Silver’s eyes
Buio
Un debole
scintillio rosso, poi di nuovo l’oscurità.
Un respiro
affannoso
Lo stridio di una
porta
Dei passi…
vicini, sempre più vicini
La luce di una
candela… la fiamma tremolante illumina una stanza spartanamente arredata.
La candela viene poggiata su un tavolo polveroso da una mano cianotica
e tremante; a terra degli stracci sporchi, si confondo con i resti organici.
Le ragnatele
hanno invaso i pochi arredi presenti e la parte del soffitto che ancora non è
crollata.
Uno spiffero
entra dal vetro rotto di una finestra.
Una figura
rabbrividisce.
A terra vi sono
frammenti di vetri infranti…
Ombre di sogni
mai realizzati…
La porta viene aperta; il legno è marcito e scricchiola
sinistramente… il muschio si è divertito a colorare tutto di un verde intenso.
Passi incerti
sull’erba fredda.
Il cielo color
pece è attraversato da qualche rada nuvola grigia; la
fioca luce della luna si riflette sui mattoni consumati dal tempo e dalle
intemperie.
Qualcuno si
allontana lentamente…
La fiamma della
candela svanisce.
Un colpo di vento
fa rabbrividire l’uomo. In una mano stringe il guinzaglio del cane che, senza
dare il minimo segnale di stanchezza, continua ad annusare ogni albero,
fermandosi di tanto in tanto per marcare il proprio territorio.
“Su, avanti, fa una
cosa veloce, sto gelando!”
Il padrone esorta
il suo animale domestico mentre tenta di chiudere
meglio il cappotto.
Un ringhio lo fa
voltare. Vede il pelo dell’animale rizzarsi.
“Sciocco di una cane, che ti prende ora?”
L’animale
continua a ringhiare, puntando il muso in direzione di un grande
salice piangente. Il buio della sera invernale impedisce di vedere bene, ma
l’uomo riesce a percepire un movimento. Sospira e scuote l
testa.
“Avanti, tante
storie per un gatto! Lasciamo perdere!”
Ma il cane prende
ad abbaiare e a strattonare il guinzaglio.
“E va bene, va, ma fai in fretta!”
Lascia la presa e
guarda l’animale mentre corre verso l’albero.
Infila le mani
nelle tasche del cappotto nel tentativo di scaldarsi un po’e lancia uno sguardo
alla strada di campagna alle sue spalle, illuminata da radi lampioni…
“Oh, e adesso che
c’è?”
Ritorna a
guardare il salice e il punto dove il suo cane si è fermato e, puntando il muso
verso il padrone, ha cominciato ad abbaiare insistentemente.
“Si, Achille, ho
capito, adesso arrivo, basta che la smetti! L’ho
sempre detto che sei un cane stupido, ma stasera sei
riuscito addirittura a sorprendermi!All… “
L’uomo si ferma a
pochi passi dall’animale e rimane a fissare il fagotto a terra.
I capelli scuri
ricadono, sul viso pallido ed emaciato, in tanti riccioli; le piccole mani sono
strette alla lurida veste che ricopre tutto il corpo, lasciando scoperti i
piedi scalzi e feriti.
Con aria timorosa
l’uomo scosta con lentezza i capelli dal viso ed avverte un vuoto allo stomaco quando appare il volto di una bambina. Senza neanche
pensare, afferra il corpo inerme e comincia a camminare velocemente; lo stringe
di più a sé e avverte il battito del cuoricino, mentre aumenta ancor di più
l’andatura.
Il ticchettio del
macchinario è l’unico rumore nella stanza. L’uomo è seduto accanto ad un letto
bianco, dove una giovinetta sembra dormire placidamente. Gli ritorna alla mente
quello che è Accaduto solo poche ore prima… la sua quotidiana uscita con
Achille e poi, quel corpo immobile a terra, e la corsa in ospedale, ma… ancora
non riesce a spiegarsi cosa potesse farci una bambina
di… forse 7,8 anni, di sera, vicino a quell’albero,
in piena campagna, lontana dalle abitazioni…
“Mi scusi!”
Si volta e un
uomo in camice gli accenna un sorriso e si avvicina al letto.
“È su figlia?”
“Io…”
L’uomo guarda il
volto scarno, gli occhi chiusi, le labbra leggermente
violacee… la testa poggiata sul cuscino e i capelli che ricadono sul cotone
bianco come tante onde castane. Un movimento quasi impercettibile e le palpebre
si sollevano di poco, mostrando due iridi color argento.
La sua mente viene sfiorata da un’idea folle… ma, in fondo, non lo è più
delle lunghe passeggiate serali con Achille.
Senza
staccare gli occhi dallo sguardo vacuo della bambina, esclama, con una voce che
quasi non gli sembra sua: “Si, è mia figlia!”
Il suono di un
clacson, il rombo di un motore; la città comincia a svegliarsi dopo la notte
rigida. Il celo si schiarisce e, per la strada,
comincia a vedersi qualche passante solitario, che, armato di sciarpa e
cappello, affronta il freddo pungente.
Il disco del
semaforo all’incrocio diventa arancione e poi rosso e un taxi bianco è
costretto a fermarsi. Il tassista sbuffa e tambureggia con le dita sul volante.
“Senta, le da
fastidio se accendo la radio?” chiede guardando il passeggero dallo specchietto
retrovisore.
“Faccia pure!”
L’uomo fa un
cenno col capo e preme un pulsante rosso. Comincia a girare la manopola finché
non trova una stazione di suo gradimento.
Scatta il verde e
il taxi riparte.
Il passeggero si
rilassa sul sedile.
“Ah, grazie
ancora per aver permesso ad Achille di salire!”
A sentire il suo nome, un bastardino pezzato sdraiato a terra, alza la testa poggiata
sulle zampe e comincia a scodinzolare.
“Si figuri,
oggigiorno è già una fortuna trovare un cliente… poi, se uno comincia a fare il
puntiglioso…”
L’uomo sul sedile
posteriore accenna un sorriso e si gira, guardando l’esile figura al suo
fianco.
La bambina fissa
il paesaggio oltre il finestrino.
Addosso ha il
cappotto dell’uomo e il camice che le è stato messo in ospedale.
“Ti piace la
città?”
La piccola non
risponde, limitandosi a girare la testa verso il suo vicino e guardandolo. Ha
il viso, se è possibile, anche più pallido della sera precedente.
Abbassa lo sguardo
sul cappotto e lo sfiora con le dita.
“Tranquilla,
appena arrivati a casa ti darò qualcosa di più adatto! Per ora è meglio che tu
tenga quello! Non vorrai prendere freddo, spero!”
Gli occhi grigi
lo fissano per un’altra manciata di secondi, e ritornano
al paesaggio fuori dall’auto.
Sono quasi le nove quando un taxi si ferma davanti ad un palazzo giallo.
L’uomo paga il
tassista ed apre la portiera.
Il primo a saltar
fuori è Achille, che corre vicino al portone scuro, abbaiando.
“Si, arriviamo,
con calma!”
I due scendono e l’auto riparte.
Presa
la bambina per mano, l’uomo la conduce vicino al portone domandando, con un
sorriso: “Che ne pensi?”
Non vi è nessuna
risposta.
“Per me non vi è
un posto migliore… certo, ci abito da quando sono
nato! Come posto è carino! Né troppo al centro ma
nemmeno in periferia! Forse l’appartamento che ho io è un po’ piccolo, ma per
l’esigenza di un quarantenne separato, penso sia la sistemazione migliore!”
Cerca le chiavi
nella tasca del pantalone ed apre il portone.
Saliti pochi
scalini, viene aperta una seconda porta e, un’aria
tiepida, avvolge le due persone.
“Ah, ora si
ragiona!” esclama posando le chiavi su di un tavolino.
Achille scompare
oltre una porta e non si fa più sentire.
“Allora, questa è
la mia casa e, per il momento, è anche la tua e… a proposito, ancora non
conosco il tuo nome!”
Sorride alla
bambina che, però, lo fissa con aria assente…
… delle parole
sussurrate… “Il tuo nome…”
… delle parole
urlate “IL TUO NOME!”…
Un urlo
agghiacciante
Un pianto dirotto
Il
buio
Una luce accecante
La fuga…
Correre…
Perché?
Dove?
Fuggire…
Da chi?
Da cosa?
Da qualcuno?
O da se stessi?
Freddo, tanto
freddo!
I piedi ghiacciati, le mani
insensibili… essere trafitti da mille spilli, soffrire e non poter gridare,
aver voglia di piangere e non avere lacrime.
La solitudine… un
fagotto spaventato … si, solo spaventato o… terrorizzato ?
Qual è la differenza? Ma, in fondo importa? Niente… e
nessuno, nessuno!
Il nulla
Il silenzio
La pace
Il freddo
diminuisce
Un tepore prima
lieve, poi sempre più forte, tranquillizzante.
Una mano fredda!
Ti afferra!
Ti riporta
indietro!
No, non deve, non
vuoi!
Odio
Angoscia
Di nuovo… no, non
di nuovo!
Un urlo che gela l
sangue nelle vene.
…e di nuovo la sofferenza
Sangue…
dappertutto… sulle mani, sul viso… negli occhi… si, proprio lì! In quegli occhi grigi come l’argento, che si guardano intorno,
spaesati…
… e una figura si allontana in silenzio, nei rumori del
mattino!