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Autore: adelfasora    05/09/2012    2 recensioni
Un bagno. Una donna. Una ragazza creativa a immaginarla.
E a cambiare sono entrambe. Un amore, come detta il contest a cui ha partecipato: Destini: Storia di un grande amore, indetto da MissNanna.
'68, dove cambiare era la parola d'ordine. E, forse, alcuni, passo passo, addirittura si trasformavano, fino a inventarsi.
***
[...] - Mi degneresti di uno sguardo meno altezzoso? -
Ma lei, la ragazza perfetta, aveva già volto lo sguardo altrove, dove avrebbe dovuto stare da prima.
Non poté fare a meno di accorgersi, però, che davvero avrebbe voluto anche lei che qualcosa cambiasse.
- Professore, la sua lezione è soporifera, e credo che dovrebbe alzare la testa dal libro e spiegare per davvero, stavolta. -
Sbattuto fuori. Ovvio. Che razza di idiota. [...]
- Allora perché sei ferma a fissare il tuo fantastico vestitino rosa? -
- Posso indossare i tuoi jeans? - [...] Esiste una guerra per la pace?
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nick forum/efp: Adelfasora

Titolo storia: Inventami.

Rating: Verde.

Note: Che dire? Anch’io sono solita osservare persone. Mentre cammino rapida verso qualcosa, quando rimango vaga a fissare il vuoto (e come si fa a fissare al contempo della bella gente? ..mistero!) o se sto immobile a non far nulla. Guardare, osservare, ascoltare e sentire. Cosa cambia?  

Ho cercato di dare a questa storia un che di fondato. Wikipedia ha aiutato, posso dirlo? Ah, prendeteli un po’ come Renzo e Lucia: Manzoni ha preso una coppia ai margini, una coppia non protagonista, e le ha fatto vivere il secolo. Io ho preso due esseri di sesso opposto,  e ho cercato di vedere cosa su di loro gli sconvolgimenti di quell’anno hanno comportato. A proposito: prima persona, non autobiografico, senza nomi (immedesimarsi è il limite?).

ps. Ho avuto problemi con l’anno, poiché dal ’68 la donna in abito lungo aveva da poco raggiunto la maggiore età, e da lì le ho fatto raggiungere la quarantina. E credo sia tutto. Attention: Non ho capito bene chi sia il vero protagonista di questa one-shot. E forse sono stata un po’ drastica e riassuntiva alla fine.

 

 

 

 

Anno “flashback” (se così lo si vuol chiamare): 1968.

Anno corrente, 1991.

 

Immaginami.

-e poi inventami-

 

 

 


Un conato. Eccolo che arriva, potente, e la nausea mi travolge. Sarà l’ipocrisia dei miei fedeli e uniti compagni di classe, oppure l’aver bevuto un bicchiere di vino nonostante sia astemia? Forse perché sto qui a costringere i muscoli facciali a sorridere con persone che nemmeno mi guardano in faccia davvero. Già me le vedo, a sparlare dei miei sani principi, del mio sogno di diventare insegnante, della mia sconvolgente anonimità. Davvero di troppo in un posto dove figli di papà si riuniscono a parlare di cose futili, perché quelle importanti non fanno mai abbastanza scalpore. Un lampadario di cristalli – mi viene il dubbio che sia di diamanti -  penzola in maniera regale a molti metri d’altezza da me. Sarà che anche per lui un essere così scialbo, comune e senza personalità debba essere tenuto a distanza?

Ad ogni modo, devo raggiungere un bagno, e in fretta. Non vorrei mai sconvolgere queste simpatiche e quasi sconosciute persone al mio tavolo alla vista del mio malessere. Per quanto non sopporti di finire in una toilette, anche se di questo livello, dove l’igiene non è garantita mai abbastanza, allontanarmi da questa tavolata così piacevole è doveroso.

Fingendo mentalmente un abbozzo di inchino, certa che nessuno si renderà conto della mia assenza, nonché esistenza, mi avvio ai famigerati servizi pubblici.

Mantenuti dignitosamente, devo ammettere. Lo specchio rimanda il mio riflesso e rido, poco e sommessa, pensando che anche di fronte a quell’oggetto sembro scomparire. Praticamente un’immagine sbiadita con i miei capelli bruni, né ricci né lisci, con il mio volto, né roseo né abbronzato, con le mie dita corte, le mie gambe tozze sulle quali ci sono ancora i segni arrossati della ceretta. Sono sempre io, scontata e superflua. Per questo posto, come per un altro.

Così diversa da quella donna per cui perfetta è poco, bellissima un eufemismo, che ho appena scorto essere apparsa da uno dei bagni. Circa sette, e abbastanza spaziosi. Le pareti color panna si sposano in pompa magna con il colore e la forma del suo viso, e si erge come una Venere nel suo abito scuro, lungo e adatto a quel ristorante così elegante. Ma ciò che mi colpisce, nel mio animo romantico e sognatore, sono i suoi occhi nocciola, grandi e seri, profondi e pensierosi, mentre nota la mia blanda presenza.

Vorrei uscire dignitosamente di scena, ma mi fermo, un po’ a pensare se quell’abito fosse stato bianco e gli occhi grandi e spalancati, per la spensieratezza e felicità. E sognatrice resto, a immaginare chi sia stata la giovane ragazza che è diventata una tale donna. E’ forte, io lo sento. Forse qualcuno potrebbe vederla come la miss Italia di una decina di anni fa, o la velina della stagione passata, ma la sua bellezza è tutta dentro. Mi osservo di nuovo, in quello specchio, e scioccamente spero che anche una come me, in qualche modo, possa diventare … così, come lei.

Continuo a osservare, sfrontata e maleducata, le sue unghie curate, il viso impeccabile con un trucco quasi inesistente perché – com’è che si dice? – “la base era buona”..

<< Se smettessi di squadrarmi come un esemplare circense.. >> Circo? No, al massimo come una di quelle uscite dalle pubblicità sui prodotti estetici, e di quelli costosi. No, non è bella: belle sono tante e spesso simili, artefatte. Lei è particolare.

<< In realtà, ammiravo lo splendore generale. >> Devo averla letta da qualche parte questa frase, chissà.

Ride. E anche la sua risata è gradevole e composta. Già, forse è proprio questo a stonare, la sua compostezza. Perché i suoi occhi me lo raccontano, quel vigore e quel desiderio di ribalta, di cambiamento; sto osservando un leone in gabbia.

<< Guardati meglio allo specchio, allora. Forse noterai che nemmeno tu sei malaccio. >> E, gentilmente, mi aveva preso per le spalle e voltata a guardare il mio riflesso. Sempre la stessa faccia, niente da fare.

<< Forse alcune persone sono destinate a essere malaccio, perché sognano sempre in grande. Tipo una legge del contrappasso, sa? >> E lo dico con una confidenza che, giustamente, non ho.

<< La vuoi sentire una storia? >>

<< Se la raccontate voi, garantisco addirittura di ascoltarla. >>

Ovviamente le ultime due battute sono pura immaginazione, perché lei mi ha guardato, no, osservato con un sentimento impreciso a scuoterla, e infine si è voltata verso l’uscita, con un mezzo sorriso di parole silenziose.

 E mentre la porta si chiudeva, io immaginavo una ragazza di diciotto anni, con una farfalla tatuata sulla schiena, camicia multicolori, jeans stracciati, un sorriso strafottente contro le ingiustizie e per la novità.

Probabilmente era una ragazza già allora di una certa elite, ma spesso e volentieri le cattive compagnie portano sulla cattiva strada. E spesso, si sa, ci si innamora di chi ci tiene testa. E lui lo faceva, sempre sorridente di fronte alla sua diffidenza, dolce di fronte alla sua acidità. Era una ragazza grintosa, ma oggettiva. O meglio, così si definiva.

 

<< Ti immagini di pretendere dal professore Busti di sapere il tuo voto? O di mettere in discussione la sua valutazione? >>

<< Già, e adesso perché non gli dici in faccia che la sua lezione è soporifera peggio dei racconti di guerra di nonno Alberto, e che non imparerai mai a memoria le venti pagine che assegnerà? >>

<< Mi degneresti di uno sguardo meno altezzoso? >>

Ma lei, la ragazza perfetta, aveva già volto lo sguardo altrove, dove avrebbe dovuto stare da prima.

Non poté fare a meno di accorgersi, però, che davvero avrebbe voluto anche lei che qualcosa cambiasse.

<< Professore, la sua lezione è soporifera, e credo che dovrebbe alzare la testa dal libro e spiegare per davvero, stavolta.>>

Sbattuto fuori. Ovvio. Che razza di idiota.

Idiota dalle idee folli e divertenti, però.

 

 

<< Ti immagini ad ascoltare cantanti americani che non sono accettati dalla società? In fondo hanno solo le loro idee. >>

<< .. Tu che ne pensi? >>

<< … >>

La sua bocca, finalmente chiusa, era imbronciata in una posa con un non so che di tenero e accattivante, con le pieghe intorno agli occhi chiari come il cielo più azzurro, a cercare invano una sua risposta.

Domani. Che oggi lo voglio osservare un altro po’. Un altro po’ per cambiare, sì.

Noi che ascoltiamo in uno scantinato che sa di muffa canzoni di un gruppo scomunicato dalla mentalità del nostro tempo.

 

I don’t know how | Non so come
You were diverted | siate stati sviati
You were perverted too | siete stati anche corrotti
I don’t know how | non so come
You were inverted | siate stati capovolti
No one alerted you | nessuno vi ha messo in guardia

 

<< Di te cosa piange, sapendo che sei stata sviata e corrotta? >>

<< Il cervello, ad ascoltare le tue idiozie. >>

Sorriso a 55 denti.

<< Peccato. Io per te mi sveglierei. >>

 

“I look at you all, see the love there that’s sleeping | Vi guardo tutti, vedo l’amore là che dorme
While my guitar gently weeps | mentre la mia chitarra piange dolcemente
I look at the floor and I see it need sweeping| guardo il pavimento e vedo che è da pulire
Still my guitar gently weeps | la mia chitarra piange ancora dolcemente.


E io pulirei finalmente il pavimento. Ma non glielo dirò questo. Magari domani.

 

 

Era tempo di movimenti, di stravolgimenti. Di guerre. Come quella nel Vietnam, che tergiversava con i suoi morti. Un evento confuso – quegli stupidi marinai stavano sparando ai pesci volanti* – che faceva scorrere sangue. Il pretesto, per vedove e orfani.

<< Ti immagini di cambiare? Di ribellarti a questa guerra a cui puoi partecipare solo per radio? >>

Esiste una guerra per la pace?

<< Non lo puoi fare, stupido. >>

<< Io mi ritengo un signor “immaginatore”. Immagina di poterlo fare. >>

<< Sarebbe diventare qualcos’altro. Cambiare significherebbe reinventarsi. >>

<< .. già. Lo sai che hai proprio ragione? >>

<< Ah.. io ho sempre ragione, ricordalo. >>

<< La mia ragazza cervellotica. >>

<< Ammettilo che in realtà stai tentando di marcare il territorio come un animale. >>

<< Solo perché il professore Bunti in storia lo ribadisce in continuazione. >>

<< Oppure perché c’è quel filibustiere tanto carino che si è dichiarato. A me. >>

<< A te.. e quindi? >>

<< E quindi dimmelo tu. >>

<< Ero solo leggermente geloso. >>

<< Marcavi il territorio. >>

<< Per cosa? >>

<< .. dimmelo tu. >>

Perde un battito. Due. E tre. E poi capisce che è impossibile, è solo il suo cuore che sta correndo troppo veloce per poterlo cronometrare.

<< La mia ragazza. >>

La mia ragazza.

Era finalmente arrivato domani. Dopotutto si sa, le ragazze perfette lasciano sempre la prima mossa all’uomo, o presunto tale.

<< Forse mi piaci. Forse potresti invitarmi da qualche parte per uscire insieme, signor animale. >>

Quel fantastico sorriso. Di nuovo, a strapparle battiti troppi rapidi.

E poi, non si sa che a volte anche le ragazze perfette, per colpa di bambini cattivi e perdigiorno, possono stravolgere le regole. E cambiare.

<< ..e va bene. Se proprio devo, ti porterò in un posto dabbene. >> 

Inventami.

 

Era stata cacciata di casa. Si era fatta un bel tatuaggio sulla schiena, a simboleggiare quello spirito libero che la faceva sorridere come quello lì, a troppi denti. Ed era dannatamente, invidiabilmente, indiscutibilmente, felice.

Lui, che la svegliava con una secchiata d’acqua gelida.

Lui che non chiudeva la porta del bagno.

Lui, che la baciava sui capelli dopo aver litigato.

Lui che canticchiando canzoni stonate, la invitava a ballare un lento.

Lui che l’aveva portata a casa sua sulle spalle dopo essere stata buttata fuori. Lei, la figlia perfetta.

<< Che ci fai qui, sotto la pioggia? >>

<< Mi prendo un raffreddore. >>

<< Non è meglio una cioccolata calda? >>

<< No. Cioè, sì. Vattene. >>

<< Sì. Cioè, no. Resto. >>

<< Ok. >>

<< Va bene >>

<< Mi avrai sulla coscienza una volta finita la tua crisi. >>

<< Fottiti. >>

<< Tu sei tu, vero? >>

<< Eh? >>

<< Chi conosco io non avrebbe mai detto “quella” parola. >>

<< Che c’è, hai timore a pronunciarla? >>

<< No di certo. Ma fottiamocene insieme. >>

<< che..?! >>

<< ..Mettimi giù, fottutamente fottuto idiota. >>

<< Anche tu mi piaci, un sacco. >>

<< Ti amo. >>

<< Lo so, scolaretta raffreddata. >>

<< Cioccolata calda? >>

<< Ne ho appena fatto una super mega tazzona. Vuoi condividere? >>

<< No. E’ solo mia. >>

<< E che mi dai in cambio? >> Voce lamentosa e fastidiosa.

<< Non so. Il mio raffreddore? >>

<< Decisamente meglio quello che avevo in mente io. >> Labbra che si scontrano, meravigliandosi di quel contatto troppo breve e tanto caldo. La sua voce era insopportabile, forse. Lui indispensabile, di certo.

 

 

<< Mi ci vedi sposato? >>

<< Chi? Il nostro gatto? >>

<< No. Lui non è il nostro gatto. >>

<< Dimentico sempre che per questa casa animali e insetti sono ospiti e avventurieri. >>

<< Sei ancora arrabbiata per il ragno nel barattolo di nutella. >>

<< Non lo sarei così tanto, se quel miserevole aracnide non si fosse gettato nel mio barattolo pieno di nutella.>>

<< Comunque stai divagando: mi ci vedi sposato? >>

<< Dipende con chi. >>

<< .. suvvia, è il Sessantotto questo! Non puoi farmi discriminazioni sessuali! >>

<< Già. E’ solo che avrei da ridire sulla tua possibile relazione con il nostro gatto Pietro. >>

<< Pietro? >>

<< Già. Ha fatto una bella cucciolata, e ce l’ha portata in casa. L’ha messa nel forno. **>>

<< Bene, micio arrosto, allora! >>

<< .. mi ci vedi sposata? >>

 

 

<< Ci sarà una manifestazione. Ci saranno giovani da varie città, e  lavoratori, operai. Tutti uniti perché la guerra finisca. >>

<< Noi siamo dalla parte della pace. E siamo giovani. Dovremmo sconvolgere gli schemi.>>

<< Allora perché sei ferma a fissare il tuo fantastico vestitino rosa? >>

<< Posso indossare i tuoi jeans? >>

 

C’era un gran caos per quella strada. Gente che si accavallava, e lei stretta a lui, che teneva in mano il suo piccolo e importante cartello, nero su bianco: Peace.

Esiste una guerra per la pace?

 

Drasticamente si cerca di bloccare la folla. La situazione che degenera, una massa senza un obiettivo o un piano. Niente di prestabilito. Spari. Uno sparo, lui che si sporge verso di lei. Lui che l’abbraccia quasi, le sorride. Lui che le sussurra “ti amo”. Lei che non capisce. Lei che cerca il motivo, il motivo vero, per tutto quel dolore. Per quell’incubo dal quale sa di non potersi svegliare. Lei che aveva aspettato domani, per diventare qualcuno. E ora non sapeva perché continuare a farlo. 

E poi scopre che c’è qualcosa che fa troppo male, e che un ordinamento scolastico o dei dischi in vinile dei Beatles non cambieranno tutto. Non lo porteranno indietro. Il solo rimorso di non avergli risposto “anche io”.

Esiste una guerra per la pace?

No.

 

 

 

Sì, sono convinta che se avessi ascoltato la sua storia mi avrebbe raccontato esattamente questo. E adesso non ho davvero voglia di guardarmi allo specchio o tornare in sala, dove non mi aspetta nessuno. Forse scapperò dalla porta sul retro delle cucine, e utilizzerò la mia invisibilità per sconfiggere i malvagi.

 

Avevo messo per iscritto questa mia piccola fantasia, come tante altre, su un sito per aspiranti autrici, dove persone sconosciute dietro un nickname sconosciuto citano frasi altrettanto sconosciute, a commentare. Finché non le si legge.

-E scopri che se le persone si allontanano ci stai male, ma quando ti lasciano per davvero quel vuoto dentro diventa sacro.-

Ho sempre immaginato di conoscere quell' “anonimo” che l’aveva scritto. E aveva un abito lungo e, almeno nella mia immaginazione, bianco.

 

 

 

 

 

 

* Lyndon  Johnson, Wikipedia [cit.]

** Pietro, fa il servizio e torna indietro. [me e le mie uscite senza logica ùù]

Per una maggiore comprensione la canzone è While My Guitar Gently Weeps, dei Beatles.

  
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