4. The world stops
turning when we burn it to the ground
L’affidabile
personcina che secondo Deuce era in grado di recuperare un paio di
pistole e
tenere contemporaneamente la bocca chiusa si rivelò essere
il padrone di un
piccolo negozio di dischi all’angolo di una stradina
laterale; era un vero
bugigattolo, se non fosse stato per l’insegna appesa fuori,
ben visibile grazie
ad un paio di corna e uno scheletro che la ornavano, chiunque ci
sarebbe
passato davanti senza degnarlo di uno sguardo.
Jay
fissò diffidente
lo scheletro che dondolava sinistramente e le pareti esterne, nere e
rovinate.
<
Di’ un po’, per
caso il tuo amico è un metallaro?> chiese al compagno
tenendo la voce
sufficientemente bassa qualora il proprietario fosse nei paraggi.
<
Non esattamente,
lui è IL metallaro.> replicò il moro
aprendo la porta e facendo segno agli
altri di seguirlo.
<
Dovresti
smetterla di suddividere il mondo in categorie, sai?> fece Toad
rivolto al
castano, che aveva fatto una smorfia di disapprovazione.
<
Tutti noi
utilizziamo le categorie per affrontare la realtà,
alternativo. E’ nella natura
umana, serve a rendere un po’ più ordinato questo
caos di merda che ci
sovrasta.>
La
porta si chiuse
alle loro spalle con uno stridio che fece accapponare la pelle ai due;
Deuce si
era già sporto verso il banco fischiando per richiamare il
suo amico.
Se
Jay aveva qualcosa
da ridire a proposito dei metallari fu molto bravo a nasconderlo
perché quando
il padrone entrò si fece piccolo piccolo ed evitò
qualsivoglia commento acido;
in realtà bastava dare un’occhiata
all’uomo per capire che sarebbe stato un
suicidio non tenere a freno la lingua: era l’uomo
più grosso che i tre avessero
mai visto, una sorta di armadio a quattro ante, con una folta barba
nera che
gli ricopriva le guance e scendeva lungo il mento legata con una
treccina. Le
mani parevano padelle da quanto erano grandi e probabilmente quella
sottospecie
di gigante sarebbe stato in grado di bloccare una macchina in corsa
senza
troppi sforzi.
<
Ciao Shaun.>
lo salutò il moro; gli occhi dell’interpellato
saettarono sul suo volto per poi
indirizzarsi verso gli altri due che, intimoriti, lo osservavano da una
distanza di sicurezza.
<
Deuce. Come
posso aiutarti?>
La
voce cavernosa
rimbombò nella stanza, ma il giovane non si scompose
minimamente.
<
Posso parlarti
un attimo in privato?>
Un
quarto d’ora dopo
i tre uscirono dal negozio con in mano una borsetta di carta con il
logo degli
Slayers in bella mostra; Jay fece del suo meglio per reggerla con la
maggiore
disinvoltura, senza far capire ai passanti quanto diamine pesasse
quella roba:
non aveva mai maneggiato una pistola, ma in quel momento si rese conto
che
prendere la mira con quell’affare non era cosa da poco.
Forse
pesavano così
tanto perché erano un vecchio modello arrugginito
dell’anteguerra, ma comunque
non gl’importava più di tanto, in caso di
necessità avrebbe dovuto usarne una e
il solo pensiero lo faceva rabbrividire.
<
Domani è il gran
giorno.> mormorò Deuce, più a se stesso
che agli altri, quando furono seduti
al tavolo della cucina nel suo appartamento.
<
Chissà se domani
a quest’ora saremo ancora vivi.> sbuffò il
castano, maledicendo la loro
mancanza di soldi che gli aveva impedito di comprarsi una birra.
<
Bene, direi di
ripassare per un’ultima volta il piano.>
Si
sentiva
terribilmente ridicolo accanto a quell’affare, specialmente
per tutte le occhiate
che i passanti gli rivolgevano – le ragazze, Gesù,
le ragazze che ridevano di
lui in quella maniera… la sua meravigliosa reputazione stava
andando a puttane
ogni minuto di più.
Lanciò
un’occhiata
all’orologio, ma era ancora presto, mancava almeno un quarto
d’ora; continuò
imperterrito a leggere quel tremendo libro sulle categorie di Kant
– a volte si
chiedeva se Deuce fosse cresciuto così male a causa delle
terribili letture che
giravano per casa sua, ma quella era la meno tremenda di tutta la sua
ristretta
biblioteca. Sfiorò con la punta del piede lo zaino
appoggiato alla panchina
assieme alla bicicletta.
Se
pensava che presto
si sarebbe riempito con tre milioni si sentiva impazzire, eppure non
poteva far
altro che restare lì in postazione a leggere.
Il
non essere in
grado di sparare l’aveva costretto a non prendere parte
direttamente al piano,
nel senso che il suo compito era scappare con il bottino mentre gli
altri due
attiravano l’attenzione. Niente sparatorie, niente incursioni
a mano armata in
banca per lui… bé, meglio così, non se
la sentiva di puntare contro qualcuno
qualcosa che non sapeva assolutamente controllare.
Nel
peggiore dei casi
sarebbe stato necessario ricorrere a quella pistola che ora giaceva in
una
delle tasche esterne del suo zaino, ma preferiva non pensare a
quell’ipotesi.
Doveva solo aspettare altri quindici minuti.
Non
c’erano molte
persone a quell’ora, per fortuna: per quanto quella avrebbe
dovuto essere una
rapina in grande stile,
Deuce non aveva
intenzione di tenere sotto tiro troppa gente, erano solo delle inutili
complicazioni. Come previsto c’erano solo due sportelli
aperti, con poca coda a
ciascuno dei due.
Strinse
con forza la
busta di plastica piegata accuratamente nella sua tasca e
gettò un’occhiata a
Toad; era esattamente nella posizione prestabilita, nella fila affianco
alla
sua, e non pareva neanche troppo nervoso.
Il
moro si chiese se
si rendesse davvero conto di cosa stava per fare.
Avevano
entrambi il
cappuccio della giacca tirato su, ma il volto era scoperto; non avevano
ritenuto necessario coprirsi, nessuno conosceva il ragazzo del Texas e,
in
quanto a Deuce, se qualcuno l’avesse riconosciuto
l’avrebbe ricollegato subito
ad Harvey, che era proprio quello che volevano.
Scoccò
uno sguardo
all’orologio, ancora tre minuti all’ora prevista.
La
persona davanti a
lui nella coda si avvicinò allo sportello, lui strinse
istintivamente la mano
sul calcio della pistola. Gli ci volle una manciata di secondi per
accorgersi
che un’anziana vecchietta era passata davanti a Toad senza
farsi problemi; con
un cenno il capo fece capire all’altro che doveva levarsela
di torno.
L’alternativo
impallidì: odiava quelle situazioni, in condizioni normali
avrebbe lasciato
perdere e fatto andare avanti la signora. Peccato che quelle non
fossero
condizioni normali.
Si
schiarì la voce e
fece un passo avanti, sfiorando la spalla dell’anziana.
<
Mi scusi
signora, ma c’ero prima io…>
Jay
l’avrebbe preso
per il culo per settimane se avesse sentito quel tono innocente e
pietoso, ma
il ragazzo ricacciò il pensiero da dov’era venuto;
la signora non pareva per
nulla convinta.
<
Oh, mi perdoni,
ragazzo, ma ne è sicuro? Non l’ho proprio
vista…>
<
Mi spiace, ma
temo proprio che sia così. Le lascerei volentieri il posto,
ma ho i minuti
contati…>
Gettò
un’altra
occhiata all’orologio: due minuti.
L’anziana
si fece da
parte e lo lasciò passare continuando a scusarsi, ma prima
che Toad e Deuce
potessero tirare un sospiro di sollievo la donna prese a chiacchierare
amabilmente con l’alternativo.
<
Mi scusi ancora,
sa, la miopia… eh, ormai gli occhi non sono più
quelli di un tempo! Ma sa che
Lei è davvero un bel giovanotto? Oh, mi ricorda tanto mio
nipote, anche lui è
molto carino!>
Toad
avrebbe dato
qualsiasi cosa per poter sprofondare nel sottosuolo, o anche
perché si aprisse
una voragine sotto quella terribile logorroica e la inghiottisse; il
moro dal
canto suo avrebbe volentieri pestato quell’orribile vecchia a
sangue – non
aveva mai sopportato gli anziani e in particolar modo quelli che
cianciavano
tutto il giorno.
Mancava
solo un
minuto; il Texano sentiva le goccioline di sudore ghiacciate colargli
lungo la
spina dorsale.
Improvvisamente
un
cellulare cominciò a squillare; ci volle un attimo per
capire che era
dell’anziana.
<
Oh cielo! – fece
quella recuperandolo dalla borsa – Non capirò mai
come funzionano queste
diavolerie…>
L’istinto
da
boy-scout seppellito nel profondo del cuore di Toad si
risvegliò e il ragazzo
si fece avanti, pieno di buona volontà.
<
Deve premere
quel tasto verde, signora…>
Un’occhiataccia
mortale di Deuce lo fulminò sul posto: dovevano disfarsi
della vecchia, era una
presenza troppo ingombrante. All’improvviso però
al più giovane venne un’idea.
<
Premendo quello
potrà accettare la chiamata, ma Le conviene farlo fuori, qui
dentro rischia di
non sentire molto bene. Le tengo io il posto.>
In
una situazione
differente il moro avrebbe abbracciato il compagno per la trovata, ma
mentre la
signora usciva più in fretta possibile ringraziandolo di
cuore l’orologio segnò
l’ora prestabilita.
Tirarono
fuori le
pistole nello stesso istante e il capo della spedizione
sparò un colpo in aria;
ci fu un urlo, la gente cominciava ad allontanarsi più in
fretta possibile, ma
Toad puntò l’arma contro di loro.
<
Fermi tutti, il
primo che si muove fa una brutta fine. Potete facilmente immaginare
quale.>
L’uomo
dietro al
banco cercò di raggiungere con la mano il pulsante
dell’allarme, ma Deuce fu
più veloce a puntargli contro la pistola.
<
Non lo farei se
fossi in te.>
<
Cosa volete?>
<
Il contenuto
della cassetta 4191, Subito, adesso.>
I
due impiegati si
fissarono, visibilmente sconvolti.
<
Siete impazziti?
Sapete a chi appartiene quella cassetta?>
<
Poche storie,
muoviti se vuoi tornare a casa sano e salvo.>
Il
moro tirò fuori
dalla tasca la sacca di plastica e la aprì con una mano sola
mentre l’uomo si
affrettava a portare la cassetta.
Le
sirene della
polizia non tardarono a farsi sentire, ma Jay dovette costringersi a
non
saltare in piedi o dare in escandescenze; si guardò attorno
spaesato, come
tutti gli altri passanti, e chiuse il libro che teneva sulle ginocchia.
Si
alzò dalla
panchina e, gettatasi la borsa sulle spalle, si avviò in un
vicolo secondario
con la bici a mano: era una zona poco battuta, secondo i loro calcoli
passavano
per quel viottolo del parco solo cinque o sei persone in tutta la
giornata. Il
luogo che faceva il caso loro.
Montò
su quel
ferrovecchio di bici e aprì la cerniera della sacca; dei
passi concitati alle
sue spalle lo fecero voltare e dei Deuce e Toad molto sudati e ansanti
gli
apparvero accanto.
<
Tutto ok per
ora, ci sono alle costole.> borbottò il moro e gli
porse il sacchetto con i
soldi; Jay ne tirò fuori dalla borsa uno identico, pieno di
carta straccia e se
li scambiarono.
<
Andate.>
intimò sentendo i passi della polizia farsi più
vicini e i due non se lo fecero
ripetere, caracollando via con il sacchetto finto.
Neanche
un minuto
dopo gli agenti furono accanto al castano.
<
Ha visto due
ragazzi con un sacchetto?>
<
Sì, sono andati
da quella parte.>
Mentre
i poliziotti
si lanciavano all’inseguimento lui fece dietrofront e si mise
a pedalare nella
direzione opposta, la sacca sulle spalle.
Se
fossero stati dei
ladri qualunque nel giro di una mezz’ora si sarebbero fatti
incastrare in
qualche vicolo cieco, ma, sfortunatamente per la polizia, Deuce
conosceva
quelle strade meglio delle sue tasche: in meno di un’ora
avevano seminato i
loro inseguitori, gettato il sacchetto finto e le giacche in un cestino
e si
erano dileguati in un batter d’occhio.
Jay
aveva avuto
qualche problema in più di loro a scorrazzare per la
città in sella a quel
pericolo ambulante, specie quando ad un certo punto si era visto
inseguire da
due uomini in nero che si erano messi a corrergli dietro.
Non
ci voleva un
genio per capire che erano scagnozzi della mafia e la paura gli aveva
messo le
ali ai piedi, tanto da riuscire alla fine a seminarli. Anche se lui la
raccontava in maniera molto più tragica.
<
Mi sono quasi
ammazzato, davvero! Uno di quelli mi stava per afferrare per il
portapacchi,
diamine, potevo contargli le rughe attorno agli occhi.>
<
Bé, era un buon
motivo per fracassarmi la bicicletta?> replicò acido
Toad nel tentativo di
sistemare il povero mezzo di trasporto che non pareva aver retto bene
il
passaggio sui gradini della scalinata del parco.
<
Non è che non
fosse malridotta anche prima, eh? E se fossi in te darei
un’occhiata ai freni,
fanno schifo.>
Mentre
l’alternativo
si prendeva cura del suo povero ferrovecchio,
Deuce continuava a vagare per la stanza, lo sguardo continuava a
cadergli sulla
sacca aperta.
Tre
milioni, cazzo,
tre milioni.
Dovevano
andarsene,
dovevano scomparire dalla circolazione e andarsene il più
lontano possibile,
dove non potevano trovarli.
<
Ragazzi,
dobbiamo filarcela. Non è sicuro restare qui.>
Gli
altri due smisero
subito il loro bisticcio.
<
Dove?>
Jay
si sentiva un
coglione, un vero coglione. Non ci aveva pensato per tutto quel tempo,
preoccupandosi invece di organizzare il piano, di aiutare per il colpo:
certo,
aveva pensato al suo milione, a ripianare i debiti, ma poi?
Dove
sarebbe andato?
Cosa avrebbe fatto? Non ne aveva idea.
Toad
sarebbe tornato
nel Texas e avrebbe aiutato la sua amata vecchietta. Deuce se ne
sarebbe andato
verso Est, a cercare fortuna, ma Jay non voleva partire
all’avventura, non da
solo almeno.
<
Ovunque.
Dobbiamo saldare gli ultimi conti e tagliare la corda. Andiamo da Shaun
a
riconsegnargli le vostre pistole e via.>
Fred
era rimasto
sconvolto quando Jay gli si era presentato davanti con soldi a
sufficienza per
pagargli tre volte quanto gli doveva e non solo; a dire la
verità non gli era
piaciuto molto il suo sguardo sfuggente e neanche
quell’atteggiamento così
schivo, come se si aspettasse che qualcuno gli saltasse addosso da un
momento
all’altro: non era da lui, c’era poco da dire.
Qualcosa
doveva
essere andato storto.
Il
pomeriggio i tre
andarono al negozio di musica di Shaun, che sembrò ben
felice di recuperare le
sue due pistole, specie perché non avevano sparato neanche
un colpo, quindi non
erano né rintracciabili né altro, permettendogli
di essere in una botte di
ferro.
Sembrava
tutto
terribilmente tranquillo per le strade, una calma irreale che non
aiutava
nessuno dei tre a rilassarsi; erano quasi arrivati a casa e Jay stava
già
aprendo la bocca per una battutina sarcastica sul loro stato di
tensione quando
dei passi alle loro spalle li fecero voltare di scatto.
Il
volto di Deuce sbiancò,
un’espressione di puro terrore dipinta in viso; gli altri lo
fissarono con aria
interrogativa, muovendo lo sguardo da lui ai cinque uomini in nero che
si
trovavano di fronte, in particolar modo un signore di
mezz’età, dalla barba
brizzolata e gli occhi neri e brillanti come tizzoni ardenti.
<
Harvey…>
Quel
nome appena
sussurrato fece riscuotere gli altri due dalla loro paralisi
momentanea;
afferrarono da entrambi i lati il moro e si lanciarono giù
per la strada a
rotta di collo.
<
Prendeteli!>
Deuce
si era messo a
correre con gli altri, ma tremava come una foglia, le gambe lo
sorreggevano
appena: non doveva accadere tutto questo, era l’ultima cosa
che doveva
succedere. Era stato abbastanza prudente da nascondere la propria
abitazione ai
suoi vecchi colleghi, ma i soldi non erano al sicuro in quel momento,
non con
Harvey alle calcagna.
<
Di qua!>
Jay
lo trascinò per
un braccio lungo un dedalo di vicoli secondari che il ragazzo non aveva
mai
percorso, Toad li seguiva a mezzo metro di distanza, i loro inseguitori
riuscivano senza problemi a star loro dietro, anche se non erano in
grado di
guadagnare terreno.
Non
seppero per
quanto tempo continuarono a correre, ma all’ennesima svolta
si trovarono nel
bel mezzo di un cantiere in costruzione; si guardarono prima di
scavalcare in
tutta fretta la cancellata di protezione, ma in quell’istante
di tentennamento
una pallottola sfrecciò accanto alla guancia di Jay.
Prima
che gli altri
due potessero dire qualcosa Toad si sporse verso Deuce e
afferrò di slancio la
pistola che teneva fissata alla cintura, sotto la maglietta; un colpo
riecheggiò e i ragazzi si voltarono appena per vedere
cos’era successo, ma
notarono solo uno degli uomini che si teneva il braccio sanguinante,
nulla di
più.
<
Ora saranno più
incazzati.> borbottò il castano, ma non fece tempo ad
aggiungere altro che
l’alternativo gli tappò la bocca e lo
trascinò al riparo.
Tentarono
in tutta
fretta di far perdere le proprie tracce, fino a che non riuscirono a
trovare
riparo; sentivano i loro inseguitori controllare ogni angolo vicino e
si fecero
più piccoli dietro a quel cilindro in cemento che avevano
raggiunto.
<
Cercate ovunque,
non fateli scappare!>
Deuce
tremava ancora,
ma aveva preso un po’ più di colore;
sbirciò al di sopra del rifugio: poteva
vedere il profilo di Harvey, quegli occhi di fuoco, il naso leggermente
aquilino, quelle labbra sottili. Lo stomaco gli si annodò
mentre i ricordi
tornavano a infestargli la mente.
I
tre si fissarono
sconvolti.
<
Che
facciamo?> sussurrò Jay, il sudore gli colava dalla
fronte.
Un
rumore di gomme
sull’asfalto coprì la risposta che Toad stava per
dare; rimasero in silenzio
mentre uno sbattere di porta annunciava l’arrivo di altri
uomini.
<
Ma quello è…>
Se
il moro avesse
potuto avrebbe perso ancora colore, ma ormai il sangue doveva essere
completamente defluito dal suo volto; anche Harvey e gli altri non
sembravano
esattamente contenti del nuovo arrivo.
Il
Colonnello.
<
Harvey… quanto
tempo.>
Nessuno
avrebbe mai
potuto dire che quell’uomo magro, dall’aria
così tranquilla e gentile, un vero
damerino, fosse in realtà uno dei massimi capi della mafia.
<
Capo…>
<
Allora… Ho
saputo del tuo colpo geniale alla banca. Audace, non
c’è che dire.>
Le
labbra di Harvey
si assottigliarono pericolosamente.
<
Vedo che le voci
corrono in fretta. Ma temo che non sia perfettamente esatte.>
Ad
un suo cenno i
suoi uomini misero mano alle pistole, pronti a far fuoco al suo comando.
<
Ma davvero?
Perché uno dei miei cassieri ha riconosciuto il tuo
amichetto. Come si chiama,
Douze? Daice?>
<
Deuce. Ma non
devi preoccuparti per lui, l’ho già sistemato. Sia
lui che i suoi complici.>
<
Oh. Bé, questo
semplifica le cose e parecchio anche.>
Prima
che Harvey
potesse fare un gesto, uno solo, gli scagnozzi del Colonnello spararono.
Il
silenzio surreale
che era calato dopo quegli spari, quei tonfi, era insopportabile.
Nessuno dei
tre ragazzi osò muoversi, sbirciare la scena o tirare il
fiato; l’unico rumore
era il martellare pesante dei loro cuori e la risatina breve e cattiva
del
Colonnello.
<
Ripulite questo
casino, ragazzi. Non lasciate tracce di questi inutili vermi, ma vedete
di
mettere in bella mostra il corpo di quello sporco traditore. E fate in
fretta,
voglio andare nel suo covo a recuperare i miei soldi.>
Toad
recuperò un poco
del suo autocontrollo e gettò un’occhiata al di
là del loro rifugio: gli uomini
di quel tipo stavano caricando i cadaveri su una delle due macchine,
mentre il
Colonnello, fischiettando allegramente, saliva sulla seconda.
Parve
un’eternità
prima che il rumore di una macchina messa in moto squarciasse
l’aria e ancora
una volta le ruote sgommassero sull’asfalto.
<
Cristo…>
Come
appena
risvegliati dopo un lungo letargo i tre uscirono con circospezione allo
scoperto, i muscoli tesi e pronti ad una fuga immediata se il caso
l’avesse
richiesto, ma non c’era ombra di quei mafiosi, tutto
ciò che rimaneva dello
scontro di poco prima era del sangue per terra e il corpo di Harvey
sollevato e
legato con corde ai polsi contro un muro, impossibile non vederlo.
<
Che ne avranno
fatto degli altri?> mormorò Jay schiarendosi la gola
– non si era neanche
accorto di quanto impastata fosse la sua bocca e le parole uscivano a
fatica.
<
In mare. Fanno
così per non far ritrovare i corpi.>
Gli
altri due
sobbalzarono nell’udire la voce di Deuce così
roca, così spezzata, come se
provenisse dall’Oltretomba anche lui.
<
Wow, grandioso…
Se penso che ci saremmo finiti noi in pasto ai pesci se fossero
arrivati solo
cinque minuti prima…> bofonchiò il castano
passandosi una mano sudata tra i
capelli.
Deuce
non rispose,
non degnò di uno sguardo nessuno dei suoi compagni: si
incamminò verso quel
corpo, IL corpo, ma i suoi piedi parevano di piombo e ogni secondo era
un
minuto in quel tragitto infinito.
Quando
si ritrovò di
fronte a quel volto fin troppo conosciuto – odiato, ad essere
sinceri, e che
più volte aveva cercato inutilmente di dimenticare
– gli venne una voglia matta
di picchiarlo, sferrare un pugno su quella guancia ormai fredda e
cominciare ad
insultarlo.
L’unico
motivo che lo
trattenne dal farlo era che non era ancora un caso così
disperato da mettersi a
oltraggiare un cadavere, ma davvero, quell’uomo se lo sarebbe
meritato. Perché
quello era l’ennesimo affronto che gli era toccato subire ed
era riuscito a
farlo nei suoi ultimi istanti di vita, e questo lo mandava in bestia.
Aveva
trascorso anni
ad essere letteralmente usato da Harvey, che si era servito di lui
senza alcuno
scrupolo, senza alcun rimorso, un semplice oggetto e basta; da anni si
ripeteva
quanto odiasse quel bastardo, quanto avrebbe voluto vederlo crepare
davanti ai
suoi occhi, quanto si sarebbe meritato di soffrire per tutto
ciò che gli aveva
fatto prima della sua lenta dipartita da questo mondo e invece, invece
niente.
Harvey
era morto
facendo l’ultima cosa che Deuce avrebbe voluto:
proteggendolo, quasi lo avesse
considerato qualcuno di importante, come se chiedesse perdono per
quello che
gli aveva fatto. Ma no, quella non era una richiesta di perdono,
assolutamente
no: era l’ennesima stupida beffa.
Un
altro debito che
prima o poi Deuce avrebbe dovuto ripagare, in un modo o
nell’altro.
Quel
bastardo.
Prima
che il moro rivalutasse
le sue precedenti riflessioni sull’oltraggio di cadaveri la
voce di Jay lo
richiamò alla realtà.
<
Deuce. Non per
fare il guastafeste, ma sarebbe il caso di recuperare la roba e
svignarcela il
prima possibile. Dubito che quel tipo ci metterà tanto a
scoprire che in realtà
noi siamo ancora vivi.>
Il
ragazzo aveva
ragione, c’erano altre priorità in quel momento.
Il
moro gettò un
ultimo sguardo al volto rilassato di Harvey, gli occhi chiusi e quello
che
assomigliava terribilmente ad un ghigno sulle labbra, poi si
voltò di scatto,
incapace di reggere quella vista terribilmente irritante.
<
Andiamo.>
Nonostante
Toad fosse
quello che rischiava meno, visto che non conosceva praticamente
nessuno, fu il
primo ad andarsene, malloppo nello zaino e bici a mano, alla ricerca di
qualche
buontempone che gli desse un passaggio fino a casa (non aveva alcuna
intenzione
di spendere subito i soldi che aveva guadagnato, anche
perché con ogni
probabilità quei bigliettoni di gran taglio non sarebbero
passati inosservati e
gli uomini del Colonnello si nascondevano dietro ogni muro).
Prima
di partire
comunque lasciò agli altri due il suo numero di telefono, in
modo da avvertirli
in caso di pericolo o avvisarli che era rientrato senza problemi a
casa. Se poi
avesse avuto bisogno di racimolare soldi facilmente si sarebbe
ricordato di
loro.
Deuce
era in camera
sua, intento a gettare in un borsone tutto ciò che riteneva
degno di essere
conservato – una foto di famiglia, i suoi amati cd, vestiti,
la pistola,
qualche libro – quando qualcuno bussò molto
discretamente alla porta.
Era
Jay.
Il
moro sollevò un
sopracciglio, cercando di riportare alla memoria quando mai il ragazzo
era
stato così discreto e silenzioso, con ogni
probabilità mai, visto che fino a
che Toad non era uscito dal portone aveva continuato a cianciare
riguardo “quel
dannato alternativo che se la filava più veloce di una
lepre”.
Ora
che ci ripensava,
il castano era sembrato decisamente abbattuto da quando quel campagnolo
se
n’era andato, come se avesse perso uno dei suoi
intrattenimenti preferiti.
<
Dovresti
prepararti la borsa e andartene, restare qui non è
sicuro.> borbottò il moro
chiudendo la borsa con un gesto impaziente, rischiando di rompere la
zip.
<
Ho già preparato
la mia roba. Non ho poi molto da portarmi via.>
Non
c’era altro da
aggiungere, ma il giovane non sembrava intenzionato a scollarsi da
quella
porta; Deuce si volse verso di lui senza abbandonare la sua espressione
scettica.
<
E allora?>
Doveva
essere
difficile per l’altro esprimere quello che voleva, almeno a
parole, perché
fissò per qualche secondo il pavimento, spostando il peso da
una gamba
all’altra, prima di rialzare lo sguardo sul suo interlocutore.
<
Stavo pensando…
non ho mai avuto molti contatti, né qui in città
né tantomeno fuori. Sono conosciuto,
ma io non conosco gli altri, perciò mi trovo un
po’ incasinato ora… sai, dover
prendere e andarmene, senza una meta, senza niente da fare, con solo
quel bel
gruzzolo dietro.>
<
Arriva al
punto.>
Jay
deglutì
riluttante e grattandosi la testa parlò.
<
Non ho la più pallida
idea di dove andare. Se per te non è un problema, non mi
dispiacerebbe
seguirti.>
Se
Deuce prima era
scettico, ora era decisamente allibito.
<
Ho intenzione di
andare molto lontano.>
<
Tanto
meglio.>
<
E’ un luogo un
po’ particolare, non so se potrebbe andarti a genio.>
<
Ovunque va
bene.>
<
…>
Non
era esattamente
quello che aveva in mente di fare, scarrozzarsi dietro
quell’ubriacone da una
parte all’altra del Paese, da costa a costa, ma a quanto
pareva certe cose non
si potevano proprio scegliere.
Sbuffò,
gettandosi la
borsa in spalla.
<
Prendi la tua
roba e muoviamoci. – sbottò rassegnato –
E’ un lungo viaggio verso Est.>
Il
castano ghignò
sgusciando fuori dalla stanza e ripresentandosi pochi secondi dopo con
lo
zaino.
<
Pronto?>
<
Pronto.>
<
E allora
andiamo.>
Si
chiusero il
portone alle spalle e se ne andarono, lasciandosi alle spalle in fretta
gli
occhi guardinghi della città e il rumore della macchina
nera, piena di uomini e
armi, che dieci minuti dopo parcheggiò sotto
l’ormai ex-abitazione di Deuce e
sfondò l’ingresso.