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Autore: manicrank    25/08/2012    3 recensioni
Davanti a me ho una grande finestra, fuori solo la notte. E la luna, appena sorta, che mi bagna con il suo raggio freddo. La luna è fredda, il suo colore argenteo non riscalderà mai, ma a me fa sentire vivo. Di giorno tutto è così piatto. La notte invece mi entra dentro, mi scalda ma in modo diverso. Call her Moonchild.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Reita, Ruki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Consiglio prima della lettura, l'ascolto e la ricerca della traduzione di "Moonchild" dei King Crimson. 
Grazie ~ 


50 sfumature di bianco, la storia di un raggio di luna. 

 

 

 

Una dama dal velo nero, e la pelle, nera anch'essa, danza sulle punte come in equilibrio su di una stella. Si muove, seguendo il lento sorgere della luna nel cielo. Come un occhio di perla.
Osservo quello spettacolo magnifico tenendo tra le mani una tazza di tè caldo. Tè che era caldo. Ora è gelido. Non so quanto tempo è passato da quando l'ho preparato. Le mie mani si sono ustionate con la ceramica bollente, ma adesso sembrano morte, non avverto più nemmeno il peso di quell'oggetto e del liquido che contiene. Sono fermo, appollaiato, ginocchia al petto, su una sedia. Davanti a me ho una grande finestra, fuori solo la notte.
E la luna, appena sorta, che mi bagna con il suo raggio freddo.
La luna è fredda, il suo colore argenteo non riscalderà mai, ma a me fa sentire vivo. Di giorno tutto è così piatto.
La notte invece mi entra dentro, mi scalda ma in modo diverso.
Lascio andare la tazza che si infrange contro il pavimento e mi alzo dalla sedia, poso i piedi sui cocci rotti e mi ferisco, ma non mi importa. Il sangue caldo scivola fuori dalla mia pelle, lo osservo, scendere come fosse un piccolo fiume purpureo. Lo sfioro con la punta dell'indice e me lo porto alle labbra. Esse si macchiano, ma non lo lecco via.
Continuo a camminare, deciso ad andare verso l'angolo adibito a cucina. Poi cambio idea, non ho fame. Mi dico, e vado invece in bagno, dove apro l'acqua ghiacciata della doccia. Mi spoglio degli abiti bianchi che indosso e mi ficco sotto il getto trasparente, godendo del freddo sulle spalle.
Rimango immobile, in piedi, con il volto rivolto al cielo, mentre l'acqua mi riga le guance e scende giù sul petto.
Il mio corpo è freddo, è già freddo.
So che le ferite sulle palme dei miei piedi sono aperte, e quasi riesco ad immaginare i fiumi rossi mescolarsi alla purezza del liquido, vorticare giù nello scarico e svanire. Un po' di me sta partendo, lasciando questa prigione.

Call her Moonchild

Dancing in the shallows of a river

Lovely Moonchild

Dreaming in the shadow

Of the willow.

Apro gli occhi, trovandomi seduto sul piccolo divanetto bianco nella stanza. Indosso ho un accappatoio, sempre niveo, ed il mio sguardo è perso sul muro piatto. Questa stanza vuota, è fredda ma di un freddo diverso rispetto alla luce lunare che ancora filtra ed inonda in pavimento quasi fosse un lago di latte.
Questa stanza non sa di nulla, è sciapa, gli manca l'anima.
Mi alzo, i piedi dolgono un poco, torno vicino allo sgabello e prendo un frantume del coccio. Lo stringo forte nel pugno, mi taglio, e sento il sangue riprendere a gocciare. Il suo cremisi è in piacevole disaccordo con i colori piatti del mio piccolo mondo quadrato. Porto un dito a sfiorare la parete, ed inizio a disegnare.

Talking to the trees of the

Cobweb strange

Sleeping on the steps of a fountain

Waving silver wands to the

Night-birds song

Waiting for the sun on the mountain.

Ora mi discosto, ammirando quel piccolo disegno fatto di sangue. Il muro macchiato ora è un giardino, è alberi, è animali, è il parco di un castello d'aria. Io vivo li, io posso volare su quelle foglie argentee. Sono libero.
E così sorrido. Un sorriso raro, che sembra una smorfia, un sorriso freddo ma ancora, di una freddezza diversa.
Premo le mani sulle orecchie, mi isolo dal mondo, le premo così forte che le sento fischiare. Mi perdo con lo sguardo su quel disegno macabro, mentre il mondo perde ogni suono. Voglio uccidermi, ma un pezzo alla volta. Ora sto uccidendo l'udito.
Voglio smettere di sentire, e forze smetterò di sentire anche la sofferenza. Le urla invisibili dei muri.
Così torno appollaiato sul mio sgabello, al centro della stanza e torno a guardare il muro ora decorato.
Lo sguardo scivola silenziosamente sul pavimento macchiato di luna, sembra una chiazza di sperma, latteo, ma in fin dei conti, cosa ne so io dello sperma? Io, che mai in vita mia ho osato sfiorarmi?
Così, quasi avessi osservato qualcosa di osceno, torno a concentrarmi sul muro.
La luna sta calando, perché il cielo si fa più chiaro. L'orizzonte si tinge di bianco, di rosa pallido, e poi di lieve arancio.
Sto attendendo quel raggio di sole, lo sto attendendo, è il mio ossigeno quotidiano. Senza sole, la luna muore.

She's a Moonchild

Gathering the flowers in a garden

Lovely Moonchild

Drifting on the echoes of the hours.

Quanto tempo è passato? Giorni? Ore? Secondi? Stacco le mani dalle orecchie, non sento alcun suono, hanno smesso di fischiare ormai qualche tempo fa, ed il dolore ai piedi è svanito.
Se mai l'ho provato.
Mi perdo, fluttuando nel tempo, mentre la luna svanisce ed io muoio. L'alba, la odio, perché non c'è la luna e non c'è il sole. È solo bianco, il mondo è bianco, è piatto, e sembra uguale alla mia piccola stanza quadrata. Allora mi chiedo, che senso ha scappare? Che senso ha andarsene se poi il mondo al di fuori è uguale? Quindi mi limito a restare fermo, appollaiato, ad attendere il mio personale raggio di sole.
Alzo la mano per scostarmi un ciuffo biondo dal viso, ed il braccialetto d'acciaio tintinna. Lo osservo, chissà quanto tempo fa me lo hanno attaccato?
00053 è il mio numero di matricola, sono un codice a barre su di un documento. Sono qui, perché il mondo non aveva bisogno di me, né io di lui.

Sailing on the wind

In a milk white gown

Dropping circle stones on a sun dial

Playing hide and seek

With the ghost of down

Waiting for a smile from a sun child.

Non mi è possibile aprire la finestra, né bearmi della brezza che fuori sta spirando. Potrei buttarmi. Così si è giustificato lui. Ed io ho chinato la testa. Senza ribattere.
Chissà perché, ma mi costa fatica parlare, non ci riesco. La mia voce esce spezzata. Amavo cantare, ma poi, qualcosa in me si è rotto.

L'alba svanisce, come un fantasma, ed io volgo la testa alla porta. So che ora arriverà.
La fisso per istanti interminabili, quando poi si apre e nel mio mondo quadrato entra lui.
Il figlio del sole.
Il ragazzo dai capelli biondi, avvolto in un camice svolazzante, con in mano una rosa rossa. La posa sul davanzale della finestra e mi guarda.
“Ciao piccolo Takanori, come stai oggi?” lui è l'unico che ancora mi chiama così. Per lui non sono l'internato 00053.
Annuisco e lui mi sorride. Ecco cosa aspettavo. Il suo sorriso. Il suo dolce sorriso. Il mio personale raggio di sole. Lui mi guarda contrariato osservando il muro sanguinante.
“Quante volte ancora devo mandare qualcuno a sbiancarlo?” mi chiede, ed io scuoto le spalle.
“Va bene, non te lo farò rimuovere... a patto che non ti tagli più. Okay?” mi porge il dito mignolo per suggellare la nostra promessa ed io tendo il mio, intrecciandolo. La sua pelle è calda. È davvero un figlio del sole.
“Piccolo Takanori, oggi non so per quanto tempo posso restare, devo andare ad accogliere un nuovo ragazzo. Vedrai, ti piacerà, si chiama Yuu Shiroyama, è il numero 00078”.
Annuisco, immaginandomi il nuovo ragazzo.
Perdo il conto del tempo che passo con il figlio del sole, lui pulisce, elimina i frantumi di coccio dal pavimento e mi fascia la mano ed i piedi feriti. Poi osserva con me il quadro di sangue sul muro.
“Sei bravo a disegnare piccolo Takanori” mi sorride, ed io rinasco. La luna, dopotutto, cos'è senza il sole? Poi lui si alza e torna alla porta, salutandomi con un gesto allegro della mano.
Io ricambio, incapace di trattenerlo con me. Ma prima che se ne vada, prima che mi lasci, riesco a sussurrare, dopo anni in cui non dicevo nemmeno una minuscola frase.
“Non andare Akira”.

   
 
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