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Autore: Peeta97    06/09/2012    1 recensioni
Henry vive tranquillo la sua vita.
Si rilassa nutrendosi del succo degli alberi unti, stando con sua madre e con i suoi ventotto fratelli.
Ma la sua vita sta per essere pericolosamente sconvolta.
A metà tra il comico e la fantascienza, leggere (e recensire) per credere.
Genere: Avventura, Comico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VIVO PER UN CAPELLO
 
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Henry si stava nutrendo.
Le mani grassottelle si appoggiavano con sicurezza alla base dell’enorme albero unto, mentre la bocca filiforme continuava a ingurgitare il denso succo rossasastro che usciva dalle radici della pianta. Quando il piccolo ebbe finito, poi, si leccò le labbra: la madre gli aveva insegnato che i frutti della natura non andavano sprecati, e così ad Henry piaceva divorare tutto il nettare, invece di patire la fame come gli altri. Anche a questo particolare era dovuta la sua obesità: a meno di due giorni era già quasi grande come un adulto (di solito, almeno tre ce ne volevano), ma ad Henry non dispiaceva: di solito erano gli esemplari più grandi a diventare capi. Per ora l’unica cosa che riusciva ad ottenere dal suo lardo erano prese in giro da parte dei suoi coetanei.
Leccò il liquido vermiglio ancora una volta, poi un rumore sordo lo distolse da i suoi famelici pensieri.
“Ecco”pensò “sono di nuovo in compagnia di un Mostro-Mano...”poi, come se i suoi pensieri gli si fossero materializzati davanti, un gigantesco essere bianco-rosastro dotato di cinque tentacoli oscurò il cielo. Henry si preparò a saltare. Doveva farlo al momento giusto, altrimenti l’animale lo avrebbe visto: i suoi genitori l’avevano messo in guardia, riguardo a questo.
Il Mostro-Mano si avvicino con fare grottesco fino ad essergli vicinissimo. Poi Henry saltò, mettendosi in salvo.
L’ultima cosa che il piccolo vide del mostro prima di atterrare nella giungla furono i suoi tentacoli, dotati di un arpione trasparente sulla cima, che sfregavano furiosamente sul terreno proprio dove un attimo fa si trovava lui.
“Sta sentendo il mio odore”pensò Henry “devo sbrigarmi”
Corse con tutte le sue forze attraverso la  foresta, le mani agili che si aggrappavano saldamente agli alberi per proiettarlo in avanti e ripetere la stessa operazione con altri tronchi. Una volta che fu sicuro di aver messo una buona distanza tra lui e l’essere, il piccolo si fermò, ansimando ancora per lo spavento.
Era salvo per un pelo: c’erano stati casi in cui alcuni membri della sua colonia erano stati dilaniati da un Mostro-Mano.
Quando si fu ripreso, Henry si avviò a balzelloni stanchi verso la sua tribù, pronto a riabbracciare la madre e il padre. Lentamente, man mano che si avvicinava al villaggio, l’ambiente attorno a lui cominciò a mutare, e gli alberi si tinsero di bianco. Erano infatti ricoperti dalle uova tribali, ovvero quelle che i membri della tribù deponevano e che attaccavano agli alberi tramite un liquido vischioso. Ed era proprio di queste piccole sferette bianche che gli alliggrettawn si nutrivano: infatti le sfilavano dagli alberi utilizzando gli artigli sensoriali sulla cima dei tentacoli, tornandosene poi in cielo, dove nessuno li vedeva più per un po’.
Finalmente il piccolo giunse in vista dell’agglomerato di palafitte che congiungevano gli alberi unti: contento, li raggiunse a corsa, dirigendosi subito verso casa. L’abitazione di Henry  non era enorme, ma era confortevole. E poi, a lui bastava la famiglia, per essere felice.
Quando Henry spalancò la porta, “Puier”, il suo tardigrado, subito gli balzò addosso, inzuppandolo con la sua bava molliccia. “Piano, Pu””esclamò contento mentre l’essere, simile ad una gelatina molliccia, gli si sfregava sui piedi. Ma ecco giungere anche la madre e il padre, seguiti poi dai ventotto fratelli. Eh si, pensò Henry prima di andare a dormire: “Sono davvero fortunato”.
 
Furono le grida e l’odore nauseante a svegliarlo.
Di solito il profumo d’unto copriva ogni cosa, ma stavolta era diverso. Henry  si mise a sedere sul comodo giaciglio di pellicine prodotte dallo sfregare degli arpioni dei Mostri-Mano sul terreno, poi, colto da un dubbio atroce, sbirciò fuori dalla finestra.
Ciò che vide fu sufficiente a spaventarlo per due vite e mezzo. L’intera superfice del villaggio era ricoperta di una sostanza bianchiccia e uniforme da cui proveniva l’odore che l’aveva svegliato. Schiuma.
Era proprio la schiuma, infatti, ad aver causato milioni di morti e ad aver sterminato intere tribù. Il suo veleno altamente tossico ti prendeva dentro e ti uccideva lentamente. Senza contare poi la Macchimorte. Veniva così chiamato uno strano essere composto da sottili lamine di un metallo sconosciuto. Una leggenda raccontava di come l’essere fosse stato avvistato mentre passava gli alberi tra le sbarre di metallo intrappolando su di esse tutti coloro che tentavano di fuggire. Poteva fare ciò solo grazie alla schiuma, che li  indeboliva e li rendeva lenti e impacciati.
Henry decise che non sarebbe rimasto un secondo di più in quel luogo, così prese la via della finestra e saltò. Ad attenderlo fuori c’erano millimetri e millimetri di schiuma, così che il piccolo vi sprofondò fino alle ginocchia. Poi si mise a correre, mentre altri uscivano dalle case in preda al panico. La schiuma lo rallentava e gli faceva bruciare gli occhi. In breve tempo, la tranquilla cittadina di Lobo Occipitale si era trasformata in un brulicare di disperati che tentavano di saltare da tutte le parti. C’erano le madri che cercavano di salvare più uova possibili, le ninfe (gli esemplari più giovani) che correvano piangendo e gli adulti che saltavano terrorizzati.
Solo Henry non si lasciò prendere dal panico.
Guardò freddo il mondo che gli scorreva davanti al rallentatore, con un'unica frase che gli turrbinava nella mente: salvati!
E così fece.
Corse, saltando da albero ad albero. Sentiva le grida strazianti dei suoi concittadini ed il sibilo insaziabile della Macchimorte, mentre l’acqua ingoiava ogni cosa, per lavare via ogni traccia dell’esistenza della sua città natale. Di solito Henry non aveva paura dell’acqua, ma se questa era accompagnata dalla schiuma, allora incuteva davvero terrore. Lembi biancastri cominciarono a volteggiargli attorno mentre sfere d’acqua grosse come alberi gli piombavano addosso. Ma lui non demorse: non sarebbe mai morto, o almeno, non ora che rappresentava l’unica speranza di salvezza della spece. ci fu un sibilo metallico, e poi la Macchimorte gli piombò davanti. Le sue antenne sensoriali si irrigidirono per lo spavento: l’orrendo essere puntava dritto verso di lui, e lo avrebbe preso se Henry non avesse avuto la prontezza di saltare su un albero un po’più floscio degli altri e utilizzarlo come trampolino per spiccare un lunghissimo balzo. Ormai aveva gli occhi annebbiati. Vedeva scorrere davanti a lui lo spettacolo più orrido che avesse mai visto e non poteva fare niente per fermarlo: lui poteva solo salvarsi la vita. Poi, mentre i sensi lo trascinavano lentamente nel torpore e nell’incoscenza, Henry  vide il suolo avvicinarsi a velocità incredibile.
Quando si svegliò, orribilmente ferito e contuso, il suo primo pensiero fu “sono vivo”. Il secondo che formulò invece fu: “si, ma a quale prezzo”.
Henry si osservò con occhio critico: era sporco di schiuma d’appertutto, nonché ricoperto d’acqua. Qualche zampa mancava, mentre altre erano spezzate. Un’antenna si era rotto durante l’atterraggio di testa, e il suo corpo certo non andava meglio: ad Henry sembrava che gli avessero infilato in gola un tizzone ardente che gli stava bruciando lentamente tutti i nervi.
Il piccolo non se ne curò, e così, ignorando ogni dolore, si alzò in piedi e si arrampicò su un albero. Ci mise molto per via delle zampe mancanti.
Poi Henry si sforzò e produsse un singolo uovo: una sola sferetta bianca che avrebbe però assicurato la sopravvivenza della spece.
ora Henry il pidocchio poteva morire tranquillo, così smise di resistere al dolore lancinante che lo attanagliava e svenne.
 
EPILOGO:
quando Henry il pidocchio si svegliò, si trovava in una città del tutto simile alla sua, tranne per il fatto che la gente che gli passava davanti non era quella di Lobo Occipitale. Avevano tutti però un qualcosa di familiare. Il pidocchio rimase sorpreso quando, tentando di muoversi, scoprì che più niente gli faceva male. Così si alzò. Un pidocchietto che gli stava davanti lo vide, strabuzzò gli occhi, lo guardò e si mise a gridare. A breve, Henry fu circondato dalla folla, e tutto fu chaos finché lesemplare più grosso (quasi obeso, a dirla tutta) non si fece avanti. Gli spiegò che tutta la città era stata costruita dai figli di             quellunico uovo deposto su un piccolo albero, e che grazie a lui la specie era stata tratta in salvo. Henry scoprì poi di trovarsi nella città di Nuca, luogo dove si era catapultato con la forza della disperazione.
Dopo anni (ovvero mezza giornata) linsetto, ormai anziano, fu infestato agli acari, viscidi animali succhiasangue che vivevano nelle teste dei pidocchi e scatenavano astrusi pruriti.
Che esseri schifosi  pensò quel giorno Henry il pidocchio quale altra creatura immonda potrebbe mai vivere sulla testa di qualcun altro?



Cantuccio dell'autore:
Allora, spero siate riusciti ad arrivare in fondo a questa roba, e, nella remota possibilità che vi sia piciuta, perché non lasciare una recensione anche solo per dirmi che fa schifo?
Mi piacerebbe tanto sapere la vostra opinione :D
Approposito, se pensate che il genere non sia esattamente "comico" me lo potreste dire? Perché non so proprio dove collocare questa storia xD
  
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