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Autore: Soffidea    05/09/2012    4 recensioni
Un tempo l'uomo era il re del mondo. La natura ha scelto di liberarsene.
 
Terzo posto e premio originalità al Freedom Contest indetto da Jayu.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Senza nome


Un essere unico al mondo, nato per costringerli alla fine.



Le loro urla salivano al cielo tra cenere e fumo.
Un concerto di agonia e disperazione divenutole familiare, quella melodia la rincorreva da secoli. Attese che il silenzio tornasse padrone del luogo, espandendosi dal suo animo alle rovine annerite. L'odore della carne bruciata non la infastidiva, la vista dei corpi contratti non la turbava. Ucciderli era ciò che doveva fare, l'unico motivo per la sua esistenza.
Il vento spazzava le terre portandole i loro respiri e lei si muoveva verso quel suono, stanandoli per divenirne la morte.
Un concetto semplice, istintivo.
Non aveva bisogno di mangiare, nè di dormire. Se riuscivano a ferirla, cosa assai rara, il dolore non germogliava dentro il suo corpo, non le impacciava i movimenti. Non sanguinava e non esisteva lesione che potesse piagarle la pelle per più di qualche minuto. C'era stato un tempo in cui la loro civiltà era florida e la natura consunta, un'epoca in cui fermarla era stata la loro priorità. Il fallimento aveva instillato nelle generazioni successive un unico impulso: la fuga per la sopravvivenza. Ed ora, se non scappavano, si intestardivano a ritardare l'inevitabile celandosi e pregando un dio sordo.
Se si nascondevano sottoterra, lei le chiedeva di franare per seppellirli vivi.
Se si chiudevano dentro un rifugio di metallo, diveniva d'aria per oltrepassare le loro difese.
Se li sorprendeva all'aperto, chiamava a sè il vento e lo gravava di sabbia, osservando come il turbinio li scavasse fino alle ossa.
Se si aggiravano tra le lande desolate, la loro tomba diventava il fuoco.
Se li trovava nei pressi di un fiume, una prigione d'acqua li rendeva presto inerti.
Molti le risparmiavano la fatica, sebbene quel concetto le fosse estraneo, togliendosi la vita alla sua vista.
Quella danza continuava da troppo tempo per poter essere ricordato.
Eppure, ormai quella caccia continua stava per concludersi.

L'Ultimo, era uno scarto.
Lo aveva lasciato libero perchè aveva fiutato una colonia più grossa, conscia che non avrebbe avuto modo di riprodursi.
Forse, aveva pensato, si sarebbe spento senza il suo intervento. Ma gli uomini sono restii ad abbandonare la scintilla che li tiene insieme, potevano credersi padroni del mondo o regredire fino al loro inizio, ma si arrendevano soltanto di rado. Bestie ostinate, finchè non li si metteva con le spalle al muro perseguivano nella loro follia, poichè bastava la loro presenza a minacciare il mondo che lordavano.
Alcuni l'avevano implorata, gettandosi in ginocchio con le lacrime agli occhi. Lei non si era presa la briga di render ovvia l'evidenza, non soltanto non comprendeva il significato dietro il loro latrare ma non le importava minimamente afferrarlo. Altri le avevano eretto una strana formazione di pietra, replicandola nel suo aspetto. Vedendola le si erano prostrati davanti, deponendo ai suoi piedi un miscuglio di strani ornamenti scintillanti, frutta matura e lepri dal collo spezzato. La loro cenere aveva sommerso l'erba rada soltanto per poco, poichè lei vi aveva camminato sopra. Ad ogni suo passo fiori e germogli nascevano dal terreno, qualsiasi esso fosse, ed al tocco delle sue dita la statua che la raffigurava fu ornata di una fitta rete di rampicanti.
Se trovava davanti a sè una valle di rifiuti, li cancellava per poter osservare nuovamente il prato che avevano schiacciato.
Se scovava delle trappole nascoste nel fitto del bosco, le smantellava per non causare morti inutili.
Se finiva in un luogo dove l'aria era malata, l'inspirava tutta per poterla pulire.
Se si imbatteva in acque dove il veleno che avevano prodotto si era ammassato, si immergeva per poterle filtrare e renderle nuovamente pulite.

Lo trovò al calar della sera, seduto su una spiaggia di ciottoli grigi.
Le dava le spalle, la schiena striata da cicatrici era illuminata dal fuoco che gli scaldava le ossa.
Non tentò di andarsene, la rassegnazione e la solitudine gli erano entrati dentro. Era già morto e lo sapeva.
« Bentrovata » le disse « Ti stavo aspettando. »
Lei non capì.
Come raccontavano le leggende che lo avevano fatto tremare da bambino, il mare si alzò torreggiando su di lui, spegnendo in un attimo sia il fuocherello che i suoi pensieri. Quando l'acqua salmastra si ritirò, lasciando tra i sassi un manto di alghe e pesci annaspanti, la luna cedette il posto al sole.
Sorse il primo giorno libero dalla piaga che aveva infestato il mondo per secoli.
Se la carne diveniva pasto, le loro ossa rimanevano a testimonianza di ogni vita stroncata. Con il tempo le opere che si erano lasciati alle spalle sarebbero svanite tra muschio e rampicanti, il ricordo di quelle sfortunate esistenze era già iniziato a svanire.

Fece ritorno al luogo che l'aveva vista nascere.
Incastonato in una corona di montagne alte e scure, giaceva un piccolo lago dalle acque turchine. In quei giorni lontani, era rimasto l'unico specchio d'acqua sano e lo aveva abbandonato per poter fermare la rovina prima che il declino fosse irreparabile. Ad averla creata, erano stati gli uomini. Come la volpe vive per limitare i conigli, lei esisteva perchè era necessario sterminarli.
Ora la sua presenza non era più necessaria.
Si immerse lentamente, poggiando i piedi sul fondale sabbioso, calcandolo fino al centro del lago. Lì alzo gli occhi per scorgere il riflesso dei raggi di luce attraverso l'acqua torbida, la prima cosa che aveva visto, l'ultima che avrebbe ammirato. Il suo corpo iniziò a sciogliersi poco alla volta, senza che vi fossero dolore o paura, rimpianto o nostalgia. Soltanto un frammento di sole nell'acqua azzurra.
La luna sorse ancora, padrona di una distesa infinita costellata di stelle.
Di lei non rimaneva più nulla.

 




  
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