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Autore: SweetNemy    05/09/2012    2 recensioni
Questa è la storia di una ragazza che ha sempre viaggiato in giro per il mondo. Per merito di sua madre riesce a rimanere per sempre nella città in cui è nata e lì è determinata a farsi nuovi amici. La sua prima amicizia sarà una ragazza di nome Serena, ma in seguito conoscerà anche un ragazzo un po’ particolare...
Genere: Drammatico, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo IV

-Una nuova vita-

{Punto di vista di Clay}      
Quando aprii quella busta non potevo credere ai miei occhi: due biglietti aereo per l’Italia. Sarei tornato nella mia città.
-Sei contento?
-Contentissimo, grazie! – dissi a gran voce, ma poi, rendendomi conto di una cosa, continuai – ma non è che ti reca problemi questo viaggio?
-Non è un viaggio! Ci trasferiamo lì! E poi mi farebbe bene cambiare aria e... non rivedere Daiana. - disse con un'espressione allegra, che andò svanendo non appena nominò il nome di quella ragazza.
-Tu la ami ancora, non è vero?  
-Dai, prepara le valigie. - disse con un'espressione pensierosa.
-Non le ho mai disfatte da quando sono arrivato qui. Tu dovresti fare le tue.
-Puoi farmele tu? Io vorrei andare a controllare se puoi viaggiare con me, anche senza la firma dei tuoi genitori.
-Ti ricordo che ho già il passaporto e già l'ho usato una volta, e ho anche quella specie di autorizzazione; quindi evita di trovare scuse assurde e va' a fare le valigie. Se vuoi ti do una mano.
-No... Va' a vedere se a casa tua c'è altra roba da prendere.
-D'accordo. - dissi rassegnato. Avevo capito che la mia domanda in qualche modo l'aveva scosso e allora decisi di scendere in casa mia.
Scesi usando le scale, così avrei impiegato più tempo. La tensione cresceva man mano che scendevo e che mi avvicinavo a quella porta. Il cuore mi batteva a mille e cominciavo ad avere il respiro affannato e a sudare freddo. Mi faceva sempre star male quel posto. Arrivo. Prendo aria e suono il campanello, per fortuna apre la cameriera.
-Salve, signorino Clay. Com'è stata la sua permanenza lontano da casa?
-Magnifica. Almeno Aaron mi tratta come si deve. Mamma è in casa?
-No. E neanche suo marito.
-Posso entrare?
-Certo! È casa sua!
Entrai facendo un sorriso a Sylvia, la cameriera, e andai nella mia stanza. Aaron aveva svuotato armadi e cassetti, ma restava la scrivania e parte della libreria.
Presi il mio zaino per la scuola e dentro ci infilai la mia passione: l'arte. Dipingere è una cosa fantastica! Presi la cartellina con i disegni e il mio inseparabile kit da disegno. Presi tutti i miei libri, i miei film e i miei Cd preferiti. Presi le mie due medaglie conquistate e in generale, tutti i trofei o le cose che mi hanno reso felice. Decisi di prendere un cofanetto dove c'erano tutti i miei giochi da bambino e dopo tutto ciò, richiusi lo zaino e decisi di andare via.
Mi girai puntando lo sguardo verso la porta, ma prima di andarle incontro mi guardai attorno, contemplando quell'ambiente per l'ultima volta.
Il mio sguardo venne attratto da un oggetto sulla scrivania: era una foto. La cornice era di legno, con al centro un piano di vetro e questo rifletteva la luce del sole che entrava dalla finestra. Poco dopo mi avvicinai, coprendo il sole, e notai Dario in quella foto. Il mio cuore si strinse e sentii che qualche lacrima voleva scendere. Non mi era mai successo, non gli avevo mai dato tanta importanza.
Inconsciamente incominciai a parlare.
-Ciao, Dario. Sono passati tre anni da quell'incidente e ora... solo ora, mi rendo conto di quello che ho perso. Sei stato l'unico che mi abbia appoggiato, quando Aaron non c'era. Non so perché continuo a ripetermi che se solo non avessi insistito così tanto per quella mostra tu saresti ancora qui, ma è così! Mi sento in colpa. – e lì qualche lacrima cominciava a scendere – Dario... io l’ho sognato qualche mese fa... ho sognato l’incidente. Era tutto così reale. C’eri tu che guidavi e sorridevi e io impaziente. Continuavi a ripetere: “dai, lo stadio è qui dietro, le mostre sono cose da femminucce! È meglio una bella partita di calcio che osservare dei quadri fatti da chissà chi”. Perché? Perché non ti ho dato ascolto? Beh, hai preso l’autostrada e mi hai accompagnato lì. Stavamo ritornando, era buio e una ragazza ti inviò un messaggio. Io dovevo sempre fare l’impiccione e allora presi il tuo cellulare e lo lessi, tu per riprenderlo non ti accorgesti della curva e finimmo fuori strada. La rete metallica che separava l’autostrada dalla duna si ruppe, e finimmo quasi giù. La macchina cadde dal mio lato, e in quell’incidente sarei dovuto morire io, ma poco prima dell’impatto finale, mi hai abbracciato forte, evitando così il mio impatto. Beh, dire che sei stato grande è dire poco, sei stato un eroe e come tale meritavi di vivere. Non te l’ho mai detto, ma l’ho sempre pensato. Ti voglio bene! – dissi tra tante lacrime gelide e qualche singhiozzo. Presi la foto e la strinsi a me chiudendo gli occhi per qualche secondo, poi la posai nello zaino e feci un grosso respiro e uscii a testa bassa salutando Sylvia.
Risalii le scale che, stranamente, tra mille pensieri subito terminarono e bussai Aaron.
-Chi è? – chiese lui.
-Sono io. – risposi con voce bassa per nascondere quella trafitta da un pianto abbastanza sentito.
-Fatto?
-Sì. Ho messo tutto qui. – dissi indicando lo zainetto e camminando in avanti a testa bassa.
-Stai bene?
-Sì. – dissi con una voce acuta, forse troppo acuta e credo che Aaron se n’è accorse.
-Cos’è successo?
-Niente. – dissi velocemente correndo in camera mia.
Lì, appoggiai lo zaino sul letto e andai dall’altra parte, sedendomi a terra e portando le ginocchia al petto con le braccia. Stringevo forte le mie gambe e appoggiai la testa sulle mani mentre qualche lacrima scendeva ancora.
Passarono pochi minuti, ma io rimasi completamente immobile, e la porta si aprì.
Sentivo dei passi avvicinarsi sempre di più, ma non volevo alzare la testa, fin quando non sentii la voce di Aaron.
-Clay...
A quel punto alzai la testa guardandolo fisso negli occhi, ma non dissi nulla. Lui sospirò e poi disse:
-Perché piangevi?
-Non piangevo...
-Hai gli occhi gonfi, perché piangevi?
Già... i miei tanto belli, ma stupidi occhi. Sono di un colore magnifico, azzurro, ma non come il cielo, ancora più chiaro; quello che tutti chiamano “color ghiaccio”, ma il mio non è spento, anzi è acceso e brillante. Solo che ho degli occhi molto delicati e appena verso qualche lacrima o prendo l’allergia mi si gonfiano in una maniera irriconoscibile.
Cambiando discorso, cosa devo dire ad Aaron? Dire le bugie non mi riesce molto bene. Ma che dico? Sono una frana a mentire! Forse dovrei dirgli la verità, spero solo che non mi prenda per pazzo.
-Ho visto una foto di Dario. È la prima volta che mi accorgo di quanto mi manca, è la prima volta che piango per la sua scomparsa, è la prima volta che ammetto che senza di lui la vita non ha il giusto significato.
-Clay anche a me manca tanto. Era la persona più sincera e gentile che conosca. A parte un cugino, era un amico, qualcuno di cui fidarsi, una persona attenta e allegra. Anche lui, come te, amava disegnare anche se tu questo non lo sai. Era il suo modo di esprimersi, ma da quando sua madre buttò via tutto il suo kit e alcuni suoi disegni lui non fu più lo stesso. Quelli che rimasero li presi io di nascosto e li conservai da qualche parte. Ora smettila di piangere e sorridi. Lui avrebbe voluto che fossi felice e andare via da qui ti renderà felice. Melbourne è magnifica, ma conserva dei brutti ricordi sia per me che per te.
-Hai ragione. A proposito, quando si parte?
-Domani alle due del pomeriggio. Ah, ricorda che lì sarà agosto! Quindi... metti qualcosa di leggero.
-D’accordo e... grazie!
Aaron mi sorrise e andò via, chiudendo la porta alle sue spalle. Aveva ragione, Dario avrebbe voluto che sorridessi e così farò.
Da oggi farò un patto con me stesso, sorriderò a qualsiasi cosa mi diranno; sorriderò qualsiasi cosa succeda; sorriderò perché non c’è cosa più bella e semplice al mondo di un sorriso. E con questo ho già vinto!
Quel giorno volò in fretta e arrivò il giorno della partenza: era già il 21 febbraio, ma lì sarebbe stato il 21 o 22 agosto al mio arrivo. Mi svegliai presto... insomma! Erano le dieci, ma di sera a furia di pensare mi era venuto il mal di testa. Per fortuna adesso stavo bene.
Il tempo di fare le cose essenziali ed ecco che già era l’una e già dovevamo partire. Presi le valigie e le caricai nell’auto di mio cugino e insieme partimmo per l’aeroporto.
Arrivati lì Aaron chiese il modulo o chissà cosa per portare l’auto e fecero i normali controlli a noi e alle valigie prima di salire. Tutto in regola e passammo.
Arrivammo sulla pista di decollo. Era immensa, l’aereo era immenso, tutto era immenso e tutto ciò era fantastico forse perché... sapeva di libertà.
Salimmo in aereo e ci sedemmo al posto stabilito e come suggerito dall’hostess allacciammo le cinture. La domanda fu spontanea.
-Aaron hai mai preso l’aereo?
-Qualche volta, ma per altre città australiane, non sono mai andato oltre. Tu?
-Sì, ma avevo tre anni e non ricordo molto. Che sensazione si prova?
-In realtà mi addormentavo sempre quindi... però vedrai.
-Bella risposta!
Non terminai di parlare che l’aereo decollò e la sensazione non era spiacevole, anzi, era divertente!
Nello zaino di Aaron c’erano musica, libri, fogli strani, biglietti e una specie di agenda blu. Nel mio c’erano i miei disegni e il mio diario. Nella noia decisi di guardare i disegni, perché il diario non sarebbe stato molto allegro.
Aprii la cartellina senza guardare cosa ci fosse e presi tutti i fogli capovolti dal più vecchio al più recente. Sul retro del primo che vidi c’era scritto:
“9 giugno 2006. Spiaggia a sud.”
Quando ho fatto questo disegno avevo si e no nove anni, e sopra era raffigurata una spiaggia col mare colorata con i pastelli. Devo dire che già a quell’età avevo una bella tecnica. I disegni seguenti raffiguravano tutti la mia stanza o posti inventati da me, alcuni i posti dove andavo spesso, come la spiaggia, la scuola o il parco dove io, Dario e Aaron facevamo i pic-nic.
Quest’aneddoto della mia vita è uno dei più divertenti: era il 27 settembre 2008 e andai a fare un pic-nic con Dario e Aaron in questo parco. Io dipingevo l’erba o lo stagno con le oche e loro ascoltavano musica rap ballando come due cretini. Ricordo che mentre dipingevo mi fecero i complimenti per il “capolavoro” e poi mi presero in braccio buttandomi nel laghetto delle oche.
Mentre ripercorrevo questi ricordi ridendo come uno scemo, Aaron parlava nel sonno.
Diceva cose del tipo: “Perché? Non doveva finire così.” E dopo un po’ disse quel nome: “Daiana”.
Avevo capito tutto e decisi di svegliarlo per limitare la sua sofferenza.
-Aaron. Svegliati! – dissi scuotendolo.
Passò qualche secondo e si svegliò.
-Che c’è? È successo qualcosa?
-Hai sognato Daiana.
-E tu come lo sai?
-Hai detto il suo nome mentre dormivi! Tutto bene?
-Prima o poi diventerò pazzo per quella ragazza! Lei mi fa impazzire, ma allo stesso tempo mi fa diventare furioso! Ora sta con un altro, e che ci stia con un altro. Tu, però, non ascoltare ciò che dico mentre dormo. Ascolta un po’ di musica.
-Io odio la musica rap.
-Un anno fa c’è stata una svolta nella mia vita: non ascolto più musica rap. Mi sono spostato sul rock.
-Rock? Non ne sento parlare molto spesso e non so di preciso cosa sia.
-Ascolta!
Non so perché lo feci, ma presi l’mp3 e schiacciai il pulsante “play”, facendo, così, iniziare la canzone.
C’era una piccola introduzione di chitarra, iniziava lenta, con un ritmo dolce, ma deciso. La voce del cantante era forte, graffiata, ma allo stesso tempo decisa e comunicativa come la musica. Quella canzone raccontava una storia, raccontava il passato, ma allo stesso tempo ti incitava a guardare al futuro. Una cosa spettacolare, avevo i brividi, ma allo stesso tempo avevo voglia di urlare. Tutto questo terminava con un meraviglioso assolo di chitarra elettrica che dava i brividi, ma allo stesso tempo una scarica di adrenalina fortissima! Questo è il rock.
Finì la canzone e mi lasciai sfuggire un “wow”.
Aaron si era riaddormentato, così, in preda alla noia, guardai fuori dal finestrino.

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C’erano tante nuvole e noi c’eravamo sopra!
Così finii per addormentarmi anch’io e... Aaron mi fece svegliare.
-Cavolo, Clay!
-Che c’è? – dissi spaventato.
-Tu sai parlare italiano?
A quel punto mi venne da ridere, e lo guardai ridendolo in faccia e dicendo:
-Ovvio! Perché tu no?
-Non molto bene!
Quel momento si concluse con una risata generale e dopodiché ci addormentammo entrambi finché l’aereo non atterrò. Ero finalmente arrivato lì!


Ciaooo a tutti..
Finalmente sono tornata con il 4° capitolo, spero vi sia piaciuto! =P
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito la mia storia!! Spero abbiate gradito anche il disegnino!
Ci vediamo presto con il 5° Ciaooo a tutti!
SweetNemy

 
  
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