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Autore: Roxette    15/03/2007    1 recensioni
Questo è quello che ho pensato quando ho sentito della rottura dei lucchetti attaccati al lampione centrale del ponte Milvio, reso ancora più famso dal libro di Moccia. Non l'ho mai letto e nemmeno mai visto il film.. perdonatemi ^^"""
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Ehi, sta per arrivare una coppia proprio ora, ti conviene toglierti da lì o sembrerai più matta di quello che sei.. se è possibile..- borbottò una voce che pareva bassa e disinteressata. Veniva da lì vicino, guardai alla destra del palo della luce pieno di lucchetti, da me odiato, e lo vidi.

Era sul parapetto, accucciato, seduto sui talloni e con l’aspetto selvatico.

Il braccio con il gomito poggiato sul ginocchio sinistro e lasciato a penzoloni in avanti. La destra poggiava anche sul rispettivo ginocchio e teneva una sigaretta consumata fino a metà.

Stranamente, mi fece tornare alla mente una vecchia storia che lessi qualche anno prima.

Indossava una maglietta a maniche corte bianca e semplice con un icona "Hard Rock" scolorita sulla parte della spalla posteriore. Un paio di jeans strappati in fondo sugli orli a furia di andare a contatto con l’asfalto. Aveva degli attrezzi attaccati alle gambe.. doveva fare un lavoro da meccanico o simile. Le scarpe all star bianche e nere anch’esse dall’aria consumata e usata.

I capelli medio-lunghi e scompigliati di un castano chiaro e scuro al tempo stesso. All’orecchio sinistro aveva un orecchino circolare e normale.

Che sfortuna avere un occhio come il mio, perché ai miei occhi, parve solo come un gran bel modello per un disegno di un esperto. Sarebbe stata una scena davvero da immortalare, con quel soggetto, seduto alla sua maniera sul parapetto sporco e di colori che variavano dal marrone al nero e il grigio. La luce del lampione proprio lì di fianco e davanti a lui il Tevere, le sue luci lontane e cittadine, il tutto sotto di un cielo stellato e valorizzato ancor di più da una luna quasi piena.

Dovetti risultare al quanto idiota, ferma ancora lì mentre tentavo di togliere via a forza i lucchetti poco prima e ora a guardarlo attonita senza nemmeno rispondere alla sua frase. Intanto lui continuava a boccheggiare la sua sigaretta senza problemi al mondo.

Sentendo l’avvicinarsi di quella coppia di cui parlava lui, spense la sigaretta gettandola nelle fredde acque sottostanti e saltò giù dal suo trespolo.

Si infilò le mani in tasca e mi osservò con indifferenza mentre rimanevo ancora lì.

-Dì, sei sorda per caso?- chiese lui.

Ora gli vedevo gli occhi, erano azzurri, ma non sporchi come i miei verdi, no..

I suoi erano limpidi sotto la luce del lampione sembravano brillare.

Ma.. tutto ciò, non saprò mai come mi venne in mente.

Mi scrollai dalla testa certi pensieri idioti e mi allontanai da quel palo della luce il più che potevo. Andai all’altra sponda del ponte e mi appoggiai al parapetto lì.

Era inutile continuare a guardarlo, se ne sarebbe andato ora, disinteressato quanto me a parlarci ancora.

Sbuffai e ripensai a quanto era ridicola la mia vita. Ero passata dalla rabbia per l’amore e per quel palo, all’odio puro e infine, passai all’analisi di quel ragazzo che tanto mi faceva tornare alla mente una storia che avevo letto e riletto.

Sentii a malapena i passi alle mie spalle. Pensavo fossero di quella coppia che stava arrivando. Ma non lo erano.

Saltò ancora sul parapetto freddo il ragazzo e, questa volta, si sedette con le gambe a penzoloni verso il Tevere sotto di noi.

Pareva totalmente disinteressato al fatto che se fosse caduto se la sarebbe vista brutta..

-E se cadessi?- chiesi a lui voltandomi a guardarlo con sguardo arrabbiato, alludendo proprio a lui.

Mi guardò e sospirò poi tornando a guardare davanti a se.

-Non cadrò.- rispose deciso poggiando i palmi sulla pietra ai lati del suo bacino.

-Come fai a saperlo?- chiesi guardando anche io l’orizzonte davanti a noi. Che vi era di così interessante lì da guardare per un ragazzo simile?

Lui non rispose subito, ricordo che si incrociò le braccia dietro la testa e si buttò la schiena all’indietro. Rimase lì in quella strana posizione in equilibrio con la schiena. La testa poggiava nella parte interna della balaustra, se fosse caduto, avrebbe solo battuto la testa fortemente e basta. Le gambe, prima a penzoloni, poi ancorati contro la pietra della parte esterna della balaustra.

Era un ragazzo insolito proprio.

-Lo so.- mi disse, e impiegai un minuto buono per capire se avesse risposto a quel che avevo pensato, ma dopo ricordai il nostro scambio di domande e risposte insensate.

-Lo sai?- chiesi scettica tornando però a guardare l’orizzonte – ci si ostina a credere di sapere sempre tutto alla nostra età, ma in realtà non abbiamo niente.. non sappiamo niente.. non crediamo in niente..- non piangevo, ma sembrava che in me qualcosa perdesse forze pian piano. Più quella sera pensavo a ciò e più mi rendevo conto di ciò che ero in realtà.

Già, cosa ero in realtà?

-Ognuno crede ciò che vuole, pensa ciò che vuole e ha ciò che merita.- borbottò il ragazzo ancora in quella posa strana.

Distrattamente mi chiesi se il sangue non gli stesse andando al cervello oramai.

Ma le sue parole mi fecero pensare.

-Bhè.. sono parole già sentite, strasentite e ripetute fino allo sfinimento. Ma hanno un vero significato, dopotutto?- chiesi più a me che a lui.

Mi trovavo a parlare con un acrobata da circo, nel posto che odiavo di più al mondo e di discorsi filosofici senza fine.

Dietro di noi, arrivò la coppia. In ritardo perché continuavano a sbaciucchiarsi ogni secondo.

Mi voltai un poco ad osservarli.

Erano ubriachi a quanto pareva..

Lui prese qualcosa dalla tasca e la baciò. Salì in piedi sul parapetto e, reggendosi al palo, attaccò in cima il loro lucchetto a due chiavi e con su scritti i loro nomi con indelebile nero. Saltò giù e, assieme alla sua ragazza, lanciò le chiavi nelle acque del Tevere. Testimone della loro promessa.

-Come due sposi che, davanti al prete, che sarebbe il palo della luce, giurano amore eterno chiudendo il loro lucchetto. Buttano poi via le loro due chiavi come per suggellare la loro unione. Fedi che in realtà non servono se non come fatto simbolico buttandole al Tevere, il loro testimone prediletto in questo scenario d’amore e magia..- mormorò il ragazzo lì di fianco a me.

Rimasi colpita dalle parole che usò e dalle sue allusioni.

Mi voltai del tutto e poggiai i gomiti dietro di me sulla roccia fredda. I due innamorati si allontanarono sempre sbaciucchiandosi e tubando come tortore..

-Ma.. quello..- mormorai guardando ancora il lampione dei lucchetti – quello io non..- voltai il viso dalla parte opposta al ragazzo ancora in posa acrobata. Faticai a parlare ancora, dentro di me continuai a perdere le forze ancora, sempre di più. Mi chiedevo quanto tempo ancora resisterò così..

-Dì, non dirmi che non sopporti quel palo di lucchetti.. è da idioti pensare una cosa simile..- disse il ragazzo castano rimanendo ancora così.

Io reagii dentro di me, ma feci una risatina al quanto nervosa e guardai l’oggetto in questione.

-Hai ragione.. è da idioti patentati..- proferii con gli occhi fissi su quella torretta di lucchetti e, senza accorgermene, un liquido caldo scivolò sulle mie guance. Era caldo e allo stesso tempo appiccicoso e freddo sulla pelle.

Stavo piangendo.

Non ci credei.

Stavo davvero piangendo lì? Davanti a un ragazzo sconosciuto? Così?

Non era da me piangere, figurarsi a quel modo e così..

Lui se ne doveva essere accorto perché, sentii un sussulto e mi voltai verso di lui.

Lo guardai proprio cadere e sbattere la testa a terra. E, mentre lui si rialzava e si tastava la testa con la destra, non potei fare a meno di ridere.

Non capisco ancora ora perché. Prima piangevo come una deficiente e poi ridevo come una.. deficiente..

Quale mistero.. l’umore di una ragazza adolescente in certi momenti della sua vita..

Ridevo continuamente e in quel mentre piangevo anche come una fontana. Finii per piangere e basta.. Tanto che quel ragazzo non sapeva che fare, muoveva le mani, agitato, vicino al mio viso mentre io ero un po’ piegata su di me per proteggere gli occhi dalla luce di quel dannato lampione. Con le lacrime agli occhi era anche peggio osservare la luce di esso. Così forte e abbagliante..

Ad un tratto, lo sentii sospirare ampiamente e mi posò la mano destra sulla testa. La muoveva un poco a casaccio, tanto che non fece altro che scompigliarmi i capelli..

Ma in quel momento, il tocco così caldo di qualcuno.. mi prese alla sprovvista.

Era piacevole e rilassante.. avrei potuto rimanere in quella maniera con lui per ore e ore.

Ma poi lui cantò, e rovinò tutto..

- Ricorderò e comunque e so che non vorrai.. Ti chiamerò perché tanto non risponderai.. Come fa ridere adesso pensarti come a un gioco.. E capendo che ti ho perso.. Ti scatto un' altra foto.. - la voce tonante e voleva essere tranquilla, ma..

Alzai il viso e lo guardai in maniera dubbiosa che poi diventò arrabbiata e irritata. Come poteva cantare una canzone simile, lì, così.. La odiavo!

Mi sembrava insensato al massimo. Non vi era un perché logico. Non doveva e basta.

-Dì, mi hai presa per una di quelle ragazzine che smania dietro i libri e i film di Moccia e che, dopo una delusione amorosa, sia arrivata qui per prendermela con i lucchetti che simboleggiano amore eterno?- chiesi tirando su col naso. Mai niente fazzoletti quando servivano..

-Già, in principio avevo pensato questo, ma..- si allontanò da me e si diresse verso il lampione dei lucchetti detestati – ma.. quando ti ho vista meglio, il tuo sguardo non era ferito per un amore finito.. Non avevi un atteggiamento tale.. anzi.. sei molto orgogliosa, eh?- mi chiese sorridendo.

La prima volta che lo vidi sorridere davvero. Rimasi un po’ lì impressionata da quella visione.. Era un ragazzo uscito da una rivista? Era perfetto in estetica..

Mi adombrai di nuovo..

-Odio troppo quei lucchetti..- mi confidai abbracciandomi le braccia al petto. Era difficile di solito esternare un pensiero così profondo, ma con lui niente era difficile. Lo avevo imparato in quell’ora buona.

-Io.. ogni mattina.. devo passare di qui per andare a scuola e al ritorno a casa..- dissi tenendo lo sguardo basso – e.. ogni volta che passo qua davanti e li vedo.. tutti questi lucchetti.. fanno male. Non li sopporto tutti questi..- mi fermai sentendo il rumore di qualcosa di forte che cadeva a terra. Alzai la testa e lo vidi tagliare con una pinza potente i lucchetti attaccati lì.

Mi venne il panico, il terrore e la paura di colpo a fior di pelle.

-Fermo!! Cosa fai!?- urlai.

Corsi da lui e tentai di fermarlo afferrandogli il braccio con forza, ma non si fermò del tutto. Con l’altra mano continuò a staccare i lucchetti da lì.

-Perché?? Che diavolo ti è saltato in mente!?- il tono mio incredulo, ma non si fermò per questo.

-Ehi! Parlo con te! Che diavolo fai?!- urlai ancora.

Che strano urlare così apertamente e a voce alta.. Non l’avevo mai fatto.. Si stava bene però.

-Voglio aiutarti.. quindi, tolgo i lucchetti..- mormorò lui, mentre continuava a staccare catene e altra ferraglia attaccata lì.

Io cedetti e lo lasciai continuare. In quel momento non so cosa mi spinse a lasciarlo fare..

Era strano..

Faceva tutto con impeto e determinazione spontanea..

Tutti trovavano romantico attaccare i lucchetti e gettare le chiavi nel Tevere giù di sotto..

Ma, in quel momento, trovai più sentimentalmente coinvolgente e più espressivo, distruggere tutto quello. Caddi pian piano a terra sedendomi lì, sul ponte, fu il momento in cui le forze mi lasciarono del tutto..

Lui continuava imperterrito con il suo silenzioso lavoro con le pinze, che ho scoperto poi essere un attrezzo che usava proprio sul lavoro da meccanico, come avevo pensato.

-Rei Kashino..- mormorai, quasi senza rendermene conto, a voce alta e udibile.

Lui si fermò un secondo per poi continuare ascoltando le mie parole.

-Rei Kashino?- domandò interessato.

-Sì.. insieme a Kira Aso, è il protagonista di un fumetto giapponese di Fuyumi Souryo.. una disegnatrice straordinaria..- iniziai a raccontargli a grande linee la loro storia e arrivai circa a metà, poi mi bloccai.

-Sai.. c’è una frase di quel manga che mi ha colpito particolarmente.. rimasi a pensarci per giorni e mi sembra sempre, ancora ora, bellissima..- mormorai, mentre lo sentii fermarsi.

Sorrisi un poco con le lacrime agli occhi, sempre seduta a terra senza forze per il troppo pensare e le troppe realtà scoperte..

Sentii un rumore, i suoi passi che si avvicinavano e poi lui si sedette davanti a me a gambe incrociate e con i gomiti sulle ginocchia. Le mani a penzoloni davanti a se. Eravamo poco distanti l’una dall’altro.

-Dì, sono curioso.. ti ascolto..- mi disse.

Strano.. in effetti, non molte persone mi dissero cose come: "ti ascolto.." quella giornata era strana dalla nascita..

-Dunque.. la frase era così..- mi schiarii la gola e tossicchiò un poco, ma poi parlai.

-I due protagonisti, parlano della fine del mondo, e Kira chiede a lui cosa avrebbe fatto se fosse successo davvero.. allora lui le risponde: "Beh...se dovesse arrivare la fine del mondo...mi faresti un favore? Baciami un attimo prima della fine!"..- sorrisi e mi sedetti meglio, per abbracciarmi le ginocchia al petto.

-Trovo che questa frase.. non lo so.. credo sia stupenda..- commentai.

-Hm.. troppo mielosa forse..- disse lui grattandosi un poco il mento.

Il sorriso mi rimase.

-Ma, mi è tornato in mente perché.. tu assomigli tantissimo al protagonista. Rei Kashino..- sospirai, mi misi a giocherellare con un filo del mio poncho nero.

-Hm.. bhè, scommetto che però, il carattere non è affatto compatibile..- si grattò ora un poco dietro alla nuca con distrazione.

-Una sua frase è: "Ho pensato un attimo che... se posso provare una sensazione del genere allora non ho più paura di morire" e me l’hai fatto venire in mente dal tuo modo di fare e da prima.. Quando stavi sul parapetto, prima.. e abbiamo iniziato a parlare..- dissi sospirando e guardando in un punto imprecisato del pavimento.

-Se lo dici tu..- mormorò lui, e seguì il mio sguardo, cercando di capire dove guardavo.

-I lucchetti..- mormorai alzandomi in piedi e avvicinandomi a quelli.

-Non capisco più ora.. perché mai questi oggetti dovevano farmi male?.. Mi sentivo nauseata non appena li guardavo anche solo di striscio..- poi capii e di colpo lasciai cadere il lucchetto che avevo appena preso in mano da terra. Possibile che..!?

Abbassai lo sguardo e mi abbracciai le braccia da sola, ancora. Le lacrime di nuovo negli occhi.

-Già, ho capito.. ero solo gelosa..- mormorai mentre tentavo di guardare tutti quei lucchetti per terra. Promesse svanite per molti ora..- ero gelosa di ciò che loro avevano e io no.. gelosa delle loro facce felici e contente.. della loro spensieratezza.. e gelosa di non poter, anche io come loro, attaccare un lucchetto qui con loro..- lacrimai ancora un poco. Ero stata davvero un’idiota.

Mi tolsi subito il poncho guardandomi poi attorno se vi era gente o no. La fortuna volle che non vi era nessuno.

Posai il poncho a terra e vi misi dentro i lucchetti, i pezzi più importanti, d’orati, e scritti. Li misi bene e li arrotolai nel poncho scuro.

-Devo a loro delle scuse..- mormorai voltandomi verso di lui. Lo vidi sorridere un poco.

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