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Autore: Mendori    21/08/2012    6 recensioni
Loki, un giorno fosti lupo, e trovasti una donna intenta a lavare lungo il fiume.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Loki, un giorno fosti lupo, e trovasti una donna intenta a lavare lungo il fiume.
Aveva il labbro spezzato, gli occhi grigi come il dorso d'una lepre e i seni tondi, nudi per il lattante che le giaceva accanto.
Fu forse quel labbro offeso a chiamarti come la spiaggia richiama l'alta marea. Ti ricordò una punizione violenta e l'umiliazione del silenzio, così per capriccio le rubasti il bambino con un rapido scatto di zampe e di mandibola, portandolo nel bosco. Sdraiato nelle foglie con l'infante, per un po' giocasti e lasciasti che lui giocasse con te, stringendo le piccole dita attorno alle tue zanne scintillanti di saliva. Odorava di latte e di donna.
Lo restituisti illeso, fissando avidamente quella bocca di ragazza passare dalla piega amara della disperazione a un sorriso asimmetrico, carico di commosso sollievo.
Lo restituisti, ma come uomo.


Raccontasti questo: con un lupo avevi scambiato il bimbo per un pezzo di cuore e un pigliamosche addomesticato. Quest'ultimo ora gli sta sulla schiena, e setaccia il fulvo pelo alla ricerca delle zecche che lo tormentano.
Dicesti d'essere un vagabondo, ma che in quel pezzo d'anima che avevi dato in pasto alla bestia avevi lasciato la voglia di viaggiare; per questo saresti rimasto lì.
La donna ti ringraziò con sentimento, ma fu abbastanza saggia da non chiederti come avrebbe potuto ricompensarti.
Parlò invece con fermezza, disse: «Per il pigliamosche ti darò una gallina. Confidami poi quali frammenti di cuore hai smarrito, ed io ti restituirò quelli che sono in mio potere. Il desiderio di viaggiare sarà l'ultimo».
Rispondesti: «Era grande appena come un morso di faina la parte di me che ho ceduto, ma si sa che il cuore è dimora di tanti sentimenti quante sono le foglie su un albero. Ecco, ora mi è difficile ricordare cosa ho perduto, tuttavia torna a farmi visita e te lo dirò».


L'indomani la sorprendesti sulla sponda più dolce del fiume, immersa fino alle caviglie nell'acqua scura. Il vento le spingeva i capelli oltre le spalle.
La salutasti così: «Eccoti: mi sono accorto di aver dimenticato il sapore di un tradimento».
Lei soppesò le tue parole, poi ti ammonì: «Bada, non so se ti convenga ricordarlo. Tuttavia, se ne sei convinto, ti porterò un pugno di sabbia da mangiare. Essa ti secca la bocca, e se provi a inghiottirla ti soffoca: questo è il sapore dell'essere traditi».
La seconda volta, vedendola arrivare senza il bambino, dicesti: «Guarda: ho scordato l'affetto di un genitore».
Lei parve rattristata e mormorò: «Le mie lacrime quando mi restituisti mio figlio non furono abbastanza copiose? Allora cercheremo un nido dove un cuculo abbia deposto un uovo: vedrai come la madre adottiva si affanna a ingrassare un pulcino che la supera tre volte in grandezza, mentre lei si fa sempre più debole e scheletrica: tanto lo ama!».
Il terzo giorno eri d'umore cupo, e osservasti: «Ho perduto il desiderio di battaglia, l'euforia del sangue».
«Questo io non ti aiuterò a ricordare, anzi ringrazia chi ti ha sollevato da questa condanna» tagliò corto lei, lanciandoti uno sguardo severo e stringendo più forte al seno il figlioletto.


Per molti altri giorni ti piacque continuare questo gioco.
Costruisti un rifugio, e vivesti mangiando uova e pesce pescato a mani nude, mentre la donna spesso ti divertiva con risposte quiete e scaltre.
«Ah, mi sovviene ora: ho perduto il tuo nome» le dicesti un giorno che sedevate vicini, e il bambino giocava con i suoi capelli, stringendoli a ciocche con le manine tozze.
«Hai perduto anche la sincerità, o la memoria, perché non solo non lo conoscevi prima di barattare il tuo cuore, ma non te l'ho mai detto» ti rimbeccò lei, ridendo e sistemandosi meglio il bimbo sulle gambe.
Aveva il sole negli occhi, e ti piacque l'ombra frastagliata delle sue ciglia sulle guance chiare.
Dicesti: «Ma invero l'ho perduto: il primo giorno, quando non te lo chiesi, ed ora pare sciocco domandarlo».
Lei sembrò sorpresa, e ti fissò a lungo.
Poi di nuovo agì con saggezza, e abbassando gli occhi bisbigliò: «Il mio nome mi appartiene, e non posso regalartelo. Se non hai altro da chiedermi, dovrò restituirti il desiderio di viaggiare».


Il giorno successivo arrivò sola.
Aveva i capelli stretti in una treccia e la bellezza vivida della foglia attraversata dal sole. Glielo dicesti.
Lei sorrise e si fece stringere.
Nel tuo capanno, ti piacque passare la lingua nella lieve fessura del suo labbro leporino.
Cogliesti la bellezza racchiusa nelle piccole irregolarità dei capezzoli, nella pelle chiara e cedevole delle cosce, nella rete blu di vene che affiorano in trasparenza sul delicato incavo del piede, e quando foste stanchi giaceste per un po' l'uno accanto all'altra.
Poi la donna si sollevò sulle braccia, allungandosi sopra di te e inumidendo ancora le labbra contro le tue.
Aveva gli occhi lucidi. Disse: «Questo era l'ultimo bacio che potrò mai darti, scappa via!».
Schiaffeggiando una volta il tuo braccio nudo, ti spronò: «Ho già marito, dunque vai, ritrova la voglia di viaggiare nel desiderio di non farmi soffrire».
Loki, con quelle parole seppe restituirti l'unica cosa che avevi davvero perduto, e te ne andasti.










   
 
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