notte John scopre che Sherlock parla nel sonno. Viene svegliato da
un paio di parole farfugliate che presto si sviluppano in quello che sembra
essere un monologo vagamente incoerente sul tè. John ascolta, affascinato anche
se lievemente seccato dal fatto che Sherlock non riesca a chiudere quella
dannata bocca nemmeno mentre dorme.
John
scopre anche che Sherlock preferisce dormire a pancia in giù e viene spintonato
in più di un’occasione da un paio di lunghe gambe che cercano di aprirsi un
varco verso il materasso. Sherlock ovviamente non si sveglia quando John se lo
scrolla di dosso con ben poche cerimonie, oppure fa finta di niente. In ogni
caso, John decide di avere tutte le ragioni per essere incredibilmente seccato
e contempla di soffocare Sherlock con il cuscino.
Notte 3
Durante
la terza notte John scopre che Sherlock non solo parla nel sonno, ma risponde anche
alle domande. Potrebbe essere la notte più piacevole della sua vita. È talmente
divertito che accetta senza fare una piega il colpo accidentale che Sherlock
gli sferra al viso con la mano.
Notte 7
Jonh non riesce a credere di aver diviso il
letto con Sherlock per una fottuta, intera settimana.
E
deve anche ammettere a malincuore che da un paio di notti dorme come un
bambino.
Sherlock
finalmente si è adattato alla condivisone del letto e ha smesso di dimenarsi in
stile stella marina; e anche se lo fa racconta ogni notte un sacco di storie
interessanti, e John riesce tranquillamente ad addormentarsi, ascoltandolo.
Sherlock
gli domanda se ha riposato bene e lui conclude che sì, lo ha fatto (il che
porta ad un aumento dello scribacchiare furioso sul Moleskine,
per la scienza). Potrebbe dire la
stessa cosa di Sherlock – fenomeno alquanto interessante, dato che pensava di
non aver mai visto l’uomo dormire una cosa come otto ore per notte nemmeno una
volta, quindi figuriamoci sette giorni di fila. Gli sarebbe piaciuto poter dire
che aveva fatto la differenza per Sherlock, dormire in modo decente, ma in
realtà non era così.
La
cosa buona era che Sherlock non poteva più dire che dormire regolarmente
rallentava il suo cervello. Ora, se solo John riuscisse ad inventarsi qualcosa
di simile per fargli fare lo stesso riguardo al mangiare come un normale essere
umano, potrebbe considerare tutto questo esperimento un formidabile successo.
Notte 9
Quella
notte John fa un sogno particolarmente surreale in cui Sherlock è,
segretamente, un insetto alieno travestito da eccentrico ed affascinante
londinese. Lo ha contagiato con un qualche tipo di parassita che lo sta mangiando
lentamente dall’interno e finisce per rimanere ben sveglio – e paranoico – al
suo fianco per un paio d’ore, mentre Sherlock biascica nel sonno parole senza
senso riguardo al fatto che il giardiniere ha rubato la racchetta da squash(3)
– per favore non dirlo alla domestica.
Notte 11
Quando
John si gira nel letto, alzandosi le lenzuola fino al collo ed accomodandocisi
tranquillamente, Sherlock è ancora seduto con le gambe incrociate a scrivere sul
suo laptop. È quasi mezzanotte e John sa che allo scoccare esatto dell’ora
Sherlock metterà via il computer e dormirà. Era ammirabile, il modo in cui
aveva devoluto se stesso a quell’esperimento, fino al punto di negare qualsiasi
impulso naturale avesse solo per continuare la sperimentazione durante la
notte.
« Ultimamente dormi molto più del
solito. Sei pronto ad ammettere, finalmente, che il tuo corpo ne beneficia come
per le persone normali? »
chiede John, rintanato felicemente nel proprio cuscino.
« Non lo fa » risponde Sherlock distrattamente, le
parole sullo schermo riflesse nei suoi occhi.
« Deve. Dormi come un bambino tutte le
notti ».
« Sì. Per l’esperimento, non perché mi
serve ».
« Giusto. Già. Aspetta un momento » John si solleva, il gomito puntato sul
materasso: «
mi stai dicendo che tu fai in modo di
dormire per rispettare i parametri dell’esperimento? Nonostante tu non sia effettivamente stanco? ».
« Sì » risponde lentamente Sherlock, come se
stesse parlando con un idiota di quattro anni.
« È fisicamente impossibile ».
Sherlock
spegne il laptop con qualche veloce click e tocco sul touchpad e guarda in
direzione di John mentre lo schermo si spegne: « io ho il controllo del mio corpo.
Voglio che i risultati di questo esperimento siano il più accurati possibile,
quindi faccio in modo di dormire otto ore per notte come concordato ».
John
lo guarda per un istante starsene seduto, alto e magro, con la maglietta al
contrario chissà per quale ragione. « Ti odio » ammette in tono piatto, poi si gira e
spera di riuscire ad addormentarsi.
Ci
impiega poco più di un’ora, mentre Sherlock sembra dormire dopo appena dieci
minuti. Contempla di soffocarlo con il cuscino, ma infine si assopisce mentre
Sherlock racconta una storia stranamente coerente riguardo ad una mucca in
Trafalgar Square.
Notte 12
« Per quanto ancora dobbiamo farlo, hai
detto? ».
« Minimo quattordici notti. Di più se i
risultati non sono chiari ».
« Ti sembra che siano chiari? ».
« Chiedimelo di nuovo fra due notti ».
Notte 13
Sherlock
sogna. John se ne rende conto solo quando l’altro sembra avere un incubo e le
storielle passano dall’essere divertenti e stranamente toccanti a qualcosa che
gli strappa dolorosamente il cuore quando, inaspettatamente, sente Sherlock
chiamare prima sua madre e poi Mycroft in un modo che
fa capire a John che sta ricordando un qualche momento della sua infanzia.
Lo
osserva per un po’, ascoltando i suoi mormorii e i lievi lamenti mentre invoca
qualcuno con disperazione crescente, e si domanda se è il caso di svegliarlo.
Realizzando che non avrebbe idea di cosa dirgli o di cosa fare, scivola fuori
dal letto e si siede in bagno, sul bordo della vasca, finché i suoni nella
camera da letto si affievoliscono ed il sogno sembra essere svanito.
Non
ne fa parola al mattino e Sherlock non sembra diverso dal solito. John si
domanda se la mente più brillante di Londra ricorda i sogni, e quanto spesso
Sherlock si era trovato ad invocare in quel modo, quand’era bambino, aspettando
nel buio un qualcuno che non sarebbe arrivato.
Notte 14
Il
mattino dopo la quattordicesima notte Sherlock è seduto sul letto circondato da
dozzine di fogli, il laptop al suo fianco. Ci sono pagine e pagine di appunti e
grafici e quello che sembra un complesso diagramma di flusso gira su se stesso
sullo schermo. John afferra un foglio e tenta di interpretare il diagramma
disegnato con penne rosse e nere, ma non ci riesce, assolutamente ignorante su
come Sherlock riesca a tradurre in numeri l’esperienza di dormire con qualcuno.
« I risultati sono di tuo gradimento? ».
« Mh. John,
diresti che la qualità del tuo sonno è migliorata? ».
« Non ne sono sicuro. Dormo decentemente
di mio, a prescindere dalle circostanze. Ero un soldato, lo sai, potrei dormire
in piedi se dovessi ».
Sherlock
guarda accigliato i documenti, rigirandosi una penna fra le dita e macchiandosi
i pantaloni d’inchiostro. John è in grado di dire cosa sta per dire ancora
prima che lo faccia.
« I risultati sono inconcludenti.
Propongo di passare, come parametro, ad un mese. Una quantità maggiore di dati
dovrebbe essere d’aiuto ».
« Va bene » dice John.
Notte 16
Dormendo
profondamente dopo una giornata atroce in clinica, John tira accidentalmente un
calcio a Sherlock e Sherlock lo sveglia scuotendolo brutalmente per informarlo
del fatto, prima di addormentarsi di nuovo in men che
non si dica. John rimane sveglio per tre ore, incapace di riaddormentarsi,
ribollendo silenziosamente di rabbia e considerando di soffocare Sherlock con
il cuscino.
Notte 17
John
si sveglia intorno alle sette e mezzo e trova Sherlock intento a filmarlo. Il
suo primo pensiero, prima che il buon senso gli dia il buongiorno, è “non
credevo che avessimo una videocamera”; poi raccoglie attorno a sé le lenzuola
come una povera vergine scandalizzata.
« Cosa diavolo stai facendo?! ».
« Sto solo facendo qualche filmato. Per
la ricerca ».
« Perché filmarmi mentre dormo non è
inquietante, vero? ».
« Eri d’accordo nel voler partecipare ».
« Ero d’accordo di dormire nel tuo
stesso letto. Per quanto ne so, è già un sacrificio abbastanza grande, da parte
mia ».
Sherlock
non dice niente e, per chissà quale motivo, continua a filmare.
« Smetti di registrare, Sherlock, sono sveglio. Oddio, mi avevi già filmato
mentre dormivo? ».
« Sì » dice semplicemente Sherlock, spegnendo
la videocamera. È piccola ed entra esattamente nella mano di Sherlock come se
fosse stata costruita per lui personalmente, lucente e digitale e sicuramente
piena di ore di filmato di John che sbava sul suo cuscino.
« Per favore non... farlo di nuovo. Sono
serio quando dico che è inquietante. Scrivi tutto quello che vuoi ma non
filmarmi senza che io lo sappia » dice tranquillo John, fissando la
videocamera.
« Posso tenere ciò che ho già
registrato? ».
« Se compare da qualche parte su
Internet ti prendo a calci in faccia ».
« Mi sembra giusto ».
Notte 20
La
ventesima notte sta per alterare i risultati di Sherlock in un modo pazzesco.
Anche lui ne è più che consapevole, silenziosamente furioso sul suo cuscino
mentre un’impressionante tempesta autunnale imperversa su Londra, con la
pioggia che picchietta contro le finestre e con i fulmini che danzano
pigramente sopra il loro tetto con una cadenza ricorrente. I fulmini illuminano
la stanza e John riesce a malapena a contare fino a tre prima che una nuova
serie di tuoni rimbombi per Baker Street.
Da
qualche parte lungo la strada un cane abbaia, suono che si perde nella pioggia.
« Assurdo » si lamenta Sherlock, incrociando le
braccia sopra le lenzuola che gli coprono il petto.
« È il tempo, cosa ci vuoi fare? » dice John. « Il tuo superbo controllo del tuo corpo
non ti permette di dormire durante un temporale? ».
« Taci » borbotta Sherlock, calciando le
lenzuola e grattandosi il naso. « Neanche tu stai dormendo ».
« Di solito riesco a dormire durante i
temporali, ma non quando decidono di accamparsi sul mio tetto » dice John, osservando intrecci
inesistenti che, ne è sicuro, la sua mente assonnata sta disegnando sul
soffitto perfettamente bianco.
Sherlock
rimane in silenzio per altre due serie di tuoni, grattandosi insistentemente il
naso. Il sonno stuzzica gli angoli della mente di John ma ne viene trascinato
fuori ogni volta che un lampo illumina la stanza dall’altra parte delle sue
palpebre chiuse.
« Potrei dover evitare di tenere conto
di questa notte in termini di riposo e comodità » dice Sherlock accanto a lui. John può percepire
i pensieri formarsi dietro quelle parole e sa che Sherlock non sta parlando di
lui, ma più che altro parla in generale per distrarsi. « Comunque, questa notte rimane valida per
la conclusione finale. Rimanere svegli durante una tempesta è più rassicurante
quando si ha compagnia ».
John
volta il capo in direzione di Sherlock. Tiene le dita sotto il mento anche in
quella posizione, disteso supino sul letto. Può vederne i contorni anche nella
penombra della camera, tutto spigoli, illuminati per brevi istanti dai lampi.
John apre la bocca per dire qualcosa, ma è bruscamente interrotto da una serie
particolarmente violenta di tuoni.
« Non sei mai stato a letto con qualcuno,
durante una tempesta? »
chiede John quando le sue orecchie smettono di fischiare, anche se la risposta
è chiara come il sole.
« No » risponde Sherlock, come si era
aspettato.
È
la seconda domanda che fa quella che lo stuzzicava realmente, disperatamente
curioso di sapere la risposta a qualcosa che pensava sin da quando lo aveva
incontrato per la prima volta. « Tu non hai mai avuto nessuno nel tuo letto, vero? ».
« No » risponde di nuovo Sherlock, tranquillo
come se gli avesse appena chiesto se gli piacevano le carote.
John
si gira verso di lui e si puntella su di un gomito, aspettando che un’altra
serie di tuoni finisca prima di continuare: « sei mai stato nel letto di qualcun
altro, allora? »
Sherlock
lo guarda, gli occhi chiari anche nella luce grigio scura della camera da
letto. « È davvero un modo tortuoso per farmi
domande sulle mie esperienze in campo sessuale, John ».
John
ridacchia, coprendosi le spalle con il lenzuolo. Il vento cozza violentemente
contro le pareti del 221B e certe volte riesce a passarci attraverso; i vecchi
mattoni raramente riescono a tenere fuori gli spifferi. « Va bene, carte in tavola: sei vergine?
».
L’angolo
delle labbra di Sherlock si solleva, stranamente lusingato dalla schiettezza di
John. « Tecnicamente parlando, sì. Sorpreso? ».
« No, non sono sorpreso. Lo
sospettavo... voglio dire, sei tu. Non posso nemmeno immaginare... non che io
lo immagini spesso... beh. È solo che, genericamente parlando, è strano. Per
qualcuno della tua età. Non hai mai voluto farlo? ».
Sherlock
si gira verso di lui a sua volta, faccia a faccia, mettendosi una mano sotto la
testa. John si sente come una ragazzina di dodici anni ad un pigiama party.
« Sono stato curioso, ma mai abbastanza
per passare all’azione. Sembra una scocciatura. Però posso assicurarti che la
mia conoscenza teorica è alquanto vasta ».
« Me l’ero immaginato. È solo strano
sapere che non accetti i dati di qualcun altro quando si tratta degli schemi
del sonno, ma sei d’accordo nell’avere informazioni di seconda mano sul sesso ».
John
non si rende davvero conto di cosa sta dicendo se non dopo averlo detto,
scandito in maniera preoccupante dal forte rimbombo di un tuono.
Inoltre,
Sherlock lo sta osservando con uno sguardo particolare. John non è sicuro se lo
ha appena insultato o gli ha piantato in quella zucca senza freni un’idea
davvero brutta.
« Lascia perdere » rimangia. « Sei più che libero di fare... quello
che vuoi. O non farlo. Fai quello che ti pare. Sono felice che tu lo abbia
condiviso con me, però. Non voglio che sembri strano, ma me lo stavo domandando
».
« Avresti potuto chiedermelo prima,
John. Non è qualcosa per cui mi imbarazzo ».
« Sì. Già. Sì. Va bene » John si gira di nuovo sulla schiena,
le lenzuola arrotolate sotto al mento.
Il tuono sfuma lentamente mentre John chiude gli occhi e cerca di
afferrare la scia del sonno. Riesce a sentire Sherlock che continua a guardarlo
ma cerca di non pensarci.
Notte 22
È
il turno di John di avere gli incubi. Niente che non abbia già sognato –
stralci di deserto, strade polverose, urla doloranti di soldati sanguinanti
sotto le sue mani e il fastidioso e pungente pianto di un bambino che muore. Si
sveglia anche come fa di solito, infatti, combattendo contro le lenzuola come
se lo stessero trattenendo a terra, ansimando velocemente, sudore freddo fra le
scapole e lacrime di rabbia agli angoli degli occhi.
Sherlock
è appoggiato al proprio gomito e lo osserva. John lo fissa, sentendosi – per
qualche ragione – come se fosse stato colto sul fatto, poi si butta fuori dal
letto e va in bagno. Piange silenziosamente sul lavandino per dieci minuti
buoni finché non sente più odore di carne umana bruciata e la realtà è
costituita semplicemente dalle pareti bianche del loro bagno londinese.
Torna
in camera da letto, vedendo poco e niente nel buio, e si arrampica di nuovo sul
letto. Sherlock lo sta ancora guardando. John spera che rimanga semplicemente
zitto.
« Stai bene? ».
Dannazione.
« Sì. Tutto bene ». Si gira sul fianco e sprimaccia il
cuscino con una mano, stringendo gli occhi.
« John, devo... posso fare qualcosa per
te? ».
Probabilmente
è la domanda più sincera che abbia mai sentito fare a Sherlock e lo colpisce
esattamente dove fa più male. Per un momento pensa di prendersela con Sherlock,
urlargli contro, ma si rende conto che Sherlock sta facendo del suo meglio e
non ha senso ferirlo senza motivo.
« Sto bene, Sherlock. Torna a dormire » dice monocorde, e sente il materasso
sobbalzare mentre Sherlock si riposiziona.
Mentre
scivola di nuovo nel sonno, Jonh crede di avvertire
il fantasma di una mano sulla sua spalla, dita esitanti a pochi centimetri
dallo sfiorarlo, ma il tocco non diventa mai solido e al mattino non se lo
ricorda nemmeno.
Notte 24
John
si sveglia per andare in bagno alle quattro e trenta e quando torna scopre che
Sherlock si è completamente spostato dall’altro lato del letto, rannicchiato
dalla parte di John, completamente arrotolato nel lenzuolo come un burrito troppo cresciuto e con molti capelli.
Lui
rimane in piedi a lato del letto, indeciso per un momento, prima di lasciarsi
andare in un sospiro esasperato e tornare a letto dalla parte di Sherlock. Gli
servono un paio di strattoni per avere un po’ di coperta ma ci riesce, ed
eventualmente si addormenta ignorando di proposito quanto caldo sia il lenzuolo
da quella parte del letto e quanto il suo cuscino abbia il profumo di uno
shampoo costoso.
Al
mattino Sherlock è confuso ma non dice nulla, digitando eccitato sul suo
laptop.
Notte 27
Appena
prima di dormire John si rende conto che lo studio di Sherlock finirà nel giro
di tre giorni e non sa bene come sentirsi a tal proposito. Poi non sa come
sentirsi in proposito al non sapere come sentirsi, e Sherlock sta blaterando al
suo fianco in merito ad un’oca nel Kent e John è sul
ciglio di quello sconcertante strapiombo di quando non si sa se ridere o
piangere.
Notte 29
La
notte prima della loro ultima entrambi dormono a malapena. Spunta fuori un caso
che si traduce con loro due all’inseguimento di un ragazzo magro su uno
skateboard, e finiscono con il consegnarlo alle autorità per l’omicidio di una
diciassettenne scambiata per suicida molti mesi prima. Vanno a dormire dopo le
cinque del mattino e John non fa nemmeno lo sforzo di svestirsi.
Sherlock
lo sveglia comunque alle otto, oscenamente ben riposato per uno che ha meno di
tre ore di sonno, e comincia allegramente a chiacchierare con John di come lui
russi quando dorme vestito e non è
interessante come si siano addormentati in fretta nonostante tutta l’adrenalina
che avevano ancora in corpo quando sono tornati a casa?
Ancora
una volta, John pondera di soffocarlo con un cuscino.
Notte 30
La
loro ultima notte è straordinariamente monotona e semplice. Sherlock è seduto
in poltrona e grida contro la televisione, prima di andare a dormire, poi si danno
la buona notte e dormono.
John
dorme per tutta la notte, senza mai svegliarsi, nemmeno quando Sherlock parla
di lui nel sonno (l’unica volta in cui l’ha fatto nelle ultime trenta notti e
l’unica volta in cui John se lo perde). Si svegliano entrambi dieci minuti
prima e John è già in bagno a lavarsi i denti quando la sveglia comincia a
suonare e Sherlock la spegne con un pugno.
Trova
la relazione sul tavolo della cucina quando torna a casa dalla clinica, quella
sera. « Sono le conclusioni? » chiede in direzione del salotto, dove
un vago grugnito da parte di Sherlock costituisce un “sì”.
« Posso leggerla? ».
« Divertiti ». Sherlock si avvicina alla porta,
sistemandosi la sciarpa attorno al collo.
« Dove stai andando? ».
« Fuori. Obitorio. Molly ne ha uno che è
morto cadendo dal tetto sulla rimessa degli attrezzi in giardino. Ritiene che
potrei volerlo vedere ».
John
non chiede nient’altro. Si fa una tazza di tè e si siede sulla poltrona, la
relazione sulle ginocchia. È scritta a computer. Contiene grafici, schemi a
torta e una miriade di note e a piè pagina. Probabilmente non ne capirà la
metà. Ha imparato che nemmeno anni di studi medici possono preparare una
persona a come ragiona il cervello di Sherlock Holmes.
Un Esperimento sul Sonno, condotto dal
6 Ottobre al 5 Novembre 2010, S. Holmes e Dr. J. H. Watson
Lo
stuzzica il fatto che Sherlock si riferisca a lui così formalmente in una
relazione che, probabilmente, non verrà vista da nessun altro se non da loro
due.
John
non la legge completamente, glissando sui grafici inaspettatamente pieni di
colori e sulla maggior parte delle tabelle piene zeppe di numeri che, ha
l’impressione, siano state messe lì solo per fare bella figura e non abbiano un
significato vero e proprio.
Viene
fuori, tuttavia, che Sherlock ha redatto brevi descrizioni di ogni notte
passata insieme. Molte sono monotone, indicano solo quante ore ha dormito e che
benefici ne ha ricavato durante il giorno successivo, ma un paio lo colpiscono
perché riportano piccoli estratti della prospettiva di Sherlock.
Giorno 1
Mi sono addormentato verso le 0:15. Sia
io che J. Abbiamo dormito indisturbati, probabilmente a causa dell’attività
stancante durante il giorno. J. dorme in modo molto silenzioso. Ho controllato
che respirasse quattro volte durante la notte, preoccupato che fosse morto.
Giorno 6
Mi sono addormentato intorno alle
23:55. La posizione preferita di J. per dormire è accucciato in posizione
fetale sul lato sinistro (di schiena a me). Nel dormiveglia dorme supino, un
braccio sopra la testa. La mia posizione favorita per dormire è a pancia in giù
con la gamba destra sollevata. Non so in che posizione sono durante il
dormiveglia. Probabilmente dovrei chiedere a J. Ultimamente dorme spesso in
posizione fetale, il che significa che entra effettivamente in un sonno
profondo e maggiormente ristoratore quando ha un compagno di letto.
Giorno 10
Mi sono addormentato intorno alle 0:06.
Ho comprato una telecamera per filmare il sonno di J. Interessante il suo
silenzio assoluto appaiato alla chiaramente riconoscibile fase REM non appena
entra nel sonno profondo. Ho cominciato a cronometrare quanto a lungo rimane
nel ciclo REM ma continuo ad addormentarmi mentre cronometro, il che è fin
troppo controproducente per i miei gusti. Forse dovrei lasciare la telecamera
accesa tutta la notte per ulteriori dati.
Giorno 13
Mi sono addormentato intorno alle
23:58. Brutti sogni durante la notte. J. sembra non averlo notato. È
interessante notare la persistenza degli incubi nonostante la presenza di un
amico nelle vicinanze.
Giorno 14
Mi sono addormentato intorno alle 0:35.
Dormito molto bene, anche J. Il risultati sono inconcludenti. Ho proposto che
lo studio fosse posticipato a 30 giorni invece che a 14. J. ha accettato,
sorprendentemente. Mi sento davvero riposato e stranamente in pace con il
mondo. Non sono sicuro che mi piaccia.
Giorno 17
Mi sono addormentato intorno alle 0:05.
Dormito molto bene, e anche J. J. non è d’accordo sul fatto di essere filmato. Peccato,
dato che i suoi movimenti e le espressioni facciali durante il sonno sono molto
utili. Mi ha comunque permesso di tenere le registrazioni fatte finora, quindi
almeno ho qualcosa.
Giorno 20
A causa di una tempesta i risultati sul
sonno di questa notte sono inutilizzabili. Ho comunque scoperto che sfidare il
temporale aiuta a sviluppare uno strano senso di affinità con le persone. J. si
è sentito in vena di discutere di qualche argomento personale. Mi sono sentito
a mio agio. Affascinante.
È,
tuttavia, il resoconto della ventiduesima notte che sorprende davvero John.
È
vuoto. C’è scritto “Giorno 22” ma non c’è niente sotto. Nessun dato, nessuna
osservazione, niente, una pagina completamente bianca nel bel mezzo della
relazione. John scava nella memoria e rimane attonito quando si rende conto che
era la notte in cui aveva avuto l’incubo. Osserva di nuovo lo spazio bianco e
si rende conto che Sherlock, probabilmente, l’aveva lasciata vuota per rispetto
nei suoi confronti, non volendo commentare il suo aspetto spossato e
combattendo il desiderio di riempire la pagina con dati inutili facendo finta
che non fosse successo niente. John è colpito da un’ondata di gratitudine così
violenta che potrebbe affogarci dentro.
Rimette
la relazione sul tavolo della cucina e si siede sul divano con un libro che
fallisce nell’attirare la sua attenzione, mentre aspetta che ritorni Sherlock.
Quando torna, lo fa portandosi dietro racconti altamente allarmanti, anche se
entusiastici, di fegati trapassati da vari utensili da giardino, ma John
sorride e lo ascolta attentamente.
Notte – 1
John
dorme di merda e sente Sherlock camminare al piano inferiore per tutta la
notte.
Notte – 3
John
dorme di merda. Sherlock comincia a suonare il violino alle 3:42 precise. John
pondera di soffocarlo con un cuscino, ma sembra molto più difficile farlo con
l’altro giù in soggiorno e lui nel proprio letto.
Notte – 7
John
non ha dormito bene per tutta la settimana e Sherlock ha a malapena dormito,
pensa; tranne quando, una mattina, scende le scale e lo trova chino sulla
scrivania non con uno, ma con bensì due post-it gialli attaccati alla fronte;
John si allunga per staccarli ma Sherlock si sveglia.
Manca
quasi un quarto d’ora a mezzanotte quando John spegne la televisione nel bel
mezzo del programma che stava guardando e si alza. « Andiamo a dormire » dice, a voce un po’ troppo alta perché
sembri casuale.
Sherlock
lo guarda, seduto alla scrivania davanti al suo laptop, stranito finché non
afferra velocemente il concetto. Sogghigna, ed un angolo delle sue labbra si
solleva mentre le dita danzano per spegnere il computer.
John
si infila il pigiama e si lava i denti. Sherlock è già sotto le coperte quando
entra in camera, rannicchiato dalla sua parte del letto, lasciando intravedere
solo una zazzera di ricci neri che esce da sotto le lenzuola bianche. John spegne
le luci e si stende.
Viene
cullato da una storia sconnessa riguardante api che escono mezze francesi e
mezze inglesi. Dorme come un bambino.
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1.
dal testo: "It bothers
him that Sherlock can apparently win him over by
just being a whiny, persistent prick." Il
dizionario mi informa che il termine "prick"
significa letteralmente "cazzone". Nella
frase ci entrava, dunque la mantengo così com'è scritta ;D
2.
La Moleskine è una marca di articoli di cancelleria;
in questo caso si riferisce al fatto che Sherlock prende appunti su di un
taccuino (della Moleskine).
3.
Lo squash è uno sport, individuale o di coppia, giocato come il tennis ma al
chiuso; una pallina di gomma viene fatta rimbalzare su di un muro e colpita di
nuovo con la racchetta dopo un altro rimbalzo a terra. Una sorta di misto fra
tennis e ping pong.