Quando Kei si svegliò, non poté non sorprendersi
notando come l’altro russo gli si era avvinghiato addosso. Era quasi spasmodico
il modo con cui lo stringeva. Così, in silenzio e immobile, attese che anche
Yuriy si svegliasse.
Quando quest’ultimo aprì gli occhi e li sfregò,
tentando di scacciare l’opacità che essi avevano dopo qualche ora di sonno,
scoprì che il corpo che l’aveva scaldato tutta la notte e da cui derivava quel
sorprendente senso di protezione, era di Kei. Arrossì dolcemente, prima di
staccarsi da lui con riguardo e scusarsi.
-non importa.- aveva sussurrato Kei,
stiracchiandosi e alzandosi. Andò a vestirsi e Yuriy non gli staccò gli occhi
di dosso neanche un picosecondo. Gli sembrava fosse naturale dormire con Kei.
Era come se dormissero assieme da secoli. Eppure non era così…
Tra l’altro, non poteva impedire alle parole che
Kei aveva proferito il giorno prima, di vorticargli velocemente in testa. Gli
aveva detto che si ricordava di lui. Che il beyblade non centrava. Beh…non
gliel’aveva detto. Però gliel’aveva fatto capire!
Yuriy si alzò in piedi e chiese a Kei una
spazzola, cominciando quindi a pettinarsi. Si sentì orgoglioso quando notò che
i capelli avevano smesso di stargli in quel modo assurdo. Ora gli stavano giù.
Erano ordinati. Gli sfioravano il collo con sensualità, erano morbidi e
lucenti. Yuriy sorrise, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-se vai in giro così- aveva mormorato Kei,
distraendolo -non puoi lamentarti se Borkov si approfitta di te.- il russo
abbassò lentamente gli occhi, accarezzando con lo sguardo la sua figura
riflessa allo specchio. Sgranò un poco gli occhi e arrossì, cercando di non
farsi vedere da Kei. Quest’ultimo si era posizionato dietro di lui e, prima che
Yuriy se ne accorgesse, l’aveva stretto a se, facendo combaciare la schiena del
ragazzo e il proprio petto. Yuriy non capì più nulla. Non seppe il perché fino
al 25 Dicembre. Tacque per tre giorni, in poche parole. Non l’aveva evitato,
anzi, s’era comportato come sempre. Ma questo non era utile per una persona che
apriva bocca raramente, come Kei. Kei odiava parlare, si sapeva. Però in quel
momento, pensava Yuriy, poteva degnarsi di spiegargli quel gesto. Non era
curioso, Yuriy. Solo che sentiva il bisogno di sapere tutto…sapeva bene che il
suo cervello stava creando bellissime illusioni. Si stava illudendo che Kei lo
amasse. E, sinceramente, desiderava che queste illusioni sparissero. Anche
perché non sapeva se stare bene o male…il suo umore non era ne carne ne pesce.
Il fatto che Borkov non si vedesse più da quelle parti lo rasserenava, così
come lo confortava l’accuratezza con la quale i monaci lo evitavano. Non lo
prendevano più in giro, non lo chiamavano più “puttana”, non approfittavano più
del suo corpo dilaniato ma perfetto. La sua pelle sarebbe stata diafana, se
Boris non avesse provveduto a picchiarlo e violentarlo. Era Huznestov, ormai,
l’unico che si preoccupava di farlo tornare serio e triste. A Yuriy pareva che
la rabbia con la quale Boris lo seviziava fosse addirittura aumentata da quando
l’aveva visto in camera con Kei.
Ma tutto finì il 25 Dicembre. Quello fu l’ultimo
giorno in cui vide Boris Huznestov. O meglio, fu l’ultima volta in cui lo vide
in carne ed ossa. Sì, perché qualche mese dopo, sfogliando il giornale, notò il
suo vecchio compagno di squadra nella pagina dedicata alle necrologie. Una
vecchia foto in bianco e nero, un annuncio squallido e non sentito. Una frase
fatta. Il giorno in cui si sarebbe svolto il funerale. Yuriy non partecipò alla
cerimonia, ne seppe mai come morì Boris. Forse si suicidò. Forse morì di cancro
o d’infarto. Forse venne ucciso. A Yuriy non importava, quindi non s’informò
sulle cause del decesso. Pensò che solo era meglio così. Aveva smesso di
soffrire.
Tornando al presente, arrivò velocemente Natale.
La messa quel giorno era stata lunga e noiosa. Come ogni anno, si era svolta in
una grande cattedrale, nel mezzo della Mosca comunista tanto amata quanto
odiata. Yuriy era seduto nelle ultime file, assieme ad altri bambini
provenienti dal monastero della Borg. Accanto a lui c’era Boris che, di tanto
in tanto, gli accarezzava possessivamente una gamba. Kei era in piedi, nascosto
da una moltitudine di persone. Hito Hiwatari non c’erano. Ad accompagnarli li
erano stati i monaci, non Borkov come gli anni precedenti. Nessuno sembrava più
fare caso all’improvvisa scomparsa di Vladimir.
Yuriy, appena finita la cerimonia, uscì dalla
cattedrale. Non sopportava l’odore d’incenso che gli impregnava gli abiti da
festa. Gli veniva da vomitare quando questo gli sfiorava le narici. Lo odiava.
Odiava anche l’assurda minuzia con la quale di vestiva e si pettinava a Natale.
Se non lo faceva, veniva picchiato.
Fuori trovò Kei. La neve cadeva dal cielo
sottoforma di morbidi batuffoli, imperlando i neri cappotti della gente che
passeggiava davanti alla chiesa, attraversando la grande e luminosa piazza. La
bellezza quasi irreale di Kei, poi, contribuiva a far sembrare quella scena uno
spezzone tratto da un vecchio film. Il ragazzo se ne stava in piedi davanti
alla cattedrale e teneva le mani nelle tasche del cappotto. Aveva la testa
rivolta verso l’alto e lasciava che la neve si posasse sul suo viso,
sciogliendosi poi per il calore che esso nascondeva. Forse anche la neve veniva
ingannata dall’apparente freddezza del corpo di Kei…la sua carnagione era
chiara a tal punto da sembrare ghiaccio. Era eterea come quella d’un dio.
Eppure scottava. Il fuoco che nascondeva bruciava quanto l’Inferno.
Yuriy si avvicinò al ragazzo e si mise accanto a
lui, osservando la neve, proprio come stava facendo Kei. In quel momento, Yuriy
si rese conto di saper amare. Si rese conto che quello che Borkov gli diceva
non erano altro che sciocchezze dettate dall’odio e dalla repulsione verso ogni
altra forma vita. Quel vecchio monaco non aveva mai capito cosa fosse l’amore e
si divertiva a far credere ai giovani che quel sentimento non fosse altro che
una favola per ragazzini ingenui. Pensandoci ora, mentre la neve giocava con il
suo corpo, a Yuriy, Borkov faceva pena.
Kei invece non provava niente, oltre alla
soddisfazione, quando ripensava alla fine che aveva fatto Vladimir per mano
sua. Non era stato difficile convincere suo nonno. Era bastato riempirgli la
testa di bugie, digli che senza Borkov la conquista del mondo sarebbe stata più
semplice. Se non aveva complici, gli aveva assicurato Kei, non avrebbe dovuto
sendere conto a nessuno delle sue azioni. Se il mondo era solo suo,
poteva uccidere tutti gli abitanti. Oppure poteva renderli suo schiavi. O
poteva lasciare tutto così com’era. Se invece aveva un socio, tutto questo
avrebbe dovuto essere diviso con questo. Il mondo non sarebbe stato suo,
ma loro. Gli aveva ripetuto questo un paio di volte, usando un
linguaggio e un tono di voce convincente ed il caro nonnino c’era cascato in
pieno. Borkov, il giorno dopo, a mezzogiorno, era scomparso. E Yuriy era
libero. Era libero di vivere e di essere suo. Non sapeva neanche quando s’era
innamorato di quel ragazzo…sapeva soltanto che Rei aveva ragione. Kei Hiwatari,
alla fine di tutto, era tornato da Yuriy Ivanov. Era giusto così.
-è bello…quando si posa sulle labbra…non trovi?-
domandò Kei. Il russo-nipponico era rinchiuso in uno stato di semi-trans.
L’aurea che l’avvolgeva, era tiepida e piacevole, segno che il ragazzo stava
davvero bene in quel momento. Yuriy annuì e mormorò un debole “sì”…anche lui
era rilassato. Quella situazione piaceva ad entrambi. Sembravano non notare le
altre persone. Anzi, non le notavano davvero. Per Kei e Yuriy quella gente non
esisteva. Esistevano solo loro e la neve. Era come se il mondo finisse ad un
millimetro da loro e la neve, che scendeva da un cielo troppo bianco per essere
reale, fosse il frutto dell’immaginazione di entrambi. Forse era il caso di
dire che nessuno dei due capiva bene a cosa stava pensando. Eppure era certo di
sapere a cosa pensava l’altro. Infatti quando la mano di Yuriy sfiorò quella di
Kei, scoprì che quest’ultima s’era già mossa con la sua stessa intenzione. Le
dita si intrecciarono e Kei e Yuriy rimasero a fissare la neve, come se non se
ne fossero accorti. Non si accorsero nemmeno del ragazzo che usciva dalla
cattedrale, quello con quello strano colore di capelli, quando s’avviarono
verso il centro della piazza per venire poi nascosti dall’improvviso infittirsi
complice della neve, che permise ai due di fuggire da quel luogo ostile, mano
nella mano.
Innamorati e silenziosi.
-FINE-
Buonaseeeera! Spero vivamente che vi sia
piaciuta T-T Come sempre il finale lascia un po’ a desiderare ma il resto non
mi pare sia eccessivamente brutta…mah…no, fa schifo Y-Y comunque nè la canzone
nè i personaggi sono miei. La canzone è di Simon&Garfunkel e i personaggi
sono di Takao Aoki…io li torturo senza ricavare niente di niente U-U
Comunque scusate se non c’ho messo la scena
lemon °_°|||
Dedico questa fanfic alle persone che hanno
letto le altre fanfic che ho scritto e hanno pianto, riso o sono state serie.
La dedico anche a tutti quelli che commentano sempre le fanfic che leggono
perché donano un pezzetto di felicità all’autore. La dedico, a tutti quelli che
mi vogliono bene, a quelli che mi odiano e a quelli a cui sono completamente
indifferente. Infine la dedico a Gilles de Rais e a Yukina di Orione (che però
non leggerà mai questa fanfic xchè non apprezza le KeiXYuriy/YuriyXKei) che è
da più o meno 10 minuti che aspettano una risposta agli sms che mi hanno
mandato! ^^’
Vi invito come sempre a commentare!
Ni-hao!
Arles
P.S. Vi metto il testo x intero e la traduzione
della canzone “The Sound of Silence”:
Testo:
Hello
darkness, my old friend
I've come to talk with you again
Because a vision softly creeping
Left its seeds while I was sleeping
And the vision that was planted in my brain
Still remains
Within the sound of silence
In restless dreams I walked alone
Narrow streets of cobblestone
'Neath the halo of a street lamp
I turned my collar to the cold and damp
When my eyes were stabbed by the flash of a neon light
That split the night
And touched the sound of silence
And in the naked light I saw
Ten thousand people, maybe more
People talking without speaking
People hearing without listening
People writing songs that voices never share
And no one dared
Disturb the sound of silence
"Fools", said I, "You do not know
Silence like a cancer grows
Hear my words that I might teach you
Take my arms that I might reach you"
But my words, like silent raindrops fell
And echoed
In the wells of silence
And the people bowed and prayed
To the neon god they made
And the sign flashed out its warning
In the words that it was forming
And the sign said, "The words of the prophets are written on the subway
walls
And tenement halls"
And whispered in the sounds of silence
Traduzione:
Salve oscurità, mia vecchia amica
ho ripreso a parlarti ancora
perchè una visione che fa dolcemente rabbrividire
ha lasciato in me i suoi semi mentre dormivo
e la visione che è stata piantata nel mio cervello
ancora persiste
nel suono del silenzio
Nei sogni agitati io
camminavo solo
attraverso strade strette e ciottolose
nell'alone della luce dei lampioni
sollevando il bavero contro il freddo e l'umidità
quando i miei occhi furono colpiti dal flash di una luce al neon
che attraversò la notte
e toccò il suono del silenzio
E nella luce pura vidi
migliaia di persone, o forse più
persone che parlavano senza emettere suoni
persone che ascoltavano senza udire
persone che scrivevano canzoni che le voci non avrebbero mai cantato
e nessuno osava
disturbare il suono del silenzio
"Stupidi" io dissi, "voi non sapete
che il silenzio cresce come un cancro
ascoltate le mie parole che io posso insegnarvi,
aggrappatevi alle mie braccia che io posso raggiungervi"
Ma le mie parole caddero come gocce di pioggia,
e riecheggiarono
nei pozzi del silenzio
e la gente si inchinava
e pregava
al Dio neon che avevano creato.
e l'insegna proiettò il suo avvertimento,
tra le parole che stava delineando.
e l'insegna disse "le parole dei profeti
sono scritte sui muri delle metropolitane
e sui muri delle case popolari."
E sussurrò nel suono del silenzio