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Autore: j a r t    04/09/2012    3 recensioni
Chester ha 16 anni ed è al liceo. Si sente giustamente incompreso e solo, i suoi compagni di classe non fanno altro che prenderlo in giro. Arriva però una nuova professoressa che vuole aiutare Chester a superare il suo momento difficile e gli fa capire che la vita ha in serbo per lui un destino diverso da quello che immagina.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Chester Bennington
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: chebbello, un capitolo quasi lungo *w* anche se non mi soddisfa molto, boh, vedete voi *si aspetta critiche negative da tutti* ;A;
Buona lettura D: (se ci riuscite)
CHAP 7

Passarono un po' di giorni con il noioso andirivieni casa mia/casa della prof/scuola. Era solo una perdita di tempo cercare di farmi studiare, ma sia Brian che la prof erano ancora convinti di poterci riuscire. In realtà per me era tutta una scusa per smettere di farmi. Loro invece ci credevano davvero. A casa mia ci tornavo solo quando Brian ritornava da lavoro e in quel modo avevo sempre qualcuno che mi facesse compagnia. Non nascondo che iniziai anche a parlare senza vincoli con Sally e ad interessarmi a lei - come amico, eh! - ma non le avevo ancora rivelato tutti i particolari del mio passato perché doveva saperlo meno gente possibile. Dire a una persona che ero stato stuprato e mi facevo di canne e quant'altro era un tuffo al cuore.
"Che mi dici dei tuoi?" mi chiese Sally quel pomeriggio, inconsapevole del mio diciassettesimo compleanno. Cercai di sviare la domanda col pensiero, ma l'unica cosa da fare era fingere di non aver capito.
"I miei che?" ribattei al fine di sembrare un coglione.
"I tuoi genitori" continuò annoiata alzando la testa dal foglio per guardarmi e riabbassandola subito dopo per continuare a disegnare.
Sospirai. Non mi andava proprio di dirle tutto perché sarebbe stato inevitabile raccontarle della mia infanzia. Non che mi sentissi in dovere di farlo, ma magari sfogandomi con lei ci sarei stato meglio.
"Mia madre se n'è andata di casa, poi è morta; anche mio padre è andato via, ma non è morto ancora. Credo."
Smise di disegnare di botto e mi guardò rattristata e risentita per avermelo chiesto. Aspettai che mi sorridesse, ma non lo fece. Era una delle decine di persone che mi compativano e in tutta risposta io le odiavo. Non avevo bisogno di far pena a nessuno, volevo solo essere lasciato in pace e lontano dai miei ricordi.
Riabbassò la testa sul foglio senza fiatare per qualche interminabile minuto.
"Mi dispiace" concluse amareggiata.
Sì, adesso detestavo anche lei.
"Ma sai, è così che va per alcuni. C'è chi ha tutto e c'è chi ha niente" continuò senza che me lo aspettassi "io abito in questa bella casa e ho una brava madre, è vero, ma non ho un padre. O meglio, ce l'ho ma se ne frega di prendersi le sue responsabilità e io lo lascio lì in Australia, magari i canguri lo fanno a pezzi."
Si sforzò di sorridere ma capii che stava iniziando a piangere.
"Anche se non ho mai sentito di canguri assassini" singhiozzò.
Non sapevo cosa fare in quel momento. Io ero sempre quello compatito, mi trovavo sempre al posto della vittima, mai di colui che cercava di rassicurarla. In quel momento capii finalmente cosa provava mio fratello Brian e compresi quanta pazienza e quanta forza di volontà aveva. Al contrario, io ero un debole.
Sally si voltò verso di me di scatto, con il volto allagato da fiumi di lacrime.
"Adesso dimmi: come cazzo fai a vivere una vita normale dopo aver passato tutto questo, dopo essere stato abbandonato da entrambi i tuoi genitori? Dimmi il segreto, ti prego..."
"È solo una minima parte di quello che ho passato, credimi" risposi con tono basso.
Lei abbassò lo sguardo e asciugò le lacrime con il dorso della mano.
"Avrai comunque un segreto..." continuò dopo poco, singhiozzando.
Stetti un po' in silenzio, poi risposi.
"Sai... si chiama droga. Ma non è una bella cosa, ti crea ancora più problemi e io sto cercando di uscirne."
Ebbene, alla fine le avevo detto un'altra cosa di me che stavo cercando di nascondere.
Lei sgranò gli occhi appena sentì la parola ’droga‘ e mi lanciò uno sguardo profondo, quasi incredulo.
"È solo per questo che hai cominciato con la droga, per una cosa così... beh, quasi stupida?”
No, non solo per questo, per molto altro. Mi sedetti accanto a lei e osservai il suo disegno. In realtà avevo solo bisogno di un punto in cui guardare che non fossero i suoi occhi.
"Sono stato stuprato quando ero più piccolo. Da un ragazzo" cominciai e alla fine le racontai tutto, senza omissioni, nonostante la mia mente continuava a dirmi di smettere. Potevo fidarmi di lei perché condividevamo una parte di dolore, anche se piccola.
Terminai il racconto. Il suo sguardo era stato tutto il tempo rivolto verso il basso.
Stava per compatirmi, lo stava facendo e, cazzo, proprio non lo volevo! Ero sicuro che...
Alzò la testa e mi colpì con un pugnetto sulla spalla.
"Sei forte" disse sorridendomi.
Non mi aveva compatito. Non aveva provato pena per me. No, non lo aveva fatto! Le sorrisi anch'io e quello fu il mio primo sorriso dopo mesi, forse anni. Non ricordavo più l'ultima volta che avevo sorriso.
 
Parlammo per circa un'oretta di noi e di ciò che ci piaceva mentre disegnavamo. Io ero una schiappa a disegnare, mentre lei se la cavava abbastanza bene. Ripensandoci, non sapevo fare un emerito cazzo. O quasi.
"Quand'è il tuo compleanno?" mi chiese bruscamente e smisi di disegnare quello che avrebbe tanto voluto essere Scott Weiland ma stava uscendo troppo male.
"Oggi" risposi quasi indifferente tornando a disegnare.
Ci restò un po', poi mi diede un altro pugno leggero sul braccio. Era fissata?
"Auguri, allora!" esclamò "Quanti anni?"
"Diciassette"
"Wow, abbiamo solo due anni di differenza, allora! Ma come mai fai il secondo anno di liceo?" domandò curiosa.
"Sono stato bocciato, ma adesso hanno deciso di non bocciarmi più: non mi vogliono ulteriormente tra i piedi."
"Capito."
 
Continuammo per un'altra decina di minuti a disegnare e parlare di noi. Poi fu tempo di "studiare" con la prof.
"Cos'è quello?" mi chiese Sally vedendo lo sgorbio che avevo creato.
"È il cantante degli Stone Temple Pilots."
Rise istericamente.
"Sembra un misto tra un cavallo e un robot!"
"Ah, grazie..." sospirai tristemente.
"Dai, non prendertela! Come ti sembra il mio?" domandò poi mostrandomi il suo foglio. Aveva disegnato un bell'angelo. Sì, proprio bello.
"Bello" risposi semplicemente.
Dopo poco la prof venne a chiamarmi per le ripetizioni e salutai Sally per seguire la donna in cucina. Ci sedemmo al tavolo e aprì i libri.
"Posso non studiare? Oggi è il mio compleanno..." sperai di convincerla.
Lei mi guardò annoiata.
"Beh, auguri" ignorò la mia richiesta sorridendomi.
"Dai, solo oggi..." cercai di convincerla di nuovo.
"Solo oggi? È una vita che non studi" mi fece notare.
Mi zittii perché aveva ragione.
Decidemmo (o meglio, decise) di fare matematica. Iniziò a spiegarmi delle cose tipo ’monomi‘ e altre che terminavano sempre in -nomi che però non ricordo.
"Ok, ho capito" finsi, ma era l'ennesimo buco nell'acqua.
Facemmo degli esercizi insieme e iniziai a capirci qualcosa, anzi, capii tanto da fare un esercizio da solo abbastanza bene.
"Bravo!" esclamò soddisfatta la prof "adesso possiamo andare a festeggiare il tuo compleanno, che ne dici?"
Mi si illuminarono gli occhi.
"Andiamo in una pizzeria, ok?"
Annuii allegramente e sia lei che Sally andarono a prepararsi per uscire.
  
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