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Autore: DarkshielD    08/09/2012    0 recensioni
’ Quell’abbraccio commosso tra padre e figlio lo riportò a qualcos’altro, qualcosa di lontano, oscuro come la notte, indistinto come nebbia: il calore di un corpo senza identità, una voce affettuosa, un fuoco assassino, urla familiari, movimenti bruschi dettati dal panico e, sopra a tutte le altre, una voce rabbiosa che gridava.
Traditore.
E all’improvviso, tutto divenne freddo. ‘

Il tempo può cancellare anche i più grandi orrori, e sanare le più mortali ferite.
Ma il destino è un essere che non dimentica. Nessun debito può rimanere irrisolto di fronte a lui.
[Ancora ferma al quarto capitolo. Fatta qualche modifica qua e là.]
Genere: Azione, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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‘È singolare quanto un’unica, insignificante esistenza sia capace di sconvolgere un intera realtà’

- Anonimo

[ Ratchet&Clank: Endless Empire ]

 

 

La camera di Orvus rimbombò con un suono assordante, continuo, come un tuono si ripeteva all’infinito.

L’enorme piattaforma centrale di vetro e metallo era circondata di fulmini e saette azzurrine e la luce, accompagnata dal rombo, accecava al punto di confondere.

Ratchet era lì, immobile, impietrito in mezzo al caos, come incapace di comprendere la furia che gli si stava scatenando intorno.

Non aveva il tempo di guardarsi intorno, per lui era sparito tutto, ogni ansia, ogni dolore fisico, ogni pensiero.

In mezzo a quell’inferno azzurro la sua testa si era svuotata, lasciando il posto a una sola cosa: un’immagine nitida di fronte ai suoi occhi, ci circondata da un alone quasi mistico ed insieme reale.

L’interruttore. Acceso.

Doveva fermare la catastrofe.

Si buttò in avanti, verso la leva, e tirò a destra.

Non si muoveva.

- NO!! CHE COSA STAI FACENDO?! - gli urlò una voce dietro. Era Alister ferito, sanguinante dopo la feroce battaglia ingaggiata col giovane lombax, l’intenzione di fermare Ratchet chiaramente leggibile negli occhi. Il lombax giallo però non aveva il tempo di curarsi di lui, ormai, impegnato com’era nello sforzo sovrumano di tirare la leva: si puntellò con le ginocchia, e pose tutta la forza del suo corpo nelle gambe, ma si accorse che non ce la poteva fare da solo.

Percepì qualcosa di strano, e credette che l’interruttore si stesse alzando. Non ebbe il tempo di riprovare che qualcosa effettivamente cedette, sbalzandolo lontano. Udì un clangore metallico e si rialzò, credendo per una frazione di secondo di avercela fatta.

Ma un rombo ancora più forte, seguito immediatamente da in bagliore accecante al centro esatto della camera dissolse le sue speranze all’istante.

Con orrore si accorse di aver rotto la leva, pur non vedendola.

La catastrofe non poteva più essere fermata.

- Non sta funzionando… perché non funziona?! - gridò Alister. Era riuscito a rialzarsi, e ora guardava l’interruttore, disperato.

Ratchet si rialzò, e la disperazione del momento improvvisamente venne sostituita da una rabbia cieca.

- PERCHÉ NON E’ UNA MACCHINA DEL TEMPO ALISTER! L’OROLOGIO E’ NATO PER CUSTODIRE IL TEMPO, NON ALTERARLO! –

I due udirono una metallica voce femminile giungere alle loro orecchie, sovrastando il frastuono:

40 SECONDS UNTIL TOTAL SYSTEM FAIL.

Il lugubre avviso che la fine era vicina.

In quella una saetta colpì l’interruttore cogliendo Ratchet indifeso e buttandolo lontano.

Alister si sentì pietrificato di fronte a quella potenza distruttiva, ma a bloccarlo non era la paura della morte.

Era il rimorso, e la coscienza del fatto che egli aveva preso, per la seconda volta nella sua vita, la decisione sbagliata.

E l’aver commesso nuovamente un errore fatale.

- Mi… dispiace. Mi dispiace così tanto… -

Il giovane lombax si rialzò, con la ferma intenzione di riprovare.

Doveva farcela.

Ne andava della vita dell’universo.

In quella Alister gli sbarrò la strada: - Vai. Lasciami qui. -

- COSA CREDI DI FARE?! - gli urlò Ratchet dietro, non appena vide il vecchio lombax voltarsi con una disperata luce negli occhi. - Abbi cura di te, Ratchet. - fu la risposta, accompagnata da un sorriso.

Il sorriso amaro di chi sapeva a cosa andava incontro.

Il lombax avanzò con decisione in mezzo alla tempesta di fulmini, ed una volta giunto al centro della camera piantò con veemenza, al posto dell’interruttore spezzato, la sua onnichiave, e spinse con tutta la forza che aveva in corpo. Ratchet non ebbe il tempo di starlo a guardare: la tempesta di fulmini divenne sempre più potente, costringendo lui e Clank ad allontanarsi precipitosamente, voltando le spalle ad Alister. Un fulmine più forte colpì troppo vicino, investendo i due.

Ratchet, colpito a tradimento dalla scarica, vide come ultima cosa quell’inferno di saette diventato improvvisamente silenzioso.

Poi, il buio.

+

Si sentiva ancora l’odore di fumo.

- Ratchet! Ratchet! - qualcosa lo scosse leggermente, accompagnato da una voce familiare che pareva provenire da quel piccolo e freddo fagottino che si accorse di stringere al petto.

- Clank… - nel rialzarsi sui gomiti dal pavimento trasparente della camera, Ratchet per un istante si chiese cosa ci facesse lì.

Gli si snebbiò la vista, permettendogli di guardarsi intorno.

La camera di Orvus aveva subito molti meno danni di quello che credeva: la circolare piattaforma centrale, che costituiva il pavimento, era quella che appariva più danneggiata, coperta com’era di fuliggine e tracce di esplosioni e graffi sulla trasparente superficie color acquamarina. La cupola sovrastante, anch’essa di vetro spesso e azzurro come il pavimento, era invece miracolosamente intatta, quando Ratchet aveva invece creduto che, dopo essere stata percorsa da quelle violente scariche, quei vetri si fossero come minimo disintegrati. Anche i computer intorno non sembravano necessitare di grandi manutenzioni, l‘unica cosa che sembrava aver effettivamente bisogno di essere riparata era…

Come in bagliore improvviso, ricordò tutto, e si voltò verso il centro della camera.

Il piedistallo dell’interruttore generale era ancora lì, fumante ed apparentemente gravemente danneggiato, la leva originale era sparita, ed al suo posto troneggiava, annerita ed elettrificata, l’onnichiave di Alister.

Il giovane lombax deglutì a vuoto, sentendosi mancare diversi battiti. Lentamente, qualcosa di caldo gli corse lungo le guance, ma non si curò di capire cosa fosse.

- Ratchet?… - la voce del robottino aveva una sfumatura di dolore, e i verdi bulbi ottici non riuscivano a staccarsi dal viso dell’amico.

Ratchet non lo guardava. Aveva la vista offuscata di quel liquido trasparente e caldo, un liquido che i suoi occhi raramente avevano versato.

Lacrime.

Fissava il centro della camera, inerte. Vedeva il pavimento devastato, il piedistallo danneggiato, e non riusciva a staccare lo sguardo da quella onnichiave.

Il suo proprietario era sparito.

- A… Alister. - avrebbe voluto gridare, ma dalla sua bocca non uscì suono. Voleva rimanere lì, immobile in quella camera, di fronte a quello scempio, e morire.

Avrebbe voluto morire.

- Ratchet… coraggio. - fu la voce del piccolo robot a riportarlo alla realtà, e fargli realizzare il fatto che ciò che era avvenuto era ormai parte del passato, non poteva essere cambiato, e fu il freddo tocco della sua manina a scuoterlo dal suo stato di shock, - S… si, va tutto bene… sto bene. - si rialzò in piedi senza guardare Clank negli occhi ma con il viso volto da un’altra parte, in modo da non mostrargli le sue lacrime. Non voleva che vedesse la sua debolezza.

Clank comprendeva benissimo l’amico, e si limitò a mostrarsi accondiscendente, sapendo quanto la minima manifestazione di pietà l’avrebbe ferito ulteriormente - Molto bene. - disse, sentendosi un idiota per quella frase.

- Uh… signore? - la voce di Sigmund l‘apprendista custode, rimasto fino a quel momento in disparte, distrasse Clank dai suoi ragionamenti.

- Dimm…? - un’altra voce, alquanto arrochita, costrinse sia il lombax che il robot a voltarsi.

- XJ-0461... Clank. - Il robottino s’irrigidì, sgranando completamente i bulbi ottici. Ratchet, due passi dietro di lui, trattenne il respiro.

- P… padre? - fu il turno di Clank di piangere ma, per quanto la sua natura robotica gli impedisse di versare lacrime, la sua commozione si percepì chiaramente dalla voce.

Davanti ai due levitava una creatura metallica di dimensioni relativamente piccole, alta appena meno di un metro e con un volto roseo e bonario illuminato da bulbi ottici color acquamarina nei quali brillava una luce divertita ed intelligente. Il corpo metallico era davvero piccolo in confronto alla testa allungata, ed era circondato da scariche di energia azzurrine.

Era Orvus, l‘ex Custode Senior dell‘Orologio.

- Padre.. - Clank aveva la voce incrinata dalla commozione, ed esitava, non osando muoversi, credendo che fosse un sorta di visione, ma quando l’anziano Zoni aprì le corte braccia con espressione incoraggiante ogni dubbio svanì, e il robottino si gettò entusiasta fra le braccia di suo padre.

Sigmund fissava commosso la scena e anche Ratchet, dimentico per un istante dei suoi problemi, non trattenne un sorriso alla vista della felicità del suo migliore amico. Tuttavia, in quell’esatto istante, percepì qualcosa.

Fu una frazione di secondo…

Eppure gli parve una vita.

Quell’abbraccio commosso tra padre e figlio lo riportò a qualcos’altro, qualcosa di lontano, oscuro come la notte, indistinto come nebbia: il calore di un corpo senza identità, una voce affettuosa, un fuoco assassino, urla familiari, movimenti bruschi dettati dal panico e, sopra a tutte le altre, una voce rabbiosa che gridava.

Traditore.

E all’improvviso, tutto divenne freddo.

L’abbraccio tra Clank e Orvus era solido come una tenaglia. Il robottino, dimentico del resto dell’universo, avrebbe voluto restare così ancora per molto tempo, ma il fatto che vi fossero degli spettatori ad assistere a quella sincera manifestazione d’affetto lo spinse a sciogliere l’abbraccio e fare le presentazioni. Naturalmente Sigmund non aveva bisogno di far la conoscenza di Orvus: era stato proprio il vecchio Zoni a raccoglierlo quando era solo un robot delle pulizie deriso da tutti e portarlo nel Grande Orologio per farne un apprendista Custode del tempo, insegnandogli il suo compito ed istruendolo sulla manutenzione dell’Orologio stesso e sull’importanza della carica che un giorno avrebbe ricoperto. L’unico che effettivamente non conosceva Orvus era Ratchet, e Clank non esitò nella sua intenzione di presentarglielo. Si voltò verso il giovane lombax, con il braccino destro leggermente sollevato a mo d’indicazione: - Ratchet, sono orgoglioso di presentarti mio… - si interruppe, notando con la coda nell’occhio l’espressione di Orvus.

Nonostante fosse coperto di metallo come un qualunque robot, lo Zoni aveva delle movenze molto plastiche e fluide, più simili a quelle di una creatura organica che a quelle di un essere meccanico, e le sue espressioni facciali non erano da meno: in quei pochi istanti di distrazione quel roseo viso bonario si era incupito, ed ora fissava Ratchet con un’espressione diffidente.

Che cos… Clank alzò lo sguardo su Ratchet. Fu allora che comprese il perché.

Il lombax era irrigidito, guardingo, e fissava lo Zoni e i due robot come nemici pronti a saltargli addosso.

- Ratchet? - Nel suo sguardo Clank scorgeva stordimento, confusione ed un’ombra di paura, e per un istante ebbe il terrore che la perdita di Alister, o forse una botta presa durante la tentata fuga, gli avesse fatto perdere il lume della ragione. Ma si rese conto che era impossibile impazzire così all’improvviso, e che Ratchet aveva una testa troppo dura per potersi ridurre in quello stato, inoltre l’espressione incupita di Orvus gli faceva temere qualcosa di assai peggiore.

Qualunque cosa fosse successa, non potevano rimanere lì a fissarsi.

Clank avanzò di un passo, deciso: - Ratchet, cos’hai? - chiese, tentando di mantenere i circuiti lucidi: l’espressione sempre più confusa ed aggressiva negli occhi dell’amico gli facevano davvero temere il peggio. L’altro parve soffiare come un gatto - Tu… chi… sei? - la sua voce era diventata un ringhio.

Se avesse potuto, Clank avrebbe rabbrividito. E’ veramente andato? pensò con terrore: ma l’espressione negli occhi dell’altro era una chiara risposta.

Il robottino tentò un altro passo, ma si sentì improvvisamente strattonare violentemente all’indietro ed in quella la voce del lombax gridare minacciosa: - STATE INDIETRO! - si guardò sopra la spalla e capì che a trascinarlo era stato proprio Orvus, e in quel Sigmund si era fatto coraggiosamente avanti, senza nemmeno sapere cosa fare, innescando la reazione del lombax, il quale a sua volta aveva sfoderato il Fucile Constructo. Lì, sul pavimento in vetro, mise in moto i microchip: era certo che Ratchet fosse ancora Ratchet nonostante avesse perso la ragione. Ma il problema era proprio quello, e Clank, conoscendo le potenzialità combattive dell’amico, sapeva di avere a che fare con un nemico decisamente fuori dalla sua portata.

Nemico…?

L’aveva considerato un nemico. Sentì come se ai circuiti mancasse l’alimentazione.

+

Ratchet non sapeva come comportarsi.

Si era sentito come se l’avessero svegliato a suon di schiaffi, e ora era alquanto intontito. Si era guardato intorno, nel tentativo di aiutarsi ad uscire da quella confusione mentale, e la cosa non l’aveva aiutato. Anzi.

Aveva osservato la gigantesca cupola di vetro e metallo dal pavimento devastato, soprattutto al centro, e ci capì assai poco: vedendo quell’onnichiave annerita, l’unica conclusione a cui era riuscito ad arrivare era che, era avvenuto qualcosa di tragico, probabilmente a un suo simile. Si domandò cosa, e a chi, ma la memoria non lo aiutò.

Poi venne distratto da voci allegre, con vaghe sfumature metalliche, si voltò e vide che non era solo: vi erano due robot, di cui uno abbracciava una strana creaturina metallica dalla faccia rosea, i grandi occhi color acquamarina e il corpicino volteggiante avvolto da quelle che sembravano essere scariche elettriche.

Si voltò verso l’onnichiave, annerita da qualcosa che poteva essere proprio una forte scarica elettrica, e qualcosa, come un’interruttore, scattò nella sua mente.

Era in pericolo.

E ora si ritrovava in una situazione assurda, con un grosso fucile d’assalto puntato contro tre nemici la cui altezza generale non gli superava la vita e dalle sconosciute potenzialità.

Forse non proprio sconosciute si disse.

Ma se c’era una cosa che aveva imparato bene, era proprio quella di non valutare mai gli avversari dalla stazza: le tetratermiti di Lumos ne erano la prova vivente. Si mosse lateralmente, a destra, sempre col fucile puntato contro i tre.

Doveva andarsene - Levatevi dall’entrata. - ordinò rudemente, ondeggiando leggermente il fucile. Sapeva che non era da lui agire così, ma l’essersi ritrovato in un luogo sconosciuto, segnato dalle tracce di quella che sembrava essere stata una feroce battaglia, con tre sconosciuti che non aveva mai visto in vita sua l’aveva riempito di sgomento.

I due robot e la creatura volteggiante non esitarono ad obbedire, e si fecero precipitosamente di lato.

Ratchet attraversò il ponte di vetro che portava all’uscita a ritroso, sempre tenendo i tre sotto tiro e, appena la stanza della porta fu chiusa e si accertò che non c’era nessun altro in quel posto sconosciuto ed assurdamente grande, prese a correre.

 

  
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