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Autore: DarkPenn    03/03/2007    1 recensioni
[Spoiler Dirge of Cerberus] Una ragazza nel corpo di una bambina, con i ricordi di un'altra donna: se tutto questo dovesse cambiare, cosa ne sarebbe di lei?
Genere: Triste, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Reeve, Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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METAMORFOSI

METAMORFOSI

 

 

“Come stai, Shelke?” mi chiede il dottore.

 

“Come sempre,” rispondo.

 

D’altronde è vero.

 

Non noto alcuna differenza rispetto a ieri, o all’altro ieri, o a qualunque giorno degli ultimi dieci anni.

 

Il medico mi squadra un’ultima volta, poi mi dice di rivestirmi mentre scrive qualcosa sulla sua cartellina.

 

Obbedisco.

 

Sono ormai sei mesi che mi visita, eppure non ho ancora capito se si tratta di un radiologo, uno psichiatra o un pediatra.

 

Gli ho raccontato per filo e per segno tutto ciò che mi è stato fatto durante la mia permanenza a Deepground; gli ho parlato persino, con il permesso di Reeve, dei dati su Lucrecia Crescent presenti nel mio cervello.

 

Ho taciuto solo ciò che riguarda i miei sentimenti per Vincent Valentine, non essendo tali informazioni rilevanti per studiarmi.

 

Lascio il laboratorio e torno nel mio appartamento anonimo.

 

Certo, è senz’altro più vivace rispetto a quello che abitavo a Deepground, ma è molto più spartano, ad esempio, di quello di Yuffie Kisaragi.

 

Una volta l’ho visto, poco dopo che Vincent Valentine se ne fu andato.

 

La Wutai mi aveva invitato da lei, sebbene non ne avessi ben compreso il motivo.

 

Fortunatamente, quell’esperienza non si è ripetuta: ho trovato quell’appartamento troppo caotico per i miei gusti, e lei deve avermi trovata particolarmente fastidiosa…

 

… “pallosa”… era il termine che aveva usato.

 

Non me ne lamento.

 

Non sono mai stata molto socievole, nemmeno quando la mia età cronologica corrispondeva a quella fisiologica.

 

Mi siedo sul letto e do uno sguardo ai libri che giacciono sul comodino.

 

Mi hanno voluto iscrivere in una scuola normale, in modo che possa seguire un apprendimento diverso da quello che mi è stato inculcato a Deepground.

 

Vorrei condividere il loro ottimismo, ma la mia stessa esperienza contraddice queste speranze.

 

Sono ormai sei mesi che non indosso più la tuta speciale che irrorava costantemente il mio corpo di Mako, eppure non si è notato alcun cambiamento, dal punto di vista fisico.

 

da quello psicologico, aggiungerei io.

 

Continuo a non trovarmi molto a mio agio tra gli umani.

 

L’unica persona con cui mi sentivo bene era lui

 

Scaccio il suo pensiero dalla mia mente con un gesto di stizza e provo a studiare.

 

In fondo, non so nemmeno se sono io ad essere innamorata di lui oppure la Lucrecia dentro di me.

 

Leggo e rileggo lo stesso paragrafo più volte, poi mi stanco e ripongo il volume.

 

E’ inutile: anche se dimostro nove anni, il mio cervello non ha più la plasticità tipica di quell’età, non riuscirò mai ad apprendere le nozioni che mi sono richieste.

 

Forse potrei continuare a lavorare con i computer della WRO, oppure in laboratorio come mia sorella…

 

 

… Ma chi voglio prendere in giro?

 

Nessuno potrebbe sostituire mia sorella.

 

E nessuno prenderebbe sul serio una bambina di nove anni a capo di un reparto scientifico…

 

Sono seduta sul bordo del letto, persa in questi pensieri, quando arriva.

 

Dapprima si tratta di uno strano malessere localizzato all’incirca a livello addominale.

 

Allarmata da ciò come da qualunque cosa esuli dalla normalità, mi concentro su me stessa, mettendo in atto ciò che in un computer sarebbe uno scandisk.

 

In passato mi veniva facile: ero stata addestrata per questo.

 

Ma ora, per qualche motivo, i miei pensieri mi sfuggono, perdendosi dietro a quell’uomo ed al suo mantello rosso che aveva l’aria di potermi proteggere da qualsiasi cosa…

 

Il malessere si trasforma in una fitta lancinante e con orrore mi rendo conto di una violenta contrazione all’interno del mio addome.

 

Forse la reazione all’astinenza dal Mako sta finalmente avendo luogo.

 

Ed il mio corpo sta andando in frantumi.

 

Mi trascino in bagno e accendo la luce.

 

Devo guardarmi allo specchio, come prima cosa, in modo da valutare l’entità dei danni che sto subendo.

 

Poi potrò chiamare il medico per salvare il salvabile.

 

Noto sul mio volto riflesso un’espressione sorpresa e sconvolta.

 

Un flusso di sangue scuro sta sgorgando da oltre il bordo della mia gonna, colandomi lungo le gambe e formando una scia discontinua cupa che porta al letto da cui mi sono alzata.

 

Allo stesso tempo mi rendo conto di una disgustosa sensazione di scivolamento tra le mie gambe, come se una parte di me si stesse liquefacendo e mi scorresse via dall’interno.

 

Col cuore in gola realizzo di stare avendo le mie prime mestruazioni.

 

Allora, qualcosa sta cambiando, dopotutto.

 

Cercando di non sporcare troppo in giro prendo il cellulare e chiamo il medico.

 

“Pronto?” risponde questo.

 

“Dottore, credo che sia meglio che mandi un’ambulanza a prendermi.

 

 

Nella settimana successiva Reeve è il primo a venirmi a trovare.

 

Il menarca è proseguito quasi ininterrotto per tre giorni, lasciandomi spossata ed anemica.

 

“Ti trovo bene,” mente l’uomo, posandomi sul comodino della stanza d’ospedale un mazzo di fiori.

 

Senza comprenderne bene la ragione, provo l’improvviso impulso di prenderlo a schiaffi, ma sono troppo debole e l’unico risultato è quello di una patetica contorsione nel letto.

 

“Presidente,” rispondo, cercando di non far trasparire la mia ira immotivata, “la prego di risparmiarmi i convenevoli. Sono certa che è già passato dal mio medico per avere notizie, quindi mi dica: il mio corpo si sta autodistruggendo o sono entrata nella pubertà?”

 

Reeve scoppia a ridere, accentuando esponenzialmente il mio desiderio di ridurre il suo volto in una maschera di sangue.

 

“Scusami,” continua quando si riprende, “è solo che… il modo in cui l’hai detto era veramente comico…”

 

Di fronte alla mia espressione impassibile e a tratti infuriata, torna decisamente serio. “La verità è che non lo sappiamo bene. Quel che è certo è che il tuo corpo sta finalmente reagendo all’assenza del Mako che l’ha sorretto finora. Ma non riusciamo a stabilire a cosa porterà questo processo.

 

Sospiro e distolgo lo sguardo.

 

L’idea di morire non mi ha mai provocato tante emozioni come in questo momento.

 

Avverto un misto di paura, fastidio, irritazione e rabbia che mi sforzo di non far trapelare.

 

Ma proprio la difficoltà nel mantenere il mio autocontrollo accentua queste emozioni violentissime.

 

“Ehm… Shelke…?” chiede Reeve.

 

Che c’è?” sbotto io, con un tono di voce eccessivamente elevato.

 

L’altro sembra sorpreso dalla mia reazione, ma decide di lasciar correre.

 

“Sei sicura che…” ricomincia titubante, “quando sei entrata a Deepground avevi solo nove anni?”

 

All’inizio non ho la minima idea di cosa voglia dire, poi noto che il suo sguardo si è appuntato sul mio petto, ed un dubbio virulento s’impossessa della mia mente.

 

Furiosamente strappo i bottoni del mio pigiama.

 

Durante il dialogo tra me e Reeve, il mio seno è aumentato significativamente di dimensioni, al punto da gonfiare la camicia del pigiama e risultare visibile.

 

“E’ meglio che chiami il dottore,” dice il presidente della WRO, notevolmente imbarazzato, subito prima di imboccare la porta e correre via.

 

 

Ridendo come due assatanate, io e Yuffie varchiamo insieme la soglia dell’appartamento di lei, incespicando e precipitando sul letto.

 

Siamo ubriache.

 

Ubriache fradice.

 

E’ la mia prima sbronza, e questo fatto mi riempie di un assurdo senso di orgoglio.

 

Shelke…” mi dice Yuffie, cercando di trattenere le risa. “Ti si vedono le mutande!”

 

Trovo la cosa incredibilmente divertente e, nonostante la scomoda posizione prona sul letto, cerco di abbassarmi la gonna e di non perdere i sensi a causa della mancanza di ossigeno.

 

La Wutai invece balza in piedi e va a chiudere la porta, in modo da garantirci un minimo di privacy: al primo tentativo la sua mano stringe l’aria, ma al secondo finalmente incontra la maniglia.

 

Io da parte mia sono riuscita ad abbassarmi la gonna e mi affloscio battendo le ginocchia sul pavimento.

 

Non me ne accorgo neppure.

 

Sono troppo allegra per badare ad un sordo dolorino alle ginocchia.

 

“Quei due ci sono rimasti male,” dico finalmente, quando riesco a girare la testa abbastanza da vedere Yuffie, che si è accasciata davanti alla porta con le lacrime agli occhi per il gran ridere.

 

“Sì, sì, sì,” mi conferma lei, “si aspettavano di rimorchiarci con un paio di bloody mary, ma non sapevano di essere di fronte all’invincibile Yuffie Kisaragi e all’indistruttibile Shelke Rui!!”

 

Io annuisco e mi accorgo di aver sbavato sul letto della mia compagna di stanza.

 

Con molta fatica riesco a tirarmi in piedi e a non far notare quel piccolo danno alla Wutai, che ben presto si alza a sua volta.

 

“A dire il vero erano un po’ più di un paio di bloody mary,” commento, senza smettere di ridere.

 

“Questi dettagli non interessano a nessuno, Shel-chan!” mi risponde, agitando la mano in un gesto vago.

 

Esita un attimo per asciugarsi le lacrime, poi ricomincia a parlare. “Comincio a vedere doppio… E’ meglio che vada a farmi una doccia gelata… Intanto tu resta qui e se devi vomitare fallo nel cestino dell’immondizia.

 

Mi metto sull’attenti, anche se risulto piuttosto sbilenca. “Agli ordini, comandante!”

 

Mentre lei si spoglia gettando i suoi abiti da una parte all’altra del modesto bilocale che dividiamo da qualche settimana, io asciugo la mia saliva sulle sue lenzuola con un pezzo di panno.

 

Ricomincio a ridere quando sento l’urlo di panico della mia amica, appena investita da un getto di acqua gelata.

 

Per qualche attimo mi godo le note scalcinate che Yuffie emette sotto la doccia, poi la crisi di riso mi passa e finalmente posso tornare padrona di me stessa.

 

Mi guardo allo specchio.

 

Con il corpo di una sedicenne abbastanza procace, la minigonna, il top e gli stivali neri ed il trucco un po’ sfatto a causa delle lacrime da risa e del sudore, sembro una persona totalmente diversa da quella che ero solo un mese fa, quando è iniziata la mia metamorfosi.

 

Il medico che mi segue e Reeve hanno utilizzato un sacco di paroloni strani, ma il concetto centrale di quel che mi stava succedendo era che il mio corpo stava attraversando tutte le fasi del mio sviluppo fisico e psichico che aveva perso in passato, e lo stava facendo in modo dannatamente rapido.

 

Nel giro di un mese dimostravo già sedici anni, avevo sperimentato numerose emozioni che prima non credevo esistessero, avevo avuto due fidanzati ed avevo scambiato il mio primo bacio.

 

Ed ora mi sono anche sbronzata.

 

Yuffie è stata la prima a mostrare un sincero apprezzamento per il mio cambiamento.

 

Anche se sembravo comunque più piccola di lei, ha accettato di buon grado di provare ad uscire nuovamente insieme, ma questa volta ci siamo divertite un’infinità.

 

Mentre gli altri giudicavano con occhio critico e scientifico i miei mutamenti, lei mi faceva marinare la scuola (dopotutto risultava assurdo persino a un tipo quadrato come Reeve che una sedicenne frequentasse la stessa classe di un gruppo di bambini di dieci anni), mi portava a comprare vestiti nuovi e mi insegnava a truccarmi.

 

“Così ti troverai un ragazzo in men che non si dica,” mi ripeteva, raggiante.

 

Io ho sempre accettato di buon grado la sua amicizia e le sue attenzioni, malgrado sapessi che i suoi tentativi di farmi trovare un fidanzato sarebbero naufragati.

 

Perché nel mio cuore c’era, e c’è, sempre lui.

 

Il sorriso sparisce del tutto dalle mie labbra, nonostante gli stridii che Yuffie continua ad emettere illudendosi di cantare bene.

 

Vincent

 

Sono sette mesi che non lo vedo.

 

Ho provato a mettermi seriamente d’impegno con qualcuno, un paio di volte, ma è stato del tutto inutile.

 

Il ricordo di lui è l’unica cosa che mi fa sentire veramente bene.

 

Non capisco subito cosa sta succedendo.

 

Semplicemente, ad un certo punto dei miei pensieri mi rendo conto di non vedermi più riflessa allo specchio.

 

Al mio posto c’è Lucrecia Crescent.

 

Balzo in piedi, in preda al panico, ma un capogiro mi costringe a cadere in ginocchio.

 

Di fronte ai miei occhi saettano all’improvviso immagini del dottor Hojo, di Vincent rinchiuso in un cilindro di rigenerazione, di alcune persone che non conosco.

 

Senza capire cosa mi stia succedendo mi ritrovo tra le braccia di un uomo con l’uniforme di un Turk

 

Vincent Valentine… Prima che tutto questo avesse inizio.

 

Mi dice qualcosa, ma i suoni sono troppo attutiti perché capisca le sue parole.

 

Sto per implorarlo di ripetere, ma la visione scompare, e mi trovo in una grotta, di fronte ad un immenso cristallo di materia.

 

Nella mia mente rimbombano le parole di Lucrecia, che ripetono fino alla nausea i dati delle ricerche su Omega…

 

I dati integrati nella mia rete neurale…

 

Rabbrividisco quando vedo il corpo nudo di Hojo chinarsi su di me, quando lo sento baciarmi…

 

Poi, ad un tratto, sullo sfondo di un milione di immagini che si alternano vorticosamente, vedo il volto di Lucrecia Crescent liquefarsi, strato dopo strato, lasciando solo un teschio bianco attraversato da linee luminescenti di energia Mako.

 

Ed allora capisco che sto osservando il mio stesso cranio.

 

Urlo come non ho mai urlato in vita mia.

 

Quando Yuffie esce dalla doccia, allarmata, mi trova riversa sul pavimento, accanto ad una pozza di vomito, in preda alle convulsioni.

 

 

Non riesco più a distinguere gli incubi dalle allucinazioni, e queste ultime dalla realtà.

 

Talvolta rivedo nella mia mente gli ultimi attimi di vita di Lucrecia, ma poi i dettagli della scena si sciolgono e mi ritrovo ansimante in un letto d’ospedale, di notte.

 

Altre volte invece vedo Reeve chino affettuosamente su di me, che mi parla, ma le parole che sento sono sempre quelle riguardanti la ricerca su Omega.

 

Nei pochi sprazzi di lucidità che riesco a strappare al mio delirio noto il Presidente della WRO ed alcuni medici che parlano di un “crollo psicotico”, di una “perdita d’integrità della matrice neurale”, ma poi i loro volti si trasformano in musi di chocobo che squittiscono concitatamente e capisco che le allucinazioni sono tornate.

 

Mi sembra che siano passati dei mesi, durante i quali Vincent è venuto a trovarmi ed abbiamo fatto l’amore diverse volte, ma ogni volta che il mio unico amato se ne va dalla stanza mi rendo amaramente conto che in realtà non è mai venuto da me.

 

Qualche volta vedo persino Yuffie che mi porta dei fiori e mi stringe la mano, sussurrandomi parole di consolazione, ma non so dire quando si tratti di un’allucinazione e quando le sue siano visite reali.

 

Un giorno Shalua mi cambia la flebo, ma al posto del suo braccio meccanico ha l’artiglio dorato di Vincent.

 

Un altro giorno Vincent e Yuffie si baciano e si toccano incuranti della mia presenza nella stanza e delle mie grida di disperazione e gelosia.

 

Per me, tutto quello che mi succede attorno è reale.

 

Non ce la faccio più.

 

Vorrei morire, ma ogni volta che lo confido ad un medico questo si trasforma ridendo in Azul, oppure in Rosso, e se ne va ripetendo all’infinito le mie stesse parole.

 

Non mancano neppure i momenti in cui rivedo di fronte a me le schermate di dati recanti le informazioni su Omega e Chaos che mi sono state impiantate nel cervello, ma questi avvenimenti si fanno sempre più rari.

 

Poi, un mattino, Reeve entra raggiante nella mia stanza, dicendomi che è finalmente tutto finito.

 

Cerco faticosamente di rialzarmi a sedere, e mi rendo conto con sorpresa di non avere effetti collaterali come strane apparizioni o percezioni anomale.

 

Anzi, il mio corpo è ora pienamente sviluppato e mi sento bene, nonostante il tempo passato a letto.

 

“Cos’è successo?” chiedo a Reeve, e la mia stessa voce suona strana alle mie orecchie.

 

L’uomo scuote la testa. “Non è importante adesso. Ciò che importa è che tu stia bene. Ah, mi stavo quasi dimenticando: c’è una visita per te.

 

Scompare nella cornice della porta ed al suo posto avanza una figura imponente, dal lungo mantello rosso.

 

Non riesco a credere ai miei occhi.

 

“Ciao, Shelke,” mi dice Vincent, con un vago sorriso. “Mi sei mancata.”

 

Scoppio a piangere e mi butto giù dal letto, gettandogli le braccia al collo.

 

Non mi importa più di nulla, in questo momento.

 

Voglio solo che Vincent stia con me.

 

Le mie labbra intercettano le sue e lui risponde al mio bacio come se se lo fosse aspettato.

 

Mi solleva in braccio, posandomi delicatamente sul letto.

 

Mi tolgo la vestaglia che indosso, restando nuda di fronte a lui, aspettandolo.

 

Finalmente, anche Vincent è nudo e si china su di me, baciandomi teneramente.

 

Facciamo l’amore come l’abbiamo fatto molte volte nei miei sogni, ma questa volta so che è reale.

 

Alla fine piango di felicità.

 

Vincent,” gli sussurro ad un orecchio, “io ti amo…”

 

Anch’io ti amo, Lucrecia.”

 

All’improvviso il corpo di Vincent si riduce in cenere fra le mie braccia, e viene spazzato via da un soffio di vento.

 

Le pareti della stanza sono diventate quelle del laboratorio sotterraneo di Nibelheim e davanti al mio letto c’è Hojo, altissimo, incombente, che applaude e ride di gusto.

 

Sconcertata e disperata faccio un passo verso di lui e protesto, ma mi rendo conto con orrore che ora il mio corpo e la mia voce sono quelli della dottoressa Crescent.

 

Alle spalle di Hojo, in una pozza di sangue, giace il cadavere smembrato di Shelke Rui.

 

Accanto ad esso, la Galian Beast di Vincent sogghigna, gli artigli lordi di sangue.

 

Con un ultimo grido, io (io chi?) cado in ginocchio e sprofondo nell’oblio.

 

 

Quando riprendo conoscenza sono di nuovo nella stanza dell’ospedale, e sono di nuovo nel corpo di Shelke Rui.

 

Ogni frammento dei miei muscoli mi fa male da impazzire, come se fossi stata fatta a pezzi da un folle omicida.

 

La porta della stanza si apre ed entra Yuffie, sorridente, con un mazzo di fiori.

 

“Ehi, come stai, vecchia roccia?” mi chiede.

 

Non rispondo.

 

I ricordi della mia ultima allucinazione si stanno già deteriorando, ma so che è stata un’esperienza terribile.

 

Per quel che ne so, anche la ragazza sorridente di fronte a me potrebbe essere un’illusione.

 

Resto sul chi vive, aspettandomi un mutamento improvviso e orribile della scena, ma non succede ancora niente.

 

Yuffie non reagisce alla mia mancata risposta e posa il mazzo di fiori sul mio comodino, poi si siede accanto a me.

 

“Stai tranquilla, è tutto finito,” dice.

 

Questa l’ho già sentita.

 

“Come faccio a saperlo?” chiedo, di rimando, e mi stupisco di sentire la mia voce al naturale, senza distorsioni.

 

Il sorriso di Yuffie si allarga. “Se questa fosse un’altra allucinazione, probabilmente ci sarebbe Vincent al posto mio, no?”

 

In effetti, ha ragione.

 

“E così ho parlato nel sonno,” le dico, ancora poco convinta. Chissà quante volte ho urlato il nome di Vincent in questi ultimi… già, non so nemmeno quanto tempo è passato.

 

“Mentre avevi gli incubi lo chiamavi in continuazione,” mi risponde, con un velo di dispiacere nello sguardo.

 

“Mi hai… sentita? Da quanto tempo sono in questo stato?” chiedo, scegliendo due delle molteplici domande che mi circolano nella testa.

 

“Da due mesi,” mi spiega. “Io, Tifa e gli altri ci siamo dati il cambio per vegliare su di te notte e giorno. I dottori hanno detto che la tua crescita improvvisa, anche nel cervello, ha provocato una specie di collasso, a causa di tutta la roba che ti ci hanno ficcato dentro.”

 

La guardo un po’ stupita.

 

La Yuffie che conosco avrebbe gesticolato ed inserito buffe onomatopee per spiegarsi meglio.

 

Ma questa Yuffie sembra in qualche modo più seria, più pacata.

 

Forse è proprio per questo che credo che non sia un’allucinazione.

 

Forse anche lei è stanca.

 

“E cos’è successo… dopo?” chiedo, ancora titubante.

 

“A quanto ho capito hai cominciato…” Yuffie esita, poi fa un ampio gesto con le braccia sopra la testa.

 

Se mi sentissi meglio probabilmente sorriderei: questa è la Yuffie che conosco.

 

“Hai cominciato a dare di matto, diciamo,” continua, lasciando cadere le braccia. “Mi hanno detto che i pensieri di Lucrecia Crescent si sovrapponevano ai tuoi, o qualcosa del genere, creando un gran casino.

 

Forse è per il linguaggio un po’ sopra le righe di Yuffie, oppure perché sono troppo stanca per lottare, ma mi rilasso e sorrido, triste.

 

Se questa è un’allucinazione, è stranamente “normale”.

 

“Ehi, che ti prende?” mi chiede l’altra ragazza, un po’ preoccupata.

 

Scuoto il capo e chiudo gli occhi. “Sono solo stanca. Tutto qui. Se hai ragione e quelgran casino’ è finito, allora posso finalmente rilassarmi. Se invece sei un’altra illusione, allora ti dico che non ho più voglia di lottare e che mi lascerò morire.

 

Yuffie mi arruffa i capelli, costringendomi a guardarla di nuovo. Sorride serena.

 

“Credimi,” dice. “Sei davvero tornata tra noi.”

 

So bene di non aver nessun motivo logico per accettare le sue parole, ma le credo.

 

Voglio crederle.

 

Le sorrido e annuisco, al che si sporge su di me e mi abbraccia.

 

Rispondo all’abbraccio, goffa a causa del dolore e dell’immobilità forzata di quei mesi.

 

“Mi sei mancata, Shelke,” mi dice, e sento che sta piangendo.

 

Calde lacrime di gioia bagnano anche i miei occhi.

 

Anche tu.”

 

Restiamo così per un po’, poi apro gli occhi e vedo un’ombra nel vano della porta, che si tira indietro, quasi timida.

 

Un’ombra dal mantello rosso.

 

Subito mi irrigidisco, in allarme.

 

Yuffie si discosta da me. “Che ti succede?”

 

Indico stentorea la soglia. “E’… lui…?”

 

La ragazza segue il mio indice, poi sorride ed annuisce. “Sì, è proprio Vincent. E’ tornato circa un mese fa.”

 

Il mio cuore salta un battito.

 

“Sai, anche lui ti ha tenuto compagnia, qualche giornata,” continua lei.

 

Allora…

 

Non tutte le volte che ti vedevo…

 

Eri falso…

 

Titubante, Vincent entra nella stanza.

 

Io temo ancora che si tratti di un’allucinazione e che presto succederà qualcosa di orrendo, ma mi costringo a scacciare quel timore.

 

Vincent è qui.

 

Il mio Vincent.

 

“Ciao Shelke,” mi dice, ed il suo viso non tradisce emozioni. “Sono tornato.”

 

Piango di gioia e Yuffie mi abbraccia di nuovo.

 

L’ex Turk invece rimane in disparte.

 

A differenza del mio incubo.

 

Allora vuol dire che questa è la realtà…?

 

Ci separiamo e ricomincio a guardare Vincent.

 

Lui distoglie lo sguardo.

 

Yuffie si schiarisce la gola e si china su di me, parlando a bassa voce. “Purtroppo, per quello che è successo tutti i dati nella tua testa sono stati cancellati, ad eccezione di qualche sporadica immagine. Questo vuol dire che…”

 

Esita e guarda Vincent, che da parte sua si limita ad annuire, inespressivo.

 

“Vuol dire,” continua la Wutai, “che le ultime tracce dei ricordi di Lucrecia sono sparite per sempre.”

 

Rimango in silenzio, alternando lo sguardo tra i due visitatori.

 

Se tutto questo è vero, allora le immagini che mi hanno tormentato per tutto questo tempo non verranno più a torturarmi.

 

Però…

 

Guardo Vincent, chiedendogli di perdonarmi con gli occhi.

 

Se veramente i dati presenti nella mia testa non esistono più, è sparita l’ultima traccia della donna che lui ama.

 

Vincent, mi dispiace,” dico, maledicendomi subito per quelle parole così squallide.

 

L’uomo in rosso però scuote il capo. “Non importa. Quello è un capitolo chiuso della mia vita.

 

Mi sento leggermente rincuorata e abbasso lo sguardo.

 

Noto con stupore che il mio corpo è cambiato ancora: ora dovrei dimostrare circa vent’anni, cioè la mia vera età.

 

La mia metamorfosi si è conclusa.

 

Yuffie si alza dalla sedia e batte le mani, sorridendo. “Ora è meglio che andiamo. Tu ti devi riposare, Shelke, perché ti aspetta una gran bella festa di bentornata!”

 

Sorrido, nonostante la sofferenza che mi lancina il cuore.

 

Perché ho notato che Vincent ha circondato la vita della mia migliore amica con un braccio.

 

E quindi…

 

E’ questa la verità…

 

Trattengo le lacrime, mentre i due mi salutano ed escono dalla stanza.

 

Non voglio farli preoccupare ancora.

 

Quando sono sola, comincio a piangere, affondando la faccia nel cuscino.

 

Pensavo facesse più male, però.

 

Forse sono veramente troppo stanca per realizzare che Vincent e Yuffie…

 

Sobbalzo quando qualcuno mi deposita una carezza sul capo.

 

Mi volto.

 

Attraverso il velo di lacrime vedo il viso sorridente di Reeve.

 

Mi ha portato un altro mazzo di fiori, che fa bella mostra di sé insieme a quello di Yuffie nel vaso sul mio comodino.

 

“Ben svegliata,” mi dice l’uomo.

 

Io mi asciugo rapidamente le lacrime.

 

Non voglio domande.

 

Non voglio niente.

 

Voglio solo essere lasciata sola.

 

“Salve, presidente,” dico, cercando di mantenere un tono neutro, ma non ci riesco.

 

Lui intuisce cosa provo.

 

E’ per questo che non mi accarezza più la testa ed invece mi stringe una mano fra le sue.

 

Ne abbiamo passate parecchie,” ribatte, senza perdere il suo sorriso triste e stanco, ma in qualche modo sollevato. “Puoi chiamarmi Reeve.”

 

Annuisco e mi accorgo che quel breve scambio di battute ha avuto il potere di sollevarmi un po’ il morale.

 

Ora, invece di essere disperata, mi sento solo mortalmente triste.

 

“Va bene, Reeve,” rispondo. “Parteciperai anche tu alla festa di cui mi ha parlato Yuffie?”

 

L’altro ride prima di continuare. “Ne sono uno degli organizzatori! Sono due mesi che aspetto… che aspettiamo questo momento, Shelke, ed ora che è arrivato non me lo perderei per nulla al mondo.

 

Non rilevo la sua esitazione e distolgo lo sguardo.

 

“Sta’ pure tranquillo,” gli dico. “Non ho nessuna intenzione di deludervi.”

 

Reeve mi stringe la mano ancora un attimo, prima di alzarsi. “Ora devo andare, il dovere mi chiama. Ci vediamo più tardi.”

 

Annuisco, senza guardarlo.

 

Spero con tutte le mie forze che questa non sia l’ennesima allucinazione, ed in qualche modo lo so, ma continuo a soffrire.

 

Perché so che Vincent non sarà mai mio.

 

Reeve arriva alla porta, ma poi si ferma.

 

Shelke,” mi chiama. “Devo dire che sei diventata… proprio carina… anzi, decisamente bella…”

 

Non faccio in tempo a riprendermi dallo stupore che l’uomo se n’è già andato.

 

E’ la prima volta che mi fanno un complimento.

 

E questa è la prima sensazione veramente positiva che provo da molto tempo a questa parte.

 

Mi sento calma.

 

Serena.

 

Sorrido mio malgrado, mentre sprofondo in un sonno senza sogni.

 

Forse, c’è ancora posto per me, qui.

 

 

  
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