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Autore: Nezu    19/08/2012    0 recensioni
Jay è un giovane costantemente attaccato alla bottiglia e alla ricerca di un impiego qualsiasi per tirar su soldi, Deuce è in fuga da tipi poco raccomandabili e ha bisogno di una mano per mettere a segno un buon colpo, Toad è un campagnolo giunto in città per fare soldi con facilità. I tre si troveranno a organizzare e portare a termine una rapina alla banca sotto il controllo della mafia locale, ma dovranno fare i conti con alcune complicazioni.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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4. The world stops turning when we burn it to the ground

 

L’affidabile personcina che secondo Deuce era in grado di recuperare un paio di pistole e tenere contemporaneamente la bocca chiusa si rivelò essere il padrone di un piccolo negozio di dischi all’angolo di una stradina laterale; era un vero bugigattolo, se non fosse stato per l’insegna appesa fuori, ben visibile grazie ad un paio di corna e uno scheletro che la ornavano, chiunque ci sarebbe passato davanti senza degnarlo di uno sguardo.

Jay fissò diffidente lo scheletro che dondolava sinistramente e le pareti esterne, nere e rovinate.

< Di’ un po’, per caso il tuo amico è un metallaro?> chiese al compagno tenendo la voce sufficientemente bassa qualora il proprietario fosse nei paraggi.

< Non esattamente, lui è IL metallaro.> replicò il moro aprendo la porta e facendo segno agli altri di seguirlo.

< Dovresti smetterla di suddividere il mondo in categorie, sai?> fece Toad rivolto al castano, che aveva fatto una smorfia di disapprovazione.

< Tutti noi utilizziamo le categorie per affrontare la realtà, alternativo. E’ nella natura umana, serve a rendere un po’ più ordinato questo caos di merda che ci sovrasta.>

La porta si chiuse alle loro spalle con uno stridio che fece accapponare la pelle ai due; Deuce si era già sporto verso il banco fischiando per richiamare il suo amico.

Se Jay aveva qualcosa da ridire a proposito dei metallari fu molto bravo a nasconderlo perché quando il padrone entrò si fece piccolo piccolo ed evitò qualsivoglia commento acido; in realtà bastava dare un’occhiata all’uomo per capire che sarebbe stato un suicidio non tenere a freno la lingua: era l’uomo più grosso che i tre avessero mai visto, una sorta di armadio a quattro ante, con una folta barba nera che gli ricopriva le guance e scendeva lungo il mento legata con una treccina. Le mani parevano padelle da quanto erano grandi e probabilmente quella sottospecie di gigante sarebbe stato in grado di bloccare una macchina in corsa senza troppi sforzi.

< Ciao Shaun.> lo salutò il moro; gli occhi dell’interpellato saettarono sul suo volto per poi indirizzarsi verso gli altri due che, intimoriti, lo osservavano da una distanza di sicurezza.

< Deuce. Come posso aiutarti?>

La voce cavernosa rimbombò nella stanza, ma il giovane non si scompose minimamente.

< Posso parlarti un attimo in privato?>

Un quarto d’ora dopo i tre uscirono dal negozio con in mano una borsetta di carta con il logo degli Slayers in bella mostra; Jay fece del suo meglio per reggerla con la maggiore disinvoltura, senza far capire ai passanti quanto diamine pesasse quella roba: non aveva mai maneggiato una pistola, ma in quel momento si rese conto che prendere la mira con quell’affare non era cosa da poco.

Forse pesavano così tanto perché erano un vecchio modello arrugginito dell’anteguerra, ma comunque non gl’importava più di tanto, in caso di necessità avrebbe dovuto usarne una e il solo pensiero lo faceva rabbrividire.

< Domani è il gran giorno.> mormorò Deuce, più a se stesso che agli altri, quando furono seduti al tavolo della cucina nel suo appartamento.

< Chissà se domani a quest’ora saremo ancora vivi.> sbuffò il castano, maledicendo la loro mancanza di soldi che gli aveva impedito di comprarsi una birra.

< Bene, direi di ripassare per un’ultima volta il piano.>

 

Si sentiva terribilmente ridicolo accanto a quell’affare, specialmente per tutte le occhiate che i passanti gli rivolgevano – le ragazze, Gesù, le ragazze che ridevano di lui in quella maniera… la sua meravigliosa reputazione stava andando a puttane ogni minuto di più.

Lanciò un’occhiata all’orologio, ma era ancora presto, mancava almeno un quarto d’ora; continuò imperterrito a leggere quel tremendo libro sulle categorie di Kant – a volte si chiedeva se Deuce fosse cresciuto così male a causa delle terribili letture che giravano per casa sua, ma quella era la meno tremenda di tutta la sua ristretta biblioteca. Sfiorò con la punta del piede lo zaino appoggiato alla panchina assieme alla bicicletta.

Se pensava che presto si sarebbe riempito con tre milioni si sentiva impazzire, eppure non poteva far altro che restare lì in postazione a leggere.

Il non essere in grado di sparare l’aveva costretto a non prendere parte direttamente al piano, nel senso che il suo compito era scappare con il bottino mentre gli altri due attiravano l’attenzione. Niente sparatorie, niente incursioni a mano armata in banca per lui… bé, meglio così, non se la sentiva di puntare contro qualcuno qualcosa che non sapeva assolutamente controllare.

Nel peggiore dei casi sarebbe stato necessario ricorrere a quella pistola che ora giaceva in una delle tasche esterne del suo zaino, ma preferiva non pensare a quell’ipotesi. Doveva solo aspettare altri quindici minuti.

 

Non c’erano molte persone a quell’ora, per fortuna: per quanto quella avrebbe dovuto essere una rapina in grande stile, Deuce non aveva intenzione di tenere sotto tiro troppa gente, erano solo delle inutili complicazioni. Come previsto c’erano solo due sportelli aperti, con poca coda a ciascuno dei due.

Strinse con forza la busta di plastica piegata accuratamente nella sua tasca e gettò un’occhiata a Toad; era esattamente nella posizione prestabilita, nella fila affianco alla sua, e non pareva neanche troppo nervoso.

Il moro si chiese se si rendesse davvero conto di cosa stava per fare.

Avevano entrambi il cappuccio della giacca tirato su, ma il volto era scoperto; non avevano ritenuto necessario coprirsi, nessuno conosceva il ragazzo del Texas e, in quanto a Deuce, se qualcuno l’avesse riconosciuto l’avrebbe ricollegato subito ad Harvey, che era proprio quello che volevano.

Scoccò uno sguardo all’orologio, ancora tre minuti all’ora prevista.

La persona davanti a lui nella coda si avvicinò allo sportello, lui strinse istintivamente la mano sul calcio della pistola. Gli ci volle una manciata di secondi per accorgersi che un’anziana vecchietta era passata davanti a Toad senza farsi problemi; con un cenno il capo fece capire all’altro che doveva levarsela di torno.

L’alternativo impallidì: odiava quelle situazioni, in condizioni normali avrebbe lasciato perdere e fatto andare avanti la signora. Peccato che quelle non fossero condizioni normali.

Si schiarì la voce e fece un passo avanti, sfiorando la spalla dell’anziana.

< Mi scusi signora, ma c’ero prima io…>

Jay l’avrebbe preso per il culo per settimane se avesse sentito quel tono innocente e pietoso, ma il ragazzo ricacciò il pensiero da dov’era venuto; la signora non pareva per nulla convinta.

< Oh, mi perdoni, ragazzo, ma ne è sicuro? Non l’ho proprio vista…>

< Mi spiace, ma temo proprio che sia così. Le lascerei volentieri il posto, ma ho i minuti contati…>

Gettò un’altra occhiata all’orologio: due minuti.

L’anziana si fece da parte e lo lasciò passare continuando a scusarsi, ma prima che Toad e Deuce potessero tirare un sospiro di sollievo la donna prese a chiacchierare amabilmente con l’alternativo.

< Mi scusi ancora, sa, la miopia… eh, ormai gli occhi non sono più quelli di un tempo! Ma sa che Lei è davvero un bel giovanotto? Oh, mi ricorda tanto mio nipote, anche lui è molto carino!>

Toad avrebbe dato qualsiasi cosa per poter sprofondare nel sottosuolo, o anche perché si aprisse una voragine sotto quella terribile logorroica e la inghiottisse; il moro dal canto suo avrebbe volentieri pestato quell’orribile vecchia a sangue – non aveva mai sopportato gli anziani e in particolar modo quelli che cianciavano tutto il giorno.

Mancava solo un minuto; il Texano sentiva le goccioline di sudore ghiacciate colargli lungo la spina dorsale.

Improvvisamente un cellulare cominciò a squillare; ci volle un attimo per capire che era dell’anziana.

< Oh cielo! – fece quella recuperandolo dalla borsa – Non capirò mai come funzionano queste diavolerie…>

L’istinto da boy-scout seppellito nel profondo del cuore di Toad si risvegliò e il ragazzo si fece avanti, pieno di buona volontà.

< Deve premere quel tasto verde, signora…>

Un’occhiataccia mortale di Deuce lo fulminò sul posto: dovevano disfarsi della vecchia, era una presenza troppo ingombrante. All’improvviso però al più giovane venne un’idea.

< Premendo quello potrà accettare la chiamata, ma Le conviene farlo fuori, qui dentro rischia di non sentire molto bene. Le tengo io il posto.>

In una situazione differente il moro avrebbe abbracciato il compagno per la trovata, ma mentre la signora usciva più in fretta possibile ringraziandolo di cuore l’orologio segnò l’ora prestabilita.

Tirarono fuori le pistole nello stesso istante e il capo della spedizione sparò un colpo in aria; ci fu un urlo, la gente cominciava ad allontanarsi più in fretta possibile, ma Toad puntò l’arma contro di loro.

< Fermi tutti, il primo che si muove fa una brutta fine. Potete facilmente immaginare quale.>

L’uomo dietro al banco cercò di raggiungere con la mano il pulsante dell’allarme, ma Deuce fu più veloce a puntargli contro la pistola.

< Non lo farei se fossi in te.>

< Cosa volete?>

< Il contenuto della cassetta 4191, Subito, adesso.>

I due impiegati si fissarono, visibilmente sconvolti.

< Siete impazziti? Sapete a chi appartiene quella cassetta?>

< Poche storie, muoviti se vuoi tornare a casa sano e salvo.>

Il moro tirò fuori dalla tasca la sacca di plastica e la aprì con una mano sola mentre l’uomo si affrettava a portare la cassetta.

 

Le sirene della polizia non tardarono a farsi sentire, ma Jay dovette costringersi a non saltare in piedi o dare in escandescenze; si guardò attorno spaesato, come tutti gli altri passanti, e chiuse il libro che teneva sulle ginocchia.

Si alzò dalla panchina e, gettatasi la borsa sulle spalle, si avviò in un vicolo secondario con la bici a mano: era una zona poco battuta, secondo i loro calcoli passavano per quel viottolo del parco solo cinque o sei persone in tutta la giornata. Il luogo che faceva il caso loro.

Montò su quel ferrovecchio di bici e aprì la cerniera della sacca; dei passi concitati alle sue spalle lo fecero voltare e dei Deuce e Toad molto sudati e ansanti gli apparvero accanto.

< Tutto ok per ora, ci sono alle costole.> borbottò il moro e gli porse il sacchetto con i soldi; Jay ne tirò fuori dalla borsa uno identico, pieno di carta straccia e se li scambiarono.

< Andate.> intimò sentendo i passi della polizia farsi più vicini e i due non se lo fecero ripetere, caracollando via con il sacchetto finto.

Neanche un minuto dopo gli agenti furono accanto al castano.

< Ha visto due ragazzi con un sacchetto?>

< Sì, sono andati da quella parte.>

Mentre i poliziotti si lanciavano all’inseguimento lui fece dietrofront e si mise a pedalare nella direzione opposta, la sacca sulle spalle.

 

Se fossero stati dei ladri qualunque nel giro di una mezz’ora si sarebbero fatti incastrare in qualche vicolo cieco, ma, sfortunatamente per la polizia, Deuce conosceva quelle strade meglio delle sue tasche: in meno di un’ora avevano seminato i loro inseguitori, gettato il sacchetto finto e le giacche in un cestino e si erano dileguati in un batter d’occhio.

Jay aveva avuto qualche problema in più di loro a scorrazzare per la città in sella a quel pericolo ambulante, specie quando ad un certo punto si era visto inseguire da due uomini in nero che si erano messi a corrergli dietro.

Non ci voleva un genio per capire che erano scagnozzi della mafia e la paura gli aveva messo le ali ai piedi, tanto da riuscire alla fine a seminarli. Anche se lui la raccontava in maniera molto più tragica.

< Mi sono quasi ammazzato, davvero! Uno di quelli mi stava per afferrare per il portapacchi, diamine, potevo contargli le rughe attorno agli occhi.>

< Bé, era un buon motivo per fracassarmi la bicicletta?> replicò acido Toad nel tentativo di sistemare il povero mezzo di trasporto che non pareva aver retto bene il passaggio sui gradini della scalinata del parco.

< Non è che non fosse malridotta anche prima, eh? E se fossi in te darei un’occhiata ai freni, fanno schifo.>

Mentre l’alternativo si prendeva cura del suo povero ferrovecchio, Deuce continuava a vagare per la stanza, lo sguardo continuava a cadergli sulla sacca aperta.

Tre milioni, cazzo, tre milioni.

Dovevano andarsene, dovevano scomparire dalla circolazione e andarsene il più lontano possibile, dove non potevano trovarli.

< Ragazzi, dobbiamo filarcela. Non è sicuro restare qui.>

Gli altri due smisero subito il loro bisticcio.

< Dove?>

Jay si sentiva un coglione, un vero coglione. Non ci aveva pensato per tutto quel tempo, preoccupandosi invece di organizzare il piano, di aiutare per il colpo: certo, aveva pensato al suo milione, a ripianare i debiti, ma poi?

Dove sarebbe andato? Cosa avrebbe fatto? Non ne aveva idea.

Toad sarebbe tornato nel Texas e avrebbe aiutato la sua amata vecchietta. Deuce se ne sarebbe andato verso Est, a cercare fortuna, ma Jay non voleva partire all’avventura, non da solo almeno.

< Ovunque. Dobbiamo saldare gli ultimi conti e tagliare la corda. Andiamo da Shaun a riconsegnargli le vostre pistole e via.>

 

Fred era rimasto sconvolto quando Jay gli si era presentato davanti con soldi a sufficienza per pagargli tre volte quanto gli doveva e non solo; a dire la verità non gli era piaciuto molto il suo sguardo sfuggente e neanche quell’atteggiamento così schivo, come se si aspettasse che qualcuno gli saltasse addosso da un momento all’altro: non era da lui, c’era poco da dire.

Qualcosa doveva essere andato storto.

Il pomeriggio i tre andarono al negozio di musica di Shaun, che sembrò ben felice di recuperare le sue due pistole, specie perché non avevano sparato neanche un colpo, quindi non erano né rintracciabili né altro, permettendogli di essere in una botte di ferro.

Sembrava tutto terribilmente tranquillo per le strade, una calma irreale che non aiutava nessuno dei tre a rilassarsi; erano quasi arrivati a casa e Jay stava già aprendo la bocca per una battutina sarcastica sul loro stato di tensione quando dei passi alle loro spalle li fecero voltare di scatto.

Il volto di Deuce sbiancò, un’espressione di puro terrore dipinta in viso; gli altri lo fissarono con aria interrogativa, muovendo lo sguardo da lui ai cinque uomini in nero che si trovavano di fronte, in particolar modo un signore di mezz’età, dalla barba brizzolata e gli occhi neri e brillanti come tizzoni ardenti.

< Harvey…>

Quel nome appena sussurrato fece riscuotere gli altri due dalla loro paralisi momentanea; afferrarono da entrambi i lati il moro e si lanciarono giù per la strada a rotta di collo.

< Prendeteli!>

Deuce si era messo a correre con gli altri, ma tremava come una foglia, le gambe lo sorreggevano appena: non doveva accadere tutto questo, era l’ultima cosa che doveva succedere. Era stato abbastanza prudente da nascondere la propria abitazione ai suoi vecchi colleghi, ma i soldi non erano al sicuro in quel momento, non con Harvey alle calcagna.

< Di qua!>

Jay lo trascinò per un braccio lungo un dedalo di vicoli secondari che il ragazzo non aveva mai percorso, Toad li seguiva a mezzo metro di distanza, i loro inseguitori riuscivano senza problemi a star loro dietro, anche se non erano in grado di guadagnare terreno.

Non seppero per quanto tempo continuarono a correre, ma all’ennesima svolta si trovarono nel bel mezzo di un cantiere in costruzione; si guardarono prima di scavalcare in tutta fretta la cancellata di protezione, ma in quell’istante di tentennamento una pallottola sfrecciò accanto alla guancia di Jay.

Prima che gli altri due potessero dire qualcosa Toad si sporse verso Deuce e afferrò di slancio la pistola che teneva fissata alla cintura, sotto la maglietta; un colpo riecheggiò e i ragazzi si voltarono appena per vedere cos’era successo, ma notarono solo uno degli uomini che si teneva il braccio sanguinante, nulla di più.

< Ora saranno più incazzati.> borbottò il castano, ma non fece tempo ad aggiungere altro che l’alternativo gli tappò la bocca e lo trascinò al riparo.

Tentarono in tutta fretta di far perdere le proprie tracce, fino a che non riuscirono a trovare riparo; sentivano i loro inseguitori controllare ogni angolo vicino e si fecero più piccoli dietro a quel cilindro in cemento che avevano raggiunto.

< Cercate ovunque, non fateli scappare!>

Deuce tremava ancora, ma aveva preso un po’ più di colore; sbirciò al di sopra del rifugio: poteva vedere il profilo di Harvey, quegli occhi di fuoco, il naso leggermente aquilino, quelle labbra sottili. Lo stomaco gli si annodò mentre i ricordi tornavano a infestargli la mente.

I tre si fissarono sconvolti.

< Che facciamo?> sussurrò Jay, il sudore gli colava dalla fronte.

Un rumore di gomme sull’asfalto coprì la risposta che Toad stava per dare; rimasero in silenzio mentre uno sbattere di porta annunciava l’arrivo di altri uomini.

< Ma quello è…>

Se il moro avesse potuto avrebbe perso ancora colore, ma ormai il sangue doveva essere completamente defluito dal suo volto; anche Harvey e gli altri non sembravano esattamente contenti del nuovo arrivo.

Il Colonnello.

< Harvey… quanto tempo.>

Nessuno avrebbe mai potuto dire che quell’uomo magro, dall’aria così tranquilla e gentile, un vero damerino, fosse in realtà uno dei massimi capi della mafia.

< Capo…>

< Allora… Ho saputo del tuo colpo geniale alla banca. Audace, non c’è che dire.>

Le labbra di Harvey si assottigliarono pericolosamente.

< Vedo che le voci corrono in fretta. Ma temo che non sia perfettamente esatte.>

Ad un suo cenno i suoi uomini misero mano alle pistole, pronti a far fuoco al suo comando.

< Ma davvero? Perché uno dei miei cassieri ha riconosciuto il tuo amichetto. Come si chiama, Douze? Daice?>

< Deuce. Ma non devi preoccuparti per lui, l’ho già sistemato. Sia lui che i suoi complici.>

< Oh. Bé, questo semplifica le cose e parecchio anche.>

Prima che Harvey potesse fare un gesto, uno solo, gli scagnozzi del Colonnello spararono.

 

Il silenzio surreale che era calato dopo quegli spari, quei tonfi, era insopportabile. Nessuno dei tre ragazzi osò muoversi, sbirciare la scena o tirare il fiato; l’unico rumore era il martellare pesante dei loro cuori e la risatina breve e cattiva del Colonnello.

< Ripulite questo casino, ragazzi. Non lasciate tracce di questi inutili vermi, ma vedete di mettere in bella mostra il corpo di quello sporco traditore. E fate in fretta, voglio andare nel suo covo a recuperare i miei soldi.>

Toad recuperò un poco del suo autocontrollo e gettò un’occhiata al di là del loro rifugio: gli uomini di quel tipo stavano caricando i cadaveri su una delle due macchine, mentre il Colonnello, fischiettando allegramente, saliva sulla seconda.

Parve un’eternità prima che il rumore di una macchina messa in moto squarciasse l’aria e ancora una volta le ruote sgommassero sull’asfalto.

< Cristo…>

Come appena risvegliati dopo un lungo letargo i tre uscirono con circospezione allo scoperto, i muscoli tesi e pronti ad una fuga immediata se il caso l’avesse richiesto, ma non c’era ombra di quei mafiosi, tutto ciò che rimaneva dello scontro di poco prima era del sangue per terra e il corpo di Harvey sollevato e legato con corde ai polsi contro un muro, impossibile non vederlo.

< Che ne avranno fatto degli altri?> mormorò Jay schiarendosi la gola – non si era neanche accorto di quanto impastata fosse la sua bocca e le parole uscivano a fatica.

< In mare. Fanno così per non far ritrovare i corpi.>

Gli altri due sobbalzarono nell’udire la voce di Deuce così roca, così spezzata, come se provenisse dall’Oltretomba anche lui.

< Wow, grandioso… Se penso che ci saremmo finiti noi in pasto ai pesci se fossero arrivati solo cinque minuti prima…> bofonchiò il castano passandosi una mano sudata tra i capelli.

Deuce non rispose, non degnò di uno sguardo nessuno dei suoi compagni: si incamminò verso quel corpo, IL corpo, ma i suoi piedi parevano di piombo e ogni secondo era un minuto in quel tragitto infinito.

Quando si ritrovò di fronte a quel volto fin troppo conosciuto – odiato, ad essere sinceri, e che più volte aveva cercato inutilmente di dimenticare – gli venne una voglia matta di picchiarlo, sferrare un pugno su quella guancia ormai fredda e cominciare ad insultarlo.

L’unico motivo che lo trattenne dal farlo era che non era ancora un caso così disperato da mettersi a oltraggiare un cadavere, ma davvero, quell’uomo se lo sarebbe meritato. Perché quello era l’ennesimo affronto che gli era toccato subire ed era riuscito a farlo nei suoi ultimi istanti di vita, e questo lo mandava in bestia.

Aveva trascorso anni ad essere letteralmente usato da Harvey, che si era servito di lui senza alcuno scrupolo, senza alcun rimorso, un semplice oggetto e basta; da anni si ripeteva quanto odiasse quel bastardo, quanto avrebbe voluto vederlo crepare davanti ai suoi occhi, quanto si sarebbe meritato di soffrire per tutto ciò che gli aveva fatto prima della sua lenta dipartita da questo mondo e invece, invece niente.

Harvey era morto facendo l’ultima cosa che Deuce avrebbe voluto: proteggendolo, quasi lo avesse considerato qualcuno di importante, come se chiedesse perdono per quello che gli aveva fatto. Ma no, quella non era una richiesta di perdono, assolutamente no: era l’ennesima stupida beffa.

Un altro debito che prima o poi Deuce avrebbe dovuto ripagare, in un modo o nell’altro.

Quel bastardo.

Prima che il moro rivalutasse le sue precedenti riflessioni sull’oltraggio di cadaveri la voce di Jay lo richiamò alla realtà.

< Deuce. Non per fare il guastafeste, ma sarebbe il caso di recuperare la roba e svignarcela il prima possibile. Dubito che quel tipo ci metterà tanto a scoprire che in realtà noi siamo ancora vivi.>

Il ragazzo aveva ragione, c’erano altre priorità in quel momento.

Il moro gettò un ultimo sguardo al volto rilassato di Harvey, gli occhi chiusi e quello che assomigliava terribilmente ad un ghigno sulle labbra, poi si voltò di scatto, incapace di reggere quella vista terribilmente irritante.

< Andiamo.>

 

Nonostante Toad fosse quello che rischiava meno, visto che non conosceva praticamente nessuno, fu il primo ad andarsene, malloppo nello zaino e bici a mano, alla ricerca di qualche buontempone che gli desse un passaggio fino a casa (non aveva alcuna intenzione di spendere subito i soldi che aveva guadagnato, anche perché con ogni probabilità quei bigliettoni di gran taglio non sarebbero passati inosservati e gli uomini del Colonnello si nascondevano dietro ogni muro).

Prima di partire comunque lasciò agli altri due il suo numero di telefono, in modo da avvertirli in caso di pericolo o avvisarli che era rientrato senza problemi a casa. Se poi avesse avuto bisogno di racimolare soldi facilmente si sarebbe ricordato di loro.

Deuce era in camera sua, intento a gettare in un borsone tutto ciò che riteneva degno di essere conservato – una foto di famiglia, i suoi amati cd, vestiti, la pistola, qualche libro – quando qualcuno bussò molto discretamente alla porta.

Era Jay.

Il moro sollevò un sopracciglio, cercando di riportare alla memoria quando mai il ragazzo era stato così discreto e silenzioso, con ogni probabilità mai, visto che fino a che Toad non era uscito dal portone aveva continuato a cianciare riguardo “quel dannato alternativo che se la filava più veloce di una lepre”.

Ora che ci ripensava, il castano era sembrato decisamente abbattuto da quando quel campagnolo se n’era andato, come se avesse perso uno dei suoi intrattenimenti preferiti.

< Dovresti prepararti la borsa e andartene, restare qui non è sicuro.> borbottò il moro chiudendo la borsa con un gesto impaziente, rischiando di rompere la zip.

< Ho già preparato la mia roba. Non ho poi molto da portarmi via.>

Non c’era altro da aggiungere, ma il giovane non sembrava intenzionato a scollarsi da quella porta; Deuce si volse verso di lui senza abbandonare la sua espressione scettica.

< E allora?>

Doveva essere difficile per l’altro esprimere quello che voleva, almeno a parole, perché fissò per qualche secondo il pavimento, spostando il peso da una gamba all’altra, prima di rialzare lo sguardo sul suo interlocutore.

< Stavo pensando… non ho mai avuto molti contatti, né qui in città né tantomeno fuori. Sono conosciuto, ma io non conosco gli altri, perciò mi trovo un po’ incasinato ora… sai, dover prendere e andarmene, senza una meta, senza niente da fare, con solo quel bel gruzzolo dietro.>

< Arriva al punto.>

Jay deglutì riluttante e grattandosi la testa parlò.

< Non ho la più pallida idea di dove andare. Se per te non è un problema, non mi dispiacerebbe seguirti.>

Se Deuce prima era scettico, ora era decisamente allibito.

< Ho intenzione di andare molto lontano.>

< Tanto meglio.>

< E’ un luogo un po’ particolare, non so se potrebbe andarti a genio.>

< Ovunque va bene.>

< …>

Non era esattamente quello che aveva in mente di fare, scarrozzarsi dietro quell’ubriacone da una parte all’altra del Paese, da costa a costa, ma a quanto pareva certe cose non si potevano proprio scegliere.

Sbuffò, gettandosi la borsa in spalla.

< Prendi la tua roba e muoviamoci. – sbottò rassegnato – E’ un lungo viaggio verso Est.>

Il castano ghignò sgusciando fuori dalla stanza e ripresentandosi pochi secondi dopo con lo zaino.

< Pronto?>

< Pronto.>

< E allora andiamo.>

Si chiusero il portone alle spalle e se ne andarono, lasciandosi alle spalle in fretta gli occhi guardinghi della città e il rumore della macchina nera, piena di uomini e armi, che dieci minuti dopo parcheggiò sotto l’ormai ex-abitazione di Deuce e sfondò l’ingresso.

   
 
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