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Autore: Sophrosouneh    20/08/2012    0 recensioni
Storia partecipante alla Challenge Think Angst di Simph8 e Vogue91
[Quella era la donna più forte e bella di tutto l’Aziluth.
Forse anche perché si era presa tutta la vita che sarebbe di diritto spettata a lui.
Rosiel sfiorò con il palmo della mano la nuda pietra.
Nell’esistenza della sorella, fin nel suo stesso respirare, ritrovava se stesso.
Gemelli separati alla nascita, truce era il loro destino.]
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alexiel, Rosiel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Think Angst - Stati d'animo'
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Autore: Ss904 (Sophrosouneh)
Fandom: Angel Sanctuary
Personaggi: Rosiel, Alexiel
Set: Stati d’animo
Prompt: Lussuria
Storia partecipante alla Challenge Think Angst di Simph8 e Vogue91


Il corpo dei Gemelli.


Se ne stava seduta lì, a pochi passi da lui.
Solo la solida pietra secolare che cingeva il giardino dell’Eden adesso li separava.
Poteva sentire la sua essenza immobile su quel trono diroccato.
I poteri di Alexiel, inibiti dall’effetto del giardino, ancora erano capaci di incutere timore e rispetto a qualsiasi Angelo.
Quella era la donna  più forte e bella di tutto l’Aziluth.
Forse anche perché si era presa tutta la vita che sarebbe di diritto spettata a lui.
Rosiel sfiorò con il palmo della mano la nuda pietra.
Nell’esistenza della sorella, fin nel suo stesso respirare, ritrovava se stesso.
Gemelli separati alla nascita, truce era il loro destino.

“Parlami Alexiel!” un invocazione, una preghiera rivolta ad una dea troppo umana per concedersi il lusso di rispondere ad un orante.
Rimase inascoltata la sua supplica.
Ogni giorno la pregava di concedergli anche solo uno sguardo, ma non otteneva altro che indifferenza.
Alexiel era ancora giovanissima, ma sapeva ferire con una capacità innata.

Raccogliendo tutte le proprie energie il bambino andava a far visita alla ritrosa sorella ogni giorno.
Le profonde piaghe e le numerose deformazioni che ne alteravano l’aspetto gli rendevano difficili anche le più comuni azioni come alzarsi dal letto e camminare.
Disobbedendo all’ordine di Dio Padre, si affacciava sulla soglia di quel giardino, sperando di cogliere nel volto di Alexiel una qualche emozione nei suoi confronti.

La vide abbeverarsi al fiume mormorante che scorreva ameno nella piana.
Era la creatura più bella che avesse mai visto.
Cos’era lui se non una sua orribile caricatura?
I loro corpi, quelli di due gemelli, non potevano essere più differenti.

“Lei si è nutrita di te, Rosiel. Lei non ti ama. Solo di me ti puoi fidare.”
Ben ricordava le parole del Dio Creatore.
Suo padre aveva ragione, era diventato un orribile mostro solo a causa sua.
Voleva indietro ciò che gli era stato strappato tanto barbaramente.
Voleva assaporare quella normalità a lui reclusa.
Voleva potersi specchiare in quegli occhi freddi e riconoscersi in quel riflesso.

____________________


Poteva sentire sulle labbra la morbida consistenza della pelle della clavicola, per poi affondarci i denti senza alcun segno di esitazione.
Crudelmente le lambiva la pelle con la lingua umida prima di strapparne i tessuti molli.
Rivoli di sangue si riversavano dalla profonda ferita.
Mentre addentava famelico le carini della sorella addormentata, nessun altro pensiero gli sfiorava la mente se non quello di voler assomigliare almeno un po’ a quell’essere tanto perfetto.
L’avrebbe divorata fin che non ne sarebbe stato sazio.
Mangiare del corpo stesso dell’amata gemella era più rifocillante che ingurgitare passivamente le medicine delle suore.
Nutrirsi del suo corpo risvegliava in lui desideri mai sedati: lascivia e lussuria si confondevano in un inebriante cocktail di morte.
Come ne strappava brandelli di carne, essi immediatamente ricrescevano dal nulla.
E la principessa continuava a dormire nel suo Eden sanguigno.

Ogni notte il fratello tornava e divorava una parte di lei.
Gli occhi, le guance, il petto, le mani, le labbra.
Ogni brandello di lei aveva un diverso odore e sapore, Rosiel aveva imparato a riconoscerli ed a divenirne assuefatto.

Ogni notte Rosiel si nutriva di Alexiel per tentare di affrancarsi da quella orrenda immagine di mostruosa creatura.
E la sorella, placidamente, si lasciava divorare, distesa tra le braccia insanguinate del fratello.

Fin quando, un  giorno, si svegliò dai suoi mistici sogni d’alabastro, fissando immobile  Rosiel prono su di lei.
Non un’espressione velava quel volto di marmo.
Gli occhi, più profondi del nulla, scrutavano fin dentro l’anima di quello sventurato pellegrino.

“Mi stai guardando, sorella? Dopo tutti questi anni posso vedere i tuoi occhi.” Sussurrò Rosiel tremando percettibilmente.
L’abbracciò stretta, ma le braccia delle bambina rimasero ferme nella loro posizione.

“Perché lo stai facendo?”

Era stupendo. In quella voce si riassumeva un senso di raffinata compostezza, ma anche di un’assoluta ed incontenibile forza.
Non aveva mai udito la sorella parlare, ma non immaginava che le sue corde vocali potessero dipingere tali arabeschi nell’aere muto.

“Perché mi divori?”

Tuttavia non c’era sentimento nella sue voce.
Era immobile e severa, non un’emozione di qualsiasi sorta.
Pareva una bambola in quel momento, una statua severa e bellissima nelle cui vene non scorreva la vita.
Conosceva le voci secondo le quali quella bambina contenuta nell’Eden non fosse che una degenerata, ma non aveva mai voluto crederci.

“Cosa c’è Rosiel, anche tu mi giudichi un mostro perché mangio dei frutti del giardino? È vero, sono un’ingrata che si nutre del corpo della sua stessa madre.”

Disgusto.
Fu questa l’unica nota che percepì nella sua voce.
Una profonda avversione verso tutto il creato.
Era paralizzato, ancora abbracciato a quel corpo, ne provava adesso una sorta di orrore.

“Vattene.”

Solo un sussurro ma più potente di ogni ordine.
Obbedì Rosiel, allontanandosi velocemente da quel luogo.
Le ferite che le aveva procurato anche quella notte si erano già rimarginate perfettamente.
Non proferì parola.
Nessun suono avrebbe potuto mai eguagliare le parole di quell’angelo guerriero.
Non c’era altro da aggiungere.

____________________


E mentre osserva  il fratello volare via da quel giardino maledetto, una lacrima solco la guancia di quella maschera di dolore.

I suoi occhi seguirono l’ombra dalle tre ali fin quando non varcò i sacri confini, mentre le sue mani si strinsero sul petto.

“Tu non sei un mostro Rosiel. Sei l’essere più puro che io conosca. Non lasciare che l’amore che provi per me ti paralizzi. Dimenticami, odiami se necessario.”

C’era amarezza nel tono dell’Angelo Organico.
La consapevolezza di una verità tanto profonda quanto angosciante.
Suo fratello ancora si ostinava ad amarla.
E, sebbene non potesse imporre al suo cuore di gioirne segretamente, sapeva che questo non era ammesso, doveva imparare ad odiarla se voleva essere libero di vivere nell’Aziluth, lontano da quel giardino e da lei.
Quello era il suo castigo, Rosiel doveva rimanere in salvo.
Si era rinchiusa lei stessa in quella prigione.
Se fosse rimasta in disparte e non avesse dimostrato a Rosiel l’amore che provava per lui, il Dio Creatore avrebbe concesso a suo fratello una vita normale.
Avrebbe affrontato volentieri qualsiasi sacrificio per la salvezza della persona che più amava al mondo.

“Tu sei bellissimo, non importa ciò che dicono gli altri, non lasciare che le loro parole ti mortifichino. Ai miei occhi rimarrai per sempre l’astro più splendente del creato. Vivi per me, Rosiel.”

Per questo gli aveva concesso di divorare le sua carne: così avrebbe ottenuto il corpo che tanto bramava, abbeverandosi dal suo stesso sangue sarebbe rinato a nuova vita.
Adesso erano veramente gemelli.
E, così facendo, l’Angelo Inorganico avrebbe finito per portarla sempre con sé.

A lei tanto bastava.
Sapere Rosiel vivo e libero era il suo unico desiderio.


  
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