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Autore: MAMMAESME    10/09/2012    5 recensioni
Elena non è morta … non è diventata vampira: ha scelto Stefan e Damon se n’è andato.
Lui è solo in una nuova città.
È riuscito a dimenticarla?
Tre mesi dopo “quella” telefonata … ecco cosa ho immaginato potesse accadere!
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quella notte Damon spense il suo computer e rimase immerso nel buio della stanza.
La finestra aperta si affacciava sul fiume che scorreva lento.
Non aveva resistito.
Aveva sbirciato gli ultimi twitter di Elena ... gli era persino venuta la tentazione di commentare, di inserirsi di nuovo nella sua vita, ma aveva desistito.
Inutile … lei era stata fin troppo chiara: aveva scelto Stefan.
Come promesso al fratello, e a se stesso, Damon si era trasferito in un’altra città ma, per quanto lontano andasse, per quanta distanza mettesse tra di loro, l'immagine di lei lo seguiva ovunque: erano tre mesi esatti che non vedeva il suo volto, se non dalle foto su facebook  ... E gli mancava, gli mancava da impazzire!
Si sedette cavalcioni sul davanzale, lasciando penzolare la gamba destra nel vuoto e maledisse se stesso per la sua incapacità di strapparsi Elena dal cuore e dalla mente. Non poteva vivere con lei ... non poteva vivere senza di lei ... non poteva vivere e basta!
La skyline di Boston si stagliava nel cielo buio, disegnando luminosi contorni contro il cielo sbiadito dalle troppe luci della città: era una notte inquieta che non voleva ascoltare il suo desiderio di dimenticare … di ricordare … non sapeva nemmeno lui cosa desiderare.
Per un semplice umano sarebbe bastato unire le gambe oltre quel davanzale al ventunesimo piano per farla finita con quell’assurda agonia, ma … lui si sarebbe ricomposto in un attimo: un salto dolorosamente inutile!
Eppure ...
Eppure non riusciva a non aggrapparsi ai piccoli ricordi, agli sguardi pieni di colpevole passione che Elena gli aveva regalato ... alla consapevolezza evidente di quanto fosse attratta da lui ... alle innumerevoli frasi spezzate, ai "vorrei ma" ....
Troppi ma, sempre troppi ma tra di loro!
L'amarezza dentro di lui si sciolse a quei ricordi: come cioccolato puro fondeva sui suoi sentimenti, colava sulla sua anima in piccole gocce di malinconia dal sapore dolce amaro.
Chissà cosa stava facendo lei, adesso? Dormiva? Sognava? O stava facendo l’amore con Stefan …?
Magari, accarezzandolo, sovrapponeva il SUO viso a quello di lui … forse, dentro di lei urlava il SUO nome … oppure lo aveva semplicemente dimenticato.
Si mise a fissare il cellulare con un odio profondo; distolse lo sguardo per non cedere alla tentazione di premere quel pulsante che gli avrebbe portato la sua voce!
Insomma, lui era Damon ... Damon!
Lui non si piangeva addosso!
Lui non si struggeva per una ragazzina ... lui poteva averne quante ne voleva ... LUI!
Bofonchiando un miscuglio d’imprecazioni, scese dal davanzale e andò a farsi una doccia. Lasciò che l'acqua lavasse via quell’appiccicosa malinconia e si preparò per uscire.
Camminò per le strade di Boston, lungo i viali costeggiati da mattoni rossi, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni neri. Entrò in un bar anonimo, si sedette al bancone e ordinò del bourbon.
Accostando il bicchiere alle labbra, si guardò attorno in cerca di una preda.
Una cascata di capelli castani attirò la sua attenzione. Una giovane ragazza sedeva a un tavolo alla sua sinistra, in compagnia di un'amica. Parlavano e sorridevano bevendo alexander, raccontandosi chissà quali stupidi segreti.
Damon intensificò il suo sguardo, quasi a cercare una connessione telepatica e, quando la ragazza si volto, le sfoderò uno dei suoi sorrisetti ammiccanti, non troppo sfacciato ... non troppo imbecille: semplicemente irresistibile!
La ragazza rimase incantata dal fascino intrigante di quell’uomo sconosciuto tanto che, per distogliere gli occhi da quel viso tenebroso, le occorse una sonora gomitata.
- Ti sei imbambolata? – la scosse l’amica.
- Scusa ma... hai visto quel tipo al bar? Quello vestito di nero ...? -
- Quello che ti sta fissando in modo inequivocabilmente sexy? -
- Mi sta ... fissando? – chiese lusingata.
- Non solo: si sta dirigendo verso il nostro tavolo. Meno tre, due, uno ... -
- Buonasera, ragazze? Disturbo o posso unirvi alla vostra compagnia? -
Ovviamente la domanda era retorica: quella sera non avrebbe retto ad un no … quindi, oltre a sfoderare il suo indiscutibile fascino, decise di soggiogarle.
- Siedi pure ... ? – lo invitarono all'unisono, impazienti di vedere da vicino quegli splendidi occhi blu.
- Damon. – si presentò con falsa cortesia.
- Ciao Damon! – squittì l’altra ragazza ... un visino insignificante contornato da morbidi riccioli biondi, stile Shirley Temple - Io mi chiamo .... -
- Non m’interessa come ti chiami tu! - rispose lui brusco. - E tu, questa sera, ti chiamerai Elena. – impose alla sua preda.
 Senza nemmeno sedersi, ingurgitò il liquido ambrato che aveva nel bicchiere, e prese " Elena " per mano.
- Dove mi stai portando? – chiese lei con un risolino isterico.
- Zitta e cammina. - le ordinò, trascinandola poco gentilmente fuori dal locale.
Una volta per strada, le posò un braccio sulle spalle per non destare sospetti tra i passanti e, con finto romanticismo, la guidò verso il suo appartamento a Cambridge.
 - Elena ...  - le sussurrò con un tono fin troppo melenso.
- Dove stiamo andando, Damon?- cinguettò lei.
- In paradiso ... o all'inferno ... dipende! –
- Da cosa? -
- Da quanto mi farai "divertire " ... – sogghignò lui.
- Divertire? E come? – ridacchiò, maliziosa.
- Vedremo. Ho gusti un po’ particolari, io!- la sua espressione divenne eloquente.
- Che cosa vorresti dire? Hai forse intenzione di farmi del male? – si preoccupò lei.
- Solo un po', forse. – ammise Damon.
Il sorriso le si spense sulla labbra: guardò con attenzione il volto dell’uomo misterioso che camminava al suo fianco e si accorse che qualcosa di famelico lo alterava.

 

- Lo scherzo comincia a spaventarmi … - balbettò lei.

- E le tue continue chiacchiere cominciano ad annoiarmi: stai zitta e non rompere! – le comandò.

Fu presa dal panico, ma un barriera invisibile non le permetteva di lasciarlo esplodere in tutta la sua potenza. Avrebbe voluto urlare, ma una calma artificiale poneva degli argini alla paura che sapeva di dover provare. Il potere ipnotico del vampiro era più forte e dominava l'istinto di sopravvivenza che le gridava di scappare lontano da quell'essere tanto misterioso quanto affascinante.
Arrivati a destinazione, Damon la condusse direttamente in camera, saltando ogni preambolo, ogni gesto di cortesia.
- Guardami negli occhi … sussurra il mio nome. - le ordinò.
- Damon - ubbidì lei.
Il suono della sua voce non gli procurò alcuna emozione.
- Dimmi che mi vuoi ... - mormoro brusco.
- Damon ... Ti desidero ... Voglio essere tua. -
Ancora nulla.
Quella non era la voce che le sue orecchie volevano sentire ... non era la supplica che avrebbe lenito le sue ferite.
Gli occhi non erano i SUOI occhi … le labbra non erano le SUE labbra!
Inutile ... una farsa inutile!
- Stai zitta! Sta' zitta! - la implorò mentre le strappava la camicetta di seta rosa e si avventava sulla giugulare pulsante.
Bevve una lunga sorsata mentre, in malo modo, sfilava il resto dei vestiti alla malcapitata.
Senza nemmeno spogliarsi, la scaraventò sul letto e, abbassandosi la cerniera dei pantaloni, consumò un amplesso rude e fugace ... una banale, inutile sveltina.
La ragazza lo guardava sgomenta, imprigionata nel silenzio che lui le aveva imposto.
Damon, separandosi dal suo corpo, non la degnò nemmeno di uno sguardo, se non per ordinarle di dormire.
Sempre vestito, con ancora le scarpe a piedi, andò in soggiorno e si versò l'ennesimo bicchiere di bourbon.
Era tutto sbagliato, tutto.
Il profumo di quel corpo era sbagliato: troppo dolce... l'odore di un negozio di caramelle.
Il suo sapore era sbagliato: zucchero e miele ... per lui nauseante.
Dopo aver assaporato con la memoria il ricordo di un pezzetto di cioccolato fondente che si scioglie lentamente sulla lingua, avvolgendo il palato della sua raffinata armonia deliziosamente amara, tutta quella leziosa dolcezza gli aveva lasciato in bocca un sapore ripugnate.
Il bourbon non bastò a lavar via il disgusto; sbattendo il bicchiere sul tavolino di noce massiccio, entrò di nuovo in camera e, inginocchiandosi vicino alla sua vittima, le conficcò i denti nel collo, ansioso di cancellare la propria ansia. Il sangue lo avrebbe aiutato a spegnere le proprie emozioni ... gli avrebbe indicato la strada per ritrovare “quel” pulsante e premerlo con tutta le forze.
Mentre il sangue scendeva denso nella sua gola, gli sembrò di intravvedere quell’ancora di salvezza, quell’anestetico che gli avrebbe permesso di continuare a sopravvivere, senza sentire il bruciore della ferita che ancora lo lacerava. Succhiando ancor più avidamente, si spinse con la mente fino a quel punto tanto agognato e vi concentrò tutto il suo potere.
Staccando le fauci dalla ragazza che giaceva sfinita sulle lenzuola, chiuse gli occhi e respirò a fondo, per sentire la pace che l'oblio gli avrebbe procurato.
Si sdraiò sul lato libero del letto senza aprire gli occhi, sicuro di poter godere di un sonno senza sogni. Inaspettato, uno sguardo di rimprovero invase i suoi pensieri: gli occhi di Elena erano lì che lo fissavano nel buio delle palpebre abbassate, con quella loro espressione implacabile.
- Non è possibile ... - imprecò stupito. - Eppure avevo spento ... cancellato ... -
Cercò di scacciare quell'immagine dalla sua mente, tornando a cercare quel pulsante magico che toglieva corrente ai pensieri molesti. Quando vi s’immerse per la seconda volta, si accorse che qualcosa non andava: per quanto si concentrasse, le emozioni tornavano, più invadenti di prima.
Scattò a sedere sul letto, con la tentazione di rifornirsi ancora di più energia, attingendo a quel corpo ormai stremato. Prese il polso della giovane e si accinse a mordere le piccole vene che lo attraversavano, ma quando fu vicino a lacerarle, si rese conti che sarebbe stato inutile: Elena aveva rotto quel tasto magico ... lo aveva disattivato nel momento in cui gli era entrata nel cuore e invaso l'anima.
Posò il fragile braccio sul letto e, tagliandosi il proprio con i denti, fu lui a nutrire lei.
- Bevi! Questo ti farà stare meglio. Ascolta: io adesso me ne vado. Domani, quando ti sveglierai, vattene da questa casa, dimentica ogni cosa che è accaduta qui … e cerca di rimanere viva per qualche giorno! -
Disgustato entrò in bagno, si spogliò e buttò i vestiti della notte appena trascorsa sul pavimento: non voleva sentirsi addosso l'odore di quel sangue nemmeno un minuto di più.
Guardandosi allo specchio vide i suoi occhi ardere. Rivoleva la sua vita … rivoleva il suo oblio …
La sofferenza patita per la scomparsa di Katherine era un lieve graffio sulla pelle, in confronto al filo spinato che avvolgeva il suo cuore e si serrava ogni volta che Elena invadeva i suoi pensieri.
Lei aveva scavato nel suo inconscio, rubato i suoi sogni nascosti e, impietosa, li aveva chiusi dentro un sacco che aveva buttato in chissà quale discarica.
Lei aveva parlato alla sua anima per poi lasciarla senza parole, lo aveva spogliato per lasciarlo nudo!
Sferrò un pugno allo specchio, che si sparse a terra in mille pezzi: l’immagine di ciò che era rimasto di lui.
Stanco di rigirarsi in quel tormento, si lavò velocemente le mani e si buttò dell'acqua sulla faccia; prese dal suo armadio un paio di jeans neri ed una maglietta grigio scuro. Si vestì rabbioso e si diresse verso la porta. Uscendo, afferrò al volo il suo giubbotto di pelle e si fiondò nell'alba che rosseggiava a est.
 

 

  
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