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Autore: Soffidea    31/08/2012    2 recensioni
Le riflessioni di chi ha gettato alle spalle una vita da umano per divenire un'arma contro il peccato.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Shiva
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il suo odio


Il suo, era un mondo di cristallo.

Quando concedeva ad un raggio di luce di entrarvi in punta di piedi, persino l'aria brillava. Il ghiaccio ricopriva ogni superficie, ciascuna goccia diventava un diamante nelle sue mani. E se la sua casa era un gelido abbraccio di gioielli trasparenti, la gemma più preziosa di tutte era colei che l'abitava. Un'anima unica al mondo, un potere talmente straordinario che lei sola poteva fregiarsene. Nessuno riusciva a raggiungerla senza il suo consenso, nulla avrebbe mai minacciato la serenità della sua dimora. Alcuni la veneravano.

E agli occhi di molti, la sua era una vita perfetta. Eccetto che nessuno sapeva com'era realmente l'esistenza che suscitava l'invidia altrui. Non che i pensieri degli uomini potessero scalfire la sua figura di eone, si limitavano a sospirare con dolce rammarico verso un'opportunità che, in altri tempi, sarebbe stata alla loro portata. L'intercessore era una figura importante quanto quella dell'evocatore: senza armi, nessuna anima mortale, pur se pronta all'estremo sacrificio, avrebbe potuto sconfiggere i peccati dell'umanità. Non moriva, diveniva semplicemente qualcosa di diverso: spoglia del proprio retaggio terreno, l'anima trovava nuova forma per mettersi al servizio della battaglia suprema. Essere una creatura maestosa, potente ed immortale sembrava una prospettiva migliore al dover coltivare un campo, o perire per sigillare i peccati di tutti. Pensieri frivoli di menti cieche, quando giungeva il momento di cercare un intercessore i volontari erano rari. In fondo, erano soltanto esseri umani.
Il loro era un mondo viziato da un rituale che si ripeteva all'infinito, vivevano nel terrore dei peccati commessi anelando alla pace, qualsiasi forma questa avesse scelto di incarnare. Erano bestie stupide, pronte a nascondersi sino alla fine dei loro giorni, a invocare il sacrificio degli altri, a lasciar immolare i loro amici nella speranza di vivere lontane della minaccia costituita da Sin. Nascevano, vivevano e morivano per il Bonacciale, anche se questo fosse durato un giorno soltanto.

Nonostante il suo animo ne fosse privo, lei stessa era frutto di quella loro ossessione per la pace.
Distante, superiore, immutabile. La regina dei ghiacci era tutto questo. Ma era uno strumento che pensava, ricordava e soffriva. Aveva vissuto brevi attimi al fianco di chi aveva giudicato degno, troppo pochi per apprezzare quel mondo che i suoi protetti si impegnavano a salvare. Un tempo era stato anche il suo, lo sapeva, non era all'oscuro della propria nascita. Ma al posto dei ricordi appartenuti ad un suo io passato, c'era soltanto un oblio silenzioso. E la solitudine che la circondava nella sua esistenza attuale.
Il ghiaccio che avvolgeva il suo mondo era lo stesso che le proteggeva il cuore. Duro, perchè non poteva concedersi agli animi deboli. Gelido, perchè non doveva essere facile farsi carico del suo potere. Eterno, perchè nell'attimo che avesse permesso ad un sorriso di incrinarlo, sarebbe giunta la sua ultima battaglia.

Lei odiava gli uomini per averle sottratto il ricordo.
Lei odiava il Bonacciale per la sua natura illusoria.
Lei odiava Sin perchè non poteva far altro che ritornare.

E non provava alcuna simpatia per gli evocatori. Li riteneva creature vanesie, capaci com'erano di gettare tutto in nome di un'ideale. Ne aveva esaminati troppi, ed i loro atteggiamenti andavano dalla supplica alla boria. Quando ne entrava uno nel tempio, lei aveva paura. Di vederli vincere, di soffrire per mano loro. Non lo ammetteva, non poteva. Era scocciata dalle loro visite perchè non desiderava ascoltarli, nè trascorrere il proprio tempo alla loro mercé. Si diceva che era futile servire qualcuno talmente sciocco da non capire che, nella migliore delle ipotesi, la sua morte sarebbe stata soltanto un espediente per rimandare il peggio.
Quelli che detestava di più erano coloro che, forti di conquiste in altri templi, le si imponevano esigendo la sua forza come se il suo assenso fosse scontato. Ma doveva dare una possibilità a tutti, era il suo compito. E così, li sottoponeva ad un esame incessante e minuzioso, analizzandone la mente, scrutando ogni anfratto del loro animo. Voleva piegarli, portarli al limite e scaraventarli oltre la soglia che li avrebbe fatti desistere. Spesso, ci riusciva.
 
Più di ogni altra cosa al mondo, lei odiava gli invocatori che passavano la sua prova.
Quando quelle minuscole creature si donavano a lei, conficcavano una scheggia della loro esistenza nel suo cuore di ghiaccio. Il loro legame durava poco, gli istanti che trascorrevano insieme erano soltanto frammenti nella vita che quegli sciocchi si ostinavano a gettare. Shiva era un'arma cui donavano rispetto, grati della sua benevolenza. E loro erano i suoi protetti, avrebbe dato il meglio di sè sotto il loro comando. Insieme, avrebbero ottenuto quel miraggio chiamato pace.
Almeno per un po'.

Lei odiava gli invocatori perchè divenivano i suoi figli, perchè le ricordavano che la solitudine poteva esser scacciata, perchè si gettavano in una battaglia che non sarebbe mai stata vinta davvero, perchè non poteva salvarli. Li odiava perchè sapevano farsi amare. Sì, odiava anche quella ragazzina che la stava pregando da ore. Sapeva che alla fine, la sua morte le avrebbe strappato una lacrima, un nuovo cristallo per il suo mondo di ghiaccio.
Ed odiava sè stessa perchè l'avrebbe concesso.

 

 

 

 

 

 

 

Questo brano è stato un po' un esperimento, ho rispolverato un fandom che non toccavo da anni e ci ho scritto sopra la mia prima fanfic.

Ha avuto una sorte sfortunata, nato per un concorso che alla fine si è dissolto in una bolla di sapone. Non mi convince appieno ma non ho avuto cuore di gettarlo e via.

  
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