Ciaao a tutti
*^*
Allora, questa è la mia prima fanfiction, shono un
po’ emozionata :3
Allora, alcune noticine: la storia è ambientata a pochi mesi
dal debutto dei BEAST,
ispirata ad un episodio realmente accaduto,
(nel prossimo capitolo si capirà bene ) ma di
cui purtroppo ho
pochissimi particolari veritieri, quindi vado molto di fantasia.
Detto questo,
spero che vi piaccia (:
21.19 - Olivia Kwon,
(o Kwon Olivia, non si sapeva mia come
chiamarla quella ragazza) se ne stava davanti allo specchio
dell'ingresso,
controllando minuziosamente l'ombretto messo poco prima in cerca di una
sbavatura, un ombra nera sfuggita al suo correttore, qualunque cosa che
avrebbe
potuto trattenerla a casa altri cinque minuti, malgrado avesse
già indossato le
scarpe e fosse pronta per uscire già di una decina di minuti.
Negli ultimi
mesi, quello specchio non l'aveva vista spesso, illuminata
dalla luce artificiale poi! Scuola, spesa, biblioteca alle volte,
quelle erano
le sue uniche mete, le uniche ragioni che la spingevano a non restare
barricata
in casa, a passare per l'ingresso davanti a quello specchio, a scorrere
con lo
sguardo foto di famiglia. Quelle dannate foto che Olivia aveva sotto
gli occhi
anche in quel preciso istante, mentre l’unica cosa che
cercava di fare era
concentrarsi sulla sua immagine riflessa nello specchio.
Il matrimonio
di mamma e papà, si in Italia che in Corea, Francesco da
piccolo, Olivia e Francesco rispettivamente a 11 e 9 anni, tutta la
famiglia al
completo a Bologna, la città di mamma, papà,
mamma e Olivia a Bali, sei mesi
prima. Il signor Kwon nei suoi tempi migliori si era innamorato
perdutamente
dell’Italia, e a quanto pare anche di Sabrina, la bella
italiana che era il Bel
Paese fatto a persona: due occhi di smeraldo e labbra rosse sulle quali
morire,
come la canzone di Battisti che lei amava tanto. La passione tra i due
fu così
travolgente che presto si trovarono con un inquilino, o meglio
un’inquilina in
più nel loro appartamento di studenti universitari. Tempo di
finire
l’università e si erano già trasferiti
in Corea con un altro marmocchio,
Francesco.
Erano davvero
una famigliola buffa: un signore paffutello dagli occhi a
mandorla, una splendida occidentale e due ragazzini tremendamente
simili l’uno
all’altro dai lineamenti indecifrabili; mori, olivastri come
ogni italo-coreano
che si rispetti, occhi di taglio asiatico ma leggermente più
grandi e tondi.
Anche se quelli di Francesco avevano quel piccolo di particolare, che
li
rendeva ancora un po’ più speciali di quanto
fossero già: tali e quali a quelli
della madre, erano verde smeraldo.
Erano.
Il
cellulare di Olivia cominciò a squillare:
sicuramente era Yurim che voleva sapere dove si era cacciata. Era ora
di
uscire. Olivia fece un respiro profondo, afferrò la maniglia
e la tirò verso di
se per aprire la porta. Chiamò l’ascensore e dopo
che le due porte metalliche
si furono chiuse alle sue spalle, si mise a fissare con ansia i numeri
che
scorrevano sul quadrante sopra la sua testa, calcolando che
l’ascensore
impiegava circa 4 secondi per ogni piano del palazzo. In meno di un
minuto fu
fuori, cercò con lo sguardo la macchina di Yurim e quando
sentì il suono del
clacson che la chiamava si sentì sollevata. Non è
stato così difficile, pensò.
Era
la prima volta che usciva per andare in un club
da quando Francesco non c’era più, e anche se non
era tipa da club (preferiva
Rock Café e birrerie), non poteva rifiutare
l’invito, o meglio il ricatto, di
Yurim, la sua migliore amica.
Salì
sulla Smart dell’altra ragazza, un deposito
ambulante di trucchi, cd, cartine stradali di tutto il mondo, ma sempre
profumata di fragola.
“Dio
benedica i deodoranti per gli ambienti”, era
una delle frasi preferite di Yurim.
“WHOOA”
disse lei “La signorina si è messa in tiro
stasera! Pure lo smalto ti sei messa, fammi dare
un’occhiata”
Yurim
prese la mano sinistra di Olivia, che subito
la ritrasse con uno scatto e cercò di sistemare la manica
del cardigan, in modo
da coprire tutta la mano, “E’ messo di
merda” farfugliò lei tutto d’un fiato,
cercando una scusa qualunque perché la sua amica non
esaminasse la sua mano.
Per
pochi interminabili istanti le due si guardarono
negli occhi, Yurim era scioccata.
“Tu..
mi avevi detto che avevi smesso.”
Olivia
non sapeva cosa dire, era con la sua migliore
amica da pochi minuti e già l’avav delusa, per
l’ennesima volta. Non poteva
fare altro che tenere la testa bassa e fissare i suoi polsi, le
cicatrici
ancora fresche.
Almeno
la lametta è
a casa,
fu l’unica cosa che le venne in mente.
3.17
– La serata alla fine, non era
stata nemmeno così pessima come aveva immaginato durante il
tragitto in
macchina con Yurim, a parte il fatto che si erano dette due parole in
tutta la
sera.
Meno
male che c’era Jun Kwang, il terzo elemento del
loro gruppetto che ovviamente non poteva non partecipare alla serata.
Non
avendo voglia di ballare si sedette con lui al
bancone; e tra Vodka, Coca Cola, bagno e pista da ballo, il tutto le
sembrò
quasi divertente. L’unico imprevisto della serata era stata
la sfuriata della
madre di Yurim, che non sapendo dov’era aveva ribaltato mezza
Seul e se l’era
riportata a casa.
Dopo
quello che era successo quella sera, Olivia era
quasi sollevata di dover tornare a casa in metropolitana. Erano appena
scesi
nei ‘sotterranei della città’, come li
chiamava Jun Kwan, quando videro un
ragazzo dai capelli corvini che stava seduto vicino ad un altro steso
per
terra, evidentemente privo di sensi, cominciò ad arrancare
verso di loro.
Era
piccolo e magro, i capelli corvini gli coprivano
la fronte e il collo; nell’incarnato color latte spiccavano
due guance rosse da
bambino e due occhi color carbone. Per quanto ne sapevano quei due
ubriaconi
poteva benissimo avere 16 come 22 anni.
“Scusate,
scusate!” farfugliò con un filo di voce mentre
si avvicinava a loro “ho bisogno
d’aiuto”.
Non
è possibile.
No, non può essere lui. Olivia, svegliati, sei solo ubriaca.
Francesco aveva
gli occhi verdi.
Il
ragazzo si tranquillizzò vedendo che i due erano
giovani come lui, allora chiese se avevano un cellulare a portata di
mano;
“Certo
amico” disse Jun Kwan porgendogli il palmare.
“Hyung!
L’ho trovato, era nel vicolo vicino ad un
bar, credo che avesse appena fatto a botte con dei brutti tizi.. Come?
Ah, non
chiedermi il perché, probabilmente era solo molto ubriaco,
sai.. per via di
quella storia. Sì, stiamo tornando in dormitorio in
metrò, a dopo hyung!”
Intanto
Olivia si era avvicinata all’altro ragazzo,
quello di cui evidentemente il suo amico stava parlando al telefono;
era ancora
incosciente, si stava giusto domandando come avesse fatto il suo amico
a
portarlo in metropolitana, piccolo com’era, quando
notò il rivoletto di sangue
che gli usciva dalle labbra carnose, viola per le botte, che scendeva
lungo la
guancia destra.
E’
davvero bello, fu l’unica cosa che ebbe il tempo
di pensare, prima di accorgersi che l’altro ragazzo, che
aveva finito di
telefonare, si era inginocchiato accanto a lei per assistere il suo
amico.
Non
poteva fare a meno di fissarlo, doveva
autoconvincersi che suo fratello era morto, non poteva essere
là di fianco a
lei, no, non era possibile, non era lui.
Aveva
cominciato a pulirgli il viso insanguinato,
intanto con l’altra mano gli accarezzava i folti capelli
color ebano.
“Scusate
per il disturbo” sussurrò il ragazzo
“è
stata una nottataccia per tutti, mi premeva avvertire i ragazzi che Jun
sta
bene.. Più o meno. ”
Olivia
si avvicinò ai due e disse “Prova a mettere
un po’ di ghiaccio sulla guancia e non fargli mangiare roba
troppo calda,
vedrai che in un paio di giorni non si vedrà più
nulla.”
Poteva
considerarsi un esperta in maniera di tagli.
Il
ragazzo si voltò verso di lei e la ringraziò con
un sorriso (e che sorriso!) che diede a Olivia i brividi; era lo stesso
sorriso
che avrebbe potuto sostituire il sole, lo stesso che aveva suo
fratello, quello
che le bastava per tirarla su di morale. Era incredibile come a
Francesco
bastasse aprire la bocca e mostrare quei denti che parevano perle per
farla
sentire meglio, la sua risata cristallina era musica per le sue
orecchie.
Forse
era quella la cosa che le mancava di più, era
il silenzio che c’era in casa dopo che lui era volato via che
l’aveva spinta
alle lamette, al sangue.
Poi
notò che
aveva gli occhi lucidi; doveva tenerci davvero tanto a quel Jun.
In
quell’istante avvertirono il rumore della
metropolitana che stava arrivando.
“Hyung,
hyung alzati, dobbiamo andare!”
Il
ragazzo prese Jun sottobraccio e, dopo aver
afferrato velocemente il suo zainetto, i due si avviarono a fatica
verso la
cabina praticamente vuota.
“Grazie
di
tutto!” disse
l’unico dei due che
aveva la forza di parlare, mentre le porte metalliche del
metrò si chiudevano
davanti a quella strana coppia.
Pochi
secondi dopo che tutte le cabine del metrò si
furono allontanate dalla vista dei due ragazzi, lasciando solo
l’eco del loro
stridere sulle rotaie, Olivia abbassò lo sguardo verso il
pavimento e notò
qualcosa che prima non c’era: un quaderno nero ad anelli,
probabilmente era
caduto dallo zaino del ragazzo mentre si accingeva a salire sul
metrò.
Conteneva prevalentemente testi di canzoni, alcuni solo abbozzati,
schizzi e
disegni, prevalentemente manga e qualche ritratto.
Nella
copertina interna, in alto a destra, c’era
scritto un indirizzo e un nome: Yang Yoseob.
Quel
quaderno sembrava molto prezioso, decise che
gliel’avrebbe riportato prima possibile.